Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-14, n. 201705237

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-11-14, n. 201705237
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201705237
Data del deposito : 14 novembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/11/2017

N. 05237/2017REG.PROV.COLL.

N. 07128/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7128 del 2008, proposto da G M B e G R G, rappresentate e difese dagli avvocati F S e C V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C V in Roma, via Monte delle Gioie, 13/18;

contro

Comune di Monasterace, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati P A e V Z, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Angelo Secchi, 9;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per la Calabria – Sezione staccata di Reggio Calabria - n. 248 del 12 maggio 2008, resa tra le parti, concernente risarcimento danni da occupazione abusiva.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Monasterace;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati F. Scaglione e V. Zimatore.


FATTO e DIRITTO

1.La presente controversia concerne un terreno oggetto di procedura ablativa da parte del Comune di Monasterace per la costruzione di un campo sportivo, di proprietà della signora Ester di Francia, dante causa delle signore Maria Beatrice Gi e Roberta Guglielmina Gi (d’ora in poi, signore Gi).

2. Nel 1979 (delibera C.C. 3 dicembre 1979, n. 134) il Comune dichiarò la pubblica utilità ed indifferibilità dell’opera e, ai sensi dell’art. 13, l. n. 2359 del 1865, fissò in quattro anni dalla data della delibera il termine (3 dicembre 1983) per il completamento dei lavori e delle espropriazioni.

2.1. L’occupazione di urgenza fu autorizzata (decreto 24 marzo 1980, n. 2) per cinque anni dall’immissione in possesso (in data 18 aprile 1980).

2.2. Il decreto di esproprio intervenne in data 9 aprile 1986.

2.3. Il Comune, con delibera della Giunta Municipale del 31 dicembre 1982, ratificata con delibera del Consiglio Comunale del 1° dicembre 1986, n. 433, prorogò di quattro anni, decorrenti dalle rispettive scadenze, i termini per il compimento della procedura espropriativa e la realizzazione del campo sportivo.

3. Nel 2007, trascorsi circa 21 anni dalla emanazione del decreto di esproprio, le aventi causa della proprietaria adirono il T.a.r.;
invocarono la disapplicazione del decreto in questione per essere stato emesso oltre il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, non trovando applicazione le proroghe legislative concernenti i termini delle occupazioni;
chiesero il risarcimento del danno per equivalente da perdita della proprietà, così delimitando nel corso del giudizio (memoria del 12 aprile 2007) l’originaria domanda anche di riduzione in pristino, e l’indennità da occupazione illegittima.

3.1. Con motivi aggiunti impugnarono le delibere comunali di proroga dei termini, prodotte successivamente in giudizio dalla controparte.

4. Il T.a.r. per la Calabria, con la sentenza n. 248 del 12 maggio 2008, ha così statuito:

a) preliminarmente ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo e disatteso la richiesta di sospensione necessaria del giudizio, ex art. 295 c.p.c., avanzata dal Comune in riferimento alla contemporanea pendenza del giudizio di opposizione alla stima dell’indennità di esproprio, perché: I) è assente il rapporto di pregiudizialità logico-giuridica del giudizio pendente dinanzi al giudice ordinario;
II) esiste, piuttosto, la pregiudizialità del presente giudizio, atteso che l’annullamento o la disapplicazione del decreto di esproprio di cui si controverte renderebbe improcedibile il giudizio di opposizione alla stima (tale capi non sono stati impugnati e sono coperti dalla forza del giudicato interno);

b) ha escluso - non condividendo la tesi delle ricorrenti, contrastante con le posizioni già espresse dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, v. sentenze n. 8 del 2002 e n. 4 del 2003, ancorché fondata sulla giurisprudenza della Cassazione civile – che il decreto di esproprio, in tesi emesso fuori termine, sarebbe stato emanato in “carenza di potere in concreto” e, quindi, sarebbe disapplicabile (anche tale capo non è stato impugnato);

c) ha qualificato la domanda proposta in giudizio come annullatoria – in quanto i termini, ex art. 13 cit., per l’emanazione del decreto di esproprio, configurano un precetto posto dalla legge all’amministrazione pubblica al fine di porre un vincolo alla discrezionalità dei suoi poteri e la sua inosservanza va qualificata come violazione di legge, ossia come vizio di legittimità dell’atto amministrativo – e, conseguentemente, ha stabilito che il vizio riscontrato debba farsi valere negli ordinari termini decadenziali;
in assenza di impugnazione tempestiva del decreto di esproprio emesso fuori termine, resta escluso che possa essere considerato altro che un atto illegittimo divenuto inoppugnabile, con conseguente divieto di disapplicazione da parte del giudice amministrativo (anche tale capo non è stato impugnato);

d) ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti avverso le delibere comunali di proroga per difetto di interesse, atteso che dall’annullamento degli stessi le ricorrenti non trarrebbero alcuna utilità non avendo impugnato tempestivamente il decreto di esproprio (anche tale capo non è stato impugnato);

e) ha respinto la domanda di risarcimento del danno per equivalente monetario ricusando l’applicabilità della tesi incentrata sulla inesistenza della c.d. “pregiudizialità amministrativa”, facendo proprio l’indirizzo espresso dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenze n. 4 del 2003 e 12 del 2007), secondo il quale la tutela risarcitoria è ammessa solo se sia stata esperita con successo quella demolitoria, risultando altrimenti insindacabile la legittimità dell’atto e, quindi, non dimostrata l’antigiuridicità della condotta ai fini dell’art. 2043 c.c.

5. Avverso la suddetta sentenza le signore Gi hanno proposto appello (notificato in data 27 agosto 2008).

L’impugnazione della sentenza, proposta prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, investe solo la statuizione di rigetto fondata sulla sussistenza della cosiddetta “pregiudizialità amministrativa”. Si mette in risalto il contrasto tra la giurisprudenza del giudice amministrativo, fondata sulla cosiddetta “pregiudizialità amministrativa” e quella del giudice ordinario, che ritiene disapplicabile il decreto di espropriazione emesso in carenza di potere indipendentemente dalla sua impugnazione;
si invita questo Consiglio a rimeditare la tesi, almeno con riferimento alla richiesta di risarcimento per equivalente cui è limitata l’originaria domanda;
si rileva che il contrasto tra le due giurisdizioni determina la negazione della tutela processuale di diritti, violando le garanzie del giusto processo accordate dall’art. 6, paragrafo primo, della CEDU, denunciabile alla Corte di Strasburgo;
si sostiene che, nella fattispecie, la Corte di appello ha disapplicato il decreto di espropriazione emesso in carenza di potestà ablatoria e negato la liquidazione giudiziale dell’indennità di esproprio (affermazione non veritiera, come emergerà nel prosieguo, §.8.1.1.) e che il T.a.r., per negare il risarcimento per equivalente monetario, ha opposto la “pregiudiziale amministrativa”, non essendo stato il decreto di esproprio tempestivamente impugnato.

5.1. Il Comune si è costituito in giudizio concludendo per il rigetto del gravame.

5.2. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

5.3. Con la memoria del 7 giugno 2016, le appellanti hanno prodotto la sentenza della Corte di Cassazione (n. 26671 del 2013) e l’ordinanza della stessa Corte, n. 18750 del 2015, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione avverso la prima. Deducono che con la sentenza del 2013, oramai definitiva, è stato riconosciuto, con autorità di giudicato: a) che il decreto di esproprio era stato emesso in carenza di potere per scadenza dei termini;
b) il valore venale del terreno alla data di decadenza del decreto di espropriazione, utilizzato per la liquidazione dell’indennità di occupazione legittima.

Aggiungono che, dopo l’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a., non è più impedita la diretta proposizione della domanda di riparazione per equivalente, essendo venuta meno la “pregiudiziale amministrativa”.

5.4. Con la successiva memoria del 13 giugno 2017, si chiede che gli interessi legali decorrano, a partire dal 12 dicembre 2014, al tasso previsto dall’art. 1284, co. 4 c.c., come introdotto dall’art. 17 del d.l. n. 132 del 2014, conv. nella l. n. 162 del 2014, applicabile anche ai contenziosi in corso al momento dell’entrata in vigore della norma.

5.5. Il Comune di Monasterace ha replicato con due memorie depositate rispettivamente in data 20 e 25 settembre 2017.

6. All’udienza pubblica del 26 ottobre 2017 la causa è stata assunta in decisione.

7. Con l’impugnazione, come integrata nella memoria del 7 giugno 2016 in riferimento alle sentenze civili sopravvenute, le signore Gi mirano ad ottenere il risarcimento per equivalente da perdita della proprietà, facendo leva su due distinte argomentazioni:

a) la valenza di giudicato tra le stesse parti della statuizione della Corte di cassazione del 2013, che ha dichiarato improcedibile la domanda di opposizione alla stima per l’assenza della legitimatio ad causam , essendo stato il decreto di espropriazione emanato in carenza di potere dopo la scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, riconoscendo solo l’indennità di occupazione legittima;

b) il venir meno della cosiddetta “pregiudiziale amministrativa” per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 30 c.p.a.

8. Per rendere meglio comprensibile la prima questione è opportuno soffermarsi sulle vicende che hanno riguardato l’opposizione alla stima.

8.1. La dante causa delle attuali appellanti impugnò dinanzi alla Corte di appello, nel 1989, la determinazione dell’indennità di espropriazione effettuata dalla Commissione Provinciale Espropri. Deceduta la dante causa e riassunto il processo, le signore Gi chiesero che l’opposizione venisse dichiarata improcedibile relativamente all’indennità di espropriazione, deducendo la decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e la tardività del decreto di esproprio.

La Corte di appello, ritenne integrata una inammissibile mutatio libelli rispetto all’invocata decadenza della dichiarazione di pubblica utilità e rigettò nel merito l’opposizione, per essere quella dovuta per legge inferiore a quella stimata dalla Commissione.

8.1.1. Il contenuto della suddetta sentenza risulta, oltre che dal dispositivo in atti, anche dalla sentenza della Corte di cassazione del 2013 e smentisce quanto sostenuto dalle appellanti con il ricorso in appello, secondo cui la sentenza della Corte di appello avrebbe riconosciuto che il decreto di esproprio era stato emanato in carenza di potere.

8.2. Invece, la sentenza della Corte di cassazione del 2013 (confermata dalla successiva ordinanza di inammissibilità del ricorso per revocazione), in applicazione di una giurisprudenza consolidata ed in accoglimento di specifico motivo articolato dalle signore Gi, ha ritenuto rilevabile d’ufficio (in quanto incidente quale condizione dell’azione sulla titolarità in astratto del diritto fatto valere), la mancanza di un presupposto di validità del decreto di esproprio emanato in carenza di potere, per essere decaduta la dichiarazione di pubblica utilità, ed ha dichiarato improcedibile l’opposizione limitatamente all’indennità di esproprio.

9. Il giudicato discendente dalla sentenza della Corte di cassazione, sopravvenuta nel corso del presente giudizio di appello, non può avere efficacia nello stesso, con conseguente rigetto del profilo di impugnazione dedotto.

9.1. Trattandosi di cause dinanzi a diverse giurisdizioni, tra le stesse parti, aventi causa petendi e petitum diversi, la questione della eventuale valenza del giudicato sopravvenuto – avente per giunta carattere meramente processuale e come tale irrilevante in giudizi diversi pur pendenti fra le medesime parti - non può che porsi nell’ottica della pregiudizialità logico-giuridica, e del rimedio che, per evitare possibili contrasti di giudicati, l’ordinamento appresta in via preventiva mediante l’istituto processuale della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. (senza considerare che, in tali casi, più propriamente, viene in rilievo una questione di giurisdizione come assodato dalla migliore giurisprudenza civile ed amministrativa, si vedano le pronunce menzionate al successivo § 9.4).

9.2. La giurisprudenza della Corte di legittimità è concorde nel riconoscere un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica tra il giudizio amministrativo sulla validità del decreto di esproprio e sulle conseguenti domande di restituzioni o risarcimento, e il giudizio civile sulla determinazione dell’indennità, il quale presuppone il decreto di esproprio quale condizione dell’azione, rinvenendo nel primo il processo pregiudicante e nel secondo il processo pregiudicato, con conseguente sospensione necessaria di quest’ultimo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. ( ex multis , Cass. civ., sez. 1, n. 5272 del 2007;
civ., sez. 1, n. 6076 del 2004;
Cons. Stato, sez. IV, n. 306 del 2008).

9.2.1. Pure pacifico è il connesso principio - valevole per l’ipotesi che la pendenza del contemporaneo giudizio amministrativo non emerga - secondo cui, nell'ipotesi in cui il giudice adito in sede di opposizione alla stima rilevi, anche d'ufficio, la mancanza di un presupposto di validità del decreto di espropriazione per essere stato emesso in carenza di potere, venendo meno la condizione dell’azione, deve escludere la proponibilità della opposizione alla indennità, trattandosi di questione che attiene alla legitimatio ad causam , ossia alla titolarità in astratto del diritto fatto valere con l'atto introduttivo del giudizio (Cass. civ., sez. 1, n. 7952 del 2008;
sez. 1, n. 7256 del 1999).

9.2.1.1. Tanto è accaduto nel caso di specie, nel quale la Corte di cassazione ha deciso l’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione, senza essere a conoscenza della pendenza di un processo amministrativo pregiudicante, col risultato di tenere comunque ferma la stima della indennità a suo tempo liquidata dall’Amministrazione nel decreto di esproprio (che sarà pertanto tenuta a versare alle signore Gi oltre interessi legali fino al soddisfo).

9.3. Nella fattispecie, inoltre, il profilo della pregiudizialità logico-giuridica è già emerso dinanzi al al T.a.r., sia pure rispetto al profilo speculare eccepito dal Comune per la pendenza del giudizio civile di opposizione alla stima della indennità.

9.3.1. Come già detto (cfr. §. 4, sub lett. a), il T.a.r. ha negato la ricorrenza della pregiudizialità del processo civile ed ha affermato, con statuizione restata non impugnata, la pregiudizialità di quello amministrativo.

9.4. Ritiene il Collegio che, stante il rapporto di pregiudizialità logico-giuridica esistente tra il processo amministrativo, dove si discute dell’annullamento o della disapplicazione del decreto di esproprio emesso in carenza di potere, ma non impugnato, e il processo di opposizione alla stima, dove condizione dell’azione è un valido decreto di esproprio, il giudicato formatosi sul processo pregiudicato, per effetto della mancata attivazione nei confronti dello stesso della sospensione necessaria ex artt. 295 c.p.c. o 337 c.p.c., non può ora incidere sul processo pregiudicante (cfr. sul punto concernente i presupposti per l’applicabilità al processo amministrativo degli istituti sanciti dai su menzionati articoli 295 e 337 c.p.c., e le conseguenze della eventuale mancata applicazione, Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2016;
sez. V, n. 806 del 2015).

9.4.1. A favore di tale conclusione milita innanzitutto la considerazione che se si ammettesse l’incidenza del giudicato formatosi nella causa pregiudicata sulla causa pregiudicante si finirebbe con il togliere ogni significato alla pregiudizialità logico- giuridica tra cause pendenti dinanzi a giudici diversi e con il disconoscere ogni operatività all’istituto della sospensione necessaria del processo pregiudicato, rimesso alla iniziativa di parte per essere di per sé non autonomamente conoscibile dal giudice.

9.4.2. Inoltre, tale soluzione sembra coerente con il principio costante - sia pure riferito esplicitamente al contrasto tra giudicati civili formatisi sulla stessa questione - della prevalenza del giudicato successivamente formato, qui utilizzabile nel senso che l’irrilevanza del primo giudicato civile, consente la formazione successiva del giudicato sul giudizio amministrativo pregiudicante.

9.4.3. La soluzione scelta consente, inoltre, di non dare ingresso agli effetti prodotti da quello che si configura come un abuso degli strumenti processuali.

A tal fine rileva:

a) l’eccezione di mancanza della condizione dell’azione sollevata dalle attuali ricorrenti dinanzi alla Corte di appello, nel momento in cui sono succedute nell’originario processo di opposizione alla indennità di espropriazione, al dichiarato fine (cfr. appello p. 4) di spendere la improcedibilità dell’opposizione dichiarata dal giudice civile sulla base del riconoscimento della carenza di potere, nell’istaurando giudizio amministrativo, promosso, poi, sul presupposto della tardività del decreto di esproprio e della sua possibile disapplicazione per essere stato emanato in carenza di potere;

b) la coltivazione del giudizio di opposizione alla stima dinanzi alla Corte di cassazione, facendo valere la carenza di potere, senza informare della contestuale pendenza del giudizio amministrativo pregiudicante;

c) l’invocazione, ora, del giudizio favorevole della Cassazione per ottenere un accoglimento dell’appello su un profilo che, disatteso dal primo giudice, non era stato oggetto di impugnazione, essendosi l’appello incentrato solo sulla messa in discussione del connesso principio della “pregiudizialità amministrativa”.

9.5. In conclusione, sulla base delle suddette argomentazioni, deve essere respinto il motivo di appello incentrato sull’asserita formazione di un giudicato (rilevante nel presente giudizio) avente ad oggetto la nullità del decreto di esproprio.

10. Diviene a questo punto centrale, ai fini della presente controversia, il tema della cosiddetta “pregiudiziale amministrativa” introdotto con l’ulteriore motivo di appello.

10.1. La questione della pregiudizialità della domanda di annullamento dell’atto illegittimo rispetto all’azione di risarcimento del danno - già risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in favore della autonomia delle azioni e della proponibilità della domanda di risarcimento dinanzi al giudice amministrativo anche in difetto di previa domanda di annullamento dell’atto lesivo (Cass. SS.UU. ordd. nn. 13659, 13660 del 2006, ribadita con successive sentenze nn. 30254 del 2008, 19048 e 23595 del 2010, 405 del 2011) - è ora disciplinata dal codice del processo amministrativo, entrato in vigore il 16 settembre 2010.

10.1.1. L’art. 30 c.p.a. prevede che l’azione di condanna al risarcimento del danno può essere proposta in via autonoma entro il termine di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.

10.2. Pur non essendo detta disposizione applicabile direttamente ad una fattispecie risalente ad epoca anteriore alla sua entrata in vigore, seguendo l’indirizzo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato espresso nella decisione 23 marzo 2011, n. 3 (avvalorata indirettamente dalle successive decisioni della medesima Adunanza [n. 6 del 2015] e della Corte costituzionale [n. 280 del 2012, n. 57 del 2015 e n. 94 del 2017]) la disciplina in esame - ad eccezione del termine di decadenza inapplicabile ratione temporis – costituisce il punto di emersione di un compendio di regole applicabili anche alla presente controversia, in quanto ricognitive di principi pienamente operanti nel processo amministrativo (antecedentemente all’entrata in vigore del codice).

10.2.1. Ne discende che la domanda di risarcimento per equivalente del danno da perdita della proprietà, derivante da un decreto di esproprio assunto come illegittimo per essere intervenuto dopo la scadenza della dichiarazione di pubblica utilità, è da considerarsi ammissibile, pure in assenza della previa domanda di annullamento dell’atto lesivo.

10.3. Deve premettersi che: a) nella controversia non viene in rilievo la prescrizione, posto che l’eccezione, sollevata dal Comune in primo grado e assorbita nella decisione del T.a.r., non è stata riproposta in appello;
b) la domanda di risarcimento per equivalente, per come precisata nel corso del giudizio, concerne solo il danno da perdita della proprietà;
c) che le signore Gi hanno ottenuto il riconoscimento, dal giudice civile, di una maggiore indennità da occupazione legittima e che resta fermo il pagamento dell’indennità di esproprio a suo tempo liquidata, come anticipato al precedente § 9.2.1.1).

10.4. In ossequio al criterio della ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2015), il Collegio ritiene di prescindere dalla verifica, ai fini meramente risarcitori, della legittimità del decreto di esproprio e delle delibere comunali concernenti la proroga dei termini - e dunque dallo stabilire il rilievo della c.d. pregiudiziale amministrativa come intesa dall’impugnata sentenza - stante l’interruzione del nesso causale tra il fatto, in tesi illecito, e il danno lamentato, a cagione del comportamento processuale della parte danneggiata;
tanto in applicazione dei principi affermati da Ad. Plen. n. 3 del 2011.

10.5. Ai fini di interesse i principi elaborati dall’Adunanza plenaria sono così sintetizzabili:

a) la disciplina recata dal nuovo codice, in parte qua (ossia avuto riguardo all’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e all’operatività di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria), era enucleabile anche dal quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore del codice;

b) la mancata operatività di una pregiudizialità processuale si coniuga con gli arresti della prevalente giurisprudenza comunitaria, che considerano la domanda di annullamento e quella di risarcimento rimedi autonomi, pur se escludono la favorevole valutazione della domanda risarcitoria quando essa mascheri un’ormai tardiva azione di annullamento, così come negano la risarcibilità dei danni che sarebbero stati evitati con la tempestiva impugnazione;

c) il più recente orientamento interpretativo del Consiglio di Stato ha spostato l’indagine sul rapporto tra azione di danno e domanda di annullamento dal terreno processuale a quello sostanziale, pervenendo alla conclusione che la mancata promozione della domanda impugnatoria non pone un problema di ammissibilità dell’ actio damni ma è idonea ad incidere sulla fondatezza della domanda risarcitoria;

d) sviluppando queste coordinate ermeneutiche deve ritenersi che l’analisi dei rapporti sostanziali debba essere svolto sul piano della causalità;

e) le esigenze di preservazione della stabilità dei rapporti pubblicistici e di prevenzione di comportamenti opportunistici, perseguite dalla giurisprudenza con l’affermazione del principio della pregiudizialità, possono essere soddisfatte con l’applicazione delle norme di cui agli artt. 1223 e seguenti del codice civile in materia di causalità giuridica;
assume rilievo, in particolare, il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, che considera non risarcibili i danni evitabili con un comportamento diligente del danneggiato;

f) la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, c.p.a., è ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’articolo 1227 cit.;
il comma 2 del suddetto articolo, operando sui criteri di determinazione del danno-conseguenza ex art. 1223 c.c, regola la c.d. causalità giuridica, relativa al nesso tra danno-evento e conseguenze dannose da esso derivanti;
la disposizione introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in forza del quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza;
sul piano teleologico, la prescrizione, espressione del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali, mira a prevenire comportamenti opportunistici e, in definitiva, l’abuso dello strumento processuale;

g) a mente del comma 2 dell'art. 1227 c.c., il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dall'aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno);
tale orientamento si fonda su una lettura dell'art. 1227, comma 2, alla luce delle clausole generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e, soprattutto, del principio di solidarietà sociale sancito dall'art. 2 Cost.;

h) il danneggiato è tenuto ad agire diligentemente per evitare l'aggravarsi del danno, ma non fino al punto di sacrificare i propri rilevanti interessi personali e patrimoniali, attraverso il compimento di attività complesse, impegnative e rischiose;
l'obbligo di cooperazione gravante sul creditore, espressione del dovere di correttezza nei rapporti fra gli obbligati, non comprende l’esplicazione di attività straordinarie o gravose attività, ossia un facere non corrispondente all' id quod plerumque accidit ;

i) nel novero dei comportamenti ordinariamente esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo vi rientra anche la proposizione, nel termine di decadenza, della domanda di annullamento, quante volte l’utilizzazione tempestiva di siffatto rimedio sarebbe stata idonea, secondo il ricordato paradigma della causalità ipotetica basata sul giudizio probabilistico, ad evitare, in tutto o in parte, il pregiudizio, deve darsi risposta affermativa;

l) in conclusione, anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica di cui si è detto, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno;

m) di conseguenza, la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione – anche grazie alla contestuale attivazione della tutela cautelare - avrebbe evitato o mitigato il danno;

n) la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile;
detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.

10.6. Applicando i su esposti principi al caso di specie, il Collegio ritiene che il comportamento delle ricorrenti ha assunto un ruolo eziologico decisivo ed assorbente nella produzione di un pregiudizio che il corretto utilizzo dei rimedi giustiziali avrebbe plausibilmente consentito di evitare.

10.7. A tal fine rileva:

a) l’omessa impugnazione del provvedimento lesivo e l’omessa sollecitazione dei poteri cautelari del giudice amministrativo, coerente con la scelta iniziale di opporsi all’indennità di espropriazione, sul presupposto della validità del decreto di esproprio;

b) la successiva scelta, compiuta dalle aventi causa della proprietaria e attuali appellanti, di eccepire, nella sede del giudizio civile concernente la stima delle indennità, la nullità, per carenza di potere, del decreto emesso dopo la scadenza dei termini della dichiarazione di pubblica utilità, al dichiarato scopo di precostituirsi il presupposto per l’esercizio dell’azione di risarcimento dinanzi al giudice amministrativo, aggirando l’ostacolo all’epoca costituito dalla teoria della c.d. “pregiudizialità amministrativa”;

c) l’esercizio improprio, sul piano funzionale e modale, del potere discrezionale della parte di scegliere le più convenienti strategie di difesa, stante il rapporto di pregiudizialità logico-giuridica pacificamente esistente tra i due giudizi, non deducendo, in quello civile pregiudicato, la contemporanea pendenza di quello amministrativo, così integrando abuso dei mezzi processuali;

d) l’omesso esercizio dell’azione di restituzione in pristino e/o di risarcimento per perdita della proprietà dopo l’irreversibile trasformazione del suolo dinanzi al giudice ordinario, pacificamente possibile dinanzi al giudice ordinario almeno sino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 80 del 1998, prima dei contrasti sulla giurisdizione, che hanno segnato l’interpretazione dell’art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998 e l’art. 53 del d.P.R. n. 327 del 2001 (t.u. espr.), sino alle sentenze della Corte costituzionale nn. 204 del 2004 e 191 del 2006;

e) una scelta difensiva univoca avrebbe potuto consentire di ottenere o la corretta determinazione dell’indennità di esproprio, ovvero la restituzione del bene illegittimamente espropriato;
l’azione di restituzione e/o di risarcimento per equivalente dinanzi al giudice ordinario avrebbe potuto consentire il risarcimento per equivalente per irreversibile trasformazione, sulla base della teorica della c.d. occupazione acquisitiva, che non fa più parte dal diritto vivente solo a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione n. 735 del 19 gennaio 2015 (in termini Cons. Stato, Ad. plen. n. 2 del 2016);

f) le ricorrenti hanno domandato il risarcimento del danno (in assoluto dinanzi al giudice amministrativo per la prima volta) solo nel corso dell’anno 2007 (dopo ben 21 anni dall’emanazione del decreto di esproprio) e solo dopo che, in sede di giudizio di opposizione alla stima, la Corte di appello aveva rigettato nel merito la pretesa di rideterminazione della entità della indennità di esproprio, facendo poi valere nel presente giudizio la sopravvenuta dichiarazione di improcedibilità della domanda di opposizione alla stima, resa in un giudizio subordinato a quello amministrativo (dal punto di vista logico giuridico) per giunta senza che fosse stata rappresentata la pendenza del giudizio pregiudicante (concluso con la odierna decisione).

10.8. In conclusione, la scelta di non avvalersi delle forme di tutela specifiche che plausibilmente avrebbero evitato il danno ora preteso, in una con l’uso abusivo degli strumenti processuali apprestati dall’ordinamento, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile (per l’applicazione del medesimo principio sia pure rispetto a fattispecie diverse, cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1130 del 2012;
sez. III, n. 1565 del 2016;
per l’applicazione del principio in riferimento alla riduzione del risarcimento, Cons. Stato, sez. IV, n. 1835 del 2017).

11. A tanto consegue il rigetto dell’appello.

11.1. Le spese processuali del grado sono integralmente compensate in ragione della novità e complessità delle questioni trattate.

Restano a carico delle ricorrenti le spese della consulenza tecnica espletata in primo grado.

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