Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-12-22, n. 202008230

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-12-22, n. 202008230
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008230
Data del deposito : 22 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 22/12/2020

N. 08230/2020REG.PROV.COLL.

N. 01566/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1566 del 2010, proposto da
Bangladesh Ingrosso di N M A e C. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Marcello Prestinari, 13

contro

Comune di Roma (Roma Capitale), Direttore dell’Ufficio Vigilanza, Municipio 1 Roma Centro Storico, non costituiti in giudizio

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma, Sezione II-ter, n. 12677/2009


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica telematica del giorno 10 novembre 2020, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Cons. C A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO e DIRITTO

Con il presente appello è stata impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio del 9 dicembre 2009, con cui è stato respinto il ricorso proposto avverso la determina del direttore dell’ufficio vigilanza del Municipio I del Comune di Roma n. 1509 del 5 luglio 2005 di cessazione della autorizzazione amministrativa n. 1187 del 25 ottobre 1994 per la vendita al dettaglio e di chiusura immediata dell’esercizio commerciale intestato alla società Bangladesh Ingrosso di Nura MD Alam &
C. s.n.c.., sito in via Principe Amedeo 160.

Il provvedimento di cessazione dell’autorizzazione e di chiusura dell’esercizio è stato adottato, ai sensi dell’ art. 22 comma 6 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, che sanziona l’esercizio abusivo dell’attività di vendita, essendo stata accertata attività di vendita all’ingrosso svolta senza la prescritta autorizzazione, in quanto l’autorizzazione rilasciata alla società il 25 ottobre 1994 riguardava solo l’attività di vendita al dettaglio;
l’ attività di vendita all’ingrosso sarebbe avvenuta, dunque, in violazione degli articoli 26, comma 2, del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 e dell’ art. 24, comma 2 bis , della legge regionale 18 novembre 1999, n. 33 che - nel testo allora vigente- vietavano l’esercizio congiunto di attività di vendita all’ingrosso e al dettaglio;
inoltre il provvedimento faceva riferimento alle delibere del Consiglio comunale n. 5 e 187 del 2003 che vietavano l’attività di vendita all’ingrosso nella zona.

Ciò sulla base di un accertamento effettuato dalla Polizia municipale nel negozio, il 6 ottobre 2004, nel corso del quale era stata accertata la vendita ad un altro commerciante di 60 pezzi di profumo al prezzo complessivo di euro 120,00 (2,00 euro per singolo prodotto), mentre i prezzi erano indicati da euro 6,20 ad un massimo di euro 14,00;
per l’acquisto era stato emesso solo scontrino fiscale, al momento dell’ingresso del negozio degli agenti, mentre l’acquirente aveva dichiarato di essere in attesa del rilascio della fattura.

Per la vicenda è stata irrogata anche sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 22 comma 2 del d.lgs. n. 114 del 1998, per cui è stato proposto ricorso amministrativo al Sindaco, ai sensi dell’art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Il provvedimento era stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento notificata il 15 marzo 2005, con l’invito a prendere visione degli atti e a presentare memorie nel termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione.

La parte odierna appellante aveva presentato memoria in data 22 marzo 2005.

Con il ricorso di primo grado erano state formulate le eseguenti censure:

- eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti e per difetto di istruttoria, contestando la circostanza di fatto della intervenuta vendita all’ingrosso all’interno dell’esercizio commerciale di vendita al dettaglio, in quanto il ricorrente non conosceva la qualità di commerciante dell’acquirente;
inoltre per la vendita aveva emesso scontrino fiscale e non fattura e nel complesso l’operazione era di ridotte dimensioni rispetto ad una vendita all’ingrosso;

- eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed insufficienza della motivazione, con cui ha lamentato la sproporzione tra il fatto contestato e la sanzione adottata da parte del Comune;

- eccesso di potere per violazione delle regole del procedimento ed insufficienza della motivazione,

non essendo state valutate le osservazioni presentate dal ricorrente, il 22 marzo 2005, nel termine di dieci giorni assegnato con la comunicazione di avvio del procedimento notificato il 15 marzo 2005, mentre nel provvedimento era indicata la mancata presentazione di osservazioni.

Con ordinanza n. 6029 del 24 ottobre 2005 è stata accolta la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.

Con la sentenza n. 12677 del 9 dicembre 2009 è stato respinto il ricorso ritenendo integrata la fattispecie della vendita all’ingrosso senza autorizzazione.

Con l’atto di appello sono state sostanzialmente riproposte le censure del ricorso di primo grado, contestando, in primo luogo, la circostanza della avvenuta vendita all’ingrosso, ribadendo che la parte non conosceva la qualità di commerciante dell’acquirente e sostenendo che di per sé avere applicato uno sconto non comporta la vendita all’ingrosso;
né avrebbe potuto integrare tale fattispecie la circostanza che la parte avesse emesso scontrino fiscale solo al momento della entrata degli agenti della Polizia municipale;
è stata poi lamentata la sproporzione tra l’episodio e i provvedimento adottati di cessazione dell’autorizzazione e chiusura dell’attività;
ha contestato l’argomentazione del giudice di primo grado relativa alla natura vincolata dell’atto, riguardando le osservazioni presentate dall’appellante anche i presupposti di fatto del provvedimento.

Il Comune non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n.1502 del 1 aprile 2010 è stata accolta domanda cautelare di sospensione della sentenza impugnata.

Con ordinanza n. 3603 del 29 maggio 2019, in esito alla udienza pubblica del 23 maggio 2019, è stata disposta istruttoria per acquisire dall’appellante l’esito del ricorso amministrativo al Sindaco, ex art. 18, l. 689/1981 avverso l’ordinanza ingiunzione contenente la sanzione pecuniaria.

Nella memoria per la udienza pubblica del 30 giugno 2020 il difensore dell’appellante ha dedotto di essere impossibilitato ad adempiere all’istruttoria non riuscendo a contattare il cliente.

Con ordinanza n. 4558 del 14 luglio 2020 è stata reiterata l’istruttoria anche al Comune, che non ha adempiuto, mentre il difensore dell’appellante ha depositato il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria del 21 settembre 2009 e una schermata dell’ufficio comunale da cui risulterebbe l’acquisizione da parte dell’ufficio contravvenzioni della ordinanza di sospensione del Consiglio di Stato.

All’udienza pubblica telematica del giorno 10 novembre 2020, tenuta ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, l’appello è stato trattenuto in decisione.

Ritiene il Collegio la fondatezza dell’appello.

Il provvedimento è basato sulla violazione della disposizione dell’art. 26 comma 2 del d.lgs. n. 114 del 1998, che, nel testo vigente al momento di adozione dell’atto impugnato in primo grado, poneva il divieto dell’“ esercizio congiunto nello stesso locale dell'attività di vendita all'ingrosso e al dettaglio salvo deroghe stabilite dalle Regioni” .

La legge regionale del Lazio n. 33 del 1999, all’ art. 24 comma 2 bis , confermava tale divieto, prevedendo specifiche deroghe solo per alcune attività (vendita di macchine, attrezzature ed articoli tecnici per l'agricoltura, l'industria, il commercio e l'artigianato;
materiale elettrico ed elettronico, colori e vernici, carte da parati;
ferramenta, utensileria e legnami, ivi compresi quelli da ardere;
articoli per impianti idraulici, a gas ed igienici, articoli per il riscaldamento ed idrosanitari;
veicoli di ogni tipologia, motocicli e relativi accessori e parti di ricambio, navi ed aeromobili;
combustibili, materiali e prefabbricati per l'edilizia;
mobili ed articoli per l'arredamento).

L’ufficio vigilanza del I Municipio, ritenendo integrata la fattispecie della vendita all’ingrosso, in violazione di tali disposizioni ha irrogato una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. 114 del 1998, per cui è stato proposto al Sindaco il ricorso amministrativo previsto dall’art. 18 della legge n. 24 novembre 1981 n. 689;
con il provvedimento oggetto del presente giudizio ha dichiarato la cessazione dell’autorizzazione di vendita al dettaglio e disposto la chiusura dell’esercizio, in base all’art. 22 comma 6, del d.lgs. 114 del 1998, per cui “ in caso di svolgimento abusivo dell'attività il sindaco ordina la chiusura immediata dell'esercizio di vendita”.

Nel provvedimento si fa, altresì, riferimento genericamente al divieto di esercizio dell’attività di vendita all’ingrosso nella zona in cui è posto l’esercizio, ma senza alcuna indicazione della disposizione dell’art. 32 bis della legge regionale n. 33 del 1999, che sanzionava la vendita congiunta al dettaglio e all’ingrosso nelle aree del centro storico con la chiusura immediata dell’esercizio.

Il provvedimento impugnato come anche la comunicazione di avvio del procedimento del 22 febbraio 2005 fanno riferimento ad una attività congiunta di vendita all’ingrosso e al dettaglio effettuata nel locale, richiamando il rapporto della Polizia municipale del 19 ottobre 2006, con cui era stato comunicato all’ufficio commercio del I Municipio l’accertamento operato il 6 ottobre 2006 presso il negozio di via Principe Amedeo 160.

Nel provvedimento dell’Ufficio vigilanza del I Municipio non vi è alcuna indicazione dell’episodio effettivamente contestato dalla Polizia Municipale né una valutazione sulla situazione rilevata nel negozio rispetto al divieto di vendita congiunta all’ingrosso e al dettaglio.

Ne deriva, ad avviso del Collegio, il difetto di istruttoria e di motivazione, non potendo un provvedimento di grave contenuto afflittivo come la cessazione dell’autorizzazione e la chiusura dell’attività, essere disposto in mancanza di una contestazione specifica delle circostanze che hanno condotto gli uffici comunale a ritenere svolta una attività di vendita all’ingrosso.

Inoltre, l’episodio contestato, risultante dal verbale dell’accertamento effettuato dalla Polizia municipale, della vendita di 60 profumi ad un altro commerciante al dettaglio, di per sé, non costituisce una prova di una attività di vendita all’ingrosso, trattandosi di un unico episodio che di per sé poteva essere semplicemente una vendita ad un prezzo molto scontato, in relazione alla quantità di merce acquistata.

Sotto tale profilo, si deve considerare che se la norma non prevede che venga accertata una abitualità della condotta o la reiterazione nel tempo dell’attività di vendita all’ingrosso, l'accertamento dello svolgimento dell'attività vietata di vendita all'ingrosso deve essere effettuato in modo rigoroso verificando gli elementi di fatto secondo le regole di buona amministrazione che richiedono, prima dell'attivazione di un potere sanzionatorio gravemente incidente sull’attività dei privati, un’adeguata fase istruttoria, che, dalla mancanza di motivazione del provvedimento impugnato in primo grado, risulta mancata, nel caso di specie.

Infatti, la vendita di sessanta profumi ad un prezzo molto scontato, date le circostanze di fatto relative alla natura (autorizzato alla vendita di abbigliamento, bigiotteria, profumeria, prodotti per l’igiene della casa e occhiali da sole) e collocazione del negozio, non appare univoca nel senso di manifestare una attività di vendita all’ingrosso, piuttosto che un consistente sconto praticato al di fuori dei limiti stagionali posti dalla disciplina di settore.

Peraltro, il provvedimento risulta anche sproporzionato, in quanto è stato adottato con effetti definitivi anche sull’autorizzazione di cui la società era titolare, ovvero quella per la vendita al dettaglio del 25 ottobre 1994, rispetto alla quale il potere sanzionatorio è espressamente disciplinato dall’art. 22 comma 4, del d.lgs. 114 del 1998 con riferimento ad alcune violazioni specifiche (mancato inizio dell’attività entro un anno dalla data del rilascio, sospensione dell’ attività per un periodo superiore ad un anno;
mancanza dei requisiti per l’esercizio dell’attività commerciale;
ulteriori violazione delle prescrizioni in materia igienico-sanitaria avvenuta dopo la sospensione dell'attività disposta per tali violazioni), tra cui non rientra la violazione del divieto di vendita congiunta all’ingrosso e al dettaglio.

I primi due motivi di appello sono dunque fondati e conducono all’accoglimento del ricorso di primo grado.

Per completezza argomentativa, ritiene il Collegio di esaminare, altresì, l’ulteriore motivo di appello, rispetto al quale non sussisterebbe autonomo interesse, essendo stati accolti i due precedenti motivi.

Deve, infatti, ritenersi fondato anche il motivo relativo alla violazione procedimentale.

Premesso che il Collegio non intende discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui le norme in materia di partecipazione procedimentale non devono essere lette in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, escludendo, quindi, la rilevanza della sua omissione quando nessuna effettiva influenza avrebbe potuto avere la partecipazione del privato rispetto alla concreta portata del provvedimento finale, come prevede l'art. 21 octies , comma 2, della stessa L. n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, Sezione II, 17 settembre 2019, n. 6209;
sezione III, 19 febbraio 2019, n. 1156;
sezione IV, 11 gennaio 2019, n. 256;
id., 27 settembre 2018, n. 5562), si deve rilevare che la stessa giurisprudenza ritiene non possa essere omessa la partecipazione quando, anche nell’attività vincolata, questa riguardi i presupposti di fatto del provvedimento per cui la partecipazione procedimentale avrebbero potuto condurre ad una decisione differente da quella in concreto adottata (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 10 febbraio 2020, n. 1001), quindi non si esclude la rilevanza dell’apporto partecipativo anche nelle attività vincolate, quando questo possa contribuire all’individuazione dei corretti presupposti di fatto del potere vincolato.

Peraltro, nel caso di specie, è stata la stessa Amministrazione comunale ad avere comunicato l’avvio del procedimento, notificato il 15 marzo 2005, assegnando il termine di dieci giorni per la presentazione delle memorie, tempestivamente presentate dalla parte il 18 marzo 2005, ma ha poi indicato nel provvedimento finale come non “pervenute osservazioni” nei termini prescritti.

Se anche, quindi, l’Amministrazione non ha un onere di specifica controdeduzione in merito alle osservazioni presentate dal privato, essendo sufficiente che ne abbia dato conto in modo sintetico (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 682;
Sezione IV, 26 aprile 2018, n. 2512), nel caso di specie, sussiste una evidente violazione delle regole di correttezza e buona fede, che costituiscono un principio di carattere generale dell’attività amministrativa e devono presiedere a tutto lo svolgimento dell’attività amministrativa comprese le modalità della sequenza procedimentale.

Sotto tale profilo, ritiene il Collegio di richiamare l’ art. 1 comma 2 bis della legge n. 241 del 1990, aggiunto dall'art. 12, comma 1, lett. 0a), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, che ha indicato espressamente che “ i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede ”, non immediatamente applicabile alla presente vicenda ma rispondente ad un consolidato canone giurisprudenziale (cfr. Ad. Plen. 30 agosto 2018, n. 12).

Si deve, dunque, ritenere manifestamente contrario a tali principi, che la Amministrazione pubblica provveda a inviare la comunicazione di avvio del procedimento e poi, a seguito della tempestiva presentazione delle stesse, non le consideri presentate.

In conclusione l’appello è fondato e deve essere accolto con riforma della sentenza impugnata e accoglimento del ricorso di primo grado.

La mancata costituzione del Comune appellato comporta la mancata statuizione sulle spese del giudizio.

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