Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2024-01-12, n. 202400396
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Pubblicato il 12/01/2024
N. 00396/2024REG.PROV.COLL.
N. 01881/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1881 del 2020, proposto da P s.r.l. nella dichiarata qualità di successore a titolo particolare della Marius et Caesar s.a.s. di A A, in persona dei legali rappresentanti
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avv. E A, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
contro
il Comune di Pompei, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avv. R V, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avv. L N, sito in Roma, via Girolamo Da Carpi n. 6;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania (Sezione terza) n. 5997/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pompei;
Viste le memorie delle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;
Uditi nell’udienza pubblica del 16 novembre 2023 l’avv. Saverio Profeta per delega di E A e Gennaro Terracciano per delega di R V;
Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.- Oggetto della domanda di annullamento veicolata con il ricorso di primo grado era la determinazione dirigenziale n. 6136/2015 con la quale il Comune di Pompei rigettava l’istanza di condono proposta ai sensi della l. n. 326 del 2003, riguardante «opere consistenti nella realizzazione di un ampliamento di attività commerciale e servizi igienici […] identificate catastalmente al fg. 12 - particella 1402,1403».
1.2.- Le ragioni di diniego erano correlate ai seguenti elementi:
- l’immobile sarebbe stato realizzato, con incremento di cubatura, su area soggetta a preesistenti (alle opere abusive) vincoli di cui al d. lgs. n. 42 del 2004 e, dunque, non sanabile ai sensi di quanto previsto dall’art. 32, comma 26, lett. a) e comma 27 d.l. n. 269 del 2003;
- le opere avrebbero dato luogo ad un non ammesso incremento di volumetria e non sarebbero conformi alle norme urbanistiche.
1.3.- Le doglianze proposte in primo grado dalla parte privata erano compendiate in un unico motivo di ricorso volto a censurare i vizi di violazione di legge (art. 136 d. lgs. n. 42 del 2004;artt. 32, 37 e 43 l. n. 326 del 2003;artt. 32 ss., l. n. 47 del 1985;art. 39 l. n. 724 del 1994;d.i. 4 luglio 2003 di approvazione del PTP), violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per inesistenza dei presupposti.
1.4.- Evidenziava la società originaria ricorrente che:
- il vincolo di inedificabilità assoluta sarebbe stato imposto in epoca successiva alla realizzazione delle opere di cui trattasi (e, segnatamente, con d.m. 4 luglio 2002) e non costituiva causa ostativa al rilascio del titolo il regime di salvaguardia previsto dalla l. n. 431 del 1985;
- trattandosi di vincolo sopravvenuto, l’Amministrazione avrebbe dovuto acquisire il parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
2.- Il T.a.r. Campania, sez., 3, con sentenza n. 5997 del 2019, rigettava il ricorso sul rilievo – in via di estrema sintesi – che:
- il vincolo paesaggistico avrebbe impedito la condonabilità del manufatto: l condono edilizio di cui alla legge n. 326 del 2003 non è consentito per i manufatti comportanti nuovi volumi nelle zone assoggettate al vincolo paesaggistico, pur indipendentemente dalla sua natura ma che, nella specie, non configura un vincolo di inedificabilità solo relativa né può dirsi posteriore alla realizzazione delle opere;
- il territorio del Comune di Pompei era sottoposto in precedenza alla tutela prevista dal R.D. n. 1497/1939 e dal d. lgs. 490/1999, sostituiti dal vigente d. lgs n. 42/2004, in virtù dei decreti ministeriali del 17 agosto 1961 e del 28 marzo 1985, ai quali fa riferimento il decreto legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, in seguito abrogato dall’art. 166 d. lgs. n. 490/1999;
- l’esistenza e l’efficacia del vincolo prescinde dalle ulteriori restrizioni imposte dai piani territoriali paesistici, la cui funzione è, per definizione, successiva a quella dell’imposizione legislativa del vincolo medesimo ed attiene alle fasi della pianificazione e dell’operatività della tutela relativa alle zone dichiarate di particolare interesse paesaggistico (cfr., Corte Cost. 31 luglio 1990, n. 327);
- neppure può addursi che si tratti di vincolo relativo e dovesse richiedersi il parere di compatibilità paesistica, poiché esso fissa una preclusione assoluta, per cui non necessita dell’intervento dell’Autorità preposta alla relativa tutela, che alcuna valutazione potrebbe compiere.
3.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello, chiedendone la riforma, la parte privata la quale ha così articolato le proprie doglianze:
1) sarebbe errata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui l’abuso compiuto dalla dante causa dell’appellante, qualificato come illecito edilizio di maggiore entità perché avente ad oggetto la realizzazione di una volumetria, non sarebbe suscettibile di sanatoria: una simile conclusione contrasterebbe con la circostanza secondo cui ove il legislatore abbia voluto escludere la sanabilità di tutti gli abusi in zona vincolata lo ha espressamente fatto (cfr., in tesi, disciplina degli immobili dichiarati monumento nazionale);
2) nel caso di specie non poteva prendersi in considerazione la disciplina transitoria della c.d. legge «Galasso», dovendosi attivare la procedura di acquisizione del parere dell’ente preposto alla tutela del vincolo;
3) le opere le opere avrebbero determinato un ampliamento di volume inferiore al 20% della volumetria del preesistente locale commerciale e sarebbero conformi alle prescrizioni del PTP.
4.- Si è costituito il Comune di Pompei il quale – non senza dubitare dell’ammissibilità dell’appello il quale si sarebbe limitato a riproporre i motivi di primo grado senza esprimere puntuali critiche alla sentenza impugnata – ha concluso per l’infondatezza delle avversarie pretese, così articolando le proprie tesi difensive:
- l’abuso consisterebbe in un ampliamento di locali destinati ad attività commerciale rientranti nella c.d. tipologia «1»;
- il territorio del Comune di Pompei era sottoposto alla tutela prevista dal r.d. n. 1497 del 1939 e dal d. lgs. 490 del 1999 (oggi, d. lgs. n. 42 del 2004) in virtù dei decreti ministeriali del 17 agosto 1961 e del 28 marzo 1985;
- l’area interessata ricadrebbe in zona soggetta al vincolo paesaggistico di cui al d. lgs. n. 42 del 2004, di inedificabilità assoluta, asseritamente apposto in data anteriore alla realizzazione delle opere abusive;
- si tratterebbe, nella specie, di abuso comportante un aumento di volume, non riconducibile quindi ai c.d. abusi minori e, dunque, insuscettibile di conseguire il condono ai sensi della legge n. 326 del 2003;tale circostanza esonerava il Comune dall’obbligo di acquisire il parere della Soprintendenza dei beni culturali.
5.- In prossimità dell’udienza l’appellante ha depositato memoria con la quale ha ribadito le proprie tesi difensive.
6.- All’udienza pubblica del 16 novembre 2023, presenti i procuratori delle parti, l’appello, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione.
7.- L’appello, alla stregua di quanto si dirà, è infondato. Tale esito esonera il Collegio, per evidenti ragioni di economia processuale, dallo scrutinio dell’eccezione con la quale il Comune di Pompei ha revocato in dubbio l’ammissibilità dell’appello.
8.-In primo luogo, come risulta anche dal provvedimento impugnato, va rilevata la presenza di un aumento volumetrico, incompatibile con la disciplina urbanistica e paesaggistica.
D’altronde, il vincolo di tutela paesistica per il Comune di Pompei è stato posto con il d.m. 27 ottobre 1961, emanato dal Ministro per la pubblica istruzione, di concerto con il Ministro per il turismo e lo spettacolo, che ha decretato come «l’intero territorio del comune di Pompei (Napoli), ha notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, ed è quindi sottoposto a tutte le disposizioni contenute nella legge stessa.
9.- Va ricordato che l’art. 32, comma 27, lett. d, d.l. n. 269 del 2003 attribuisce «carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta» (Corte cost. n. 252 del 2022;n. 117 del 2015;in senso conforme, sentenze n. 181 del 2021, n. 225 del 2012, n. 290 e n. 54 del 2009 e n. 196 del 2004), e ciò al di là delle previsioni degli strumenti di pianificazione (aspetto, questo, pure sollevato dall’appellante), rendendosi irrilevante la specifica percentuale di incremento volumetrico. Fra questi, ma non solo, come prescrive la citata lettera d), vi sono «i vincoli imposti a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di tali opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».
Il carattere ostativo, dei vincoli, alla sanatoria – nello specifico procedimento delineato dalla l. n. 326 del 2003 – al di là del carattere assoluto o relativo dei medesimi vincoli, in presenza di opere non minori ed in presenza – a tacer d’altro – di una fattispecie diversa, quanto a presupposti, rispetto a quella involgente le opere dichiarate monumento nazionale, escludeva, stante la radicale insanabilità delle opere, ogni obbligo di (non utile) acquisizione del parere presso l’Amministrazione preposta alla relativa tutela, risolvendosi detta ipotetica acquisizione solo in un aggravamento del procedimento.
10. In definitiva, l’appello è infondato e deve essere rigettato.
11.- Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.