Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-06-03, n. 202404927

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2024-06-03, n. 202404927
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404927
Data del deposito : 3 giugno 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2024

N. 04927/2024REG.PROV.COLL.

N. 05832/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5832 del 2022, proposto da
F C, A M B, D L, I D A, L F, F G, C L, D C, Luisa D'Aguanno, R D M, A L, V R, G C, V F, rappresentati e difesi dagli avvocati M G e D T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Formez Pa - Commissione Interministeriale Ripam, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Gabriele Sani, Sara Berardinelli, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 6682 del 2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Formez Pa - Commissione Interministeriale Ripam;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 maggio 2024 il Cons. Elena Quadri;

Preso atto del deposito della richiesta di passaggio in decisione senza la preventiva discussione, ai sensi del Protocollo d’intesa del 10 gennaio 2023, da parte degli avvocati Guzzo, Rizzo e dell’avvocato dello Stato Adamo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Gli odierni appellanti hanno impugnato in primo grado gli atti concernenti la loro mancata ammissione alle prove scritte del concorso pubblico per il conferimento di n. 42 posti per l’accesso ai profili dirigenziali di Dirigente Amministrativo e Dirigente Tecnico, indetto da Roma Capitale, in seguito al giudizio espresso dalla Commissione di concorso all’esito della prova preselettiva del 16 giugno 2021.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha respinto il ricorso con sentenza n. 6682 del 2022, appellata dagli istanti per i seguenti motivi di diritto:

I) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il primo motivo di ricorso mediante il quale era stata dedotta la violazione delle regole dettate dalla legge, dal bando di concorso e dalle istruzioni operative adottate ai sensi dell’art. 5 del medesimo bando di concorso a garanzia dell’anonimato e della segretezza delle prove concorsuali;

II) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha statuito sulla violazione di altre regole procedurali comunque stabilite dall’amministrazione ai fini del rispetto del principio dell’anonimato nello svolgimento della procedura;

III) erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato il secondo motivo di ricorso, mediante il quale gli appellanti avevano dedotto la “Violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 14 del DPR 487/1994;
Violazione dell’art.4 e 5 del bando di concorso;
Violazione delle istruzioni dettate per lo svolgimento della procedura;
Violazione e falsa dell’art. 97 Cost. per violazione dei principi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità della p.a.- Eccesso di potere nelle sue forme sintomatiche di difetto di motivazione, travisamento, illogicità ed arbitrarietà;
Incompetenza della Commissione Esaminatrice”;

IV) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il terzo ed il quarto motivo di ricorso relativo alla irragionevolezza ed illogicità della tipologia di quesiti sottoposti ai candidati nonché alla loro erroneità e/o perplessità e/o ambiguità;

V) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il quinto motivo di ricorso mediante il quale gli appellanti avevano lamentato la violazione e falsa e/o errata applicazione dell’art.13 del d.P.R. n. 487 del 1994;
violazione dell’art. 5 del bando di concorso e delle istruzioni operative del 28 maggio 2021;
violazione e falsa applicazione dell'art. 97 della Costituzione e dei principi generali in tema di svolgimento di concorsi pubblici;

VI) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il sesto motivo di ricorso con il quale era stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 del d.lgs. n. 165 del 2001;
violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.P.R. n. 487 del 1994;
violazione dell’art. 4 del bando;

VII) erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato le censure proposte con i motivi aggiunti, relative alla violazione della regola della pubblicità sancita dall’art. 5 del bando di concorso.

Si sono costituiti per resistere all’appello Roma Capitale e Formez Pa - Commissione Interministeriale Ripam.

Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica del 23 maggio 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Giunge in decisione l’appello degli odierni istanti per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 6682 del 2022, che ha respinto il loro ricorso proposto avverso la mancata ammissione alle prove scritte del concorso pubblico per il conferimento di n. 42 posti per l’accesso ai profili dirigenziali di Dirigente Amministrativo e Dirigente Tecnico, indetto da Roma Capitale, in seguito al giudizio espresso dalla Commissione di concorso all’esito della prova preselettiva del 16 giugno 2021.

Il Formez ha eccepito l’inammissibilità del ricorso di primo grado, perché teso all’ammissione con riserva alla prova scritta, in contrasto con i motivi dedotti, che porterebbero, invece, ad annullare il concorso per svariate ragioni, come ad esempio la violazione del principio dell’anonimato;
inoltre, le censure sollevate, sia con il ricorso di primo grado che nel presente grado di giudizio, come ad esempio quelle relative all’assunta erroneità dei quesiti, non sarebbero uniformemente riferibili a tutti gli appellanti.

L’inammissibilità sotto questo ultimo profilo non era stata sollevata in primo grado, ma è stata rilevata di ufficio dal Tar. Proprio per questo motivo gli appellanti chiedono che la sentenza venga dichiarata nulla per violazione del principio del contraddittorio, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. avendo il Tar Lazio disatteso la regola in tema di integrità del contraddittorio tra le parti su questioni rilevabili d’ufficio. Il Tar Lazio, infatti, avrebbe dichiarato inammissibili le censure formulate dai ricorrenti avverso alcuni dei quesiti sottoposti per mancanza del presupposto positivo consistente nell’identità o omogeneità delle posizioni sostanziali e processuali delle parti di un ricorso collettivo, dal momento che alcuni dei quesiti oggetto di censura erano stati somministrati soltanto ad una parte dei ricorrenti, e gli altri alla restante parte, con la conseguenza che i motivi per cui i quiz sarebbero errati non sarebbero stati comuni a tutti i ricorrenti, diversificandone la posizione.

Il Collegio ritiene di assorbire l’esame delle eccezioni preliminari sollevate, in ragione dell’infondatezza nel merito dell’appello, e anche il motivo di gravame relativo alla assunta violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a., atteso che, in realtà, la sentenza impugnata ha respinto integralmente il ricorso nel merito, come si evince facilmente dall’esame della motivazione e del dispositivo della stessa.

Ed invero, l’appello è infondato nel merito, innanzitutto riguardo alle censure con cui è stata dedotta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato le doglianze relative all’assunta violazione del principio dell’anonimato e alla segretezza degli elaborati concorsuali, nonché del principio di pubblicità delle operazioni successive allo svolgimento della prova preselettiva, censure che costituiscono il punto centrale della controversia.

Deve, innanzitutto, ricordarsi che, come risulta dalla documentazione versata in atti ed in particolare dai verbali delle sedute del concorso, la procedura si è svolta con le seguenti modalità:

al termine della prova preselettiva, il cartoncino con i dati anagrafici, compilato e firmato dal candidato, è stato inserito da quest’ultimo nella busta piccola consegnata all’atto del riconoscimento;
subito dopo, la busta piccola, sigillata, e l’elaborato (foglio risposte) sono stati inseriti in una busta grande, consegnata prima del termine della prova, che è stata a sua volta sigillata dai candidati prima di essere ritirata dal personale di vigilanza;
la commissione esaminatrice ha poi provveduto ad applicare una coppia identica di codici a barre, l’uno apposto sul foglio risposte e l’altro apposto sulla bustina sigillata contenente la scheda anagrafica, il tutto effettuato in presenza di testimoni;
si è successivamente proceduto alla lettura ottica dei fogli risposte e alla compilazione di una graduatoria anonima, recante il solo punteggio corrispondente ad uno specifico codice a barre (in quanto le buste piccole contenenti le schede anagrafiche restavano chiuse in questa fase);
dopodiché la commissione ha provveduto ad abbinare il codice a barre apposto sulla busta al cartoncino anagrafico identificativo del candidato, e, infine, all’accoppiamento dei dati del candidato con i codici rilevati a seguito della lettura ottica degli elaborati.

Tanto premesso, risulta evidente che si è pervenuti alla formazione della graduatoria nominativa senza alcuna possibilità di una visione preventiva del punteggio ottenuto da uno specifico candidato.

Gli appellanti hanno contestato, essenzialmente, che, in contrasto con le istruzioni operative e con la disciplina prevista in tema di operazioni concorsuali, dopo la chiusura da parte dei candidati dell’anagrafica in una bustina e l’inserimento dentro una busta più grande sia del foglio a lettura ottica che della bustina sigillata contenente l’anagrafica, in presenza di testimoni, sono state aperte singolarmente le buste grandi ed è stata apposta dalla commissione, invece che dai candidati, una coppia di codici a barre, uno sul foglio a lettura ottica e un altro sulla parte esterna della bustina contenente l’anagrafica. Inoltre, la commissione avrebbe proceduto all’abbinamento tra il codice a barre ed il nominativo di ciascun candidato quando i testimoni erano andati via.

Tali modalità sono perfettamente in linea con i principi e la disciplina vigenti in tema di svolgimento di concorsi pubblici, oltre che con la giurisprudenza formatasi sull’argomento.

Non è ravvisabile, infatti, alcun indizio della violazione del principio dell’anonimato, né di condotte o comportamenti astrattamente idonei a porre in pericolo il principio di imparzialità nella procedura concorsuale in questione.

L’apposizione dei codici alfanumerici da parte dei candidati non costituisce una regola generale nei concorsi pubblici, ed invero l’art. 14 del d.P.R. n. 487 del 1994 non contempla in alcun modo la numerazione degli elaborati da parte dei candidati, attribuendo, al contrario, solo alla commissione il compito di contrassegnare le buste contenenti le prove in modo da consentirne il successivo abbinamento al candidato.

Neanche il bando di concorso, la sola lex specialis della procedura, prescriveva che i codici a barre dovessero essere apposti dai candidati, limitandosi a stabilire che la consegna degli elaborati dovesse avvenire in forma anonima;
infatti, l’indicazione dell’apposizione dei codici a barre da parte dei candidati era stata inserita dal Formez “ per mero errore materiale ” nelle istruzioni pubblicate il 28 maggio 2021. Del resto, non si può in alcun modo sostenere, come invece sostengono gli appellanti, che l’apposizione dei codici da parte dei candidati costituisse una precisa disposizione dettata a garanzia dell’anonimato degli stessi la cui violazione era idonea a mettere in pericolo la segretezza, essendo semmai vero il contrario, atteso che, contenendo i codici a barre un numero di sei cifre facilmente memorizzabile, l’apposizione diretta degli stessi da parte dei candidati medesimi ed il conseguente rischio di potenziale comunicazione ad un membro della commissione avrebbe messo assai più a repentaglio il principio dell’anonimato, consentendo agli interessati di indicare il proprio elaborato.

Ed invero, è stata ritenuta illegittima la richiesta rivolta ai candidati dalla commissione di apporre autonomamente il codice numerico sul compito, integrando tale modalità procedimentale una forma di svolgimento del concorso che consente l'abbinamento tra il candidato e l'elaborato della prova e pregiudica la tutela dell'anonimato e della imparzialità delle valutazioni (Cons. Stato, V, 11 aprile 2022, n. 2637).

Nella procedura di specie, come prescritto dal bando, la correzione degli elaborati e il successivo abbinamento con i nominativi dei candidati sono avvenuti in seduta pubblica. I tre candidati che si sono trattenuti e che sono stati identificati dalla commissione hanno assistito alle operazioni di correzione degli elaborati mediante lettura ottica e alla formazione dell’elenco anonimo degli idonei. All’esito di dette operazioni gli stessi hanno preferito non trattenersi ad assistere anche all’abbinamento degli elaborati con i cartoncini anagrafici, il che non esclude che le operazioni si siano svolte pubblicamente, come previsto dal bando, e, cioè, in seduta aperta alla partecipazione dei candidati eventualmente interessati ad esercitare un controllo sulla regolarità delle operazioni;
né la commissione avrebbe potuto trattenere i testimoni contro la loro volontà.

In ogni caso, gli appellanti non hanno fornito l’indicazione di elementi concreti dai quali desumere che si sia effettivamente verificata la lesione della par condicio fra i candidati, dovendo, dunque, ricevere, nella specie, piena applicazione il principio di conservazione degli atti di cui all’art. 21 -octies , comma 2, della legge n. 241 del 1990.

Costituisce orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa in tema di pubblici concorsi quello in base al quale il criterio dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso - nonché in generale in tutte le pubbliche selezioni - costituisce il diretto portato del principio costituzionale di uguaglianza nonché specialmente di quelli del buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione, la quale deve operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni e dunque garantendo la par condicio tra i candidati;
tale principio non può però essere inteso in maniera troppo rigorosa, che prescinda anche dalla valutazione quantomeno di un principio di prova da parte dei candidati interessati, in quanto diversamente ragionando si finirebbe per frustrare proprio la stessa ragion d’essere delle prove preselettive e delle correzioni automatizzate, ossia quella di evitare lungaggini nelle procedure concorsuale.

Questo Consiglio, in Adunanza Plenaria, nell’applicare i suddetti principi alla fattispecie caratterizzata dalla prova mediante quiz e dalla correzione automatizzata, ha individuato un criterio applicativo, ritenendo necessario, affinché possa determinarsi una illegittimità di per sé rilevante e insanabile, uno scostamento “ in modo percepibile dall’osservanza di tali vincolanti regole comportamentali ” da parte dell’Amministrazione;
è opportuno soffermarsi sulla nuova valenza che il principio dell’anonimato, con il peso dei valori costituzionali a garanzia dei quali è posto, può e deve assumere nelle tipologie di selezioni mediante quiz a risposta a scelta multipla, con punteggi predeterminati, e correzione immediata tramite sistemi automatizzati. Si tratta, infatti, di una tipologia di selezione che esclude ogni margine di discrezionalità valutativa ed è, quindi, radicalmente diversa dalla valutazione di stampo comparativo degli elaborati originali effettuata dalla commissione di concorso ” … “ diventa irrilevante in sé l’identificazione del candidato, che anzi può facilitare le procedure informatizzate, ma il principio dell’anonimato, con i valori che garantisce, non perde di valore e consistenza;
piuttosto, subisce una deviazione del proprio oggetto. Le regole di condotta prudenziali si spostano dagli adempimenti materiali che commissari, operatori e concorrenti sono tenuti ad adottare per evitare l’identificazione dei candidati, alle procedure informatizzate che garantiscano il massimo di sicurezza dell’automazione nella individuazione dei quesiti e nella correzione degli stessi, nonché alle procedure seguite dagli operatori nel momento in cui il foglio risposta sia stato compilato
”;
ne consegue che “ ai fini della illegittimità rilevante occorre comunque una allegazione di specifici elementi di fatto in ordine alle condotte degli operatori nelle fasi di gestione del cartaceo o alle procedure automatizzate, da cui possa inferirsi la compromissione dell’automatismo tecnico ” (cfr. Cons. Stato, IV, 21 ottobre 2019, n. 7152;
Cons. Stato, Ad. Plen., 20 novembre 2013, nn. 26, 27 e 28).

Riguardo alle censure sollevate in ordine alla composizione dei quiz proposti, ritenendo gli appellanti illegittima la scelta operata dall’amministrazione di predisporre un numero prevalente di test attitudinali rispetto a quelli scientifici, è stato osservato dalla giurisprudenza amministrativa che, nell’ambito delle proprie valutazioni discrezionali, l’amministrazione può individuare le domande da sottoporre ai candidati delle procedure concorsuali, ai fini della verifica del grado di professionalità e del livello culturale necessari per conseguire una valutazione positiva da parte della commissione esaminatrice e tali scelte possono essere sindacate dal giudice amministrativo nei soli limiti esterni di manifesta illogicità e irragionevolezza o dell’inosservanza del limite oggettivo del programma e delle materie previste per lo specifico concorso, vizi che non sussistono nella fattispecie all’esame del collegio. In ogni caso, trattandosi di prove preselettive e inerenti a profili dirigenziali, appare condivisibile che l’amministrazione abbia privilegiato quelli attitudinali rispetto a quelli meramente scientifici, in considerazione delle funzioni dirigenziali e gestionali che dovranno svolgere i vincitori del concorso.

Con riferimento alle doglianze concernenti l’assunta erroneità di specifici quesiti, si condividono le statuizioni della sentenza, per le quali: “ I quesiti specificamente contestati da parte ricorrente sono, infatti, appena 7 (su due prove n.d.r.). Se si compara tale dato con il numero complessivo di quiz somministrati nella prova preselettiva oggetto di controversia (60) (per ciascuna delle due prove n.d.r.) appare evidente che la tutela demolitoria richiesta dai ricorrenti trascende ictu oculi i limiti imposti dai principi di proporzionalità e conservazione dei valori giuridici. Ugualmente priva di pregio è la doglianza con cui si censura la scelta dell’Amministrazione di consegnare al candidato (a fronte di un quiz di 60 domande) un foglio risposte con 100 risposte. Risulta del tutto evidente, infatti, anche in base all’esame del documento in questione, che il candidato – una volta avuta visione delle 60 domande – avrebbe dovuto semplicemente barrare le prime 60 risposte. Non emerge, quindi, alcuna manifesta azione sviante o ingannevole posta in essere dall’Amministrazione ai danni dei candidati ”.

Riguardo alla assunta violazione delle regole per la composizione della commissione relativa alla prova preselettiva, deve, innanzitutto, evidenziarsi che, essendo la prova corretta con sistemi automatizzati, non può assumere alcun rilievo la competenza dei singoli membri della commissione. In ogni caso, per giurisprudenza costante e ai sensi degli artt. 35, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 e 4, comma 3, del d.P.R. n. 272 del 2004, il requisito della competenza dei membri della commissione di esame “ va verificato con riferimento alla Commissione nel suo complesso, e non a ciascuna specifica materia oggetto del concorso: infatti, intuitive esigenze di speditezza e semplificazione dell’azione amministrativa postulano che il requisito di “esperto” proprio di ciascun commissario sia valutato con una certa ragionevolezza, ad evitare che una interpretazione troppo rigorosa della qualifica di esperto in ciascuna delle materie d’esame (per titoli di studio, riconoscimenti scientifici, esperienza professionale etc.) comporti un intollerabile aggravamento del procedimento selettivo già nella fase della formazione dell’organo tecnico chiamato a operare le valutazioni sui titoli e le prove d’esame dei candidati ” (cfr. Cons. Stato, Sezione IV, n. 5137 del 2015).

Nel caso di specie, comunque, la commissione d’esame, oltre che composta dal Prof. C G, contempla anche la dott.ssa G A e il dott. M R (rispettivamente Direttore Generale di Roma Capitale e Dirigente del Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri), essendo, dunque, munita nel suo insieme di spiccate competenze legali nelle materie giuridiche oggetto di concorso.

Riguardo alle altre censure, con riferimento alla contestata assenza di controlli per l’introduzione di dispositivi elettronici, la censura è prima di tutto inammissibile, perché generica, non individuando gli specifici inadempimenti dell’amministrazione, e in ogni caso infondata, non essendo provato in alcun modo che tali dispositivi siano stati introdotti e ancor meno che abbiano danneggiato alcuno dei candidati appellanti;
non vi è alcun principio di prova, dunque, che le lamentate irregolarità abbiano effettivamente influito sullo svolgimento della prova e, soprattutto, sui risultati della procedura, perché non ogni irregolarità è, in sé, indice di sicura illegittimità del concorso e causa di annullamento dei risultati di quest’ultimo (cfr. Cons. Stato, III, 21 marzo 2022, n. 1999).

Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va respinto e, per l’effetto, a conferma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della presente vertenza, per disporre l’integrale compensazione fra le parti delle spese di giudizio.

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