Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-02-26, n. 201901332

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-02-26, n. 201901332
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201901332
Data del deposito : 26 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/02/2019

N. 01332/2019REG.PROV.COLL.

N. 02703/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2703 del 2017, proposto dal Signor F C, rappresentato e difeso dagli avvocati E B, L G T, con domicilio eletto presso lo studio L G T in Roma, via Civitavecchia, 7;



contro

Società Autostrade Centro Padane s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dagli avvocati C G, M S, con domicilio eletto presso lo studio C G in Roma, corso Italia 45;
società Anas s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro pro tempore entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;



per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la LOMBARDIA - SEZIONE STACCATA DI BRESCIA - SEZ. II n. 1778/2016, resa tra le parti, concernente risarcimento danni da occupazione illecita di suoli;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio e gli appelli incidentali proposti dalla società Autostrade Centro Padane s.p.a. dalla società Anas s.p.a e del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2018 il Consigliere O F e uditi per le parti gli avvocati Grisostomi, Guccione e l’avvocato dello stato Pisano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO

1.1.Con l’appello in esame il signor Carlo F impugna la sentenza 28 dicembre 2016, con la quale il TAR per la Lombardia, sez. II della Sezione staccata di Brescia, in accoglimento del ricorso da lui proposto, ha condannato le amministrazioni evocate in giudizio alla liquidazione del risarcimento del danno patito a seguito dell’occupazione di terreni di sua proprietà.

A quest’ultima non ha fatto seguito, nei termini, la conclusione del procedimento espropriativo, che era stato avviato per la realizzazione del nuovo raccordo autostradale tra il casello di Ospitaletto (A4), il nuovo casello di Poncarale (A21) e l’aeroporto di Montichiari (BS), affidata ad Autostrade Centro Padane s.p.a.

A tali fini, un’area di proprietà dell’attuale appellante, avente destinazione agricola ed ubicata nel Comune di Castenedolo, è stata occupata e trasformata in autostrada, già aperta al traffico, previa asportazione e consumazione di un grande giacimento (circa 240.000 tonnellate) di ghiaia sottostante.

Più precisamente, le superfici soggette ad occupazione di urgenza si estendevano per 2.403 + 19.497 mq., ma in seguito ai frazionamenti compiuti da Centropadane le aree complessivamente occupate e trasformate sono pari a 23.950 mq, su una superficie totale del fondo di 65.599 mq.

Inoltre – secondo il ricorrente – il fondo sarebbe stato “spezzato” in tre parti, due a destinazione agricola, poste a nord ed a sud dell’opera, e la terza trasformata in arteria autostradale.

1.2. La sentenza impugnata – affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ritenuto che nel caso di specie “si sia realizzata la rinuncia abdicativa” (richiamando espressamente, a tali fini, la sentenza n. 4636/2016 di questa Sezione) – afferma in particolare:

-“tutti i soggetti intimati (Centropadane, ANAS, Ministero delle Infrastrutture), sono responsabili in solido per il risarcimento del danno cagionato”;

- “ la cognizione sulla domanda azionata (di tipo risarcitorio), basata sul dichiarato (dal ricorrente) e non contrastato (dalle parti resistenti) perdurare di un’occupazione di un’area oltre il termine di validità di cui al provvedimento che ha legittimato la medesima e in assenza del perfezionamento di un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, debbono ritenersi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in quanto collegate all’esercizio di potestà di natura pubblicistica”;

- può rappresentare “un equo ristoro per il proprietario, il riconoscimento di un valore venale del terreno che tenga conto del valore del materiale asportato, con la conseguenza che, sia nel caso di riduzione in pristino stato, sia nel caso di acquisizione del terreno, l’indennizzo dovuto dovrà essere commisurato a tale valore”; in definitiva vi è “necessità di riconoscere al materiale estratto un valore pari a quello di mercato”;

- “sulle fasce di terreno (seminativo irriguo) immediatamente adiacenti di 3008 mq. . . . non spetta alcun risarcimento, trattandosi di aree contigue ordinariamente utilizzate a servizio di un’attività economica di cava; il ristoro corrispondente al controvalore del materiale inerte appare ampiamente congruo e compensa anche la predetta ulteriore occupazione”;

- quanto al deprezzamento delle porzioni non trasformate, prodotto dalla separazione dei terreni residui e dalla realizzazione di una “scarpata a filo”, che non consentirebbe di beneficiare dell’irrigazione per scorrimento, sussiste il diritto al risarcimento del danno e, per la liquidazione del medesimo, “l’autorità procedente dovrà prendere in considerazione la perizia di stima del ricorrente”;

- “ non spetta, in difetto di prova specifica, alcuna liquidazione del danno non patrimoniale, che l’art. 42-bis DPR n. 327/2001 prevede solo per il caso di acquisizione del bene con decreto della pubblica amministrazione e non già in presenza di un negozio abdicativo del privato ”.

In definitiva, secondo la sentenza impugnata, nella quantificazione dell’indennizzo dovuto ex art. 42-bis DPR n. 327/2001 occorrerà:

- “riconoscere il valore di mercato del terreno occupato, tenendo conto che lo stesso dovrà essere commisurato al valore del materiale scavato dalla proprietà del ricorrente, riferito all’anno 2012 e moltiplicato per la quantità di materiale effettivamente estratta”;

- “escludere il riconoscimento dell’autonomo indennizzo per l’occupazione del terreno, in quanto già ricompreso nel valore venale come sopra determinato”;

- “escludere il danno non patrimoniale”;

- “riconoscere il danno conseguente alla divisione del compendio e all’impossibilità di procedere alla sua irrigazione”;

- riconoscere interessi legali e rivalutazione dal 11 novembre 2012 (giorno successivo alla scadenza della dichiarazione di pubblica utilità) sino alla data di liquidazione dell’importo come sopra determinato;

- detrarre dalla somma come innanzi determinata le somme corrisposte a titolo di anticipo nel corso del procedimento espropriativo”.

1.3. Avverso tale decisione vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando , relativamente alla statuizione inerente alla rinuncia alla proprietà delle porzioni trasformate o comunque occupate; poiché il ricorrente in I grado non ha inteso rinunciare alla proprietà, ma solamente affermare che “essendo ormai stato mobilizzato, ovvero asportato e distrutto, il giacimento già presente sul suo fondo, di tale materiale la proprietà era stata ormai irrimediabilmente perduta” ; ne consegue che “per il sedime residuo dell’area scavata e per le fasce di terreno non scavate che sono state inglobate nella recinzione autostradale deve procedersi in alternativa a restituzione (senza rimessione in pristino) o ad acquisizione ex art. 42-bis DPR 327/2001, dove, in caso di acquisizione, se dal compenso del sedime non scavato dovrà essere dedotto il valore del giacimento risarcito (per cui il dovuto potrà anche risultare nullo), andrà invece compensata in base al valore di mercato l’eventuale acquisizione delle fasce non scavate” ;

b) error in iudicando , relativamente al rigetto della domanda di liquidazione diretta del danno per la asportazione e consumazione del giacimento; poiché “ la domanda giudiziale va integralmente evasa. . . non potendo il giudice ignorare l’opposizione di cui all’art. 34, co. 4, Cpa, né comunque emettere una condanna generica in assenza di istanza di parte”;

c) error in iudicando , relativamente alla quantificazione di quanto spettante per risarcimento del danno; ciò in quanto “ il danno patito dal ricorrente per l’asportazione del giacimento di sua proprietà può essere quantificato in Euro 1.340.302,25, con lieve aumento rispetto all’importo di Euro 1.220.000,00 indicata nel ricorso introduttivo al TAR” (per le ragioni ed i calcoli, v. pagg. 11-12 app. ), chiedendosi sul punto di disporre CTU; inoltre, si insiste nelle richieste di risarcimento del pregiudizio subito dalle porzioni residue della proprietà;

d) error in iudicando relativamente all’esclusione di ogni risarcimento e restituzione per le fasce di terreno non scavate (in questo secondo caso “con la corresponsione di un indennizzo sulla congruità del quale spetterà al giudice ordinario la giurisdizione” ). In ogni caso, occorre condannare al risarcimento del danno per l’occupazione illegittima di tali porzioni “ in misura annua del 5% ovvero 1/20 del valore agricolo di tali porzioni (dalla scadenza della dichiarazione di P.U., ovvero dall’11 novembre 2012) alla data di restituzione o a quella di acquisizione; viceversa, qualora si ritenga intervenuta la rinuncia alla proprietà, occorrerà liquidare a titolo di risarcimento del danno il controvalore di dette porzioni” ;

e) error in iudicando

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