Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-07-02, n. 201004231

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2010-07-02, n. 201004231
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201004231
Data del deposito : 2 luglio 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02707/2007 REG.RIC.

N. 04231/2010 REG.DEC.

N. 02707/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 2707 del 2007, proposto da:
L L, rappresentato e difeso dall'avv. M S, con domicilio eletto presso Studio Legale Sanino, in Roma, viale Parioli N. 180;

contro

Asl N. 3 Genovese, rappresentata e difesa dagli avv. L C, G P, con domicilio eletto presso G P in Roma, V. Giulio Cesare, 14 Sc A/4;

per la riforma

della sentenza del TAR LIGURIA - GENOVA -SEZIONE II n. 00776/2006, resa tra le parti, concernente RECUPERO SOMME INDEBITAMENTE CORRISPOSTE.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 novembre 2009 il Cons. Adolfo Metro e uditi per le parti gli avvocati Sanino M., e Pafundi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con decisione n. 548/96, la quinta sezione del Consiglio di Stato accertava la legittimità dell'inquadramento del ricorrente e di due sue colleghe nel ruolo funzionale dei “Piscologi coordinatori”, anziché in quello dei Psicologi equiparati ai medici, ai sensi della L. n. 207/85, art. 14.

Con il ricorso di primo grado lo stesso si duole, ora, del provvedimento n. 2170 del 28/8/96, del Direttore generale dell'Usl 3 Genovese, con il quale l'amministrazione ha disposto il recupero delle somme indebitamente corrisposte in conseguenza di tale errato inquadramento.

Il Tar ha respinto i motivi proposti avverso l’atto di recupero, ad eccezione di quello relativo alla parziale prescrizione delle somme dovute.

Con l’appello in esame il ricorrente chiede la riforma di tale sentenza riproponendo i motivi già respinti in primo grado e cioè:

-violazione degli artt. 7 e 8 della L n. 241/90, per mancata comunicazione di avvio del procedimento;

-violazione dei principi generali in tema di ripetizione degli emolumenti, dell'art. 2033 c.c. per difetto dei presupposti legittimanti e dell’art 3 della L. n. 241/90, per difetto di istruttoria e di motivazione;

-eccesso di potere e violazione dei principi in tema di ripetizione degli emolumenti e violazione dei principi di buona fede, interesse pubblico ed eccessiva gravosità;

-violazione dei principi in tema di prescrizione, dovendosi applicare, alla fattispecie, la prescrizione breve;

-contraddittorietà ed illogicità dei criteri di recupero;

-illegittimità del recupero in considerazione dell’effettivo svolgimento di mansioni analoghe a quelle dei medici psichiatri.

L'amministrazione, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza dei motivi di appello.

DIRITTO

L’appellante impugna il provvedimento n. 2170/96, di recupero delle somme corrisposte dall'amministrazione in conseguenza del suo errato inquadramento, accertato con sentenza del Consiglio di Stato n. 548/96.

Con il primo motivo si afferma l'illegittimità del recupero, in quanto non sarebbe stato dato spazio alla procedura di avvio del procedimento.

Il motivo è infondato perché, come evidenziato dal giudice di primo grado ed anche dallo stesso provvedimento, la procedura di avvio poteva dedursi dall'atto n. 685/96 (poi annullato in via di autotutela) e dalla nota n. 1536/96, con la quale veniva comunicata la presa d'atto della sentenza del C.S. n. 548/96.

La censura è, comunque, inammissibile con riferimento all'art. 21 octies della L n. 241/90 che preclude l'annullamento dell'atto per violazione delle norme sul procedimento qualora lo stesso debba ritenersi “vincolato” nel contenuto, come nella fattispecie, in cui si dispone una procedura di mero recupero di indebito.

Con il secondo motivo si sostiene che la sentenza del C.S. n. 548/96, posta a base del provvedimento di recupero, non avrebbe avuto ad oggetto il trattamento economico del ricorrente e che, inoltre, l'amministrazione non avrebbe chiarito i criteri seguiti per il calcolo delle somme dovute, anche con riferimento alla trattenuta delle imposte.

Entrambi i motivi sono infondati, atteso che il recupero delle somme costituisce l'effetto naturale di quanto disposto dalla richiamata sentenza, mentre l'ulteriore censura risulta inammissibile per genericità della doglianza, non offrendo specifici elementi di contestazione sulle somme indicate per il recupero;
infine, va considerato che il recupero riguarda, chiaramente, soltanto le somme effettivamente corrisposte, attenendo la voce “ tributi” ad una autonoma obbligazione del datore di lavoro.

Con il terzo motivo, si censura il recupero perché attuato in violazione dei principi di affidamento e di buona fede del dipendente e per l’incidenza sulle sue esigenze primarie di vita.

Le censure sono infondate.

Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza, la buona fede del dipendente non rappresenta un ostacolo al recupero degli emolumenti non dovuti, ma rende soltanto necessaria una ponderazione degli interessi coinvolti, con conseguente illegittimità dell'atto solo quando il sacrificio del dipendente non risulti di rilevanza tale da prevalere su quello pubblico ( C.S. n.2436/06, n. 3963/06, n.8086/06).

Nella fattispecie, il recupero è stato attuato mediante rate mensili di importo non superiore a 1/5 dello stipendio, e quindi, con il minor sacrificio per il ricorrente e con salvaguardia dei mezzi necessari per lo svolgimento di un'esistenza libera e dignitosa.

Con il quarto motivo si sostiene che l'eccezione di prescrizione sulla ripetizione delle somme non andrebbe riferita a quella ordinaria decennale, come ritenuto dal Tar, ma a quella breve quinquennale, prevista per le obbligazioni che maturano periodicamente, ai sensi dell'art. 2948 c.c.

La censura è infondata perché, nella fattispecie, si verte sulla ripetizione ex art. 2033 c.c., a cui è applicabile l'ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c (C.S. n. 2006/02, n. 6554/04, n. 5/05, n. 1702/06).

Con un ulteriore motivo l'appellante sostiene il vizio di contraddittorietà della delibera n. 2170/96 perché l’Usl, dopo aver stabilito che le trattenute mensili non avrebbero dovuto essere superiori ad 1/5 dello stipendio ha, nel contempo, disposto anche di recuperare i crediti che fosssero eventualmente maturati nei confronti dell’amministrazione.

La censura è infondata in quanto tale compensazione riguarda crediti diversi dallo stipendio, e pertanto, non intacca il rapporto di 1/5 tra retribuzione e trattamento economico ridotto.

Infine, si sostiene che, negli anni tra il 1983 ed il 1988, l'appellante avrebbe svolto le medesime funzioni dei medici psichiatri per le quali era stato retribuito e che, pertanto, avrebbe dovuto trovare applicazione, in suo favore, l'art. 2126 c.c.

Anche tale motivo è infondato, non sussistendo i presupposti affermati dall'appellante, dato che l’indebito in esame va correlato non già all'effettivo svolgimento di determinate mansioni, ma alla errata applicazione di una disciplina contrattuale, non dovuta.

In relazione a quanto esposto, l'appello deve essere respinto, perché infondato.

Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese del giudizio.

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