Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-05-12, n. 201601893

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-05-12, n. 201601893
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601893
Data del deposito : 12 maggio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04674/2015 REG.RIC.

N. 01893/2016REG.PROV.COLL.

N. 04674/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4674 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’Avv. C C, del Foro di Caserta, con domicilio eletto presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

contro

Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Capo della Polizia – Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MOLISE - CAMPOBASSO: SEZIONE I n. 00095/2015, resa tra le parti, concernente l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione


visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza e del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Capo della Polizia Direzione Generale della Pubblica Sicurezza;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

visto l’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. 196/2003;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 aprile 2016 il Cons. Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierna appellante -OMISSIS- l’Avv. C C e per il Ministero dell’Interno appellato l’Avvocato dello Stato Maria Letizia Guida;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con decreto del Capo della Polizia, adottato l’1.4.2014, il Ministero dell’Interno ha disposto la destituzione dal servizio del sostituto commissario di Polizia di Stato, -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 7, nn. 1, 2 e 4, del d.P.R. 737/1981 all’esito del giudizio penale, conclusosi con la sentenza n. 1201/2013 del 13.62013, adottata dal G.U.P. presso il Tribunale di Napoli, il quale dichiarava non doversi procedere nei suoi riguardi per intervenuta prescrizione in ordine a reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa in danno delle compagnie assicurative, di corruzione e falsità ideologica.

1.1. Avverso tale provvedimento e la presupposta delibera adottata dalla Commissione Provinciale di Disciplina l’interessata ha proposto ricorso al T.A.R. Molise, deducendo cinque motivi di illegittimità dello stesso, e ne ha chiesto l’annullamento.

1.2. Si è costituito nel primo grado di giudizio il Ministero dell’Interno, che ha chiesto la reiezione del ricorso.

2. Il T.A.R. Molise, con la sentenza n. 95 del 13.3.2015, ha respinto il ricorso, compensando le spese di lite tra le parti.

2.1. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’interessata, lamentandone l’erroneità per aver essa disatteso le censure di primo grado, qui riproposte e articolate in cinque motivi che saranno di seguito esaminati, e ne ha chiesto la riforma.

2.2. Si è costituito il Ministero appellato, con memoria difensiva depositata il 9.3.2016, per resistere al ricorso.

2.3. Nella pubblica udienza del 21.4.2016 il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

3. L’appello di -OMISSIS- è infondato e deve essere respinto.

3.1. La destituzione dell’odierna appellante scaturisce dai gravi fatti, oggetto del giudizio penale, che l’hanno vista coinvolta, insieme con altri appartenenti alle Forze di Polizia, in una vicenda di operazioni fittizie, contraddistinta da false denunce di furto di automobili e da altrettanto falsi verbali di rinvenimento redatti dai pubblici ufficiali, per truffare le compagnie assicurative.

3.2. Tale vicenda risalente al 2005, per quanto attiene alla posizione processuale dell’odierna appellante, si è conclusa con una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, da parte del G.U.P. presso il Tribunale di Napoli, il quale ha tuttavia evidenziato, nella motivazione della sentenza n. 1201 del 7.6.2013, che « il procedimento penale pur nel travagliato iter che lo ha caratterizzato, ha consentito […] di accertare le modalità operative con le quali i vari correi ponevano in essere callide condotte volte ad ottenere ingiusti vantaggi mediante una svariata congerie di operazioni fittizie, produzioni documentali ideologicamente false, con il concorso di pubblici ufficiali appartenenti alle forze di polizia, e ulteriori artifici univocamente diretti a creare una falsa rappresentazione della realtà in ordine ai veicoli oggetto delle stipule dei contratti di assicurazione » (doc. 18 fasc. parte appellante)

4. Con un primo motivo (pp.

6-10 del ricorso) l’odierna appellante lamenta che illegittimamente, alla data del 30.9.2013, fosse stata avviata l’azione disciplinare, perché la sentenza dichiarativa della intervenuta prescrizione, da parte del Tribunale penale di Napoli, non era affatto divenuta irrevocabile, per la mancata notifica del suo estratto contumaciale, pendendo avanti al G.I.P. presso lo stesso Tribunale, proprio per tale ragione, un’incidente di esecuzione, successivamente accolto con provvedimento del 2.5.2014.

4.1. Il T.A.R. molisano ha respinto la censura, osservando che il provvedimento penale non era di condanna, ma di proscioglimento per intervenuta prescrizione, sicché ad esso non deve applicarsi l’art. 5 della l. 97/2001, che si riferisce alle sole ipotesi di condanna, ma l’art. 9, comma sesto, del d.P.R. 737/1981, secondo cui « quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa ».

4.2. Poiché nel caso di specie il deposito delle motivazioni è avvenuto il 7.6.2013, come ammette la stessa appellante, legittimamente l’Amministrazione ha avviato l’azione disciplinare nel termine di 120 giorni decorrente dal deposito delle motivazioni della sentenza, nominando il funzionario istruttore il 23.9.2013 e inviando la contestazione degli addebiti il successivo 30.9.2013.

4.3. Il motivo, seppure con le precisazioni che qui di seguito si esporranno, è infondato.

4.4. Occorre anzitutto rammentare che, come la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio ha chiarito, il termine di 90 giorni, previsto dall’art. 5, comma 4, della l. 97/2001 trova applicazione solo per le condanne relative ai reati indicati nell’art. 3 della stessa legge – e, cioè, i delitti p. e p. dagli artt. 314, comma 1, 317, 318, 319, 319- ter e 320 c.p. e dall’art. 3 della l. 1383/1941 – mentre negli altri casi di condanna trova applicazione l’art. 9, comma 2, della l. 19/1990 (v., inter multas , Cons. St., sez. III, 30.5.2013, n. 2937;
Cons. St., sez. III, 13.2.2014, n. 705).

4.5. Nel caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione, invece, deve trovare applicazione l’art. 9, comma sesto, del d.P.R. 737/1981.

4.6. L’art. 9 del d.P.R. 737/1981 è ben chiaro nel far decorrere il predetto termine dalla data di “ pubblicazione della sentenza ” che, ai sensi dell’art. 544, commi 2 e 3, c.p.p., non può che coincidere con il deposito della motivazione in cancelleria (v., comunque, sul punto, Cons. St., sez. VI, 29.3.2011, n. 1894), nel caso di specie avvenuta, come detto, il 7.6.2013.

4.7. Poiché, del resto, la disposizione ricollega l’avvio del procedimento disciplinare all’esito del giudizio penale, “ comunque definito ”, questa stessa Sezione ha chiarito che tale termine decorre dal deposito della motivazione del provvedimento che definisce il giudizio e non certo dalla lettura del solo dispositivo, che non consente all’Amministrazione di valutare le motivazioni che stanno a fondamento della pronuncia resa dal giudice penale e, dopo averle attentamente ponderate, di assumere le conseguenti determinazioni in ordine all’avvio del procedimento disciplinare, laddove ne ravvisi i presupposti (Cons. St., sez. III, 10.7.2013, n. 3709).

4.8. L’appellante insiste nell’affermare che il provvedimento in questione erroneamente fosse stato dichiarato irrevocabile, alla data del 1.10.2013, come poi è emerso all’esito dell’incidente di esecuzione promosso dalla stessa -OMISSIS-.

4.9. Quanto al concetto di procedimento “ comunque definito ”, di cui all’art. 9 del d.P.R. 737/1981, sempre questa Sezione, discostandosi dal precedente orientamento assunto da questo Consiglio (v., exempli gratia , Cons. St., sez. VI, 23.6.2008, n. 3151), ha ritenuto che, mentre l’art. 11 del d.P.R. 737/1981 dispone che, in presenza di un procedimento disciplinare e di un procedimento penale a carico dell’appartenente alla Polizia di Stato, l’inizio del procedimento disciplinare deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato, invece l’art 9 fa riferimento ad una diversa situazione e, cioè, ad un procedimento penale “ comunque definito ”, da cui emergono fatti passibili di sanzione disciplinare, e di pubblicazione della “sentenza”.

4.10. In questa seconda ipotesi, pertanto, manca nel testo normativo qualsiasi riferimento al passaggio in giudicato della sentenza, quale condizione necessaria per iniziare il procedimento disciplinare entro 120 giorni, mentre, per altro aspetto, appare diversa anche la ratio dell’art. 11 del d.P.R. n. 737 del 1981, che non si riferisce al termine entro cui l’Amministrazione deve iniziare il procedimento disciplinare all’esito di un giudizio penale (art. 9 citato), ma si riferisce ad un procedimento disciplinare già avviato, disponendone il coordinamento con il parallelo procedimento penale e, quindi, stabilendone la sospensione fino alla definizione con sentenza irrevocabile.

4.11. D’altra parte, come questa Sezione ha pure osservato, per l’apertura del procedimento disciplinare, « la fissazione del termine di 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza (non irrevocabile) risulta la soluzione più semplice e chiara (requisiti indispensabili per la corretta applicazione di un termine perentorio), ove solo si consideri che, poiché l’art 585 c.p.p. individua tre termini per impugnare la sentenza penale di primo grado (15-30 e 45 giorni) e ne stabilisce il dies a quo con articolate decorrenze, il termine della intervenuta irrevocabilità della sentenza penale, in caso di mancata impugnazione, sarebbe individuabile dal Ministero solo all’esito di un calcolo eseguito in base a dati complessi e disomogenei, che metterebbero facilmente a rischio il tempestivo esercizio del potere disciplinare da parte dell’Amministrazione procedente » (Cons. St., sez. III, 17.12.2015, n. 5713).

4.12. La disposizione, quindi, non subordina l’avvio del procedimento penale al passaggio in giudicato della sentenza, sicché legittimamente può l’Amministrazione avviare il procedimento penale senza attendere il passaggio in giudicato della sentenza, entro 120 giorni dal deposito delle sue motivazioni, come è accaduto nel caso di specie, risultando del tutto irrilevante la questione, qui dedotta, dell’erronea declaratoria di irrevocabilità della stessa alla data del 1.10.2013 e del successivo incidente di esecuzione in sede penale.

4.13. Ne segue l’infondatezza, sul piano giuridico, del primo motivo qui in esame, seppure per le ragioni sopra esposte.

5. Con un secondo motivo (pp. 15-18 del ricorso) l’odierna appellante ha lamentato la violazione dei termini previsti dall’art 120 del d.P.R. 3/1957 e, in particolare, ha dedotto che tra la contestazione degli addebiti e la seduta di comparizione innanzi al Consiglio di disciplina sia trascorso un lasso di tempo superiore ai 90 giorni.

5.1. Il primo giudice ha respinto la censura, rilevando che detto termine si interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa inequivocabilmente desumersi la volontà, da parte dell’Amministrazione, di portare a conclusione il procedimento stesso e osservando quindi che, nel caso di specie, tra il deposito della relazione conclusiva del funzionario istruttore e la seduta di comparizione innanzi al Consiglio di disciplina vi sono stati il deposito della relazione conclusiva, da parte del funzionario istruttore, l’atto di deferimento alla Commissione di disciplina e la prima riunione di quest’ultimo organo.

5.2. Il motivo deve essere respinto.

5.3. La giurisprudenza di questo Consiglio è ben consolidata, infatti, nel ritenere che, al fine di interrompere la decorrenza del termine perentorio di cui all’art. 120 del d.P.R. 3/1957, sia utile ogni atto con il quale l’Amministrazione esprima la volontà di portare avanti il procedimento, anche se di carattere interno (v., ex plurimis , Cons. St., sez. III, 3.8.2015, n. 3812), come è avvenuto nel caso di specie, ove si consideri che tra il deposito della relazione conclusiva del funzionario istruttore e la seduta di comparizione innanzi al Consiglio di disciplina vi sono stati il deposito della relazione conclusiva, da parte del funzionario istruttore, l’atto di deferimento alla Commissione di disciplina e la prima riunione di quest’ultimo organo.

6. Con il terzo motivo (pp. 18-27 del ricorso) l’odierna appellante ha lamentato, ancora, che non essendo ella mai stata ascoltata in sede dibattimentale e non avendo mai potuto chiarire la propria posizione in rapporto alle accuse mossele, non sarebbe possibile all’Amministrazione affermare che dalla lettura del carteggio penale si desumesse la prova della fondatezza degli addebiti mossi a suo carico, per essersi il processo chiuso con una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione.

6.2. Il motivo è destituito di fondamento.

6.3. B ha rilevato il primo giudice che gli atti dell’istruttoria autonomamente svolta in sede amministrativa abbiano esaminato gli elementi di prova, tratti dal processo penale, e in particolare le conversazioni intercettate, dalle quali emergono chiaramente gli accordi intervenuti tra gli imputati sul modus operandi e relativamente alle azioni finalizzate ad ottenere fraudolentemente il risarcimento dei danni.

6.4. Il provvedimento disciplinare, con un’analisi ampia e dettagliata del materiale probatorio raccolto in sede penale, ha analizzato in modo approfondito le gravi condotte tenute da -OMISSIS- e ha osservato, tra l’altro, che « dalle conversazioni telefoniche captate tra -OMISSIS-e -OMISSIS- emergono consistenti elementi anche in relazione ad un giro di denaro, verosimilmente a cadenza mensile » (v. p. 16 della delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina), oltre ad evidenziare il riprovevole comportamento tenuto dalla stessa nel falsificare i verbali di denuncia, come dimostrano anche gli esami grafologici effettuati sulle firme apposte sugli atti dalla stessa -OMISSIS- redatti, firme risultate essere, in modo altamente probabile, apocrife.

7. Anche il quarto motivo di appello (pp. 27-29 del ricorso), con il quale si lamenta la violazione dell’art. 14 del d.P.R. 737/1981 per non avere la Commissione Provinciale di Disciplina motivato in ordine ai rilievi effettuati nella memoria “a chiarimento” depositata dall’incolpata, è destituito di fondamento.

7.1. L’art. 14, comma terzo, del d.P.R. 737/1981 stabilisce che, con lo stesso atto formale di contestazione degli addebiti, « l’incolpato dev’essere avvertito che, entro il termine di dieci giorni dalla notifica, egli potrà presentare giustificazioni, documenti o chiedere l’audizione di testimoni o indicare le circostanze sulle quali richiedere ulteriori indagini o testimonianze ».

7.2. Ora, diversamente da quanto sostiene l’odierna appellante, la Commissione Provinciale di Disciplina ha accuratamente esaminato e puntualmente confutato la memoria dell’incolpata, sia con riferimento alle eccezioni pregiudiziali (pp. 12-14 della delibera) sia con riferimento al merito della vicenda (pp. 15-15 della delibera), osservando, in modo del tutto corretto, che « in merito alla contestazione degli addebiti disciplinari fatta dal funzionario istruttorie l’inquisito non ha fornito alcuna giustificazione sui sopra citati comportamenti tenuti ed evidenziati dalle indagini effettuate dalla P.G. limitandosi alle sole eccezioni di natura procedurale presentate in sede di memorie difensive consegnate al Funzionario Istruttore ed in sede di riunione di trattazione orale del C.P.D., professandosi innocente e trincerandosi dietro il mancato accertamento giudiziale del proprio comportamento ».

7.3. Di qui, per tali evidenti e documentali ragioni, la infondatezza anche di tale motivo, poiché l’odierna appellante ha potuto esercitare in sede procedimentale tutte le più ampie facoltà partecipative e le più ampie garanzie difensive, che non sono state in alcun modo vulnerate dall’operato dell’Amministrazione, risultato anzi essere particolarmente scrupoloso e approfondito.

8. Infine, con un ultimo e quinto motivo (pp. 29-31 del ricorso), l’appellante lamenta di essere stata un “ capro espiatorio ” (p. 29 del citato ricorso) dell’intera vicenda, senza che fossero accertate le sue effettive responsabilità ed implicazioni in questa, non essendovi stato alcun accertamento di detta responsabilità in sede penale ed essendo stata disposta, nei confronti di altri soggetti pure implicati e per gli stessi fatti, la sola sospensione dal servizio per sei mesi.

8.1. Il motivo è anch’esso infondato.

8.2. Il T.A.R. ha correttamente osservato, sul punto, che l’accertata commissione di un illecito doloso della massima gravità, come quello contestato a -OMISSIS-, lede irrimediabilmente il rapporto di fiducia con l’Amministrazione nonché il prestigio e la credibilità della Polizia di Stato agli occhi della collettività (pp.

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