Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-27, n. 202208313

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-09-27, n. 202208313
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202208313
Data del deposito : 27 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/09/2022

N. 08313/2022REG.PROV.COLL.

N. 02675/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2675 del 2022, proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei dottori commercialisti, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A P e F D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A P in Roma, viale Liegi, n. 32;

contro

il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Seconda, n. 9884/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 settembre 2022 il Cons. Ezio Fedullo;

Uditi per la parte appellante gli Avvocati A P e F D e vista l'istanza di passaggio in decisione depositata dall'Avvocato dello Stato Amedeo Elefante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1.- La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei dottori commercialisti ha impugnato dinanzi al T.A.R. per il Lazio, con distinti ricorsi integrati da motivi aggiunti:

- la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ispettorato Generale di Finanza, n. 144060 del 4 luglio 2017, avente ad oggetto “ Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei dottori commercialisti. Prima revisione al budget 2017 ”;

- la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per le Politiche Previdenziali e Assicurative – Divisione V, n. 10652 del 15 settembre 2017, nella parte in cui si condivide il contenuto della nota n. 144060/2017 del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

- la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 8338 del 6 luglio 2018, avente ad oggetto “ CNPADC – seconda revisione del preventivo 2017 e bilancio di previsione 2018 ”, nella parte in cui si ribadisce il contenuto della nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ispettorato Generale di Finanza, n. 144060 del 4 luglio 2017;

- il parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 18 giugno 2018;

- la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 12949 del 6 novembre 2018, avente ad oggetto “ CNPADC – bilancio consuntivo 2017 ”, nella parte in cui si ribadisce il contenuto della nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ispettorato Generale di Finanza, n. 153444 del 21 luglio 2017;

- la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 13538 del 15 novembre 2018, avente ad oggetto “ CNPADC – prima revisione preventivo 2018 ”, nella parte in cui si ribadisce il contenuto della nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 8338 del 6 luglio 2018;

- la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ispettorato Generale di Finanza, n. 153444 del 21 luglio 2017, avente ad oggetto “ richieste di rimborso delle somme versate al bilancio dello Stato. Sentenza della Corte Costituzionale n. 7/2017 ”, nella parte in cui si “ esclude la compensazione di debiti erariali con crediti vantati verso lo Stato ”;

- la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 12949 del 6 novembre 2018, avente ad oggetto “ CNPADC – bilancio consuntivo 2017 ”, nella parte in cui si ribadisce il contenuto della nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – Ispettorato Generale di Finanza, n. 153444 del 21 luglio 2017:

- la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 13538 del 15 novembre 2018, avente ad oggetto “ CNPADC – prima revisione preventivo 2018 ”, nella parte in cui si ribadisce il contenuto della nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, n. 8338 del 6 luglio 2018.

2.- Premesso che gli atti impugnati, innanzi analiticamente indicati, costituiscono espressione del potere di vigilanza attribuito dall’art. 3, comma 3, del d.lvo 30 giugno 1994, n. 509, ai Ministeri del Lavoro e dell’Economia e delle Finanze nei confronti degli enti previdenziali privatizzati, competenti all’erogazione di trattamenti previdenziali e assistenziali a favore degli iscritti, e che la Cassa ricorrente, oltre a contestare la legittimità degli stessi, con i quali i Ministeri intimati hanno ritenuto non assentibile l’iscrizione di un credito verso lo Stato nel bilancio della medesima (rilevando come tale iscrizione non fosse rispondente al principio prudenziale di iscrizione dei crediti in bilancio), ha domandato al giudice adito l’accertamento incidentale del proprio diritto alla ripetizione delle somme indebitamente versate al bilancio erariale e di quello alla compensazione del proprio credito con debiti statali, il T.A.R., con la sentenza appellata, ha ritenuto che “ le censure svolte dalla parte ricorrente avverso le note impugnate nell’ambito dei due giudizi siano finalizzate all’accertamento dei diritti soggettivi vantati dalla stessa ricorrente alla ripetizione del ritenuto indebito ai sensi dell’articolo 2033 c.c. e alla pretesa compensazione legale ai sensi dell’articolo 1241 c.c., che costituiscono il petitum sostanziale del contenzioso azionato e il cui accertamento rientra nella giurisdizione del giudice ordinario ”, dichiarando conclusivamente l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione in capo all’adito giudice amministrativo.

A fondamento della suindicata statuizione declinatoria della sua giurisdizione, il giudice di primo grado ha in particolare osservato che l’accertamento del diritto alla ripetizione delle somme versate al bilancio dello Stato ai sensi dell’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013, negli anni 2014-2015-2016, chiesto dalla ricorrente in via incidentale ex art. 8, comma 2, c.p.a., integrasse in realtà il petitum sostanziale del (primo) ricorso, il quale avrebbe ad oggetto “ non già i rilievi in sé (formulati con le note impugnate, n.d.e. ) quanto l’accertamento del diritto alla ripetizione dell’asserito indebito e quindi l’esistenza stessa del credito che non viene riconosciuta dalle amministrazioni vigilanti ”.

Quanto invece al secondo ricorso, il T.A.R. ha osservato che, concernendo esso la nota MEF n. 153444 del 21 luglio 2017, indirizzata al Ministero covigilante, e da questo trasmessa alla Cassa in data 18 ottobre 2017, avente ad oggetto “ richieste di rimborso delle somme versate al bilancio dello Stato. Sentenza della Corte Costituzionale n. 7/2017 ”, nella parte in cui si “ esclude la compensazione di debiti erariali con crediti vantati verso lo Stato ”, il gravame sarebbe “ circoscritto alla contestazione dell’affermazione contenuta nella nota MEF gravata, che “in materia di contabilità pubblica – in disparte dall’accertamento dei requisiti prescritti dall’art. 1243 del codice civile, costituiti dalla certezza, liquidità ed esigibilità del credito vantato verso la pubblica amministrazione – è generalmente esclusa la possibilità di compensazione di debiti erariali con crediti vantati verso lo Stato ”, con la conseguenza che “ anche per quanto concerne il secondo ricorso, il petitum sostanziale appare l’accertamento del diritto alla compensazione legale tra l’asserito credito verso lo Stato con altri debiti erariali, compensazione che a sua volta presuppone l’esistenza del credito ”.

Il T.A.R. ha quindi osservato che “ la valutazione circa la legittimità dei rilevi mossi dalle amministrazioni vigilanti nei confronti delle scritture contabili dell’ente presuppone la risoluzione della questione pregiudiziale che concerne l’esistenza del credito in relazione al quale viene chiesta la ripetizione e invocata la compensazione. Tale accertamento non può essere svolto in questa sede in via incidentale in quanto esso costituisce il petitum sostanziale dell’azione e non una mera questione incidentale ”, aggiungendo che “ dall’esame degli atti di causa, emerge, infatti, che la ricorrente non aziona in via principale una posizione di interesse legittimo alla verifica della legittimità dell’operato delle Amministrazioni vigilanti per come esercitata attraverso gli atti impugnati, ma, mediante l’impugnativa in questione, rivendica la sussistenza del credito iscritto in bilancio, contestando la fonte legale dell’obbligazione e ritenendo di avere il diritto di ripetere le somme indebitamente versate ovvero di opporle in compensazione ”.

3.- La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei dottori commercialisti contesta, con l’atto di appello in esame, la soluzione declinatoria cui è addivenuto il giudice di primo grado, essenzialmente evidenziando che gli atti impugnati, afferendo alla funzione di vigilanza legislativamente demandata ai Ministeri appellati, costituiscono espressione del potere autoritativo ad essi spettante, con la conseguente configurazione in capo all’Ente vigilato di una posizione di interesse legittimo tutelabile naturaliter dinanzi al giudice amministrativo, nella specie, quindi, correttamente adito.

Essa inoltre, ritenendo che l’eventuale sussistenza di dubbi circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione in ordine alla res controversa non precluda al giudice adito di sollevare la questione di costituzionalità avente ad oggetto le norme pertinenti ai fini della risoluzione della controversia sostanziale, sussistendo i presupposti di rilevanza e non manifesta infondatezza dei dedotti profili di incostituzionalità, chiede a questo giudice di investire la Corte costituzionale degli allegati profili di contrasto con la Carta costituzionale dell’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013.

4.- Deve premettersi che la Cassa appellante è un ente previdenziale privatizzato ai sensi del d.lvo 30 giugno 1994, n. 509, vigilato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Trattasi di enti che, anche a seguito della suddetta trasformazione, “ continuano a svolgere le attività previdenziali e assistenziali in atto riconosciute a favore delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali sono stati originariamente istituiti, ferma restando la obbligatorietà della iscrizione e della contribuzione. Agli enti stessi non sono consentiti finanziamenti pubblici diretti o indiretti, con esclusione di quelli connessi con gli sgravi e la fiscalizzazione degli oneri sociali ” (art. 1, comma 3, d.lvo n. 509/1994, cit.).

Essi inoltre, ai sensi dell’art. 2, comma 1, d.lvo n. 509/1994, cit., “ hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile nel rispetto dei princìpi stabiliti dal presente articolo nei limiti fissati dalle disposizioni del presente decreto in relazione alla natura pubblica dell’attività svolta ”.

La trasformazione in persone giuridiche private (nella forma dell’associazione o della fondazione) degli enti previdenziali non ne ha pregiudicato la funzione pubblica, avendo in proposito la Corte costituzionale affermato, con la sentenza n. 248 del 18 luglio 1997, che la trasformazione degli enti professionali in soggetti di diritto privato ha lasciato “ immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l’obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale. L’esclusione di un intervento a carico della solidarietà generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario ”.

La Cassa appellante, inoltre, è presente nell’elenco delle pubbliche amministrazioni inserite nel c.d. “ conto economico dello Stato ”, come individuate dall’Istat ex art. 1 l. 30 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilità e finanza pubblica).

Invero, l’art. 1 della richiamata l. n. 196/2009 prevede, al comma 1, che “ Le amministrazioni pubbliche concorrono al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall'Unione europea e ne condividono le conseguenti responsabilità. Il concorso al perseguimento di tali obiettivi si realizza secondo i principi fondamentali dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica ”, mentre, ai sensi del comma 2, “ Ai fini della presente legge, per amministrazioni pubbliche si intendono gli enti e gli altri soggetti che costituiscono il settore istituzionale delle amministrazioni pubbliche individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) sulla base delle definizioni di cui agli specifici regolamenti comunitari ”;
il comma 3, infine, prevede che “ La ricognizione delle amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 è operata annualmente dall’ISTAT con proprio provvedimento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 30 settembre ”.

Tra le disposizioni in materia di cd. “ spending review ” applicabili alla Cassa appellante figurano, in particolare, l’art. 8, comma 3, d.l. n. 6 luglio 2012, n. 95, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 135, quale risultante dal dispositivo della sentenza della Corte costituzionale n. 7 dell’11 gennaio 2017, e l’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013, come modificato dall’art. 50, comma 5, d.l. 24 aprile 2014, n. 66, conv. in l. n. 23 giugno 2014, n. 89.

E’ appunto sull’applicazione delle citate disposizioni che si fronteggiano le difformi posizioni interpretative che le parti della controversia – la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei dottori commercialisti da un lato, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze dall’altro – hanno inteso esprimere, attraverso gli atti impugnati, nell’ambito della interlocuzione che le stesse hanno instaurato nel quadro del rapporto di vigilanza che le vede avvinte.

Deve invero premettersi che, ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.l. n. 95/2012, nella (integrale) formulazione preesistente alla menzionata declaratoria di (parziale) incostituzionalità, “ Ferme restando le misure di contenimento della spesa già previste dalle vigenti disposizioni, al fine di assicurare la riduzione delle spese per consumi intermedi, i trasferimenti dal bilancio dello Stato agli enti e agli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009, n. 196, (…) sono ridotti in misura pari al 5 per cento nell’anno 2012 e al 10 per cento a decorrere dall’anno 2013 della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010. Nel caso in cui per effetto delle operazioni di gestione la predetta riduzione non fosse possibile, per gli enti interessati si applica la disposizione di cui ai periodi successivi. Gli enti e gli organismi anche costituiti in forma societaria, dotati di autonomia finanziaria, che non ricevono trasferimenti dal bilancio dello Stato adottano interventi di razionalizzazione per la riduzione della spesa per consumi intermedi in modo da assicurare risparmi corrispondenti alle misure indicate nel periodo precedente;
le somme derivanti da tale riduzione sono versate annualmente ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno. Per l’anno 2012 il versamento avviene entro il 30 settembre. Il presente comma non si applica agli enti e organismi vigilati dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali
”.

La Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza, ha dichiarato l’incostituzionalità della disposizione nella parte in cui prevedeva che le somme derivanti dalla riduzione di spesa fossero versate annualmente dagli enti previdenziali privatizzati ad un apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato, evidenziando:

- quanto alla questione di legittimità sollevata con riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, che “ se in astratto non può essere disconosciuta la possibilità di disporre, in un particolare momento di crisi economica, un prelievo eccezionale anche nei confronti degli enti - che come la CNPADC - sostanzialmente si autofinanziano attraverso i contributi dei propri iscritti, non è invece conforme a costituzione articolare la norma nel senso di un prelievo strutturale e continuativo nei riguardi di un ente caratterizzato da funzioni previdenziali e assistenziali sottoposte al rigido principio dell’equilibrio tra risorse versate dagli iscritti e prestazioni rese ”;

- quanto alla violazione dell’art. 97 Cost., che la disposizione censurata inficia “ sotto l’aspetto strutturale, la correlazione contributi- prestazioni nell’ambito del quale si articola la naturale missione della CNPADC di preservare l’autosufficienza del proprio sistema previdenziale ”;

- quanto alla contrarietà della disposizione all’art. 38 della Cost., che essa, nel prevedere l’obbligo di riversare le risorse degli iscritti alle Casse in via generale al bilancio dello Stato, compromette gli equilibri finanziari delle stesse funzionali alla garanzia delle posizioni previdenziali degli associati.

L’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013 prevede invece che “ A decorrere dall’anno 2014, ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea e del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica, gli enti di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, possono assolvere alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell’apparato amministrativo effettuando un riversamento a favore dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010. Per detti enti, la presente disposizione sostituisce tutta la normativa vigente in materia di contenimento della spesa pubblica che prevede, ai fini del conseguimento dei risparmi di finanza pubblica, il concorso delle amministrazioni di cui all’articolo 1, commi 2 e 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ferme restando, in ogni caso, le disposizioni vigenti che recano vincoli in materia di spese di personale ”.

5.- Tanto premesso dal punto di vista normativo, va rilevato, da un punto di vista fattuale, che la Cassa appellante, come risulta dagli atti di causa, relativamente agli anni 2012-2013 è stata assoggettata al prelievo di cui all’art. 8, comma 3, d.l. n. 95/2012, effettuando il relativo versamento a favore del bilancio dello Stato, mentre, per gli anni 2014-2016, avendo esercitato la facoltà contemplata dall’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013, ha provveduto al relativo versamento “ forfettario ” e sostitutivo (delle misure di contenimento della spesa relativa all’apparato amministrativo previste dalle previgenti disposizioni, inclusa – evidentemente – quella di cui all’art. 8, comma 3, d.l. n. 95/2012).

Sopraggiunta la menzionata declaratoria di (parziale) incostituzionalità della prima disposizione, e ritenendo che essa avesse inciso anche sull’obbligo di versamento previsto dall’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013, non formalmente attinto dalla pronuncia costituzionale, o comunque facendosi sostenitrice di una lettura costituzionalmente orientata della norma (la quale avrebbe dovuto a suo dire essere intesa nel senso di consentire agli enti previdenziali di scegliere le modalità di contenimento della spesa imposto dalla vigente normativa in tema di cd. “ spending review ” - ovvero scegliendo tra il regime forfettario di risparmio indicato dalla norma stessa nel 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010 ed il regime analitico di contenimento della spesa previsto da tutte le norme vigenti in materia di contenimento dei costi - con l’esclusione in ogni caso di qualsiasi obbligo di riversamento in favore del bilancio dello Stato), l’appellante ha provveduto, in un primo tempo (ovvero in sede di prima revisione del budget 2017) ad escludere dalle poste contabili passive il relativo debito nei confronti dell’Erario nonché ad iscrivere tra le poste attive ( recte , alla voce del bilancio “ altri proventi diversi ”) il preteso credito avente ad oggetto il rimborso dei versamenti – a suo dire – indebitamente effettuati a favore delle casse dello Stato negli anni 2012-2016, pari a complessivi € 2.357.000.

Essa quindi, a seguito dei rilievi formulati dai Ministeri vigilanti (cfr. la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 144060 del 4 luglio 2017, con la quale si evidenzia che “ la portata della sentenza (n. 7/3017, n.d.e. ) è circoscritta agli importi versati al bilancio dello Stati relativi ai risparmi del 2012 e del 2013. Con decorrenza dal 2014, come è noto, tutti gli enti privati di previdenza, ivi compresa la Cassa dei dottori commercialisti, hanno aderito alla facoltà prevista dall’art. 1, comma 417, della legge n. 147/2013, e hanno assolto alle disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa con il versamento sostitutivo pari al 15% dei consumi intermedi del 2010. Pertanto, si ritiene che la scelta operata dalla Cassa di iscrivere i crediti per rimborso degli oneri versati al bilancio dello Stato (2.357.000 euro), per tutti gli anni dal 2012 al 2016, non sia assentibile, oltre a non rispondere a un principio prudenziale di iscrizione dei crediti, atteso che la pronuncia di incostituzionalità concerne solo l’art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95/2012 e non contiene alcun richiamo all’art. 1, comma 417, della legge n. 147/2013 che, quindi, deve ritenersi tuttora vigente….La Cassa avrebbe potuto, eventualmente, iscrivere in bilancio i crediti relativi al risparmio del biennio 2012-2014, periodo durante il quale la Cassa ha applicato il suddetto art. 8, comma 3, del decreto-legge n. 95/2012 e ha rispettato i limiti puntuali di spesa ivi previsti. Per l’anno in corso, ove la Cassa non si avvalga della facoltà prevista dal sopra citato comma 417, è necessario che vengano ottemperati puntualmente i limiti di spesa imposti dalle disposizioni legislative vigenti, applicabili alle Casse previdenziali, dando corso alle rimodulazioni del budget 2017, nel rispetto delle suddette prescrizioni normative, cui la Cassa dovrà dar corso con l’asseverazione del Collegio sindacale ”, nonché la nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 10652 del 15 settembre 2017, laddove richiama la suindicata nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentando di rimanere “ in attesa di conoscere le determinazioni che codesta Cassa assumerà in merito alle raccomandazioni e agli inviti formulati ”), la Cassa, pur ribadendo la sua posizione ed “ a meri fini di prudenza contabile ”, in sede di seconda revisione del budget 2017 ha provveduto a disporre “ un accantonamento al “Fondo altri oneri” pari all’onere per “spending review” riferito all’anno corrente, senza che ciò costituisca acquiescenza rispetto ad eventuali diverse interpretazioni da parte dei Ministeri vigilanti e con l’espressa riserva di agire nelle competenti sedi per vedere accertato il suo diritto a non versare le somme a seguito dell'esercizio dell'opzione prevista dall'art. 1, comma 417, della Legge n. 147/2013. Nella medesima prospettiva di massima cautela la Cassa - presa conoscenza del contenuto delle note del Ministero del Lavoro prot. n. 0010652 del 15 settembre 2017 e del Ministero dell’Economie e delle Finanze prot. n. 144060 del 4 luglio 2017- confermando l’iscrizione nel budget dei crediti per rimborso degli oneri versati al bilancio dello Stato (€ 2.357) posta la sussistenza dei relativi presupposti giuridici, ha comunque operato al contempo un prudenziale accantonamento a fondo svalutazione crediti pari all’ammontare delle somme pro tempore versate dalla Cassa dall’anno 2014 all’anno 2016 a titolo di “spending review” (€ 1.768). Si precisa che tale accantonamento è effettuato senza prestare acquiescenza rispetto al contenuto delle note ministeriali che la Cassa si riserva di impugnare nelle sedi competenti. La Cassa, in ogni caso, si riserva di apportare in sede di redazione del bilancio consuntivo al 31 dicembre 2017 ogni eventuale modifica ritenuta opportuna, anche all’esito dell’attesa sentenza del Consiglio di Stato ” (cfr. Relazione del Consiglio di Amministrazione del 25 ottobre 2017, nella quale si formulano analoghe considerazioni con riguardo al budget 2018, col quale ugualmente “ a meri fini di prudenza contabile, la Cassa ha ritenuto opportuno disporre nel 2018, così come previsto nelle ultime stime del 2017, un accantonamento al “Fondo altri oneri” pari all’onere per “spending review” riferito al 2018, senza che ciò costituisca acquiescenza rispetto ad eventuali diverse interpretazioni da parte dei Ministeri vigilanti e con l’espressa riserva di agire nelle competenti sedi per vedere accertato il suo diritto a non versare le somme a seguito dell'esercizio dell'opzione prevista dall'art. 1, comma 417, della Legge n. 147/2013 ”).

Va altresì osservato che, con la successiva nota n. 8338 del 6 luglio 2018, il Ministero (del Lavoro e delle Politiche Sociali) vigilante, in merito alla seconda revisione del budget 2017, rilevato che “ codesta Cassa ha rappresentato di aver esercitato l’opzione di cui all’art. 1, comma 417, della legge 147/2013, mediante mera comunicazione ai Ministeri vigilanti in data 22 giugno 2017, senza tuttavia aver effettuato il prescritto versamento al bilancio dello Stato dell’importo previsto entro la relativa scadenza annuale, in quanto operando una supposta “(…) lettura costituzionalmente orientata di tale articolo rispetto alla sentenza n. 7/2017, intende calcolare forfettariamente e verificare a consuntivo l’entità dei risparmi da realizzare (…)” ”, ha comunicato di condividere “ quanto rappresentato dal covigilante Ministero (con la nota prot. n. 46658 del 27 marzo 2018, n.d.e. ), secondo cui “ (…) non può che ribadirsi che la citata sentenza n. 7/2017 concerne solo l’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e non contiene alcun richiamo all’art. 1, comma 417 della legge n. 147/2013 che, quindi, deve ritenersi vigente. Pertanto, l’adesione alla facoltà prevista dal menzionato comma 417 impone alla Cassa di ottemperare pienamente alle disposizioni ivi recate sia in ordine all’obbligo di versamento che in merito alla determinazione del suo ammontare (15% dei consumi intermedi del 2010 ”: quindi, evidenziato che “ codesta Cassa ha confermato nella seconda revisione del preventivo 2017 l’iscrizione dei crediti per rimborso delle somme complessivamente versate, dal 2012 al 2016, al bilancio dello Stato a titolo di spending review (€ 2.357.000), pur prevedendo al contempo il summenzionato accantonamento a fini prudenziali di € 1.768.000 al fondo svalutazione crediti ”, ha concluso che “ alla luce di quanto precede e considerata inoltre la sentenza del Consiglio di Stato n. 109/2018, d’intesa col covigilante Ministero dell’Economia e delle Finanze, si invita codesto Ente a tener conto di quanto sopra esposto ”.

Con la medesima nota, in riferimento al preventivo 2018, il Ministero vigilante, rilevato che “ tra gli “altri oneri” risulta appostato l’importo di € 589.297, pari al 15% dei consumi intermedi 2010, atteso che codesta Cassa intende avvalersi anche per l’esercizio 2018 della facoltà di cui all’art. 1, comma 417, della legge 147/2013 ”, “ d’intesa col covigilante MEF, si rinvia a quanto già sopra rappresentato in merito nella sezione relativa all’analisi della seconda revisione previsionale 2017 ”, evidenziando, sempre “ d’intesa con il covigilante Ministero dell’Economia e delle Finanze ”, di rimanere “ in attesa di conoscere le determinazioni che codesta Cassa assumerà in merito alle raccomandazioni e agli inviti formulati ”.

Analoghi rilievi, con riferimento al bilancio consuntivo 2017, sono stati formulati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con la nota n. 12949 del 6 novembre 2018, con la quale si evidenzia, quando al modus operandi della Cassa, la quale “ nell’esercizio 2017, ha esercitato l’opzione ex art. 1, comma 417, della legge 147/2013, operando una “(…) compensazione ai sensi degli articoli 1241 e seguenti del codice civile con il credito vantato a titolo di indebito versamento ex art. 8, co. 5, del d.l. n. 95/2012 per gli anni 2012 e 2013” anziché provvedere al prescritto versamento ”, ritenendo, sulla scorta di “ una lettura costituzionalmente orientata di tale articolo rispetto alla sentenza n. 7/2017 della Corte costituzionale ”, che “ non debbano essere conseguentemente riversate a favore dello Stato somme a titolo di spending review ”, essendo inoltre “ stati iscritti tra i crediti verso lo Stato “crediti per rimborso delle somme tempo per tempo versate al bilancio dello Stato dall’anno 2014 all’anno 2017 (€ 2.357.187)” e, nel contempo, è stato effettuato un accantonamento di pari ammontare al fondo svalutazione crediti ”, che “ al riguardo si condivide quanto rappresentato dal covigilante Ministero dell’Economia e delle Finanze, ossia che “(…) non può che ribadirsi che la citata sentenza n.7/2017 concerne solo l’art. 8, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e non contiene alcun richiamo all’art. 1, comma 417, della legge n. 147/2013 che, quindi, deve ritenersi vigente. Pertanto, si ritiene che la predetta pronuncia di incostituzionalità non possa costituire presupposto giuridico per l’iscrizione di crediti per i versamenti effettuati al bilancio dello Stato (2.357.000 euro) negli anni dal 2014 al 2017, ai sensi del predetto comma 417. Inoltre, si fa presente che l’adesione alla facoltà prevista dal menzionato comma 417 anche per l’anno 2017 impone alla Cassa di ottemperare pienamente alle disposizioni ivi recate, sia in ordine all’obbligo di versamento che in merito alla determinazione del suo ammontare (15% dei consumi intermedi del 2010). Conseguentemente, in merito all’operazione di compensazione sopra citata, si ribadisce quanto già rappresentato con la nota prot. n. 153444 del 21 luglio 2017 di questo Dipartimento [trasmessa poi anche a codesto Ente da questa Amministrazione con nota prot. 12107 del 18-10-2017]. Alla luce di quanto precede e in considerazione altresì della sentenza del Consiglio di Stato n. 109/2018, si segnala l’esigenza che la Cassa venga invitata a tener conto di quanto sopra esposto ”.

I suddetti rilievi sono stati ribaditi dal Ministero vigilante con la nota n. 13538 del 15 novembre 2018, con la quale, in relazione alla prima revisione preventivo 2018, premesso che “ unitamente al covigilante Ministero si nota che con riguardo al disposto dell’art. 1, comma 417, legge 147/2013, codesta Cassa ha rappresentato che si riserva di esercitare anche nell’esercizio 2018 la facoltà prevista dal citato comma 1. Sul punto, si osserva che risulta appostato un accantonamento al “Fondo altri oneri” di € 589.297, pari al 15% della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’esercizio 2010 ”, “ d’intesa col covigilante Dicastero, si richiama quanto già precisato a codesto Ente con la nota prot. 8338 del 6-7-2018 e si resta in attesa di conoscere le definitive decisioni che verranno adottate relativamente al prescritto versamento al bilancio dello Stato ”.

6.- Tanto premesso quanto al contenuto degli atti impugnati ed alle ragioni sostanziali della controversia, la domanda di riforma della statuizione declinatoria della giurisdizione recata dalla sentenza appellata non è accoglibile, sebbene per ragioni diverse da quelli poste a fondamento della stessa.

Per un costante e condivisibile orientamento giurisprudenziale, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo deve essere valutata sulla base della natura della posizione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio e del rapporto giuridico dedotto, tenuto conto degli elementi allegati.

Nella specie, gli atti impugnati costituiscono espressione del potere di vigilanza che l’art. 3, comma 3, d.lvo 30 giugno 1994, n. 509, attribuisce al Ministero del lavoro e della previdenza sociale nei confronti degli enti previdenziali privatizzati, nella specifica forma della formulazione di “ motivati rilievi su: i bilanci preventivi e i conti consuntivi;
le note di variazione al bilancio di previsione;
i criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti così come sono indicati in ogni bilancio preventivo;
le delibere contenenti criteri direttivi generali
”: tale potere si accompagna al rinvio degli atti al “ nuovo esame da parte degli organi di amministrazione per riceverne una motivata decisione definitiva ”, il quale condiziona – per un periodo di sessanta giorni dalla ricezione per i bilanci consuntivi e di trenta giorni dalla data di ricezione per tutti gli altri atti – l’esecutività degli atti oggetto di esame.

Va preliminarmente chiarito che il potere in questione è autonomo – nei presupposti e nelle modalità di esercizio – da quello propriamente dissolutorio di cui all’art. 2, comma 6, d.lvo cit., ai sensi del quale “ nel caso in cui gli organi di amministrazione e di rappresentanza (degli enti previdenziali privatizzati, n.d.e. ) si rendessero responsabili di gravi violazioni di legge afferenti la corretta gestione dell’associazione o della fondazione, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri di cui all’art. 3, comma 1, nomina un commissario straordinario con il compito di salvaguardare la corretta gestione dell’ente e, entro sei mesi dalla sua nomina, avvia e conclude la procedura per rieleggere gli amministratori dell’ente stesso, così come previsto dallo statuto ”.

Ebbene, non vi è dubbio che esso presenti alcuni dei connotati tipici della potestà autoritativa della P.A., a fronte della quale si stagliano posizioni giuridiche qualificabili come di interesse legittimo, la cui tutela è necessariamente devoluta, secondo il criterio di riparto della giurisdizione costituzionalmente fondato, alla generale giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo.

In primo luogo, infatti, la disposizione citata prevede che “ il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di intesa con i Ministeri di cui al comma 1, può formulare motivati rilievi…. ”, palesando la connotazione discrezionale del potere de quo .

Esso inoltre, condizionando l’esecutività degli atti sottoposti a controllo e generando in capo all’ente da cui essi promanano l’obbligo di pr ocedere ad “nuovo esame da parte degli organi di amministrazione per riceverne una motivata decisione definitiva ”, costituisce indubbiamente una forma di limitazione della sfera di “ autonomia gestionale, organizzativa e contabile ” che l’art. 2, comma 1, d.lvo cit. riconosce agli Enti de quibus , evidentemente riconducibile alla natura pubblicistica delle funzioni da essi svolte ed al concorso che la loro attività reca al complessivo equilibrio della finanza pubblica.

Né rileva, in senso contrario, che, attesa la funzione degli atti oggetto di controllo di tradurre sul piano contabile – a presidio dei principi di trasparenza e regolarità che informano la gestione degli Enti in discorso – i fatti economicamente rilevanti che caratterizzano l’attività degli stessi, il controllo – ed i conseguenti eventuali rilievi dei Ministeri vigilanti – possa assumere le forme della verifica della sussistenza dei presupposti giuridici e fattuali che giustificano una determinata impostazione contabile e che, di riflesso, la contestazione delle modalità di esercizio del potere ministeriale di controllo possa involgere la sussistenza o l’interpretazione di quei fatti, quale premessa per verificare il corretto esercizio del potere medesimo: fatti che, nella specie, attengono alla sussistenza – affermata dalla Cassa appellante e negata dalle Amministrazioni appellate – dell’obbligo di versamento nell’apposito capitolo del bilancio dello Stato dell’importo derivante dall’applicazione dell’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013 e del diritto al rimborso – eventualmente esercitabile nelle forme della compensazione con il suddetto debito – delle somme versate, per gli anni 2014-2016, ai sensi del disposto dell’art. 8, comma 3, d.l. n. 95/2012 (prima della declaratoria della sua parziale illegittimità costituzionale, di cui si è detto supra ).

Per rilevare il difetto della giurisdizione amministrativa, è decisivo però considerare che fa nondimeno difetto, nella disciplina normativa del “ potere ” in discorso, il tratto saliente ed indefettibile della potestà amministrativa, rappresentata dalla ingerenza del suo titolare nella sfera giuridica – organizzativa o gestionale - del destinatario dei relativi effetti, con effetti costitutivi, modificativi o estintivi delle situazioni giuridiche.

Il “ potere ” di cui all’art. 3, comma 3, d.lvo n. 509/1994 si traduce nella mera sollecitazione dell’attività di riesame dell’Ente vigilato, cui compete assumere la sua “ motivata decisione definitiva ”, alla luce dei rilievi formulati dai Ministeri vigilanti.

La sua efficacia è quindi destinata a risolversi all’interno di un mero rapporto di carattere dialettico-collaborativo, la cui manifestazione finale resta di competenza dell’Ente previdenziale, senza alterarne la libertà di confermare il contenuto dell’atto oggetto di controllo, sebbene sulla base di una adeguata motivazione della determinazione assunta.

Le valutazioni dei Ministeri sono espresse in un procedimento il cui atto finale è emesso dalla Cassa stessa.

Del resto, nella specie la determinazione della Cassa non ha determinato il completo superamento dei rilievi formulati dai Ministeri vigilanti, in quanto essa, da un lato, pur iscrivendo (per gli anni 2017 e 2018) un debito nei confronti dello Stato corrispondente all’importo di cui all’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013, non ha provveduto (entro il 30 giugno di ciascun anno, come previsto dalla citata disposizione) al relativo effettivo versamento, vantando anche una pretesa compensativa con il diritto al rimborso degli importi versati, per gli anni 2012-2016, ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.l. n. 95/2012 ( recte , per gli anni 2014-2016, della quota parte dell’importo versato ai sensi dell’art. 1, comma 417, l. n. 147/2003 ed imputabile all’assolvimento degli obblighi di risparmio sui consumi intermedi di cui all’art. 8, comma 3, d.l. n. 95/2012), dall’altro lato, e nonostante i rilievi ministeriali, ha continuato a registrare contabilmente un credito nei confronti dello Stato avente ad oggetto, per gli anni 2014-2016, il rimborso degli importi versati ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.l. n. 95/2012 (quale componente del complessivo versamento effettuato ai sensi dell’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013), pur incrementando per lo stesso importo la voce “ fondo svalutazione crediti ”.

Né rileva, come si è detto, che le risultanze dell’attività di controllo – e le decisioni finali assunte dall’Ente vigilato – possano costituire i prodromi dell’esercizio del potere dissolutorio di cui all’art. 2, comma 6, d.lvo cit., alla luce della differenza di presupposti – essenzialmente inerenti alla riscontrata commissione di “ gravi violazioni di legge afferenti la corretta gestione dell’associazione o della fondazione ” – che ne legittimano l’esercizio.

L’evidenziata carenza, nell’attività di vigilanza disciplinata dall’art. 3, comma 3, d.lvo n. 509/1994, dei requisiti essenziali ai fini della sua configurazione, agli effetti del riparto della giurisdizione, come espressione di un potere autoritativo in capo all’Amministrazione vigilante impone quindi di concludere, sul piano del tutela delle posizioni soggettive delle parti coinvolte, che l’unico rimedio esperibile dall’Ente vigilato - in chiave esclusiva e non alternativa ad una eventuale azione di carattere impugnatorio, di cui nella specie fa difetto il necessario presupposto provvedimentale – è quella consistente nell’azione di accertamento promuovibile dinanzi al giudice ordinario, come correttamente ritenuto, sebbene sulla base di un diverso percorso interpretativo, dal giudice di primo grado.

Peraltro, anche ammessa la spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo, questi dovrebbe constatare la carenza di lesività degli atti impugnati.

Il nucleo centrale (civilistico) della controversia attiene infatti alla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013, laddove prevede che “ a decorrere dall’anno 2014 ” le “ disposizioni vigenti in materia di contenimento della spesa dell’apparato amministrativo ” possano essere assolte dagli Enti interessati “ effettuando un riversamento a favore dell’entrata del bilancio dello Stato entro il 30 giugno di ciascun anno, pari al 15 per cento della spesa sostenuta per consumi intermedi nell’anno 2010 ”, “ ferme restando, in ogni caso, le disposizioni vigenti che recano vincoli in materia di spese di personale ”, assumendo la parte appellante che il suddetto obbligo di “ riversamento ” debba ritenersi emendabile sul piano di una interpretazione costituzionalmente orientata della citata disposizione, o comunque sia suscettibile di censura dinanzi alla Corte costituzionale, alla stregua dei principi da questa affermati con la citata sentenza n. 7/2017, sicché spetterebbe al giudice ordinario, eventualmente adito dalla parte appellante, valutare la sussistenza dei presupposti legittimanti la suddetta operazione interpretativa ovvero la rimessione alla Corte costituzionale della profilata questione di costituzionalità.

Da questo punto di vista, non è accoglibile la tesi di parte appellante, secondo cui spetterebbe comunque a questo giudice, pur dichiaratosi carente di giurisdizione, di sollevare la suddetta questione incidentale (tesi in base alla quale, con istanza del 6 aprile 2022, essa ha insistito nella richiesta di trattazione della cause secondo il rito ordinario, nonostante l’art. 105, comma 2, c.p.a. preveda che “ nei giudizi di appello contro i provvedimenti dei tribunali amministrativi regionali che hanno declinato la giurisdizione o la competenza si segue il procedimento in camera di consiglio, di cui all’articolo 87, comma 3) ”.

Deve invero osservarsi che la sussistenza della giurisdizione attiene ai presupposti di esercizio del potere di cognizione del giudice adito, laddove la valutazione della legittimità costituzionale della disposizione da applicare ai fini della decisione inerisce al merito della res iudicanda , il cui esame è in radice precluso al giudice sfornito di giurisdizione.

Né in senso contrario possono rilevare i precedenti della giurisprudenza costituzionale invocati dalla parte appellante, a conforto della tesi secondo cui “ l’incidenza delle questioni processuali del giudizio a quo ” sarebbe limitata “ alla sola ipotesi (certo non ricorrente nella controversia in oggetto) di palese ed incontestabile difetto di giurisdizione ”.

Deve infatti osservarsi che le statuizioni richiamate in appello e ricavate dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 262 dell’11 dicembre 2015 [secondo cui “ la valutazione di rilevanza, che è prerogativa del giudice rimettente, investe anche l’accertamento della validità dei presupposti di esistenza del giudizio principale (sentenza n. 61 del 2012, punto 2.1. del Considerato in diritto). La valutazione di ammissibilità, demandata a questa Corte, si esaurisce nella verifica che i presupposti di esistenza del giudizio «non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti» nel momento in cui la questione è proposta (sentenza n. 62 del 1992, punto 3. del Considerato in diritto). È sufficiente che la valutazione del giudice a quo sia avvalorata, a tale riguardo, da «una motivazione non implausibile» (sentenza n. 270 del 2010, punto 4.2. del Considerato in diritto) e che la carenza dei presupposti di esistenza del giudizio non risulti macroscopica (sentenza n. 34 del 2010, punto 4. del Considerato in diritto) ”], attengono al potere della Corte di sindacare i presupposti di esistenza del giudizio principale, limitato ai casi di “ manifesta ed incontrovertibile carenza ”, ma non escludono quello preliminare – più correttamente declinabile nella forma del potere-dovere – del giudice di verificare la sussistenza o meno della propria giurisdizione.

Del resto, ove si ammettesse il potere del giudice di trattenere il giudizio nonostante la carenza del suo potere giurisdizionale, si addiverrebbe alla illogica conclusione che esso possa risolvere nel merito la controversia, una volta che l’incidente di costituzionalità sia stato definito: il che è contrario all’intero assetto regolatorio della materia, in base al quale è finanche precluso al giudice amministrativo che si ritenga sfornito di giurisdizione di pronunciarsi sul piano meramente cautelare (cfr. art. 10, comma 2, c.p.a., per il quale “ nel giudizio sospeso (per effetto della proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione, n.d.e. ) possono essere chieste misure cautelari, ma il giudice non può disporle se non ritiene sussistente la propria giurisdizione ”.

Né potrebbe farsi leva, in senso contrario, sulla deduzione di parte appellante intesa a sottolineare che, essendo lo scrutinio di legittimità sulla correttezza dell’operato dei Ministeri appellati strettamente connesso all’accertamento incidentale del diritto, e spettando la verifica sul diritto medesimo in via esclusiva alla Corte costituzionale, questa dovrebbe essere preventivamente adita [tesi che la parte appellante fonda sulla pronuncia costituzionale n. 112 del 26 marzo 1993, laddove si afferma che “ se un giudice ordinario dubita, sotto il profilo della legittimità costituzionale, della qualificazione giuridica di quella posizione soggettiva come interesse legittimo e ritiene, sempre sotto il profilo della legittimità costituzionale, che la stessa posizione debba esser definita come diritto soggettivo, allora il sollevare la relativa questione di costituzionalità risulta certamente pregiudiziale rispetto alla pronunzia sulla propria giurisdizione. Quest’ultima, infatti, é certamente condizionata dalla risoluzione di quel dubbio di costituzionalità, dal momento che, ove la questione fosse accolta, il giudice a quo dovrebbe riconoscere la propria giurisdizione, mentre, ove si pervenisse a una pronuncia di rigetto, lo stesso giudice dovrebbe dichiararsi privo di giurisdizione ”.

Tale deduzione dell’appellante non è condivisibile, poiché la questione di legittimità costituzionale da essa profilata non attiene alla qualificazione giuridica sostanziale della pretesa azionata ( sub specie di diritto al rimborso o alla compensazione), ma alla esistenza dei presupposti costitutivi, di ordine fattuale e giuridico, della stessa, il cui accertamento presuppone appunto la risoluzione dei sollevati dubbi di costituzionalità (in particolare, come si è detto, dell’art. 1, comma 417, l. n. 147/2013).

7.- In conclusione, l’appello deve essere respinto e va confermata, sebbene con motivazione parzialmente diversa, la sentenza impugnata.

8.- L’originalità dell’oggetto della controversia giustifica la compensazione delle spese del giudizio di appello.

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