Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-11-11, n. 201008020

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-11-11, n. 201008020
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201008020
Data del deposito : 11 novembre 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02747/2006 REG.RIC.

N. 08020/2010 REG.SEN.

N. 02747/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 2747 del 2006, proposto dal signor R P, rappresentato e difeso dagli avv.ti F A e G C, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Rovereto, 18,

contro

il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, non costituito,

per l’annullamento e/o la riforma

della sentenza 13 dicembre 2005, nr. 2273, del Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna, che ha statuito negativamente sul risarcimento del danno derivante dal giudizio di non idoneità emesso dal Centro di Reclutamento del Corpo della Guardia di Finanza, successivamente annullato in quanto illegittimo con sentenza nr. 1187 del 1994 del Tribunale Amministrativo Regionale della Sardegna, a sua volta confermata dalla decisione nr. 1937 del 2003 della Sezione Quarta del Consiglio di Stato.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2010, il Consigliere Raffaele Greco;

Udito l’avv. Ancora per l’appellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Il signor Rolando P ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. della Sardegna ha respinto il ricorso con il quale egli aveva richiesto la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al risarcimento del danno cagionatogli dal provvedimento con cui era stato giudicato non idoneo all’arruolamento nella Guardia di Finanza, provvedimento a suo tempo annullato con sentenza dello stesso T.A.R. della Sardegna confermata da questa Sezione.

A sostegno dell’impugnazione, l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza gravata, atteso che nella fattispecie la colpa della P.A. era consistita in un’erronea applicazione della normativa di riferimento, e non in un erroneo e opinabile giudizio tecnico-scientifico.

Pertanto, egli ha reiterato la richiesta di condanna dell’Amministrazione alla somma di € 157.580,00 per lucro cessante in relazione alle retribuzioni non percepite, nonché all’ulteriore somma di € 500.000,00 per danni morali ed esistenziali, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

L’Amministrazione appellata non si è costituita.

All’udienza del 15 ottobre 2010, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il signor Rolando P nel 1992 ha partecipato a un concorso per l’arruolamento nel Corpo della Guardia di Finanza all’esito del quale, pur avendo superato tutte le prove, è stato giudicato fisicamente non idoneo perché affetto da “emopatia della serie rossa” (e cioè da betatalassemia, o anemia mediterranea).

Proposto ricorso giurisdizionale avverso tale provvedimento, il T.A.R. della Sardegna lo ha annullato con sentenza nr. 1187 del 1994, confermata da questa Sezione con decisione nr. 1937 del 2003.

Nel presente giudizio, il signor P ha chiesto condannarsi l’Amministrazione al risarcimento del danno cagionatogli dal suo illegittimo operato, sul rilievo che il lungo lasso di tempo decorso rendeva ormai impraticabile una tutela per equivalente;
il T.A.R. della Sardegna, con la sentenza odiernamente impugnata, ha però respinto la pretesa attorea reputando insussistente l’elemento psicologico della colpa dell’Amministrazione.

2. Ciò premesso, l’appello è fondato e pertanto meritevole di accoglimento, nei termini e nei limiti appresso specificati.

3. Ed invero, il primo giudice ha sostenuto l’insussistenza della colpa dell’Amministrazione sul rilievo che solo in epoca successiva a quella del provvedimento lesivo (che è del 7 aprile 1993) le conoscenze scientifiche sull’affezione “betatalassemia” (o “anemia mediterranea”) sarebbero progredite al punto da escluderne il carattere invalidante e preclusivo dell’annullamento per i soggetti, come l’odierno appellante, che ne risultassero “portatori sani”.

Tuttavia, non può non convenirsi con la prospettazione di parte appellante secondo cui, come è dato evincere dalla lettura delle sentenze con cui si è definito il giudizio di annullamento del ridetto provvedimento di inidoneità (e, soprattutto, della decisione di questa Sezione nr. 1937 del 2003), la ragione della ritenuta illegittimità di tale atto non è stata affatto ravvisata nell’erroneità del giudizio medico-scientifico circa il carattere invalidante della patologia riscontrata nel candidato – ciò che, a tacer d’altro, avrebbe comportato una quanto meno discutibile ingerenza del sindacato giurisdizionale nelle valutazioni tecnico-scientifiche rimesse all’Amministrazione – bensì nell’erronea applicazione della normativa regolamentare in materia di imperfezioni fisiche e patologie suscettibili di precludere l’arruolamento.

In particolare, l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione si è sostanziata nell’erronea applicazione del decreto ministeriale 3 febbraio 1992, contenente l’elencazione delle predette imperfezioni e patologie, nell’ambito del quale non erano ricomprese le affezioni riconducibili alla suindicata “betetalassemia”;
si è altresì aggiunto che non è che il decreto in questione escludesse in toto la possibilità di un giudizio di inidoneità anche per patologie non ricomprese nell’elencazione de qua, ma che in tal caso sarebbe stata necessaria una più analitica e puntuale motivazione sul perché queste venivano giudicate invalidanti (ciò che non è avvenuto nel caso di specie).

Inoltre, come correttamente sottolineato dall’appellante, il silenzio del d.m. 3 febbraio 1992 sulle patologie ematiche del tipo di quella che qui interessa assumeva maggior significato a fronte del fatto che il previgente d.m. 21 dicembre 1987, invece, riportava fra le patologie ritenute invalidanti la “ talassemia senza espressione emolitica ”: ciò che a fortiori dimostrava l’intento del legislatore di escludere dette patologie dal novero di quelle impeditive dell’arruolamento.

Quest’ultima circostanza, ad avviso della Sezione, avrebbe dovuto avvertire l’Amministrazione quanto meno della necessità di dedicare una particolare attenzione alla motivazione posta a base del giudizio di inidoneità espresso nei confronti dell’odierno appellante, e non può non essere ritenuta fortemente indicativa, nella fattispecie, di una negligenza idonea e sufficiente a fondare un giudizio di sussistenza dell’elemento della colpa dell’Amministrazione, integrativo dell’ipotizzato illecito aquiliano.

4. Alla luce dei rilievi che precedono, e tenuto conto della pacifica sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi dell’illecito ex art. 2043 c.c. – essendo evidente l’ingiustizia del danno in virtù della già accertata illegittimità del provvedimento di inidoneità, ed essendo palese il nesso di causalità fra tale atto e il pregiudizio lamentato dall’appellante, che consiste nel mancato conseguimento di un arruolamento dovuto giusta l’esito delle prove concorsuali -, s’impone la riforma della sentenza impugnata con l’accoglimento della domanda risarcitoria proposta dall’appellante.

5. Venendo ora alla quantificazione del danno risarcibile, e principiando dal lucro cessante, non può accogliersi la richiesta di parte appellante, che ha chiesto commisurarsi tale danno alle retribuzioni non percepite a partire dalla data del mancato arruolamento.

Infatti, come già in occasioni analoghe sottolineato da questa Sezione e condiviso dalla prevalente giurisprudenza della S.C., in sede di quantificazione per equivalente del danno in ipotesi di omessa o ritardata assunzione, questo non si identifica in astratto nella mancata erogazione della retribuzione e della contribuzione (elementi che comporterebbero una vera e propria restitutio in integrum e che possono rilevare soltanto sotto il profilo, estraneo al presente giudizio, della responsabilità contrattuale), occorrendo invece caso per caso indicare e dimostrare l’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non patrimoniale che trovino causa nella condotta illecita del datore di lavoro (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2009, nr. 4325;
Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2007, nr. 62282;
id., 21 dicembre 2000, nr. 1324).

Tanto premesso, nel caso di specie se certamente è intuitivamente percepibile l’esistenza di un pregiudizio materiale per effetto del mancato arruolamento, occorre però tener conto del fatto che l’appellante, per il periodo di mancata assunzione, non ha dovuto impegnare le proprie energie nell’esclusivo interesse dell’Amministrazione, ma ha potuto rivolgerle alla cura d’ogni altro interesse, sia sul piano lavorativo che del perfezionamento culturale e professionale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 ottobre 2008, nr. 5413;
Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2006, nr. 4645;
C.g.a.r.s., 20 aprile 2007, nr. 361).

Pertanto, il danno risarcibile può essere quantificato equitativamente e, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2056, commi 1 e 2, e 1226 c.c., determinato in una somma pari al 50 % delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte nel periodo decorrente dalla data del provvedimento di inidoneità (7 aprile 1993) a tutt’oggi, con esclusione di quanto a qualsiasi titolo percepito dall’interessato nel medesimo periodo per attività lavorative;
al riconoscimento delle spettanze retributive si ricollega l’obbligo di regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale (sempre nei limiti appena precisati).

Le somme così determinate andranno incrementate per rivalutazione monetaria e interessi compensativi al tasso legale, questi ultimi nella misura eccedente il danno da svalutazione, da calcolarsi a partire dalla data di pubblicazione della sentenza.

6. Non può trovare accoglimento, invece, l’ulteriore domanda intesa al risarcimento dei danni morali ed esistenziali che l’appellante assume di aver patito, siccome non assistita dal sia pur minimo principio di prova.

Pertanto, non può aderirsi alla prospettazione dell’istante, secondo cui lo stato depressivo (peraltro non documentato) accusato dal signor P e il conseguente ritardo nel reperimento di altro impiego sarebbero da ricondurre causalmente alla frustrazione cagionata dalla vicenda amministrativa per cui è causa, piuttosto che alle ordinarie e notorie difficoltà che affliggono il mercato del lavoro in territori come quello della Regione Sardegna.

7. In conclusione, è possibile ordinare all’Amministrazione appellata, ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., di formulare un’offerta risarcitoria sulla base dei criteri sopra individuati al punto 5 nel termine di sessanta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza.

Qualora tra le parti non si raggiunga l’accordo sulla somma da corrispondere, alla determinazione di questa provvederà questa Sezione in sede di ottemperanza, su richiesta di parte.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.

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