Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-04-14, n. 201002079

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-04-14, n. 201002079
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201002079
Data del deposito : 14 aprile 2010
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04948/2002 REG.RIC.

N. 02079/2010 REG.DEC.

N. 04948/2002 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 4948 del 2002, proposto dai signori C F, C G, C A ed E A, tutti rappresentati e difesi dall'avvocato G V, con domicilio eletto presso lo studio Gardin in Roma, via L. Mantegazza n. 24;

contro

Comune di Grottaglie, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P G R, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale G. Mazzini n.142;
Istituto Autonomo Case Popolari – I.A.C.P. – della provincia di Taranto, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati D Cagnazzo e Francesco Caroli Casavola, con domicilio eletto presso lo studio legale Hammonds – Rossotto - Martucci in Roma, via Ludovisi n.16;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Puglia - Lecce - Sezione I, n. 1726 dell’8 maggio 2002.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Grottaglie e dello I.A.C.P. della provincia di Taranto;

Viste le memorie difensive del comune (in data 9 marzo 2010), e dei signori C ed Errico (in data 11 marzo 2010);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2010 il consigliere Vito Poli e uditi per le parti gli avvocati Valla e Petretti su delega dell’avvocato Relleva.


FATTO e DIRITTO

1. Con delibera n. 193 del 15 novembre 1973, da valere, a mente dell’art. 51, l. n. 865 del 1971, come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, il comune di Grottaglie ha localizzato un programma costruttivo per la realizzazione di tre palazzine destinate all’Istituto Autonomo Case Popolari della provincia di Taranto (in prosieguo I.A.C.P.), su un appezzamento di terreno di proprietà del sig. Donato C;
con decreto del Presidente della giunta regionale della Puglia - n. 571 del 30 marzo 1976 - è stata disposta l’occupazione d’urgenza dell’area.

1.1. Trasformato irreversibilmente il suolo a seguito della costruzione dei manufatti, in assenza del decreto di esproprio e del pagamento di qualsivoglia indennità, i signori C F, Grazia, Aurelia e Antonio Errico, tutti aventi causa iure successionis da Donato C (in prosieguo eredi C), hanno convenuto in giudizio davanti al Tribunale civile di Taranto, con citazione notificata il 9 marzo 1995, il comune e lo I.A.C.P. per ottenere il risarcimento dei danni subiti a titolo di occupazione appropriativa (o accessione invertita);
la domanda è stata respinta per prescrizione del diritto con sentenza del Tribunale in data 30 settembre 1999.

1.2. Con atto di appello notificato il 26 novembre 1999, gli eredi C hanno chiesto la riforma della sentenza del Tribunale civile, sostenendo, per quanto di interesse ai fini della presente vicenda:

a) che l’apprensione del fondo era da inquadrarsi nell’ambito dell’occupazione sine titulo , con tutte le conseguenze di carattere restitutorio e risarcitorio, difettando nella d.p.u., o in altri atti, l’individuazione dei termini di completamento delle opere come richiesto dall’art. 13, l. n. 2359 del 1865;

b) che non erano maturati i termini di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da accessione invertita.

Con sentenza n. 112 del 19 giugno 2001, la Corte d’appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – ha respinto integralmente il gravame statuendo, per quanto di interesse:

a) che era inammissibile, per violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.cp.c., la proposta domanda di risarcimento del danno (in forma specifica o per equivalente), così qualificata come azione autonoma nel presupposto della verificazione di una fattispecie di occupazione usurpativa per nullità radicale della d.p.u.;

b) la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da accessione invertita.

2. Successivamente gli eredi C hanno proposto ricorso – notificato in data 7 dicembre 2001 – davanti al T.a.r. per la Puglia, sezione staccata di Lecce onde ottenere nei confronti del comune e dello I.A.C.P. il risarcimento, anche in forma specifica mediante restituzione dei suoli edificati, di tutti i danni subiti a seguito dell’occupazione sine titulo dell’area in questione.

3. L’impugnata sentenza – T.a.r. della Puglia, Lecce, sezione I, n. 1726 dell’8 maggio 2002 – ha declinato la giurisdizione condannando i ricorrenti alla refusione delle spese di lite.

4. Con ricorso notificato il 3 giugno 2002, e depositato il successivo 18 giugno, gli eredi C hanno interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r.

5. Si sono costituiti il comune di Grottaglie e lo I.A.C.P. deducendo l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

6. Nelle more del presente giudizio di appello:

a) la Corte di cassazione – con sentenza n. 20772 del 26 ottobre 2004 - ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’appello n. 112 del 2001, accogliendo in toto la tesi degli eredi C, ovvero che nel giudizio risarcitorio per la perdita di proprietà a cagione di una irrituale procedura di esproprio, la causa petendi non muta, nel vigore degli artt. 184 e 345 c.p.c. nel testo ante vigente la riforma, quale che sia la qualificazione giuridica della fattispecie generatrice del danno;

b) riassunto il giudizio, la Corte di appello di Lecce – con sentenza n. 100 del 7 febbraio 2007 – ha nuovamente respinto la domanda risarcitoria anche sotto il profilo della intervenuta prescrizione;

c) gli eredi C hanno adito nuovamente la Suprema corte, dove pende ricorso iscritto al nrg. 14376/2007.

7. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 23 marzo 2010.

8. L’appello è infondato e deve essere respinto.

9. Con il primo motivo (pagine 4 – 5) si deduce la violazione del principio del contraddittorio, secondo quanto affermato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 24 gennaio 2000, non avendo il T.a.r. assegnato un termine per consentire alle parti di contro dedurre sulla questione, rilevata d’ufficio, concernente il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
sarebbe configurabile un errore di procedura tale da imporre l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza a mente dell’art. 35, l. n. 1034 del 1971.

Il motivo è infondato.

In primo luogo deve escludersi, contrariamente a quanto affermato nella memoria conclusionale dell’appellante (pagine 11 - 12), la diretta applicabilità dell’art. 101, co. 2, c.p.c. – principio del contraddittorio - nel testo novellato dall’art. 45, l. n. 69 del 2009;
invero, per espressa previsione dell’art. 58, co. 1, l. n. 69 cit., le disposizioni della medesima legge che modificano il codice di procedura civile si applicano esclusivamente ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore;
esse sono dunque inapplicabili al presente procedimento.

Quanto alle conseguenze, nel processo amministrativo (ma lo stesso è a dire in quello civile), della violazione del principio del contraddittorio da parte delle c.d. “decisioni a sorpresa”, enucleato dalla menzionata Adunanza plenaria n. 1 del 2000, il collegio ritiene che, allo stato, debba seguirsi l’opinione prevalente (in dottrina e giurisprudenza), che nega lo spazio per una regressione del giudizio stante la tassatività delle ipotesi di annullamento con rinvio, con la conseguenza che il giudice di appello debba comunque decidere la causa nel merito, sia pure previa eventuale rimessione in termini della parte per lo svolgimento di quelle attività difensive che avrebbe potuto svolgere nel corso del giudizio di primo grado ove il giudice non avesse violato l’obbligo di sollevare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio (cfr. sul punto Cass., sez. III, 5 agosto 2005, n. 16557).

In ogni caso, nel peculiare caso di specie, deve ritenersi che nella sostanza fosse stato stimolato il dibattito circa le conseguenze e gli effetti prodotti, sul ricorso proposto davanti al T.a.r., dalla pendenza del giudizio civile, attraverso la richiesta di sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c. formulata dalla difesa del comune di Grottaglie.

10. Con il secondo e terzo motivo (pagine 5 – 16), si lamenta in sintesi:

I) l’errata applicazione del principio della perpetuatio jurisdictionis sancito dall’art. 5 c.p.c.;

II) la diversità delle azioni proposte davanti al giudice ordinario ed amministrativo, essendo stato richiesto il risarcimento del danno in forma specifica, mediante restituzione dei suoli, per la prima volta solo davanti al T.a.r. di Lecce;

III) la pacifica giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere, alla data del 2001, delle ipotesi di occupazione usurpativa.

I mezzi sono inaccoglibili.

Assodato, in limine, che le controversie aventi ad oggetto fattispecie di occupazione usurpativa (ravvisata nella asserita nullità radicale, ab origine, della dichiarazione di pubblica utilità per omessa indicazione dei termini di completamento delle opere e delle procedure) sono devolute, per giurisprudenza costante delle sezioni unite all’a.g.o., il collegio ritiene che nel particolare caso di specie la giurisdizione del giudice ordinario non sia più seriamente contestabile essendosi formato, sul punto, un giudicato implicito con valenza esterna rilevabile d’ufficio.

La premessa di tale conclusione è data dalla accertata identità delle azioni proposte davanti al giudice ordinario ed amministrativo.

Tale identità emerge dalla lettura complessiva degli atti di causa e, in particolare, delle sentenze che si sono vorticosamente susseguite nel tempo;
sotto tale angolazione il collegio ritiene che, sostanzialmente, tutte le pretese risarcitorie fondate sul carattere usurpativo dell’occupazione, ivi incluse quelle restitutorie, siano state introdotte davanti all’a.g.o. sin dal momento in cui, nel primo atto di appello, è stata modificata, da parte degli eredi C, la qualificazione del titolo giuridico dell’occupazione abusiva.

Tanto assodato sul piano dei fatti processuali, ritiene il collegio che, a differenza del processo amministrativo (cfr. sul punto da ultimo Cons. St., sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049;
Ad. plen. 5 settembre 2005, n. 6;
Ad. plen. 30 agosto 2005, n. 4), in quello civile il difetto di giurisdizione, non possa più essere indiscriminatamente rilevato in ogni stato e grado del processo, a seguito della interpretazione ortopedica dell’art. 37 c.p.c. effettuata dalle sezioni unite della Corte di cassazione (cfr. 18 dicembre 2008, n. 29523;
9 ottobre 2008, n. 24883).

Stante l’obbligo del giudice di accertare l’esistenza della propria potestas iudicandi prima di passare all’esame del merito o di altra questione, può presumersi che ogni statuizione al riguardo contenga implicitamente quella sull’antecedente logico da cui è condizionata e, cioè, sull’esistenza della giurisdizione, in difetto della quale non avrebbe potuto essere adottata;
per escludersi la formazione del giudicato implicito sulla giurisdizione occorre che l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda (o ad altra questione anche di rito) che, per l’evidenza della soluzione, abbia assorbito ogni altra valutazione del giudice (in sostanza una pronuncia di rigetto, in rito o nel merito, che si fondi su un unico motivo portante, circostanza questa che non ricorre nel caso di specie).

Ciò premesso, la sezione prende atto che la giurisdizione del giudice ordinario risulta ormai irretrattabilmente cristallizzata da statuizioni che, sia pure a formazione progressiva (in quanto devono essere definitivamente risolti taluni aspetti ancora in discussione davanti alla Corte d’appello di Lecce), hanno il valore e la forza del giudicato.

I singoli capi delle pronunce giurisdizionali possono acquisire forza di giudicato non all’unisono ma in via progressiva, purché oggettivamente autonomi, quando non vengano tutti reclamati davanti al giudice del gravame;
affinché si formi il giudicato interno è necessario che si tratti di capi che non determinano una soccombenza totale, ma solo parziale delle ragioni dell’appellante (come verificatosi nel caso di specie).

L’efficacia panprocessuale del giudicato esterno opera nei confronti anche di tutte le questioni di merito, che, una volta acquisita forza di giudicato, non possono più essere messe in discussione attraverso altra azione processuale proposta in diversa sede giurisdizionale: la forza di giudicato determina l’intangibilità della pronuncia che non può essere più messa in discussione non solo da parte del giudice che l’ha emessa, ma anche da parte degli altri plessi giurisdizionali (cfr. Cass. sez. un. 19 luglio 2006, n. 16462;
Cons. St., sez. VI, 6 ottobre 2009, n. 6377;
sez. IV, 2 ottobre 2006, n. 5749).

11. In conclusione l’appello deve essere respinto.

Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo e devono essere distratte, limitatamente alla quota di spettanza dello I.A.C.P., in favore dei suoi difensori che si sono dichiarati antistatari.

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