Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-10-18, n. 202106983

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-10-18, n. 202106983
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106983
Data del deposito : 18 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/10/2021

N. 06983/2021REG.PROV.COLL.

N. 01264/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1264 del 2021, proposto da
Centro di Riabilitazione Anmic gestita oall’Omonima Società Anmic Riabilitazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocato C P, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;

contro

Regione Calabria, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocato G N, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;
Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone non costituita in giudizio;
Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocato Giuseppe Brogno, con domicilio digitale come da PEC indicata in atti;
Commissario ad acta Piano di Rientro dai Disavanzi Sanitari della Regione Calabria, pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro, Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia, Turano &
C. S.r.l., Biolife S.r.l. non costituiti in giudizio;
Ministero della Salute, Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza resa in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) n. 1086/2020, tra le parti, in data 16 giugno 2020, pubblicata in data 17 giugno 2020 e non notificata, con cui era dichiarato inammissibile il ricorso volto all'annullamento:

a. dei Piani di Acquisti delle ASP di Crotone e Cosenza anno 2020 nella parte in cui ha attribuito alla ricorrente un budget asseritamente non idoneo ed inferiore rispetto a quello effettivamente dovuto ed a quello riconosciuto nell'anno precedente;

b. del decreto del Commissario ad acta n. 4 del 7 gennaio 2020 e relativi Allegati, pubblicato sul BURC in data 17 gennaio 2020, avente ad oggetto “Definizione livelli massimi di finanziamento alle Aziende Sanitarie Provinciali per l'acquisto di prestazioni di assistenza riabilitativa psichiatrica, di assistenza sanitaria e socio-sanitaria e di assistenza riabilitativa extra-ospedaliera estensiva, ambulatoriale e domiciliare con oneri a carico del SSR – Anno 2020 – ed approvazione schema contrattuale per la regolamentazione dei rapporti in materia di prestazioni sanitarie erogate dalla rete di assistenza territoriale privata accreditata”, nella parte in cui non riconosce alla struttura ricorrente il giusto ed equanime tetto di spesa da destinare alla struttura ricorrente, e pertanto limitatamente alla parte di interesse sull'ASP di Cosenza e sull'ASP di Crotone;

c. di tutti gli altri atti presupposti, connessi e conseguenti a quello in questa Sede impugnato, ed in particolare: 1) della proposta di Piano di Acquisto 2020 dell'ASP di Cosenza nella parte in cui ha previsto per la strutture ricorrente un budget anno 2020 non corretto in quanto inferiore rispetto a quello effettivamente dovuto, atto non conosciuto e qualora occorrente;
2) degli atti tutti delle istruttorie, laddove effettuate e qualora fosse occorrente, anche se non conosciuti, sia della Regione che delle ASP di Cosenza e di Crotone limitatamente al Pian di acquisti;
3) della Nota commissariale prot. n. 439246 del 20 dicembre 2019, sebbene non conosciuta e in quanto occorrente se lesiva per come citata nel d.C.A. 4/2020;

con ogni effetto ed onere conseguente;

con vittoria di spese e competenze difensive del doppio grado di giudizio in distrazione in favore del difensore;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Calabria, dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, del Ministero della Salute, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Commissario ad acta per il Piano di Rientro dai Disavanzi Sanitari della Regione Calabria;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2021 il Cons. Solveig Cogliani e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I – Con il ricorso in appello sopra specificato, l’ANMIC riabilitazione – premesso di essere un’associazione che gestisce due strutture sanitarie territoriali, una ubicata a Crotone e l’altra situata a San Giovanni in Fiore (CS), accreditate con il SSR (la sede di Crotone per n. 80 prestazioni pro/die ambulatoriali, 60 prestazioni pro/die domiciliari oltre al Reparto di Medicina Fisica e Riabilitativa, anch’esso accreditato, e la sede di Cosenza per n. 80 prestazioni pro/die ambulatoriali, 50 prestazioni pro/die domiciliari oltre al Reparto di Medicina Fisica e Riabilitativa, anch’esso accreditato) - precisa che con il d.C.A. n. 4/2020, il Commissario ad acta fissava il tetto massimo annuale di spesa ritenuto sostenibile con il Fondo Sanitario Regionale con distribuzione delle risorse per singola ASP per l’anno 2020. Tale provvedimento veniva assunto sulla base delle disposizioni del d.C.A. n. 166 del 13 dicembre 2017.

L’organo commissariale, nel decretare i tetti di spesa, precisava altresì che i limiti massimi di finanziamento da privato accreditato venivano comunque definiti in attesa della revisione ed attuazione del provvedimento di riassetto della nuova rete di assistenza territoriale, da adottarsi in coerenza con quanto previsto dalla normativa vigente e con le indicazioni del Programma Operativo 2019/2021. Di fatto, la nuova Rete di assistenza territoriale veniva approvata con d.C.A. n. 65 del 10 marzo 2020.

Evidenzia l’appellante che la nuova rete, in coerenza con le indicazioni ministeriali, prevedrebbe un numero maggiore di prestazioni rispetto a quelle rintracciabili nel menzionato decreto n. 4/2020 sì da non risultare coerente con il limite massimo di finanziamento così deciso dal Commissario.

Con l’Allegato A al decreto, il Commissario, poi, approvava lo schema di contratto che, entro il 31 gennaio 2020 (termine poi prorogato al 1° marzo 2020 con d.C.A. n. 13/2020), gli erogatori privati avrebbero dovuto sottoscrivere.

Secondo l’appellante il d.C.A. 4/2020 avrebbe dovuto prevedere un finanziamento utile a ricoprire il fabbisogno regionale secondo quanto stabilito a livello statale dai Ministeri per garantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sul territorio calabrese. Di fatto, Piano di Acquisto dell’ASP di Cosenza, l’appellante non vedeva riconosciute le prestazioni accreditate precedentemente.

Medesima situazione sarebbe rinvenibile con riferimento all’ASP di Crotone.

Pertanto, l’appellante impugnava gli atti sopra descritti, tuttavia, il T.A.R. Calabria, con la sentenza appellata, dichiarava inammissibile il ricorso. Avverso tale sentenza, pertanto l’istante propone i motivi di appello di seguito indicati.

Sul rilievo di inammissibilità, la sentenza sarebbe viziata per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria giudiziale, error in procedendo, motivazione apparente, insufficiente e perplessa. Infatti, l’Addenda trasmessa all’ASP di all’ASP di Cosenza in data 12 giugno 2020, e da questa, peraltro, non contestata, in cui si sosteneva la vessatorietà della clausola di salvaguardia apposta al contratto comporterebbe il permanere della facoltà della parte di contestare la clausola predetta, che sarebbe nulla.

La odierna appellante avrebbe sottoscritto, quindi, il contratto, accettandolo, solo perché altrimenti non avrebbe potuto prestare i propri servizi in convenzione con il SSR ed avrebbe subito anche la revoca dell’accreditamento.

Ripropone, dunque, i motivi non esaminati dal primo giudice: l’illegittimità dei Piani di Acquisto delle ASP di Crotone e di Cosenza anno 2020 e del decreto del Commissario ad acta n. 4 del 2020 con relativi allegati, unitamente a tutti gli altri atti presupposti, connessi e conseguenti, in corrispondenza ad un eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità, ad una violazione del principio del buon andamento, ad una disparità di trattamento e contraddittorietà, ad un eccesso di potere per mancata indicazione ed individuazione di criteri e parametri in ordine alla scelta delle strutture da contrattualizzare, per mancata e/o errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, ad una assenza di motivazione sulla determinazione assunta nei confronti della ricorrente in ordine al volume delle prestazioni acquistate, ad una violazione degli artt. 8 ter , comma 3, e 8 quater d.lgs. 502/92 e dei LEA e ad un difetto di istruttoria.

Si è costituita la Regione Calabria eccependo il difetto di legittimazione.

Si è costituita l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza per resistere.

Si sono costituiti anche il Commissario ad acta ed i Ministeri intimati, eccependo il difetto di giurisdizione circa il valore della clausola contrattuale, il difetto di legittimazione passiva del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con riferimento all’intero ricorso della Società, e del Commissario ad acta con riguardo agli atti riferibili all’ASP di Cosenza.

II - Con nota del 4 ottobre 2021, l’appellante ha chiesto il rinvio della decisione in considerazione di affermate trattative in essere.

A seguito delle memorie, la causa è stata discussa all’udienza le 7 ottobre 2021. In tale sede l’appellante ha chiesto subordinatamente la cancellazione dal ruolo della causa.

II – In via preliminare, osserva il Collegio che le domande di parte appellante non possono essere accolte. Infatti, il comma 1 bis dell’art. 73, c.p.a, come introdotto dall'art. 17, comma 7, lettera a), del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, dispone: “Non è possibile disporre, d'ufficio o su istanza di parte, la cancellazione della causa dal ruolo. Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio”.

Nella specie che occupa, la parte non è stata in condizione di documentare l’affermato avvio di trattative inerenti l’oggetto della controversia.

III – Ulteriormente, in via preliminare, deve essere dichiarata la fondatezza dell’eccezione di difetto di legittimazione dei Ministeri appellati, e della Regione, stante la non riferibilità degli atti impugnati. Altresì, va condivisa la parametrazione della legittimazione passiva del Commissario ad acta, in quanto organo straordinario della P.A. dotato di autonomia, con riferimento agli atti emanati dalla ASP di Cosenza.

IV - Ciò posto, l’appello è infondato per quanto già precisato in autonoma controversia, contestualmente all’esame del Collegio (n. R.G. 1209/2021).

V – Come si è affermato, infatti, vale ricordare che la Sezione, con la sentenza n. 836/2017, ha avuto modo di precisare diffusamente che – nel caso allora esaminato - correttamente il primo giudice aveva rilevato che: “Le due clausole, quella relativa all’accettazione incondizionata dei tetti di spesa e delle tariffe e quella relativa alla rinuncia delle azioni, sono strettamente collegate tra di loro, in quanto dirette a imporre il rispetto di un determinato regolamento contrattuale, i cui contenuti, come stabilito dalla legge, sono in parte determinati autoritativamente mediante provvedimenti amministrativi, che definiscono la misura e le modalità di distribuzione delle risorse disponibili” e che “contemplano l’accettazione incondizionata dei tetti di spesa fissati e delle tariffe, nonché la relativa rinuncia alle azioni” si inseriscono all’interno di rapporti contrattuali condizionati dall’esigenza di porre rimedio allo squilibrio finanziario maturato nel corso degli anni, e assolvono alla funzione di “evitare che il rispetto dei vincoli finanziari, attuato con la sottoscrizione di accordi compatibili con le risorse disponibili, rimanga esposto ad iniziative in sede giurisdizionale in grado di compromettere o porre in pericolo gli obiettivi perseguiti”. Questa Sezione ha evidenziato a riguardo che tali clausole “imposte” non costituiscono una novità, trovando ampio spazio nel settore commerciale, come dimostra l’esperienza quotidiana, e che risultano giustificate dalla ratio che intendono perseguire.”

Ed ancora ha ricordato che: “La Corte Costituzionale ha da tempo chiarito che, in presenza di una inevitabile limitatezza delle risorse, “non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l’urgenza”, poiché è “viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto conto ovviamente delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute” (Corte Cost., 23 luglio 1992, n. 356). Inoltre, la clausola di salvaguardia non esclude la sottoposizione ad impugnazione di una determinata categoria di atti definita in astratto, ma collega alla sottoscrizione dell’accordo gli effetti propri dell’acquiescenza a fronte di un provvedimento già adottato ovvero della rinuncia alle azioni già intraprese. Ne consegue la riaffermazione dei principi già espressi dalla Sezione in sede cautelare (ordinanza n. 906/2015, richiamata anche dal primo giudice, la quale sviluppa una motivazione che richiama anche l’istituto della transazione), proprio con riferimento ad analoga clausola disposta dal Commissario ad Acta e relativa alla Regione Abruzzo, anch’essa sottoposta a piano di rientro del deficit nel settore sanitario. In tale ordinanza la Sezione ha ritenuto che: “gli operatori privati non possono ritenersi estranei a (…) vincoli e stati di necessità, che derivano da flussi di spesa che hanno determinato in passato uno stato di disavanzo eccessivo nella regione e che riguardano l’essenziale interesse pubblico alla corretta e appropriata fornitura del primario servizio della salute alla popolazione della medesima Regione per la quale gli stessi operatori sono dichiaratamente impegnati;
le autorità competenti operano in diretta attuazione delle esigenze cogenti del Piano di rientro e del Programma operativo per tutti gli aspetti quantitativi e pertanto i medesimi non sono sostanzialmente negoziabili dalle parti come ha riconosciuto l’amplissima e univoca giurisprudenza di questa Sezione sui tetti di spesa;
(…). Tale clausola di conseguenza equivale ad un impegno della parte privata contraente al rispetto ed accettazione dei vincoli di spesa essenziali in un regime come quello esistente in Abruzzo, sottoposto al Piano di rientro;
d’altro canto, in caso di mancata sottoscrizione, l’autorità politico-amministrativa non avrebbe alcun interesse a contrarre a meno di non rendere incerti i tetti di spesa preventivati, né potrebbe essere obbligata in altro modo alla stipula…;
pertanto si può escludere ad un primo esame la violazione del diritto costituzionale ad agire in giudizio a tutela dei propri diritti e interessi legittimi limitatamente agli aspetti quantitativi relativi alle concrete fattispecie in essere, dal momento che: a) la clausola è limitata a definire un conflitto già in essere o potenziale relativo a concrete e definite questioni;
b) chi intende operare nell’ambito della sanità pubblica deve accettare i limiti in cui la stessa sanità pubblica è costretta, dovendo comunque e in primo luogo assicurare, pur in presenza di restrizioni finanziarie, beni costituzionali di superiore valore quale i livelli essenziali relativi al diritto di salute;
c) in alternativa, agli operatori resta la scelta di agire come privati nel privato;
in tali circostanze dominate dalla esistenza di un grave disavanzo e dalla necessità di corrispondere comunque a superiori diritti costituzionali facenti capo alla generalità della popolazione, la clausola di salvaguardia, in quanto sia limitata ai rapporti già in essere o che vengano contestualmente stipulati e ai loro aspetti quantitativi, possa equivalere ad una formula transattiva necessaria in presenza di fattori e vincoli di ordine costituzionale e finanziario che sovrastano la volontà delle parti”. Tali principi sono stati riaffermati dalla Sezione anche con le recentissime ordinanze n. 335, 336 e 337/2017 rese in sede di impugnazione di analoga clausola e con le sentenze nn. 428/2017 e 430/2017.”

VI - Con riferimento, poi, alla apposizione di una riserva, con la quale le strutture private precisano di sottoscrivere i contratti al solo scopo di non incorrere nella sospensione del rapporto di accreditamento, riservandosi comunque ogni più ampia tutela, la Sezione (Cons. St., sez. III, 18 gennaio 2018, n. 321 e 28 ottobre 2020, sentenza n. 6569) ha sottolineato che non essendo la facoltà di sottoscrizione con riserva del contratto contemplata dal modello di riferimento, le dichiarazioni di riserva manifestate in via aggiuntiva devono intendersi come non apposte e, dunque, come tali, non sono idonee a impedire la formazione dell’accordo.

Non vi è motivo per discostarsi da tale orientamento;
pertanto, sulla base delle svolte considerazioni, ritiene dunque il Collegio che la clausola in questione – data per non apposta la riserva per gli indicati motivi - non costituisca un’inammissibile compressione del diritto alla tutela giudiziaria, in quanto richiama i principi dell’acquiescenza e della rinunzia all’impugnativa, poiché la clausola in questione nella parte in cui dispone che la sottoscrizione del contratto comporta la rinuncia alle azioni/impugnazioni già intraprese, è riconducibile all’istituto della rinunzia al ricorso.

Detta clausola, peraltro – come si è detto - nel riferirsi anche ai contenziosi instaurabili, riguarda comunque i soli provvedimenti già adottati e conoscibili (e quindi ben determinati), non estendendosi anche quelli “futuri” come invece sostenuto nel ricorso in appello.

VII – Ne discende, dunque, che stante l’infondatezza del primo motivo, non è possibile accedere all’esame delle alte censure riproposte in appello.

VIII – L’appello, per quanto sin qui ritenuto, deve essere respinto.

IX – Tuttavia, in considerazione della complessità della fattispecie esaminata, sussistono giusti motivi per compensare le spese del presente grado.

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