Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-04-11, n. 201401763
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N. 01763/2014REG.PROV.COLL.
N. 07680/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7680 del 2007, proposto da:
Ente Parco Nazionale Arcipelago di La Maddalena, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Dirig.Area Tecnica Comune di La Maddalena non costituitosi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della SARDEGNA – Sede di CAGLIARI - SEZIONE II n. 01274/2006, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive e ripristino stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2014 il Consigliere Fabio Taormina e udito per la parte appellante l’Avvocato dello Stato Lorenzo D'Ascia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado la parte odierna appellante, Ente Parco Nazionale Arcipelago di La Maddalena, aveva impugnato, chiedendone l’annullamento, l’ordinanza n. 68 del 23 agosto 2004, con la quale il Dirigente dell’area tecnica del Comune di La Maddalena aveva ordinato al Presidente dell’Ente Parco predetto la demolizione, a proprie cura e spese, delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi.
Erano state articolate plurime censure di violazione di legge ed eccesso di potere, che sono state analiticamente vagliate – ed integralmente disattese - dal T.
Il primo giudice ha in proposito osservato, quanto alla natura soggettiva dell’Ente odierno appellante, che detto Ente Parco Nazionale Arcipelago di La Maddalena era stato istituito con D.P.R. 17 maggio 1996, in attuazione della legge quadro sulle aree protette n. 341/1991: all’Ente Parco, dotato di personalità di diritto pubblico, soggetto alla vigilanza del Ministero dell’Ambiente, si applicavano, a norma dell’articolo 9, comma 13, della legge n. 341/1991 ed a norma dell’art. 1 del d.p.r. 17 maggio 1996, le disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975 n. 70, relative al riordino degli Enti pubblici, e l’istituzione dello stesso era finalizzata a garantire la tutela ambientale e paesaggistica nel territorio del Parco Nazionale di La Maddalena.
Risultava dagli atti di causa che nel territorio dell’Isola di Caprera erano state realizzate opere di depurazione, a servizio di locali ove hanno sede gli uffici, eseguite dall’Ente Parco a seguito del rilascio di autorizzazione da parte del Comune di La Maddalena, autorizzazione richiesta ai sensi dell’articolo 10 del T.U. dell’Edilizia (d.p.r. 380/2001).
In data 23 agosto 2004 il Presidente dell’Ente Parco, in qualità di rappresentante legale, aveva ricevuto un’ordinanza firmata dal Dirigente dell’Area Tecnica del Comune di La Maddalena, nella quale si era ordinata la demolizione delle opere suddette ed il ripristino dello stato dei luoghi, per varie difformità delle opere realizzate rispetto al progetto allegato all’autorizzazione;in particolare, le irregolarità su cui si fondava l’ordinanza attenevano alla “ubicazione del manufatto diversa da quella assentita”, nonché al “mancato rispetto delle condizioni speciali di cui al punto C della autorizzazione edilizia, che prevedevano un’altezza contenuta nei limiti di un metro fuori terra e messa a dimora di essenze autoctone nell’area circostante”.
L’Ente Parco, che aveva affermato di avere proposto istanza di accertamento di conformità (il che avrebbe potuto spiegare effetto preclusivo della procedibilità del mezzo), non aveva successivamente documentato di aver effettivamente presentato la domanda di accertamento di conformità.
Il T ha quindi preso in esame le singole censure di merito proposte, disattendendole.
Ha in prima battuta preso in esame il primo motivo del mezzo (censura di violazione dell’art. 56 comma 1, del D.P.R. 19 giugno 1979 n. 348), laddove si era sostenuto da parte dell’Ente Parco di aver erroneamente richiesto al Comune la concessione edilizia per la realizzazione del depuratore, non essendovi tenuta in forza della norma richiamata e che, conseguentemente, il Comune non avrebbe avuto alcuna competenza in ordine all’accertamento del rispetto delle prescrizioni di una concessione edilizia erroneamente richiesta e rilasciata.
In contrario senso, il T ha rammentato che il detto art. 56 del Decreto del Presidente della Repubblica 19 giugno 1979, n. 348, contenente Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna, disponeva che:
”Per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale l'accertamento della conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, salvo che per le opere destinate alla difesa militare, è fatto dallo Stato, d'intesa con la regione.
La progettazione di massima ed esecutiva delle opere pubbliche di interesse statale, da realizzare dagli enti istituzionalmente competenti, per quanto concerne la loro localizzazione e le scelte del tracciato se difforme dalle prescrizioni e dai vincoli delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, è fatta dall'amministrazione statale competente d'intesa con la regione, che deve sentire preventivamente gli enti locali nel cui territorio sono previsti gli interventi”.
Le riportate disposizioni non erano state osservate preventivamente all’esecuzione dell’impianto di depurazione: non v’era stato né l’accertamento di conformità agli strumenti urbanistici comunali, rimesso all’intesa Stato-Regione (1° comma);neppure v’era stata una localizzazione dell’opera fatta dall’Amministrazione statale competente d’intesa con la Regione, previa consultazione del Comune di La Maddalena (2°comma).
Il richiamo alla riportata normativa speciale non poteva essere considerato satisfattivo, in quanto si risolveva esclusivamente nella rappresentazione di una procedura speciale, volta a consentire alle amministrazioni statali di procedere alla realizzazione di opere di loro spettanza indipendentemente dalle previsioni della pianificazione urbanistica comunale, ovvero di produrre l’effetto di una variante alla disciplina del piano, con ciò salvando il principio della necessaria conformità delle opere pubbliche ai piani, senza nulla disporre in ordine all’esercizio della potestà repressiva comunale sugli abusi edilizi.
Il Dirigente dell’Area tecnica del Comune di La Maddalena aveva dato, invece, puntuale applicazione alla disposizione dettata dalla Regione Sardegna, dotata di competenza primaria in materia di edilizia e di urbanistica, con la legge regionale 11 ottobre 1985 n. 23, (art. 9: “qualora soggetti diversi dalle amministrazioni statali abbiano eseguito, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato, della Regione o di enti pubblici, opere in assenza di concessione, ovvero in totale o parziale difformità della medesima, ovvero con variazioni essenziali, il sindaco, previa diffida non rinnovabile al responsabile dell' abuso, ordina la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all' ente proprietario del suolo”).
L’impianto di depurazione realizzato dall’Ente Parco (soggetto diverso dalle amministrazioni statali), a prescindere dalla questione se lo stesso potesse - o meno- rientrare nel novero delle opere pubbliche di interesse statale, risultava realizzato in difformità del titolo edilizio con il quale era stato assentito dal Comune di La Maddalena.
Anche a seguire la tesi propugnata, secondo cui non sarebbe stato necessario acquisire l’autorizzazione da parte del Comune, la costruzione sarebbe stata realizzata comunque illegittimamente, perché non risultava, né era mai stato affermato, che vi fosse stata la necessaria intesa Stato-Regione.
Parimenti infondato, ad avviso del T, doveva ritenersi il secondo motivo di ricorso (supposta violazione dell’art. 7, comma 1, lett. b) del Testo Unico dell’edilizia, D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, anche in via subordinata, sostenendosi che neppure ai sensi della richiamata norma l’Amministrazione locale avesse alcun potere discrezionale in ordine all’autorizzazione dell’intervento).
Detta richiamata disposizione prevedeva, infatti, che non soggiaceva alla disciplina ordinaria la realizzazione delle “opere pubbliche, da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale e opere pubbliche di interesse statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti, ovvero da concessionari di servizi pubblici, previo accertamento di conformità con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, e successive modificazioni”.
Il T ha disatteso il mezzo alla stregua della considerazione per cui l’Ente Parco non aveva mai attivato, né direttamente, né tramite il Ministero competente, la procedura speciale per pervenire all’accertamento di conformità d’intesa Stato-Regione, ma aveva invece esperito il normale procedimento di rilascio dell’autorizzazione edilizia, inoltrando la relativa richiesta agli uffici comunali ed investendo, unicamente, il Servizio Tutela del Paesaggio della Regione Autonoma della Sardegna per l’autorizzazione paesaggistica ex art 151 del D.Lgs 29 ottobre 1999 n. 490.
Lo stesso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, informato dell’abuso edilizio dell’Ente Parco, successivamente all’emissione dell’ordinanza dirigenziale di demolizione, nella nota del 13 settembre 2004 prot. n. 0711, indirizzata solo per conoscenza alla Regione, Assessorato EE.LL. Finanze e Urbanistica, dopo aver ritenuto la variante al posizionamento dell’impianto di depurazione - difforme dal progetto autorizzato - comunque coerente con gli strumenti urbanistici comunali, in quanto rimaneva invariata la sua ubicazione nell’ambito della zona F/H, aveva rimesso la pratica al Comune di La Maddalena per un riesame ed aveva invitato, al contempo, l’Ente Parco a trasmettere tutta la documentazione all’Ufficio Tecnico Comunale.
L’’Ente Parco non aveva mai presentato al Comune la domanda e documentazione per l’accertamento di conformità;in ogni caso esso Ente Parco non aveva seguito neppure la disposizione di cui all’art. 2 del D.P.R. n. 383 del 1994, richiedeva dove è richiesto che l’accertamento di conformità sia “fatto dallo Stato di intesa con la regione interessata”.
La costruzione, quindi, così come in concreto realizzata, sarebbe stata, comunque, priva di titolo e, come tale, sarebbe soggetta all’applicazione della richiamata disposizione di cui all’art. 9 della legge regionale n. 23 del 1985.
Quanto alla censura (terzo motivo) di violazione dell’art. 28 del T.U dell’edilizia, D.P.R. n. 380 del 2001, essa, ad avviso del T, non poteva essere accolta, in quanto la detta norma riguardava le opere realizzate senza titolo da Amministrazioni dello Stato.
I manufatti attinti dall’ordinanza di demolizione, invece, erano stati realizzati da un Ente Pubblico, soggetto autonomo che non rientrava nell’amministrazione statale in senso stretto.
Il T, poi, osservato che l’emissione del provvedimento ingiuntivo dell’obbligo di procedere alla demolizione si appalesava sostanzialmente vincolato, ha respinto, ex 21 octies della legge n. 241/1990, la censura sub art. 7 della stessa legge ed ha escluso la fondatezza di quella di eccesso di potere per omessa valutazione degli interessi pubblici coinvolti.
Detti asseriti interessi pubblici, peraltro, avrebbero potuto essere valutati dal Consiglio comunale con la delibera prevista dall’art. 6 comma 11 della legge regionale n. 23/85, in occasione della definitiva decisione sulla demolizione dell’opera abusiva o sulla destinazione della stessa al soddisfacimento di interessi pubblici, (ove ritenuti prevalenti rispetto ai contrapposti interessi urbanistici od ambientali lesi): tutto ciò costituiva un post factum, che non poteva incidere sulla originaria legittimità della ordinanza gravata.
Conclusivamente, il mezzo è stato integralmente disatteso.
La parte originaria ricorrente, rimasta soccombente, ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, chiedendone la riforma in quanto errata.
Ha ripercorso analiticamente il contenzioso,anche infraprocedimentale, ed ha fatto presente che la sentenza si appalesava errata (primo motivo) in quanto aveva ritenuto inapplicabile la procedura ex. 56 del d.P.R. 19-6-1979 n. 348 in carenza di una specifica iniziativa procedurale (ritenendo che, in carenza di detta iniziativa, doveva applicarsi la legge n. 47/1985 e che il Comune fosse competente ad irrogare la sanzione demolitoria ex art. 9 della l. reg. n. 23/1989).
Al contrario, la detta normativa operava oggettivamente, al di là della specifica richiesta del Comune: ed il comma 1 del citato articolo escludeva qualsivoglia potestà comunale.
Detta potestà comunale non poteva”insorgere” solo perché il Comune era stato erroneamente evocato, ed era altresì ininfluente il comma 2 della norma, che prescriveva l’audizione del Comune stesso non certo per l’accertamento di conformità, ma per la fase precedente.
In ogni caso, la procedura era stata attivata e l’intesa era stata raggiunta, nulla rilevando che la missiva del 13.9.2004 avesse chiesto all’Ente di interessare nuovamente il Comune.
La sentenza, poi, era viziata da extrapetizione, allorché aveva affermato che il potere comunale di emanare l’ordinanza di demolizione residuava in ogni caso di illegittimità dell’opera: nel merito il detto parere non poteva sussistere laddove fosse mancata l’intesa Stato-Regione.
Né l’ordinanza era motivata con riferimento a tale asseritamente omesso incombente procedimentale.
Con la seconda censura si è riproposta la tesi della falsa applicazione dell’art. 7 del TU, laddove quest’ultimo si riferiva ad opere insistenti nel demanio statale o addirittura, di mero “interesse statale”.
La terza censura ha ribadito la tesi della violazione dell’art. 28 del Tue, mentre con la quarta doglianza si è sostenuto il malgoverno dell’art. 7 della legge n. 241/1990.
Con le ultime due doglianze si è censurato l’omesso apprezzamento di tutti gli interessi pubblici coinvolti (motivo n. 5) e si è rappresentata la tesi che il Comune aveva operato in carenza di poteri e che, comunque, l’accertamento di conformità si era concluso con la nota del 13.9.2004 (Servizio Infrastrutture e Trasporti d’intesa con la Regione), di guisa che l’ordinanza da quel momento era privata di efficacia.
All’adunanza camerale del 20 novembre 2007 la Sezione, con l’ordinanza n. 5997/2007, ha accolto l’istanza di sospensione della esecutività della gravata decisione.
Con nota ritualmente depositata l’appellante amministrazione ha ribadito il proprio persistente interesse alla definizione della causa.
Alla pubblica udienza del 18 marzo 2014 la causa è stata posta in decisone dal Collegio.
DIRITTO
1. L’appello è in parte infondato e merita la reiezione, mentre è comunque divenuto improcedibile.
2. Stabilisce l’art. 56 del d.P.R. 19-6-1979 n. 348 (recante “norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla L. 22 luglio 1975”) che “per le opere da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale l'accertamento della conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, salvo che per le opere destinate alla difesa militare, è fatto dallo Stato, d'intesa con la regione.
La progettazione di massima ed esecutiva delle opere pubbliche di interesse statale, da realizzare dagli enti istituzionalmente competenti, per quanto concerne la loro localizzazione e le scelte del tracciato se difforme dalle prescrizioni e dai vincoli delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, è fatta dall'amministrazione statale competente d'intesa con la regione, che deve sentire preventivamente gli enti locali nel cui territorio sono previsti gli interventi.”.
2.1.Del tutto a torto l’appellante richiama – in senso preclusivo alla emanazione da parte della appellata amministrazione del gravato provvedimento - il detto articolato normativo.
E’ rimasto incontestato, infatti, che in concreto – al momento della emissione del provvedimento gravato - né v’era stato l’accertamento di conformità agli strumenti urbanistici comunali, rimesso all’intesa Stato-Regione (1° comma) e neppure v’era stata una localizzazione dell’opera fatta dall’Amministrazione statale competente d’intesa con la Regione, previa consultazione del Comune di La Maddalena (2°comma).
Se tale procedura speciale non era stata intrapresa – e ciò è pacifico-, non è dato comprendere di cosa si dolga l’appellante, posto che essa stessa non aveva attivato i suddescritti strumenti “compositivi”.
Nel rammentare che costituisce principio generale costantemente predicato dalla pacifica giurisprudenza amministrativa quello per cui “la legittimità di un provvedimento amministrativo si deve accertare con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione, secondo il principio del "tempus regit actum", con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi” (Cons. Stato Sez. IV, 21-08-2012, n. 4583), si evidenzia che anche la giurisprudenza civile di legittimità, a propria volta, ritiene il detto canone valutativo principio di imprescindibile applicazione (ex multis: Cass. civ. Sez. VI, 22-02-2012, n. 2672).
La materia urbanistica e quella edilizia non fanno certo eccezione a detta regola generale (ex multis: “per il principio tempus regit actum, la legittimità del rigetto del permesso di costruire deve essere rapportata alla situazione di diritto riscontrabile alla data della relativa emanazione”-Cons. Stato Sez. IV, 09-02-2012, n. 693-).
Ratione temporis, quindi, esattamente il primo giudice ha escluso in radice l’applicabilità della invocata disposizione al fine dello scrutinio di legittimità dell’ordinanza gravata, né sotto alcun profilo la decisione gravata (che ha funditus esaminato la fattispecie) potrebbe essere fondatamente sospettata di essere incorsa in alcun vizio di extrapetizione, né sotto tale profilo, né avuto riguardo agli altri capi decisorii.
I sopravvenuti provvedimenti amministrativi (rispettivamente del 13.9.2004 e del 13.12.04), però, non sono neutri rispetto alla materia del contendere;e la loro incidenza sarà esaminata successivamente, potendosi, peraltro, rilevare che la tesi dell’appellante, secondo la quale il comma 1 della disposizione statutaria in parola non consenta alcuna potestà comunale in subiecta materia anche laddove la detta procedura non sia attivata, risulta certamente non condivisibile.
2.2. Proseguendo nello scrutinio delle critiche appellatorie, relativamente alla invocata prescrizione dell’art. 28 del T.U dell’edilizia, D.P.R. n. 380 del 2001 (“Per le opere eseguite da amministrazioni statali, qualora ricorrano le ipotesi di cui all'articolo 27, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale informa immediatamente la regione e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al quale compete, d'intesa con il presidente della giunta regionale, la adozione dei provvedimenti previsti dal richiamato articolo 27”), osserva il Collegio che detta disposizione, sia interpretata letteralmente, che in armonia alla ratio della stessa (trattasi di disposizione eccezionale, derogatoria della norma generale e, pertanto, di stretta interpretazione ed insuscettibile di interpretazione estensiva e men che meno analogica) non può applicarsi all’Ente Parco.
La dizione di cui all’articolo, infatti, non è quella di “ amministrazione pubblica”, ma quella di “amministrazione statale”, per cui le valide considerazioni, secondo cui in tale novero non possa rientrare l’Ente Parco, impediscono l’applicazione della detta norma (ex aliis si veda Cassazione civile Sezioni Unite del 28/10/1995 n. 11306 in ordine alla natura di “ente pubblico non economico, il quale opera senza scopi di lucro, per interessi generali di protezione del territorio, della flora e della fauna - qualità testualmente confermata dall'art. 1, comma 1, della l. 6 dicembre 1991 n. 394 -legge quadro sulle aree protette- degli Enti Parco).
2.3. Analoghe considerazioni valgono in riferimento all’invocato art. 7 lett. b del TU Edilizia (“non si applicano le disposizioni del presente titolo per: ……
b) opere pubbliche, da eseguirsi da amministrazioni statali o comunque insistenti su aree del demanio statale e opere pubbliche di interesse statale, da realizzarsi dagli enti istituzionalmente competenti, ovvero da concessionari di servizi pubblici, previo accertamento di conformità con le prescrizioni urbanistiche ed edilizie ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, e successive modificazioni.”).
In disparte ogni considerazione più generale, appare, infatti, preclusiva della rilevanza della detta disposizione la norma speciale regionale della Sardegna, (l.reg. 11-10-1985 n. 23, art. 9),
a tenore della quale, “qualora soggetti diversi dalle Amministrazioni statali abbiano eseguito, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato, della Regione o di Enti pubblici, opere in assenza di concessione, ovvero in totale o parziale difformità della medesima, ovvero con variazioni essenziali, il Sindaco, previa diffida non rinnovabile al responsabile dell'abuso, ordina la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all'ente proprietario del suolo. La demolizione è eseguita a cura del comune ed a spese dei responsabili dell'abuso.”.
Se, come si è chiarito, l’amministrazione responsabile dell’abuso non è statale, non rileva la proprietà demaniale dell’area ove l’abuso è stato eseguito, a fini preclusivi della emissione dell’ordinanza di demolizione da parte del Comune.
2.4. Destituita di fondamento è la censura incentrata sull’art. 7 della legge n. 241/1990, sull’art. 21 octies della stessa legge, e sull’asserita omessa delibazione degli interessi pubblici coinvolti.
2.4.1 A fronte dell’abuso realizzato, infatti, nel momento in cui venne emessa, l’ordinanza si appalesava atto integralmente vincolato (sulla difformità rispetto al progetto non v’è contestazione) ed era stata la stessa odierna parte appellante ad impedire a monte una (indebitamente richiesta ex post al Comune) delibazione sugli interessi pubblici coinvolti, laddove, lo si ripete, aveva omesso di attivare la procedura di cui all’art. 56 dello Statuto richiamata.
3. Resta da interrogarsi su una ultima questione (per il vero esaminabile anche ex officio), riposante nell’effetto prodotto sull’ordinanza gravata dai sopravvenuti atti del 13.9.2004 e del 13.12. 2004.
L’appellante Ente, per un verso (nell’ultima parte dell’appello), ne sollecita l’esame e, per altro verso, in parte contraddittoriamente, ribadisce il proprio interesse alla decisione dell’odierno appello, opponendosi ad una eventuale declaratoria di improcedibilità.
3.1. Posto che trattasi di tematica ampiamente esaminata anche nell’appello e comunque scrutinabile anche ex officio (come è noto, il Collegio non è condizionato da una dichiarazione di permanenza di interesse, potendo ex officio vagliare il permanere di tale condizione dell’azione) si ritiene di doversi soffermare su tale questione.
Come è noto, il T ha svalutato la portata della detta nota, evidenziando quanto segue: “lo stesso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, informato dell’abuso edilizio dell’Ente Parco successivamente all’emissione dell’ordinanza dirigenziale di demolizione, nella nota del 13 settembre 2004 prot. n. 0711, indirizzata solo per conoscenza alla Regione, Assessorato EE.LL. Finanze e Urbanistica, dopo aver ritenuto la variante al posizionamento dell’impianto di depurazione - difforme dal progetto autorizzato - comunque coerente con gli strumenti urbanistici comunali, in quanto rimaneva invariata la sua ubicazione nell’ambito della zona F/H, rimetteva la pratica al Comune di La Maddalena per un riesame ed invitava, al contempo, l’Ente Parco a trasmettere tutta la documentazione all’Ufficio Tecnico Comunale. Come sopra rilevato l’Ente Parco non ha presentato al Comune la domanda e documentazione per l’accertamento di conformità.”.
3.2. Contrariamente a quanto ivi affermato, ritiene il Collegio di potere concordare con la tesi che detta nota ed il successivo e conforme parere della Regione del 13.12.2004 abbiano integrato, seppure ex post, un requisito di sopravvenuta inefficacia dell’ordinanza gravata.
3.3. Invero ivi, nella sostanza, si esprime l’assenso al mantenimento dell’opera, ancorché si faccia presente di notiziare il Comune procedente (il che non esclude la formazione dell’intesa, poi sugellata dalla successiva nota della Regione di tre mesi successiva).
Se così è, risulta intervenuta la condizione di cui all’art. 56 dello Statuto a più riprese citato (norma speciale e di analogo contenuto rispetto agli artt. 1 e 2 del dPR n. 393/1994, che, essi pure, fanno riferimento alle opere “pubbliche di interesse statale”), avuto riguardo alla circostanza che trattasi di opera su demanio statale.
Né potrebbe dirsi che tale intesa fosse ormai preclusa dalla intervenuta emissione, in data antecedente, dell’ordinanza di demolizione, perché la norma primaria non stabilisce affatto un simile barrage temporale.
4.4. Ne consegue che, nella sostanza, l’appello è divenuto improcedibile (e ciò, rileva il Collegio, anche alla stregua dell’affermazione di parte appellante secondo cui nel 2010 il Comune avrebbe concesso la sanatoria), dovendosi affermare l’intervenuta perdita di efficacia dell’ordinanza gravata in primo grado, in quanto successivamente “superata” dalla raggiunta intesa di cui all’art. 56 dello Statuto della Regione Sardegna
5. Conclusivamente l’appello va in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile.
6. Le spese del giudizio devono essere compensate, a cagione della particolarità fattuale della situazione creatasi e della complessità giuridica della controversia.