Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-01-18, n. 201600140

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2016-01-18, n. 201600140
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600140
Data del deposito : 18 gennaio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03366/2006 REG.RIC.

N. 00140/2016REG.PROV.COLL.

N. 03366/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 3366 del 2006, proposto da:
P A M, titolare della Ditta Goldenovo, rappresentata e difesa dall'avvocato L C, con domicilio eletto presso l’avvocato G M G in Roma, corso Vittorio Emanuele II n. 18;

contro

Comune di Leporano in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato F D F, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Francesco Gentile n. 7;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo della Puglia, sede di Lecce, Sezione II, n. 00484/2005, resa tra le parti, concernente regolamento comunale per spargimento fertilizzanti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2015 il consigliere M A e uditi per le parti gli avvocati Roberto Colagrande su delega dell'avvocato L C e Giovanni Corbyons su delega dell'avvocato F D F;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo della Puglia, sede di Lecce, rubricato al n. 1712/2004, la signora A M P, in qualità di titolare e legale rappresentante della impresa individuale Goldenovo, impugnava la deliberazione in data 23 agosto n. 2004 n. 32 con la quale il Consiglio comunale di Leporano aveva approvato il regolamento in materia di spandimento dei fertilizzanti organici naturali e di adozione delle misure contro la proliferazione di insetti infestanti, il regolamento comunale medesimo e l’ordinanza in data 25 agosto 2004 n. 55 con la quale il Sindaco ne aveva ribadito la necessaria osservanza.

La ricorrente deduceva carenza di potere in capo all’Organo consiliare per violazione della normativa statale, avente rango costituzionale e di legge ordinaria, che disciplina il riparto di competenza legislativa fra Stato e regioni nonché illegittimità dell’art. 9 del regolamento nella parte in cui fa divieto di spandimento della pollina sul suolo nel periodo 1 maggio/1 ottobre.

Si costituiva in giudizio il Comune di Leporano chiedendo il rigetto del ricorso per avere l’Amministrazione resistente fatto corretta applicazione del criterio di riparto di cui alla legge costituzione 18 ottobre 2001, n. 3 con cui era stato riformato il titolo V della Costituzione (Le Regioni, le Province, i Comuni).

Con sentenza n. 484 in data 2 dicembre 2004 il Tribunale amministrativo della Puglia, sede di Lecce, Sezione Seconda, respingeva il ricorso affermando che la condotta del Comune è legittima alla stregua del criterio di riparto di competenza fra Stato, Regioni e Comuni ridefinito dal titolo V della Costituzione in quanto diretta applicazione della regola di sussidiarietà come fattore di flessibilità dell’ordine di competenze attribuite e predeterminate dalla Costituzione in vista del soddisfacimento di esigenze di pubblico interesse.

Richiamandosi ai principi statuiti dalla Corte Costituzione n. 303/2003, il primo giudice affermava che i principi di sussidiarietà e di adeguatezza operano come metodo di base per l’allocazione di funzioni al livello che nel concreto risulti il più adeguato rispetto a quello di astratta pertinenza.

2. Avverso la predetta sentenza propone appello, rubricato al n. 3366/2006, la signora A M P contestando gli argomenti che ne costituiscono il presupposto e chiedendo la sua riforma e l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Il Comune appellato si è costituito in giudizio sostenendo l’infondatezza delle tesi dell’appellante ed evidenziando che la stessa ha prestato spontanea esecuzione agli atti e provvedimenti comunali per i quali è controversia;
sarebbe quindi cessata la materia del contendere.

La causa è stata chiamata in decisione alla pubblica udienza del 6 ottobre 2015.

3. La causa deve essere decisa nel merito in quanto il comportamento dell’appellante, la quale dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado ha uniformato il suo comportamento a quanto ivi statuito, non fa venire meno il suo interesse all’annullamento degli atti impugnati allo scopo di riprendere un sistema di smaltimento dei rifiuti evidentemente ritenuto più consono alle necessità dell’azienda.

Nel merito, l’appello merita accoglimento entro i termini di seguito precisati.

L’appellante è titolare di una impresa individuale operante nel settore dell’allevamento di galline ovaiole (107.000 capi allevati) i cui rifiuti organici fino alla adozione degli atti e provvedimenti impugnati venivano utilizzati come fertilizzanti e smaltiti con la tecnica dell’interramento nel sottosuolo secondo le prescrizioni di cui al D.M. 19 aprile 1999 (codice di buona pratica agricola) emanato in attuazione della direttiva comunitaria 91/676 e dell’art. 80, comma primo lett. f) del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 12.

Sostiene l’appellante che l’art. 38 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, attribuiva alle Regioni il potere di disciplinare le attività di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali da adottare con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali;
la legge regionale della Puglia 30 novembre 2000, n. 17, in esecuzione della normativa statale attribuiva alle province il compito di disciplinare l’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento.

L’appellante contesta l’ordinanza sindacale indicata in narrativa, unitamente al presupposto regolamento comunale, con cui il Comune di Leporano ha disciplinato e provveduto sulla gestione sanitaria dello stallatico e degli effluenti di allevamento.

Avverso gli atti impugnati deduce i seguenti motivi:

- violazione degli artt. 97 Cost., art. 117 comma sesto Cost., art. 38 commi secondo e terzo del d.lgs. 11 maggio 1999 n. 152, in quanto nella specie non ricorrerebbero i presupposti per l’esercizio di potestà regolamentare da parte dei Comuni;

- violazione dell’art. 7, comma sesto, della legge 5 giugno 2003 n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), in base al quale anche a seguito della riforma del titolo V della Costituzione e fino alla adozione dei necessari provvedimenti attributivi le funzioni amministrative di cui all’art. 118 Cost. continuano a essere esercitate secondo le disposizioni vigenti e pertanto continuano a essere esercitate, nella Regione Puglia, dalle province ai sensi della legge regionale n. 17/2000;

- in subordine, eccesso di potere per illogicità e non proporzionalità, in quanto il divieto assoluto di smaltimento dei fertilizzanti organici naturali nel periodo 1 maggio/1 ottobre (art. 9, comma quarto, del regolamento comunale) porterebbe a un irragionevole stoccaggio interno all’azienda ai fini del successivo smaltimento con il rischio di pregiudizio sanitario ben più grave di quello che il regolamento tendeva ad evitare.

L’appellato, la cui tesi, come riferito, è stata condivisa dal primo giudice, sostiene che la disciplina dettata dal Comune rappresenta un’adeguata estrinsecazione del ruolo dell’Ente territoriale ex art. 3, comma secondo, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, anche dopo l’entrata in vigore della richiamata riforma costituzionale e che il divieto di interramento della pollina non preclude altre forme di smaltimento fuori dall’azienda.

In particolare, l’appellato sostiene che il criterio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost. opera non già come “ ratio ” ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come elemento di flessibilità in base al quale distribuire le funzioni amministrative in capo all’ente territoriale concretamente più adeguato al compito rispetto all’ente astrattamente preposto.

Tale impostazione non può trovare accoglimento.

L’art. 117 Cost. stabilisce che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione secondo la ripartizione di cui al comma secondo (materie di legislazione esclusiva dello Stato), comma terzo (materie di legislazione concorrente delle Regioni) e comma quarto (materie di legislazione residuale delle Regioni), nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (comma primo);
la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva e alle Regioni in ogni altra materia mentre comuni, province e città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite (comma sesto).

Di conseguenza, i comuni esercitano potestà regolamentare soltanto in ordine alla disciplina e svolgimento delle funzioni loro specificamente attribuite.

L’art. 118, comma primo, della Costituzione attribuisce ai comuni la generale titolarità delle funzioni amministrative con esclusione di quelle che esulano dall’interesse locale le quali sono attribuite alla provincia o, “ ratione materiae ”, alla città metropolitana o alla comunità montana al fine sotteso di assicurare l’unitarietà di esercizio per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell’azione amministrativa ovvero per motivi funzionali o economici o per esigenze di programmazione o di omogeneità territoriale.

Al contempo, l’art. 118, comma secondo, della Costituzione precisa che i comuni esercitano le funzioni amministrative proprie, ossia correlate alle funzioni fondamentali di stretta competenza, e le funzioni amministrative conferite con legge statale se pervengono dagli ambiti di legislazione esclusiva dello Stato o con legge regionale se relative alle materie di potestà legislativa concorrente e residuale.

La “ ratio ” della normativa sopra indicata risponde all’esigenza di garantire l’allocazione delle funzioni pubbliche tenendo conto delle caratteristiche e dell’idoneità operativa dell’ente al conseguimento dell’interesse pubblico sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

La problematica ora in controversia presenta due aspetti:

a) attribuzione al Comune di potestà regolamentare in materia di sanità in conseguenza della riforma del titolo V della Costituzione;

b) legittimità costituzionale della legge n. 17 in data 30 novembre 2000 con la quale la Regione Puglia aveva dettato espressa disciplina in materia ancor prima della riforma del titolo V della Costituzione.

Il Collegio osserva che il quadro di distribuzione della potestà legislativa tra Stato e Regione e di attribuzione della potestà regolamentare al Comune non è stato modificato, ai fini che in questa sede rilevano, dall’art. 117 Cost. e dalla consacrazione del principio di sussidiarietà verticale di cui all’art. 118 Cost. oggi vigenti.

La tesi proposta dal Comune appellato, fatta propria dal primo giudice, appare in contrasto con l’enunciato delle disposizioni di cui si tratta atteso che l’art. 117 comma terzo citato attribuisce la tutela della salute alla legislazione concorrente delle Regioni e la sottrae, evidentemente, alla potestà normativa dei Comuni.

Deve quindi essere affermato che il legislatore costituzionale ha evidentemente ritenuto che l’interesse alla salute riceve adeguata tutela in ambito regionale, e ha quindi individuato la regione quale soggetto istituzionale responsabile del coordinamento e della programmazione generale in quanto ente territoriale espressione e rappresentativo di interessi, quale quello alla salute, di rilevanza sovracomunale.

Peraltro, il Comune nelle sue difese non supera l’argomentazione secondo la quale in base all’art. 117 comma sesto citato i Comuni possono esercitare la potestà regolamentare con riferimento all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni solo se espressamente attribuite né allega e dimostra perché la potestà normativa in questione debba essere ricondotta all’esercizio delle funzioni amministrative disciplinate dall’art. 118 Cost.

Afferma il Collegio che la tesi dell’appellato si scontra con il dato positivo appena richiamato in quanto l’art. 118 involge un ambito operativo diverso legato non già al potere di previsione generale ed astratta di una regola ma al perseguimento in concreto da parte dei Comuni dei compiti di interesse generale di rilevanza locale.

E’ pertanto chiara la volontà del legislatore costituente di attribuire la potestà legislativa e regolamentare alle regioni affinché l’adozione delle norme sanitarie e di polizia sanitaria trovi applicazione uniforme su tutto il territorio regionale e nazionale avuto riguardo alla circostanza che la determinazione dei principi fondamentali è riservata allo Stato.

Di conseguenza, l’organizzazione amministrativa impostata dalla Regione Puglia con la legge regionale 30 novembre 2000, n. 17, che ha attribuito alle province il compito di regolamentare lo smaltimento dei rifiuti organici da allevamento, non ha perso efficacia a seguito dell’entrata in vigore della richiamata riforma costituzionale.

Osserva inoltre, “ ad colorandum ”, il Collegio che la normativa di rango ordinario attualmente vigente in materia conferma il criterio di riparto delle funzioni legislative e amministrative sopra descritto.

Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (“Norme in materia ambientale”), per quanto qui di interesse, contiene i principi che costituiscono le condizioni minime ed essenziali a difesa del suolo e a tutela delle acque dall'inquinamento avendo come obiettivo espresso la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell'ambiente e l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.

Alla materia è dedicata la sezione seconda (“Tutela delle acque dall’inquinamento”) inserita nella parte terza (“Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione”) la quale definisce la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee con la finalità di prevenire e ridurre l’inquinamento nonché perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche e, a tal fine, richiama la necessità di norme specifiche recanti l’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento e lo spargimento sul terreno dei fertilizzanti.

In particolare, l’art. 75 (“Competenze”) al comma primo ribadisce che lo Stato esercita le competenze ad esso spettanti per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema attraverso il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, fatte salve le competenze in materia igienico-sanitaria spettanti al Ministro della salute, e che le regioni e gli enti locali esercitano le funzioni e i compiti ad essi spettanti nel quadro delle competenze costituzionalmente determinate e nel rispetto delle attribuzioni statali.

L’art. 112 (“Utilizzazione agronomica”) al comma secondo precisa che sono le regioni a disciplinare la gestione degli effluenti di allevamento intensivo, dalla loro produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali.

Il quadro normativo appena riassunto è confermato dalla normativa successivamente entrata in vigore.

In particolare, il D.M. del Ministero delle Politiche agricole e forestali 7 aprile 2006, adottato in applicazione dell’art. 38, comma secondo del d.lgs. 152/1999, detta criteri e norme tecniche in base alle quali le regioni disciplinano la gestione sanitaria dello stallatico e degli effluenti di allevamento.

Di tenore ancora più inequivocabile è il Regolamento (CE) in data 3 ottobre 2002 n. 1774, sostituito dal Regolamento (CE) in data 21.10.2009 n. 1069, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano, il quale pone prescrizioni minime sanitarie direttamente vincolanti in ambito nazionale concernenti la raccolta, l’uso e l’eliminazione dei sottoprodotti di origine animale e dei prodotti da essi derivati al fine di evitare i rischi che tali sottoprodotti potrebbero comportare per la salute pubblica o degli animali, facendo obbligo agli Stati membri di adottare le misure adeguate e di predisporre le infrastrutture sufficienti a garantire l’applicazione uniforme e omogenea delle prescrizioni su tutto il territorio.

Inoltre, il Regolamento (UE) in data 25 febbraio 2011 n. 142, recante disposizioni di applicazione del regolamento (CE) n. 1069/2009, stabilisce norme dettagliate riguardanti l’uso e lo smaltimento dei sottoprodotti di origine animale al fine di realizzare l’uso sostenibile di materiali di origine animale e un elevato livello di tutela della salute pubblica e animale nell’Unione europea.

Non può essere infine valorizzato, in senso contrario alla tesi fin qui esposta, l’argomento secondo cui sulla base anche di Corte Costituzionale 1 ottobre 2003, n. 303, i principi di sussidiarietà e di adeguatezza possono giustificare una deroga al normale criterio di riparto delle competenze di cui agli artt. 117 e 118 Cost.

Il Collegio osserva come la pronuncia richiamata riguardi il riparto di funzioni legislative tra Stato e Regioni e la possibilità di attrarre allo Stato in sussidiarietà non già la funzione amministrativa secondo la regola positiva di cui all’art. 118 ma la funzione legislativa, per assicurarne l’esercizio unitario e coordinato.

La sentenza richiamata peraltro ribadisce la stretta osservanza del principio di legalità, nel senso che anche le funzioni legislative assunte dallo Stato per sussidiarietà devono essere organizzate e regolate dalla legge;
in altri termini devono essere sorrette da un iter legale in cui assumono il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento fra i diversi enti in termini derogatori rispetto all’ordinario criterio di riparto, e che a tale iter deve essere subordinata l’efficacia della disciplina successivamente introdotta.

La sentenza richiamata non affronta, invece, il problema che costituisce il fulcro della presente controversia, relativo alla possibilità di attrarre ai Comuni la potestà regolamentare su materia che il legislatore costituente attribuisce espressamente alla Regione nonché relativo alla possibilità che il criterio di sussidiarietà che governa la distribuzione delle funzioni amministrative abbia anche la capacità di derogare l’ordinario criterio di riparto della potestà normativa in assenza di specifico titolo.

Invero, il Collegio ribadisce che tale impostazione si pone in contrasto con l’art. 117 Cost. il quale attribuisce la potestà legislativa in termini non di rapporto di gerarchia ma di separazione di competenze secondo lo schema rigido stabilito dalla Costituzione.

4. L’appello deve, in conclusione essere accolto annullando, per l’effetto, i provvedimenti impugnati, per quanto di ragione, ferma restando la possibilità per il Comune appellato di intervenire a tutela di situazioni di emergenza sanitaria o di pericolo per l’igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, debitamente accertate, a norma dell’art. 50, comma quinto, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

Gli ulteriori motivi di censura proposti dall’appellante in via di subordine, relativi alla dedotta illogicità e non proporzionalità del divieto di spandimento nel periodo 1 maggio/1 ottobre, devono essere assorbiti.

Le spese possono essere integralmente compensate in ragione della parziale novità e della complessità delle questioni affrontate;
è fatto salvo il diritto dell’appellata al recupero del contributo unificato di entrambi i gradi del giudizio.

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