Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-02-22, n. 201801108
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Pubblicato il 22/02/2018
N. 01108/2018REG.PROV.COLL.
N. 08327/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8327 del 2017, proposto da -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocato A G G, domiciliato ai sensi dell’art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso
ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta Regionale
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’Avvocato Angela Marafioti, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Stefano Gori in Roma, via Pietro della Valle, n. 4;
per la riforma
della sentenza n. -OMISSIS-del T.A.R. per la Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, resa tra le parti, concernente l’informazione antimafia emessa da parte della Prefettura di Catanzaro, della conseguente revoca di finanziamento da parte della Regione Calabria nonché gli atti presupposti, preordinati, connessi e conseguenti.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Calabria e dell’Ufficio Territoriale del Governo – Prefettura di Catanzaro;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 febbraio 2018 il Consigliere M N e uditi per l’odierna appellante, -OMISSIS-, l’Avvocato A G G, per la Regione Calabria l’Avvocato Stefano Gori su delega dell’Avvocato Angela Marafioti e per il Ministero dell’Interno l’Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’Assessorato Turismo, Sport e Spettacolo della Regione Calabria, con la nota prot. n. -OMISSIS-, ha richiesto alla Prefettura di Catanzaro, ai sensi dell’art. 91 del d. lgs. n. 159 del 2011, le informazioni antimafia relative a -OMISSIS-, con sede in -OMISSIS-(CZ), -OMISSIS-, la quale intendeva richiedere un finanziamento per la riattivazione della struttura alberghiera denominata -OMISSIS-, sita in -OMISSIS-.
1.1. La Prefettura ha avviato la consueta istruttoria, finalizzata a verificare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa nei confronti di tale società e, alla luce di tali risultanze, ha adottato infine una certificazione antimafia interdittiva avente prot. n.-OMISSIS-.
1.2. A seguito di tale provvedimento il citato Assessorato, con il decreto n. -OMISSIS-, ha revocato il finanziamento inizialmente concesso alla ricorrente, in assenza di preventivo provvedimento prefettizio rilasciato nel termine di cui all’art. 92, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, con il precedente decreto n. -OMISSIS-per il finanziamento dell’iniziativa volta alla riattivazione della struttura alberghiera denominata -OMISSIS-, sita in -OMISSIS-(CZ).
2. Avverso tali provvedimenti -OMISSIS- ha proposto ricorso avanti al T.A.R. per la Calabria, sede di Catanzaro, e ne ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento o, in subordine, il risarcimento dei danni subiti per effetto del ritardo del Ministero dell’Interno nell’emettere il provvedimento interdittivo, a lavori ormai conclusi, deducendo diversi motivi di censura, relativi alle dedotte violazioni degli artt. 1, 2, 7, 8, 9 e 10 della l. n. 241 del 1990, degli artt. 67, 83, 84, 88, 89- bis , 91 e 92 del d. lgs. n. 159 del 2011, dell’art. 2 del d.P.C.M. del 18 aprile 2013, e infine dell’art. 94 del d. lgs. n. 159 del 2011 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990.
2.1. Si sono costituiti nel primo grado del giudizio il Ministero dell’Interno e la Regione Calabria per resistere al ricorso, di cui hanno chiesto la reiezione.
2.2. Con l’ordinanza n. -OMISSIS-il primo giudice ha accolto l’istanza sospensiva, proposta dalla ricorrente, ma tale ordinanza è stata riformata da questo Consiglio di Stato, in sede di appello cautelare, con l’ordinanza n.-OMISSIS-.
2.3. Infine, con la sentenza n. -OMISSIS-, il T.A.R. per la Calabria, sede di Catanzaro, ha respinto il ricorso e ha condannato la ricorrente a rifondere le spese di lite nei confronti del Ministero dell’Interno e della Regione Calabria.
3. Avverso tale sentenza ha proposto appello la società interessata e, lamentando l’erronea reiezione, da parte del primo giudice, di tutte le censure svolte in primo grado, ne ha chiesto la riforma, con l’accoglimento delle domande, principali o, se del caso, subordinate proposte in prime cure.
3.1. Si sono costituiti il Ministero dell’Interno e la Regione Calabria per resistere al gravame, di cui hanno chiesto la reiezione.
3.2. Nella pubblica udienza del 15 febbraio 2018 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
4. L’appello di -OMISSIS- è infondato e va respinto.
5. Con il primo motivo (pp. 11-12 del ricorso) l’appellante ripropone la censura, svolta in primo grado, relativa alla violazione del contraddittorio procedimentale da parte della Prefettura di Catanzaro, che avrebbe atteso oltre un anno prima di emettere l’informazione antimafia, senza dunque ravvisare quelle ragioni di urgenza che, a giudizio del T.A.R. per la Calabria, avrebbero indotto la Prefettura ad omettere le pur doverose garanzie procedimentali.
5.1. Il motivo va respinto.
5.2. Consolidata è, infatti, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato nell’affermare che l’Amministrazione è esonerata dall’obbligo di comunicazione, di cui all’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241, nonché dalle altre garanzie partecipative, relativamente all’informativa antimafia, « atteso che si tratta di procedimento in materia di tutela antimafia, come tale intrinsecamente caratterizzato da profili del tutto specifici connessi ad attività di indagine, oltre che da finalità, da destinatari e da presupposti incompatibili con le procedure partecipative, nonché da oggettive e intrinseche ragioni di urgenza » (v., ex plurimis , Cons. St., sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555).
5.3. Né la vicenda in esame, contrariamente a quanto assume l’appellante, fa eccezione a questo fondamentale principio in materia di antimafia, che risponde ad una esigenza di tutela preventiva irrinunciabile per la preservazione della legalità, salva la possibilità per l’impresa interessata, ovviamente, di far valere, come essa sta facendo in questa sede, le proprie ragioni in sede contenziosa.
5.4. Il motivo, quindi, va respinto.
6. Con il secondo, e centrale, motivo di censura (pp. 12-21 del ricorso), ancora, l’appellante censura l’ iter logico-giuridico che ha condotto la Prefettura di Catanzaro a ravvisare, ad avviso della stessa appellante erroneamente, il rischio di infiltrazione mafiosa all’interno della società sulla scorta del fatto che il padre di una socia, -OMISSIS-, detentrice, peraltro, del solo 10% del capitale sociale, e ritenuto capo di una locale cosca mafiosa, si sarebbe comportato come dominus della medesima società per essere stato trovato, presso un cantiere della società, per interloquire con i tecnici circa l’andamento dei lavori.
6.1. L’appellante contesta, anzitutto, che il Tribunale di Catanzaro abbia assolto -OMISSIS-con formula piena, e con sentenza ormai passata in giudicato, dall’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, circostanza, questa, evidentemente ignorata dalla Prefettura, e che la circostanza di avere egli interloquito occasionalmente con i tecnici circa l’andamento dei lavori nulla comproverebbe circa la propria influenza sulla gestione della società, di cui la figlia detiene una modestissima partecipazione nel capitale sociale, pari, come detto, al 10%.
6.2. Si tratta di censure palesemente infondate.
6.3. Come bene ha rilevato infatti sul punto il primo giudice, con motivazione rimasta priva di specifica contestazione in parte qua , dalla lettura della motivazione della sentenza penale n. -OMISSIS-del Tribunale di Catanzaro si evince, è vero, che egli sia stato assolto per la dichiarazione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e ambientali, eseguite in sede di indagini, e dalla insufficienza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, al fine di individuare il ruolo partecipativo di -OMISSIS-quale presunto associato della consorteria criminale, ma ben emerge, al di là della non ritenuta intraneità ad essi, la contiguità di questo ad ambienti criminali e, anzi, il suo “prestigio” presso questi quale elemento di elevata caratura all’interno del panorama delinquenziale di -OMISSIS-, circostanza, questa, che inconfutabilmente traspare dall’esame dell’apparato motivazionale della sentenza.
6.4. Né la gravità di tale caratura, come assume l’appellante (p. 19 del ricorso), difetta dell’attualità, non essendo emersi elementi che lascino ritenere venuta meno tale caratura nel corso del tempo per il solo fatto che il medesimo -OMISSIS-sia, ormai, un pensionato di 77 anni.
6.4. La presenza di -OMISSIS-sui cantieri della società, nell’atto di interloquire con i progettisti in cantiere sull’andamento dei lavori relativi alla struttura alberghiera oggetto del richiesto e in primo tempo ottenuto finanziamento, non può poi certo essere sminuita, come fa l’appellante, con il semplice, casuale, estemporaneo interessamento di un padre per i lavori di una società, di cui la figlia è socia, se è vero che egli si faceva mostrare dai tecnici i progetti, ciò che, evidentemente, questi mai avrebbero fatto nei confronti di un soggetto estraneo alla società e del tutto ininfluente sulle sue scelte gestionali ed operative.
6.5. Chiaro ed incontestabile pertanto, alla luce del criterio del più probabile che non, appare il rischio di una infiltrazione mafiosa all’interno di -OMISSIS-, di cui -OMISSIS-, soggetto fortemente contiguo alle cosche mafiose, ha mostrato per facta concludentia di comportarsi come dominus , ingerendosi pesantemente anche nella conduzione dei lavori di detta società.
6.6. Ne segue la reiezione del motivo in esame e di tutte le sue articolate doglianze, che in nessun modo sono in grado di incrinare il solido apparato motivazionale posto a fondamento dell’informazione antimafia, anche ove si vogliano, e anzi si debbano, tenere presenti le risultanze del giudizio penale, per quanto assolutorio.
7. Non merita condivisione nemmeno il terzo motivo (pp. 21-22 del ricorso), con il quale l’appellante deduce, ancora, la violazione delle garanzie, di cui alla l. n. 241 del 1990, nell’ambito del procedimento finalizzato alla revoca del contributo e, comunque, la violazione del termine per l’emissione del provvedimento finale, sopraggiunto dopo i trenta giorni dall’avvenuta comunicazione di avvio del procedimento.
7.1. Palese è l’infondatezza del motivo, sia perché, come ricorda l’appellante, l’avvio del procedimento le è stato comunicato regolarmente, senza che la società abbia poi inteso interloquire con l’Amministrazione in sede procedimentale come pure avrebbe potuto ben fare, sia perché lo sforamento, peraltro minimo, del termine per provvedere non determina ex se l’invalidità del provvedimento, trattandosi di termine non perentorio peraltro in un procedimento che, evidentemente, sarebbe sfociato in un provvedimento a contenuto vincolato, atteso l’effetto inderogabilmente interdittivo del provvedimento prefettizio per l’Amministrazione regionale.
8. Infondato è, altresì, il quarto motivo (p. 22 del ricorso), con il quale l’appellante lamenta la violazione dell’art. 94 del d. lgs. n. 159 del 2011, in quanto la revoca del contributo sarebbe giunta a lavori già ultimati, il 31 dicembre 2015, in violazione di detta disposizione, in quanto, come ha ritenuto il primo giudice con valutazione che va immune da censura, il comma 3 si riferisce per il suo tenore letterale e soprattutto per la sua ratio , evidentemente, all’esecuzione di opere o alla fornitura di beni o servizi, non già all’erogazione di contributi ai quali, come si vedrà, si applica la disposizione dell’art. 92, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011, dovendo considerarsi che assai spesso, in concreto, il finanziamento viene erogato in tutto o in parte a lavori già effettuati da lungo tempo e che, se anche si volesse seguire per absurdum la tesi dell’appellante, mai i contributi potrebbero essere revocati una volta che il Prefetto abbia successivamente emesso il provvedimento interdittivo, in contrasto con quanto stabilisce, invece, l’art. 92, comma 3, del medesimo d. lgs. n. 159 del 2011.
9. Va infine respinto anche il quinto motivo (pp. 22-26 del ricorso), con il quale l’appellante contesta l’erroneità della sentenza impugnata nell’aver respinto la domanda risarcitoria, proposta in primo grado ai sensi dell’art. 2- bis della l. n. 241 del 1990 seppure in via subordinata, per il ritardo con il quale la Prefettura, in spregio di quanto previsto dall’art. 92, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, avrebbe rilasciato il provvedimento prefettizio ben oltre ogni ragionevole tempo, con il conseguente danno derivante dall’indebitamento per i lavori eseguiti nei confronti del sistema creditizio.
9.1. Il T.A.R. per la Calabria ha respinto la censura per avere ritenuto reciso il nesso di causalità tra il fatto dedotto – il ritardo della Prefettura – e il danno lamentato dalla società, odierna appellante.
9.2. Si tratta di valutazione che, ancorché assai sintetica, va immune da censura, in quanto la tesi dell’appellante appare, prima ancora che erronea in diritto, intrinsecamente contraddittoria e paradossale.
9.3. Delle due, infatti, l’una: o il provvedimento prefettizio veniva emesso nei termini, invocati dall’appellante, e allora mai essa avrebbe potuto utilmente porre in essere lavori finanziabili, stante l’effetto interdittivo del provvedimento, o il provvedimento, come è qui avvenuto, è stato emesso anche ben oltre i termini di cui all’art. 92, comma 2, del d. lgs. n. 159 del 2011 (ciò che l’art. 92, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 pacificamente dà per ammesso), ma allora la società non potrebbe ottenere, a titolo di ristoro, quelle somme che mai avrebbe potuto ricevere, appunto, se il provvedimento fosse stato tempestivo.
9.4. La stessa appellante, del resto, ricorda che i lavori dovevano svolgersi entro un termine perentorio, fissato dalla normativa di settore (p. 26 del ricorso), ma, se così è, mai essa avrebbe potuto fare legittimo affidamento sull’erogazione di contributo omnimodo datum , anche in assenza di valutazione circa l’assenza di permeabilità mafiosa da parte della Prefettura, stante il chiaro disposto dell’art. 92, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011, secondo cui, anche in assenza di provvedimento informativo antimafia previamente e tempestivamente rilasciato, « i contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all’articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva », con l’ovvia conseguenza, stabilita inderogabilmente dalla legge, che il sopraggiungere dell’informativa determina la revoca del contributo.
9.5. Di qui, con evidenza, l’infondatezza anche della domanda risarcitoria, qui riproposta, peraltro del tutto sfornita prova anche nel quantum relativo ad un generico preteso indebitamento nei confronti del settore creditizio, di cui non viene circostanziato nulla, nemmeno e anzitutto in punto di doverosa allegazione, nell’atto di appello.
10. In conclusione, per tutte le ragioni esposte, l’appello di -OMISSIS- deve essere respinto, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
11. Le spese del presente grado del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell’appellante nei confronti del Ministero dell’Interno e della Regione Calabria, entrambe costituitesi nel presente grado del giudizio per svolgere ampia attività difensiva.
11.1. Rimane definitivamente a carico di -OMISSIS-, per la soccombenza, anche il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.