Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-03-02, n. 201101350
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N. 01350/2011REG.PROV.COLL.
N. 08010/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 8010 del 2010, proposto dal dottor U V, rappresentato e difeso dal prof. avv. F G S, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via G. Paisiello, 55,
contro
il MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
pro tempore,
e la COMMISSIONE ESAMINATRICE DEL CONCORSO BANDITO CON D.D.G. DEL 10 LUGLIO 2006, in persona del Presidente
pro tempore,
rappresentati e difesi
ope legis
dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
nei confronti di
dottor Federico PRINETTI, non costituito,
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Prima, nr. 27757/2010, pubblicata il 22 luglio 2010, resa inter partes e non notificata, con la quale è stato rigettato il ricorso nr. 8393/2009 R.G. promosso dal dottor Umberto Verzoni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni appellate;
Viste le memorie prodotte dall’appellante (in date 10 e 21 dicembre 2010) e dall’Amministrazione (in data 18 dicembre 2010) a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 29 dell’11 gennaio 2011, con la quale è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2011, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Gigli, su delega dell’avv. Scoca, per l’appellante e l’avv. dello Stato Giovanni Palatiello per l’Amministrazione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il dottor Umberto Verzoni ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensiva, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso da lui proposto avverso gli atti relativi alla sua mancata ammissione al concorso a 230 posti di notaio, indetto dal Ministero della Giustizia con decreto dirigenziale del 10 luglio 2006.
A sostegno dell’appello, egli ha dedotto:
1) error in procedendo et in judicando; difetto di adeguata istruttoria processuale;difetto di pronuncia;arbitrarietà;violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del decreto legislativo 24 aprile 2006, nr. 166;violazione dell’art. 3, comma 1, della legge 7 agosto 1990, nr. 241, e ss.mm.;violazione e falsa applicazione degli artt. 11, 12 e 15 del d.P.R. 9 maggio 1994, nr. 487, ed ancora degli artt. 12, comma 4, e 16 del regio decreto 15 ottobre 1925, nr. 1860;violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost.;incongruità, inadeguatezza ed incoerenza della motivazione, nonché mancata corrispondenza della stessa ai criteri di valutazione degli elaborati preliminarmente fissati dalla Commissione;eccesso di potere per violazione dei principi generali in tema di giusto procedimento, di trasparenza, di imparzialità, di par condicio dei candidati;disparità di trattamento;erroneità;violazione dei generalissimi principi in materia di verbalizzazione;eccesso di potere per travisamento dei fatti;sviamento di potere;contraddittorietà, irragionevolezza, illogicità ed ingiustizia manifeste (in relazione all’omesso esame di talune censure di disparità di trattamento ed al mancato approfondimento degli argomenti e documenti con i quali il ricorrente aveva sostenuto l’illegittimità delle valutazioni compiute dalla Commissione sulle sue prove d’esame);
2) error in procedendo et in judicando; contraddittorietà, illogicità e incoerenza;disparità di trattamento e ingiustizia manifesta;erroneità (in relazione alla “prova di resistenza” indebitamente compiuta dal T.A.R. per inferirne la non incidenza sui giudizi espressi nei confronti del ricorrente del parziale mutamento dei criteri di valutazione intervenuto durante la correzione degli scritti);
3) error in judicando; eccesso di potere per carenza di istruttoria, errore di valutazione, contraddittorietà con altre determinazioni e disparità di trattamento (in relazione agli specifici argomenti impiegati per sostenere l’infondatezza delle censure svolte nel ricorso con riguardo agli specifici errori che la Commissione aveva ritenuto di individuare nelle singole prove, e che avevano determinato la non ammissione agli orali).
L’Amministrazione appellata, nel costituirsi, ha controdedotto ai motivi d’appello, concludendo per la reiezione del gravame e per la conferma della sentenza impugnata.
Alla camera di consiglio del 26 ottobre 2010, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.
All’udienza dell’11 gennaio 2011, parte appellante ha rappresentato di avere ancora interesse a un’immediata decisione sull’istanza cautelare prima del deposito della sentenza di merito;pertanto, questa Sezione con apposita ordinanza ha respinto la domanda di sospensiva.
Alla stessa udienza testé indicata, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il dottor Umberto Verzoni ha partecipato al concorso a 230 posti di notaio indetto dal Ministero della Giustizia con decreto dirigenziale del 10 luglio 2006, venendo giudicato non idoneo all’ammissione alle prove orali all’esito della correzione degli scritti.
Il ricorso dallo stesso proposto avverso il predetto giudizio di non idoneità e la mancata ammissione alle prove orali è stato respinto dal T.A.R. del Lazio con la sentenza qui impugnata.
2. Ciò premesso, l’appello si appalesa infondato e va conseguentemente respinto.
3. Conviene principiare dal secondo motivo di appello, con il quale è posta la questione – cui è dedicata molta parte della motivazione della sentenza gravata – dell’incidenza sulla procedura concorsuale per cui è causa del parziale mutamento dei criteri di valutazione intervenuto durante le operazioni di correzione degli scritti da parte della Commissione d’esame.
3.1. Per meglio comprendere la questione così evocata, è necessario premettere che il concorso che qui interessa è stato il primo a svolgersi in applicazione dell’innovativa disciplina introdotta dal decreto legislativo 24 aprile 2006, nr. 166, il quale – tra l’altro – all’art. 7 prevede due distinte modalità con le quali ciascuna delle sottocommissioni incaricate della correzione degli scritti può pervenire a un giudizio di non idoneità: in generale, ciò avviene all’esito della lettura dei tre elaborati relativi alle prove scritte (comma 2), ma il predetto giudizio negativo può essere espresso anche all’esito della lettura del primo o del secondo elaborato (e, quindi, omettendo di completare la lettura delle tre prove), qualora da tale lettura emergano “ nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione ” (comma 7).
Nel caso di specie, la Commissione ha preliminarmente proceduto, ai sensi dell’art. 10 dello stesso decreto, a stabilire sia i criteri generali per la valutazione delle prove scritte sia quelli specifici per l’individuazione delle ipotesi di nullità o di grave insufficienza suscettibili di determinare l’immediata esclusione ai sensi del ricordato comma 7, con determinazioni – peraltro non espressamente contestate dall’istante – che il primo giudice ha ritenuto congrue e ragionevoli.
3.2. La vicenda su cui si incentra la censura sottesa al secondo motivo del presente appello, divenuta pubblica a seguito di un esposto presentato da uno dei componenti la Commissione, concerne l’operazione di “aggiustamento” che la Commissione ha ritenuto di compiere durante le correzioni: in particolare, è accaduto che taluni errori, inizialmente ritenuti di gravità tale da giustificare l’immediato giudizio di non idoneità ai sensi del comma 7 dell’art. 11, a seguito di più approfondita riflessione sono stati giudicati invece non tali da comportare tale rigorosa conseguenza, e pertanto per i concorrenti che in tali errori erano incorsi si è proceduto a completare la lettura dei tre elaborati con espressione del giudizio solo all’esito di tale lettura.
Al riguardo il primo giudice, se per un verso ha sottolineato come il mutamento in itinere dei criteri di valutazione avrebbe correttamente comportato il dovere della Commissione di rinnovare la correzione per quei concorrenti i quali prima di detto mutamento fossero stati esclusi ai sensi del comma 7 dell’art. 11 per taluno degli errori in questione, ha però rilevato che il giudizio di inidoneità espresso nei confronti del ricorrente, essendo stato indotto da errori e lacune concernenti profili diversi da quelli interessati dal predetto mutamento dei criteri, non era in nulla toccato da tale vicenda ed era dunque destinato a restare fermo in ogni caso.
3.3. A fronte di tali statuizioni, parte appellante lamenta lo sconfinamento del giudicante dall’ambito consentito del proprio sindacato (non essendo consentito eseguire la c.d. “prova di resistenza” in caso di mutamento dei criteri di correzione, i quali incidono sulla correzione nella sua globalità), ed inoltre evidenzia che i casi individuati dal T.A.R. di errori interessati dal “ripensamento” della Commissione non ne esaurivano l’ambito, in quanto dagli atti della Commissione stessa emergeva che l’elencazione di detti casi era meramente esemplificativa, e non tassativa.
3.4. Tutto ciò premesso, la Sezione rileva che la doglianza, pur argomentata con ampi e insistiti rilievi, non chiarisce in alcun modo il come e il perché l’odierno appellante sarebbe stato pregiudicato dal più volte richiamato “ripensamento” della Commissione sui criteri di valutazione, ovvero – che è lo stesso – quali sarebbero gli specifici profili di illegittimità individuabili nel giudizio di non idoneità espresso nei suoi confronti per effetto di tale vicenda.
E infatti, è di solare evidenza che legittimato a dolersi dell’operato della Commissione d’esame, e a invocare la rinnovazione della correzione nei sensi precisati dal T.A.R., potrebbe essere il concorrente dichiarato non idoneo ai sensi dell’art. 11, comma 7, d.lgs. nr. 166 del 2006 prima del ricordato “ripensamento” per taluno dei motivi che hanno poi formato oggetto della modifica dei criteri di valutazione;non altrettanto comprensibile è invece il perché identica legittimazione dovrebbe riconoscersi a chi, come l’odierno appellante, abbia conseguito il giudizio di non idoneità ai sensi del precedente comma 2, e quindi all’esito della lettura di tutti e tre gli elaborati.
In tale ultima ipotesi, per vero, resta del tutto indifferente se il giudizio negativo fosse stato determinato, in tutto o in parte, da errori riconducibili alle ipotesi poi formanti oggetto della modifica dei criteri di valutazione: infatti, se anche così fosse il concorrente avrebbe in realtà fruito di un trattamento più favorevole da parte della Commissione e dunque non avrebbe nulla di che dolersi (dal momento che, come detto, per quegli errori era all’epoca prevista l’immediata esclusione ai sensi del comma 7).
A fronte di tali rilievi, resta apodittica e generica l’affermazione di parte appellante secondo cui sarebbe stato necessario comunque procedere a ricorrezione, in quanto la modifica “in corso d’opera” dei parametri di valutazione sarebbe in ogni caso suscettibile di incidere sulla par condicio tra i concorrenti: una affermazione che non è supportata dall’allegazione di alcuno specifico profilo di concreta incidenza di tale sopravvenuta modifica sulle valutazioni espresse in relazione alle prove d’esame dello stesso appellante (al di là delle doglianze di illegittimità formulate per così dire “in via assoluta”, per asserita erroneità o disparità di trattamento, che non risultano influenzate dalla vicenda qui in discorso e su cui si tornerà subito appresso).
È appena il caso di aggiungere che, alla luce della ricordata posizione dell’appellante che rende del tutto irrilevante nella fattispecie la vicenda del “ripensamento” della Commissione, discende anche l’inconferenza dell’ulteriore questione se il giudice amministrativo sia o meno legittimato a operare la c.d. “prova di resistenza” in ordine all’incidenza degli errori interessati dal predetto “ripensamento” su un più ampio e articolato giudizio di non idoneità.
4. Possono adesso essere esaminati congiuntamente il primo e il terzo motivo di appello, con i quali da un lato viene lamentata la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, avendo il giudice di prime cure omesso di pronunciarsi su taluni profili di illegittimità lamentati nel ricorso con l’ausilio di apposita documentazione (per soffermarsi, invece, sulla legittimità dei criteri e parametri di valutazione predisposti dalla Commissione, che non costituivano oggetto di censura), e per altro verso sono analiticamente reiterate le doglianze formulate in primo grado in ordine al contenuto dei giudizi di insufficienza espressi in ordine alle singole prove d’esame del dottor Verzoni.
Detti motivi, in ogni caso, sono anch’essi privi di pregio.
4.1. Innanzi tutto, giova richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale – richiamato anche dal T.A.R. nella sentenza impugnata e dal quale questa Sezione non ravvisa ragione di discostarsi – in ordine ai limiti che incontra il sindacato giurisdizionale in subiecta materia.
In particolare, va ribadito che le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio), e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità , finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez.. IV, 3 dicembre 2010, nr. 8504;id., 29 febbraio 2008, nr. 774;id., 22 gennaio 2007, nr. 179).
Tali situazioni, ad avviso della Sezione, non ricorrono, nel caso che qui occupa, con riguardo ad alcuno degli specifici profili sollevati, pur con ricchezza di argomentazioni, dalla parte odierna appellante.
4.2. In primo luogo, è proprio in applicazione del rigoroso orientamento sopra richiamato che non vi è spazio per una disamina approfondita delle censure con le quali l’appellante, anche corredando i propri assunti col richiamo a fonti dottrinali e giurisprudenziali, tende a contestare la giustezza dei giudizi espressi dalla Commissione in relazione a singoli aspetti delle prove di esame (e cioè, alla correttezza di talune soluzioni giuridiche proposte negli elaborati di esame, che la sottocommissione incaricata della correzione ha ritenuto invece di stigmatizzare come errori o inesattezze).
Al riguardo, va evidenziato che l’opinabilità delle questioni giuridiche sottese ai quesiti, spesso articolati e complessi, che connotano le prove d’esame del concorso notarile impedisce di esaminarle come se si trattasse di quiz rispetto ai quali la Commissione sarebbe chiamata soltanto a verificare l’esattezza o meno delle risposte fornite, laddove invece il giudizio sulle soluzioni offerte dal candidato è spesso condizionato in modo determinante dal percorso logico e dalle argomentazioni che le sostengono, nell’ambito di una più generale valutazione sulla completezza e la logica interna dell’elaborato.
D’altra parte, è lo stesso giudice di prime cure a sottolineare – condivisibilmente – come uno degli aspetti decisivi sul giudizio in ordine alle prove d’esame sia la modalità espositiva di esse, almeno al pari della coerenza e correttezza delle prospettazioni giuridiche offerte (e fatti salvi i soli casi, che nella specie non vengono in rilievo, di macroscopici e grossolani spropositi).
Con ogni evidenza, si tratta di aspetti la cui valutazione rientra nella sfera rimessa alla piena discrezionalità della Commissione e rispetto ai quali non è in alcun modo ammissibile una “sostituzione” dell’organo giurisdizionale, come sembra quasi pretendere la parte odierna appellante.
4.3. Con riguardo poi alle ipotesi di disparità di trattamento fra candidati, è ovvio che valgono gli stessi criteri, essendo il vizio apprezzabile unicamente in presenza di una difformità applicativa del parametro valutativo, a fronte di situazioni realmente identiche, che emerga ictu oculi dalla documentazione concorsuale.
Nulla di tutto ciò è dato cogliere nel caso di specie, laddove l’appellante lamenta un’asserita disparità di trattamento – a quanto è dato comprendere – per il solo fatto che altri concorrenti, i quali hanno proposto specifiche soluzioni analoghe a quelle che nei suoi elaborati sono state censurate in sede di correzione, non hanno riportato un giudizio testualmente identico al suo con riguardo a tale specifico aspetto;e ciò fa considerando l’aspetto in questione in maniera “atomistica”, ossia astraendo da ogni considerazione del giudizio complessivo riportato dai candidati ritenuti coinvolti nella lamentata disparità, e soprattutto senza preoccuparsi di dimostrare l’identità di situazioni a monte.
Quanto sopra emerge in relazione a tutti i casi di prospettata disparità di trattamento, ed è particolarmente evidente in quello del candidato individuato con la busta nr. 1880 (censura di cui è lamentato l’omesso esame da parte del primo giudice), laddove dall’esame dei verbali si evince che tale candidato ha subito addirittura un trattamento peggiore rispetto all’appellante, essendo stato dichiarato non idoneo ex art. 11, comma 7, del d.lgs. nr. 166 del 2006 dopo la lettura del secondo elaborato: di modo che risulta davvero arduo comprendere quale rilevanza possa avere la pretesa difformità valutativa in relazione allo specifico aspetto del legato di alimenti nell’atto mortis causa (su cui si concentra la doglianza di parte istante).
5. In conclusione, l’acclarata inconsistenza di tutte le censure mosse con l’appello in epigrafe induce a una sicura reiezione di esso, apparendo meritevoli di conferma le conclusioni raggiunte dal primo giudice.
6. Alla soccombenza segue la condanna alle spese del presente grado del giudizio di merito, liquidate equitativamente in dispositivo, che vanno a sommarsi alle spese alla cui rifusione l’appellante è stato già condannato in fase cautelare.