Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-06-12, n. 201203413
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Testo completo
N. 03413/2012REG.PROV.COLL.
N. 10348/2008 REG.RIC.
N. 10346/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10348 del 2008, proposto da:
Casa di Cura Privata Dott. G. Spatocco S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. N P, G T, A L, con domicilio eletto presso N P in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
Comune di Chieti in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. M M, Patrizia Tracanna, con domicilio eletto presso Costantino Greco in Roma, via Baldo degli Ubaldi, 71;
sul ricorso numero di registro generale 10346 del 2008, proposto da:
Casa di Cura Privata Dott. G. Spatocco S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. N P, G T, A L, con domicilio eletto presso N P in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
contro
Teateservizi S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. M M, Patrizia Tracanna, con domicilio eletto presso Costantino Greco in Roma, via Baldo degli Ubaldi, 71;
per la riforma
quanto al ricorso n. 10346 del 2008:
della sentenza del T.a.r. Abruzzo - Sez. Staccata di Pescara n. 00923/2008, resa tra le parti, concernente la debenza degli oneri di costruzione per la realizzazione di una Casa di cura.
Quanto al ricorso n. 10348 del 2008:
della sentenza del T.a.r. Abruzzo - Sez. Staccata di Pescara n. 00921/2008, resa tra le parti, concernente il recupero degli oneri di costruzione per la realizzazione di una Casa di cura.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2012 il Cons. G V e uditi per le parti gli avvocati N P e Patrizia Tracanna, N P e Patrizia Tracanna;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con DM 21/12/1994, il Ministero Lavori Pubblici approvava un bando relativo a programmi di riqualificazione urbana, indirizzato ai Comuni. Individuati gli ambiti di possibile intervento e le procedure da seguire, il Comune di Chieti indiceva procedura concorsuale per la selezione delle proposte di intervento e, in esito alla stessa, con deliberazione n. 122 del 30/12/1995 approvava il “programma di riqualificazione urbana” ricomprendente, per quanto qui rileva, anche la “realizzazione di una nuova sede della Casa di cura, in località Colle Marcone di Chieti, e la riconversione dell’attuale sede in viale Amendola di Chieti”, in accoglimento della proposta presentata dalla Casa di Cura Privata dott. G. Spatocco S.r.l (odierna appellante).
Con atto d’obbligo del 29/17/1997 quest’ultima si impegnava a realizzare tutte le opere di urbanizzazione, primaria e secondaria, ed a cederle gratuitamente, unitamente alle aree su cui esse insistevano, “a scomputo degli oneri concessori, di cui all’art. 3 legge n.10/77, come previsto dalla lett. B) dell’art. 8 all. A al DM 21/12/1994 e salvo conguaglio finale a favore dell’Amministrazione”.
Intervenuta la sottoscrizione dell’accordo di programma con il Ministero Lavori Pubblici, il Comune di Chieti provvedeva al rilascio, in favore della Casa di Cura Privata dott. G. Spatocco S.r.l., delle concessioni edilizie n. 18351/2416 e 13462/1691. Entrambi i provvedimenti rinviavano, per la quantificazione degli oneri concessori, all’atto d’obbligo ed alla convenzione da stipulare.
La quantificazione avveniva a mezzo della successiva ordinanza n. 416 del 24/12/2008, con la quale il Comune di Chieti richiedeva alla Casa di Cura Privata dott. G. Spatocco S.r.l. il pagamento di €. 207.000, oltre interessi, a titolo di “costo di costruzione” e salvo conguaglio.
In data 25 febbraio 2008, la società Teateservizi s.r.l., concessionaria per la riscossione tributi, notificava ingiunzione di pagamento.
Entrambi i provvedimenti erano impugnati dinanzi al TAR Abruzzo – sez. Pescara, che decideva con le sentenze in epigrafe indicate. Avverso le stesse è ora proposto appello.
DIRITTO
La vicenda contenziosa si innesta nel programma di riqualificazione urbana adottato dal Comune di Chieti, ed investe, quanto ai profili di diritto, la possibilità di scomputo della quota di contribuzione legata al costo di costruzione (oltre che di quelle relativa agli oneri di urbanizzazione) in favore del titolare del permesso di costruire che proceda direttamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, avuto riguardo al quadro normativo primario e, nel caso di specie, agli atti autoritativi e convenzionali intervenuti nella sequenza procedimentale che ha condotto al rilascio dei titoli abilitativi.
La prima pronuncia gravata ha ad oggetto la legittimità della determinazione con la quale sono calcolati gli oneri concessori;la seconda, la conseguente ingiunzione fiscale che, sulla base di quel titolo, ha dato esecuzione alla pretesa.
Il giudice di prime cure ha in proposito affermato che mentre gli “oneri d’urbanizzazione” attengono ad opere da fare, con un impegno diretto di materiale e lavoro aggiuntivo, il “costo di costruzione” è nozione distinta che ha a parametro la nuova costruzione in ragione della ricchezza che essa realizza in capo al beneficiario. Sul piano negoziale ha contestualmente rilevato, con specifico riferimento al caso deciso, che l’atto d’obbligo stabilisce la realizzazione diretta delle sole opere di urbanizzazione, primaria e secondaria, con l’aggiunta di opere viarie e ciò in linea con la delibera n. 122/1995 che espressamente aveva previsto lo scomputo dei soli oneri di urbanizzazione “fermo restando la corresponsione della quota di contributo dovuta a titolo di costo di costruzione”. Quanto alla censura avente ad oggetto l’incompetenza del Collegio di Vigilanza, che ha espresso parere nel senso della non computabilità del costo di costruzione, il giudice di prime cure ha osservato come il citato organismo sia competente sulla corretta e tempestiva attuazione dell’accordo di programma e che, comunque, trattasi di parere previsto in sede di concessione edilizia, richiesto dall’assessore, che l’Amministrazione ha fatto proprio con presa d’atto nel provvedimento decisorio (cfr. sentenza n. 921/08).
In ordine all’ingiunzione fiscale finalizzata al recupero delle somme e parimenti impugnata con autonomo ricorso, il giudice di prime cure, respinte le censure di illegittimità derivata, ha sostenuto l’utilizzabilità dell’ingiunzione in luogo dell’ordinaria iscrizione a ruolo, l’irrilevanza dei vizi formali denunciati dal ricorrente (indicazione, nella premessa dell’ingiunzione, della definitività ed incontestabilità dell’atto presupposto, invece all’epoca insussistente) ed infine, la debenza degli interessi ad un tasso superiore a quello legale, nonché delle spese di riscossione (cfr. sentenza n. 923/08).
Trattandosi della medesima vicenda, gli appelli possono essere riuniti e congiuntamente trattati.
A. In ordine al gravame avente ad oggetto la sentenza 921/08:
Secondo l’appellate la prima sentenza sarebbe erronea perché: 1) il giudice di prime cure non avrebbe adeguatamente valutato il tenore e la ratio dell’art. 8 dell’allegato al DM 21 dicembre 1994. Il riferimento allo scomputo degli oneri concessori, ivi contemplato, ricomprenderebbe indistintamente sia la componente relativa agli oneri di urbanizzazione sia quella relativa al costo di costruzione. In tal senso deporrebbe il generico ed omnicomprensivo rinvio dell’art. 8 lett. b) cit., all’intero art. 3 della legge 10/77 (ora art. 16, comma 3, dPR 380/2001), sia la comunanza di ratio che si rinverrebbe in precedenti legislativi (comma 1 e 2, art.7 l. 10/77) che avrebbero così espressamente disposto per i casi caratterizzati dal concorso di un interesse pubblico e privato all’intervento unitariamente inteso, pure sussistente nel caso di specie; l’iniziale deliberazione comunale posta a base del procedimento risulterebbe inoltre superata dall’accordo di programma e dall’atto d’obbligo, richiamato dalle concessioni edilizie rilasciate; in ogni caso l’erroneità della sentenza deriverebbe dal non aver - il giudice di prime cure - considerato che a mezzo dell’atto d’obbligo, ed in assenza di sottoscrizione della convenzione, la Casa di Cura Privata dott. G. Spatocco S.r.l si era obbligata ad eseguire opere, nonché a cedere aree, ulteriori rispetto a quelle corrispondenti al solo scomputo degli oneri di urbanizzazione, con conseguente configurabilità di una datio in solutum, non vietata dalla normativa vigente anche ove si accedesse ad una lettura restrittiva della stessa;
2) Sarebbe erroneo anche il capo della sentenza relativo alla competenza del Collegio di vigilanza che ha espresso parere sulla questione della scomputabilità, atteso che, il parere espresso non potrebbe sussumersi nell’ambito dell’ “attuazione dell’accordo di programma” (perimetro fissato dall’art. 34 comma 7 del TUEL);ciò renderebbe la motivazione per relationem priva di validità. L’appellante ripropone, infine, le censure in ordine alla corretta quantificazione delle somme dovute a titolo di contributo di ricostruzione, anche alla luce delle ulteriori obbligazioni assunte in forza dell’atto di obbligo.
L’appello non è fondato.
L’art. 11 della legge n.10/77 è sufficientemente chiaro nel prevedere che la diretta realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte del titolare della concessione edilizia è modalità alternativa al pagamento dei soli “oneri di urbanizzazione” - quota parte dei complessivi oneri concessori - ciò a motivo del collegamento dei primi con i costi ingenerati in capo all’amministrazione dall’iniziativa edificatoria. Non può darsi rilievo esegetico, nel senso invocato dall’appellante, alle norme in materia di edilizia convenzionata di cui all’art. 7 della medesima fonte - nella parte in cui consentono, al fine di agevolare l’accesso alla casa, l’esenzione dal contributo collegato al costo di costruzione, a fronte dell’impegno a praticare, ai futuri acquirenti o locatari delle costruende unità abitative, prezzi e canoni convenzionati - poiché esse individuano un caso di esenzione dall’obbligazione tributaria (tale dovendo considerarsi quella parametrata al costo di costruzione) secondo un criterio di specialità che le rende evidentemente insuscettibili di interpretazione analogica.
La tesi è del resto confermata, con riferimento alla sequenza procedimentale oggetto di causa, dall’espresso contenuto della deliberazione consiliare 122/95, che è estremamente chiara nell’escludere dal regime di “scomputabilità” la quota di contributo rapportata al costo di costruzione, pretendendone la corresponsione.
In verità, l’appellante, in ispecie nelle memorie conclusive, insiste più che sulla non esentabilità del tributo, sulla residua ed impregiudicata configurabilità di un accordo a mezzo del quale, a seguito del sorgere del tributo, le parti pattuiscano una corresponsione in opere piuttosto che in danaro, secondo lo schema della datio in solutum.
Tuttavia, anche a voler considerare ammissibile un accordo di tal fatta, di esso non v’è traccia nell’atto di obbligo e negli altri atti esaminati, né può ipotizzarsene un’implicita sussistenza con riferimento all’asserita ultroneità delle opere e delle cessioni rispetto a quelle sufficienti per compensare i soli oneri di urbanizzazione: tanto, potrebbe essere piuttosto il frutto di una scelta finalizzata a supportare la convenienza economica della proposta effettuata nell’ambito della procedura concorsuale, o comunque di un errore nell’individuazione e nella stima dello opere e cessioni assunte a scomputo. Manca cioè un’inequivoca pattuizione avente ad oggetto la relazione sinallagmatica tra il sacrificio economico accettato dal titolare del permesso di costruire e l’obbligazione tributaria connessa alla costruzione assentita.
Nemmeno può essere condiviso il motivo d’appello avente ad oggetto i profili di incompetenza dell’organismo di vigilanza sull’attuazione dell’accordo. Come correttamente osservato dal primo giudice, il parere ha avuto influenza nella decisione finale in ragione della bontà dei contenuti e della ricostruzione giuridica che ha fornito, poi fatti propri dal provvedimento, dotato di autonoma efficacia lesiva;non appare pertanto corretto discorrere di un profilo viziante, trattandosi piuttosto di un mero contributo procedimentale alla formazione della volontà del competente organo preposto alla conclusione del procedimento;né a ben vedere, può ragionevolmente escludersi che le questioni trattate rientrino nell’oggettivamente ampio tema dell’ “attuazione dell’accordo di programma”.
B. In ordine all’appello della sentenza 923/08:
L’appello avverso la seconda sentenza avente ad oggetto l’ingiunzione fiscale finalizzata alla riscossione delle somme è solo in parte fondato.
Ovviamente, i motivi incentrati sui vizi derivati non possono trovare accoglimento in ragione di quanto sopra.
Quanto alle ulteriori censure si osserva:
- Lo stesso appellante correttamente riconosce la possibilità dell’amministrazione di emanare l’ingiunzione anche in costanza di giudizio sull’atto presupposto, e tuttavia sostiene che l’amministrazione avrebbe azionato la leva coattiva sul dichiarato ma falso presupposto che la ragione di credito fosse ormai definitiva perché non tempestivamente contestata.
L’assunto non può essere condiviso. Ammesso che un siffatto errore fosse stato effettivamente compiuto dall’amministrazione, è evidente che si tratterebbe di un errore irrilevante ai fini del giudizio di validità dell’atto, circostanza adeguatamente messa in luce dal giudice di prime cure.
- L’ordinanza che ha determinato il credito ha espressamente preannunciato l’iscrizione a ruolo per il caso di mancato pagamento;da ciò deriverebbe, secondo l’appellante, l’illegittimità dell’utilizzo postumo dell’ingiunzione fiscale in luogo dell’iscrizione a ruolo. Avrebbe errato il giudice di prime cure, in proposito, nel soffermarsi sull’astratta fungibilità delle due procedure, quando invece il vizio era proprio da rinvenire nella discrasia tra il tenore del primo atto e la natura del secondo.
Il motivo è privo di pregio. Anche in questo caso trattasi di circostanza irrilevante, avuto riguardo all’impregiudicato potere dell’amministrazione di avvalersi dello strumento ritenuto più efficace al momento della sua deliberazione, escluso che possano acquisire efficacia vincolanti dichiarazione pregresse tra l’altro afferenti non all’an della pretesa ma alle modalità della riscossione.
- Circa la mancata indicazione dei criteri di calcolo degli interessi ultralegali, è pacifico che gli stessi siano stati documentati nel corso del giudizio di primo grado, e ciò è sufficiente a sostanziare la motivazione non analiticamente espressa nel corpo dell’atto, dovendosi respingere ricostruzioni meramente formali dell’obbligo di motivazione.
- Da ultimo, deve essere affrontata la questione dell’aggio con riferimento all’ingiunzione fiscale emanata dalla Teateservizi s.r.l., società interamente partecipata dal Comune di Chieti.
L’art. 36 comma 2 del D.L. 248/2007, norma applicabile ratione temporis, stabiliva in proposito che “la riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali” potesse continuare ad effettuarsi con:
“a) la procedura dell'ingiunzione di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili, nel caso in cui la riscossione coattiva e' svolta in proprio dall'ente locale o e' affidata ai soggetti di cui all'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446;
b) la procedura del ruolo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, se la riscossione coattiva e' affidata agli agenti della riscossione di cui all'articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.”
A sua volta, l’art. 52 del Decreto legislativo 15/12/1997, n. 446, nel demandare al potere regolamentare generale delle Provincie e dei Comuni, per quanto attiene all'accertamento e alla riscossione dei tributi e delle altre entrate, affermava la possibilità per gli enti locali citati di affidare a terzi (ivi comprese società in house o miste iscritte all’Albo dei soggetti abilitati o i cui soci privati fossero iscritti a tale Albo), anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione dei tributi e di tutte le entrate.
In tal caso - affermava ed afferma, il comma 5 della norma citata – l’affidamento a terzi “non deve comportare oneri aggiuntivi per il contribuente”.
Dunque, riepilogando, il Comune può avvalersi sia dei Concessionari del Servizio nazionale di riscossione, sia di terzi (ed in particolari di società in house). Solo nel caso in cui scelga di avvalersi di terzi (ed ovviamente anche nel caso curi direttamente la riscossione) può adottare il procedimento di ingiunzione fiscale.
Invero, di recente, il legislatore è intervenuto a modificare sensibilmente la norma a mezzo dall'articolo 7, comma 2 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni, in legge 12 luglio 2011, n. 106, a mente del quale “a decorrere dal 31 dicembre 2012, in deroga alle vigenti disposizioni, la societa' Equitalia Spa, nonchè le società per azioni dalla stessa partecipate ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, e la società Riscossione Sicilia Spa cessano di effettuare le attivita' di accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle societa' da essi partecipate (cfr. gg-ter);a decorrere dalla data di cui alla lettera gg-ter), i comuni effettuano la riscossione coattiva delle proprie entrate, anche tributarie: 1) sulla base dell'ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, che costituisce titolo esecutivo, nonche' secondo le disposizioni del titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili, comunque nel rispetto dei limiti di importo e delle condizioni stabilite per gli agenti della riscossione in caso di iscrizione ipotecaria e di espropriazione forzata immobiliare” (cfr. gg – quater).
Una netta scelta di campo in favore dell’ingiunzione fiscale. Trattasi di speciale strumento, previsto dagli art. 1 e 2 del R.D. 14 aprile 1910, n. 639 al fine di consentire una celere riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici, che cumula le caratteristiche e gli effetti del decreto ingiuntivo e del precetto, secondo un schema derogatorio dell’ordinario procedimento di riscossione che necessità invece della previa iscrizione a ruolo e della notifica della cartella di pagamento (si vedano tuttavia le rilevanti modifiche al sistema della riscossione introdotte dall’art. 29 del DL 31.5.2010 n. 78 convertito nella L. 30.7.2010 n. 122 , in punto di esecutività dell’avviso di accertamento, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, e conseguente eliminazione della cartella di pagamento).
Ma, tornando al nodo contenzioso, e segnatamente alla disciplina dell’aggio nell’ipotesi di adozione dell’ingiunzione fiscale, deve osservarsi che nulla è espressamente disposto dal legislatore in proposito, salva la prescrizione, innanzi citata, riferita all’affidamento a terzi anche del potere di emettere ingiunzione fiscale, del divieto “di oneri aggiuntivi” per il contribuente (Cfr. comma 5 lett c dell’art 52, Decreto legislativo 15/12/1997, n. 446).
Secondo il giudice di prime cure, detta prescrizione dovrebbe leggersi in relazione alla facoltà degli enti locali di procedere in via alternativa ai due procedimenti di riscossione, sicchè il procedimento per ingiunzione non dovrebbe comportare maggiori oneri rispetto al concorrente procedimento di iscrizione a ruolo. Ne deriverebbe che, poiché ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. 112/99 “l'attività degli agenti della riscossione è remunerata con un aggio, pari al nove per cento delle somme iscritte a ruolo riscosse e dei relativi interessi di mora, che è a carico del debitore…”, analogo remunerazione può esser legittimamente prevista, sempre a carico del contribuente, anche ove la procedura sia quella dell’ingiunzione fiscale.
Secondo l’appellante, invece, la remunerazione del servizio di riscossione, a carico del contribuente, sarebbe da riferire esclusivamente alla riscossione tramite ruolo ed all’attività dei concessionari e non alla diversa e speciale ipotesi dell’ingiunzione fiscale, salve diverse ed espresse previsioni, nella specie insussistenti. Una diversa conclusione si porrebbe – a suo dire – in violazione della riserva di legge in tema di imposizione tributaria.
Il motivo è fondato.
Com’anzidetto, l’ingiunzione fiscale costituisce procedimento speciale - adottabile dagli Enti locali solo per il caso in cui procedano direttamente all’accertamento e alla riscossione, o ne dispongano l’affidamento, anche disgiunto, a soggetti terzi - che non prevede l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento quali passaggi necessari ai fini dell’esecutività della pretesa (l’ingiunzione fiscale costituisce essa stessa titolo esecutivo). Essa non rientra pertanto nella previsioni legislative disciplinanti l’aggio del concessionario del servizio di riscossione, le quali espressamente fanno riferimento alla sola iscrizione a ruolo.
Nemmeno la norma che inibisce maggiori oneri per il contribuenti in caso di affidamento a terzi del servizio, può fornire argomentazioni sufficienti a sostenere l’equiparazione dei due strumenti di riscossione: appare ragionevole, infatti, attribuire il riferimento al “divieto di aggravio economico” non già alla concorrente procedura di riscossione mediante ruoli ed ai suoi costi, ma alla procedura di ingiunzione fiscale gestita direttamente dall’amministrazione. Il legislatore ha voluto cioè chiarire che l’affidare il servizio a terzi, ovvero a propria società in house, non deve determinare un aumento degli oneri per il debitore rispetto a quanto deriverebbe dalla diretta gestione delle procedura da parte degli uffici comunali.
Del resto, un’applicazione analogica della disciplina relativa alle conseguenze economiche dell’iscrizione a ruolo, al procedimento di ingiunzione fiscale, non appare neanche percorribile alla luce dei principi generali che ne vietano la praticabilità nei confronti delle norme speciali. Non v’è dubbio che il procedimento d’ingiunzione diverga sensibilmente da quello di iscrizione a ruolo ponendosi in una condizione derogatoria di specialità, così com’è pacifico che il legislatore sia intervenuto con norme specifiche ogni qual volta abbia ritenuto necessario chiarire profili oggettivi e soggettivi del peculiare procedimento.
L’appello, per questa parte, deve quindi essere accolto, con conseguente annullamento dell’atto nella parte in cui è chiesto il pagamento di €. 19.966,87 a titolo di spese di riscossione.
Avuto riguardo all’esito dei giudizi le spese possono essere compensate.