Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-03-28, n. 202402932
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Pubblicato il 28/03/2024
N. 02932/2024REG.PROV.COLL.
N. 03263/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3263 del 2023, proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
sig. -OMISSIS- rappresentato e difeso dall’avvocato F V, con domicilio fisico eletto presso l’avv. Francesco Pignatiello in Roma, via In Arcione n. 71;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione sesta, del -OMISSIS-resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del sig.-OMISSIS-
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’istanza di passaggio in decisione senza discussione orale, presentata dalla parte appellata;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 dicembre 2023 il cons. F G e udito, per la parte appellante, l’avv. dello Stato Massimo Giannuzzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero della difesa ha proposto appello avverso la sentenza in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha annullato il provvedimento con cui era stata comminata al sig. -OMISSIS- appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri, la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari per fatti per i quali il militare era stato condannato in via definitiva alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione e alla pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni 5.
L’appellato si è costituito in giudizio per chiedere il rigetto dell’appello e con successiva memoria difensiva ha riproposto i motivi di ricorso assorbiti in primo grado.
Con ordinanza del -OMISSIS- la domanda cautelare proposta in via incidentale con il ricorso di appello è stata respinta.
Alla pubblica udienza del 19 dicembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. – L’appellato, condannato in via definitiva per reati commessi il 23 marzo 2015, ha subito inizialmente la perdita dello stato di militare con provvedimento del 20 novembre 2018 a norma dell’art. 622, co. 1, lett. b), d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66;reintegrato nel grado e nella posizione di stato posseduti al momento della destituzione per effetto dell’annullamento in via amministrativa del suddetto provvedimento (disposto il 31 dicembre 2020 a seguito di istanza di riesame e revisione, motivata dalla modifica da perpetua a temporanea della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici) è stato quindi assoggettato per quegli stessi fatti a procedimento disciplinare e, all’esito, punito con la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari ai sensi degli artt. 861, co. 1, lett. d), e 867, co. 5, d.lgs. n. 66/2010, irrogatagli con il provvedimento del 15 aprile 2022 impugnato nel giudizio di primo grado.
2. – Il T.A.R. ha annullato quest’ultimo provvedimento per intempestività dell’azione disciplinare sia nella fase di avvio che in quella conclusiva rispetto alla data in cui poteva dirsi ragionevolmente acquista, da parte dell’Amministrazione, la conoscenza dell’ordinanza di rideterminazione della pena interdittiva accessoria che sarebbe valsa a individuare il dies a quo per l’avvio del procedimento disciplinare.
Secondo il primo giudice quella conoscenza poteva dirsi acquisita alla data di pubblicazione ovvero a quella di comunicazione della sentenza -OMISSIS-resa dallo stesso giudice nel giudizio promosso contro l’originaria determinazione del 26 novembre 2018, dove tale sopravvenienza era espressamente valorizzata, ovvero alla data di presentazione dell’istanza di riesame e revisione da parte del militare (6 agosto 2020) o, quanto meno, alla data di ricezione (20 novembre 2020) del certificato di stato di esecuzione del 30 ottobre 2020 emesso dalla Procura Generale presso la Corte di Appello, che menzionava la sopravvenienza.
Di conseguenza l’Amministrazione avrebbe violato l’art. 1392, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 66 del 2010, per il quale “ il procedimento disciplinare di stato a seguito di giudizio penale (…) deve essere instaurato con la contestazione degli addebiti all’incolpato, entro 90 giorni ” e “ deve concludersi entro 270 giorni dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, ovvero del provvedimento di archiviazione ”, poiché l’atto d’impulso del procedimento con la contestazione degli addebiti era stato notificato al ricorrente il 13 marzo 2021 e l’adozione della determinazione disciplinare era avvenuta il 15 aprile 2022.
3. – L’appello è affidato a un unico motivo di gravame con cui il Ministero critica la decisione di primo grado e difende la legittimità del provvedimento sanzionatorio.
In particolare, ad avviso del Ministero la sentenza appellata è errata perché non ha tenuto conto del disposto dell’art. 1373 ( Rinnovazione del procedimento disciplinare ) del d.lgs. 66 del 2010 che prevede che “ Annullati uno o più atti del procedimento disciplinare a seguito di autotutela, anche contenziosa, di giudicato amministrativo ovvero di decreto decisorio di ricorso straordinario, se non è esclusa la facoltà dell’amministrazione di rinnovare in tutto o in parte il procedimento e non sono già decorsi, limitatamente alle sanzioni di stato, gli originari termini perentori, il nuovo procedimento riprende, a partire dal primo degli atti annullati, nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’amministrazione ha avuto piena conoscenza dell’annullamento o dalla data di adozione del provvedimento di autotutela” .
Il procedimento disciplinare, infatti, sarebbe stato legittimamente attivato, a seguito dell’istanza di revisione presentata dal militare, nel termine di sessanta giorni ex art. 1373 cit. calcolato dalla data di annullamento del primo provvedimento (31 dicembre 2020) e, perciò, non ancora spirato al momento della contestazione degli addebiti (13 marzo 2021).
Inoltre, sempre per il fatto d’essere stato attivato a seguito dell’istanza di revisione, al procedimento de quo non sarebbe applicabile il termine di 270 giorni, ex art. 1392, co. 3, d.lgs. n. 66 del 2010, dalla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale, divenuti irrevocabili, o del provvedimento di archiviazione, perché già trascorsi, ma soltanto il quarto comma dello stesso articolo, per il quale “ In ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall’ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta ”, nella specie sempre rispettato.
Secondo il Ministero l’applicazione alla vicenda in esame degli artt. 1373 e 1392, co. 4, del d.lgs. 66 del 2010 s’imporrebbe poiché, diversamente opinando, l’Amministrazione sarebbe stata nell’impossibilità di agire sul piano disciplinare.
4. – L’appello è infondato.
5. – Vero è che dalla formulazione testuale dell’art. 1373 del d.lgs. n. 66 del 2010 si evince che « in caso di annullamento di uno o più atti del procedimento disciplinare relativo a sanzioni di stato: non sussiste alcun limite alla rinnovazione dello stesso procedimento che non sia quello espressamente previsto del decorso degli “originari termini perentori”;in caso di annullamento del provvedimento conclusivo, il procedimento riprende da quest’ultimo poiché “il nuovo procedimento riprende a partire dal primo degli atti annullati” » (C.d.S., sez. II, 16 marzo 2022, n. 1854).
Tuttavia la norma « opera con riferimento ad un nuovo procedimento disciplinare (…) e riferisce il termine perentorio di sessanta giorni alla “ripresa” del procedimento disciplinare » (C.G.A.R.S. in s.g., 23 maggio 2019, n. 484;C.d.S., sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5368).
Essa presuppone, dunque, che un procedimento disciplinare si sia già tenuto, consentendone la rinnovazione purché, quando si tratti di sanzioni di stato, sia stato svolto nell’osservanza degli originari termini perentori.
Quest’ultimo è il punto di caduta che segna l’equilibrio tra le contrapposte esigenze di tutela degli interessi pubblici sottesi alla potestà punitiva dell’Amministrazione, da un lato, e, dall’altro, di certezza giuridica della posizione dell’incolpato e di effettività del suo diritto di difesa che in materia richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione.
6. – Nel caso di specie non si verte della rinnovazione dell’esercizio del potere punitivo dell’Amministrazione e di ripetizione del relativo procedimento sanzionatorio, già una volta avviato e concluso, ma dell’esercizio, per la prima volta, del potere disciplinare spettante sul militare.
L’appellato aveva subito la perdita dello stato di militare « in esecuzione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici », come chiarito nel preambolo del provvedimento del 20 novembre 2018, il quale, perciò, era stato adottato « a norma dell’art. 622, co. 1, lett. b), d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 ».
Si tratta della norma che, per l’appunto, prevede la perdita dello stato di militare « per interdizione perpetua dai pubblici uffici, anche in base a sentenza penale straniera alla quale è stato dato riconoscimento nello Stato ».
All’epoca, dunque, non era stato sottoposto a procedimento disciplinare e punito con una sanzione di stato, in quanto la perdita dello stato di militare per interdizione perpetua dai pubblici uffici è un automatismo destitutorio che si configura non come sanzione disciplinare, ma come effetto indiretto della pena accessoria comminata in perpetuo e già definitivamente inflitta, avendo la fattispecie penale contenuto tale da essere radicalmente incompatibile con il rapporto di impiego o di servizio (Corte cost. n. 268 del 2016, che ha escluso la sussistenza di analoghe ragioni d’incompatibilità assoluta con la prosecuzione del rapporto di impiego nel diverso caso dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici;cfr. anche Corte cost. n. 286 del 1999). Il conseguente provvedimento amministrativo non ha carattere né costituivo, né discrezionale, ma vincolato ed in sostanza dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo emesso nei confronti del dipendente, come ripetutamente affermato nella giurisprudenza di primo grado ( ex ceteris , T.A.R. Lazio, sez. I Bis, 4 luglio 2018, n. 7429).
Pertanto, diversamente da quanto sostenuto dal Ministero appellante, la vicenda in esame non costituisce un’ipotesi di rinnovazione del procedimento disciplinare e, perciò, non è riconducibile alla disciplina dell’art. 1373 del d.lgs. n. 66 del 2010.
7. – Quando il provvedimento amministrativo è semplicemente applicativo o ricognitivo di un effetto che scaturisce ex lege dalla sanzione inflitta dal giudice penale non resta spazio all’Amministrazione procedente per un proprio apprezzamento discrezionale, giacché a fronte di una determinazione giudiziale che recide in modo radicale il rapporto di servizio non è coerente che all’Amministrazione venga dato il potere di adottare un’autonoma misura disciplinare (cfr. C.d.S., sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 809;sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5526;sez. VI, 20 giugno 2003, n. 3675).
In tal caso, laddove la pena accessoria venga meno, rivive il potere disciplinare e i relativi termini cominciano a decorrere dalla data in cui l’Amministrazione viene a conoscenza del provvedimento giudiziale che fa venir meno la destituzione ex lege (cfr. C.d.S., sez. IV, n. 5526/2009 cit.).
8. – Pertanto, il procedimento disciplinare di stato nei confronti dell’odierno appellato avrebbe dovuto essere instaurato, ex art. 1392, co. 1, d.lgs. n. 66 del 2010, con la contestazione degli addebiti entro il termine di 90 giorni decorrente, al più tardi, dal 20 novembre 2020, data di ricezione da parte dell’Amministrazione militare del certificato di stato di esecuzione della Procura Generale presso la Corte di Appello di Napoli dal quale risultava la rideterminazione della pena interdittiva accessoria che costituiva il fondamento dell’istanza del 6 agosto 2020 di riesame e riammissione presentata dall’interessato.
Tuttavia la contestazione degli addebiti, prot. 343/6-0/2021 del 13 marzo 2021, è posteriore alla scadenza di quel termine e tanto basta alla conferma della sentenza di primo grado.
9. – Per queste ragioni, in conclusione, l’appello dev’essere respinto.
10. – Sussistono giustificati motivi, tenuto conto della natura delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del presente grado del giudizio.