Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-10-26, n. 201806114
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Pubblicato il 26/10/2018
N. 06114/2018REG.PROV.COLL.
N. 05418/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5418 del 2018, proposto da
Consorzio Stabile Medil Soc. Cons. a r.l., in persona del legale rappresentante
pro-tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato A A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi n. 5;
contro
Comune di Forio, in persona del Sindaco
pro-tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 3795/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Forio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 ottobre 2018 il Cons. R P e uditi per le parti gli avvocati Abbamonte;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo della Campania il Consorzio Stabile MEDIL soc. cons. a r.l. (d’ora in avanti Consorzio) impugnava la nota del 6 febbraio 2018 con la quale il Comune di Forio l’aveva escluso dalla gara di appalto indetta ai sensi degli artt. 26, comma 8 e 60 del d.lgs. n. 50 del 2016 per la riqualificazione e recupero funzionale dell’ex municipio, bene monumentale, tutelato dalla normativa dei beni culturali - (I lotto), esclusione, poi confermata con la nota del 2 marzo 2018, anch’essa impugnata.
Esponeva in fatto il ricorrente che ai fini della partecipazione erano state richieste le seguenti categorie SOA: OG2 €. 404.539,66 prevalente;OG11 €. 72.605,21 scorporabile;OS6 €. 67.060,46 scorporabile;il Consorzio, in possesso di tutte le categorie richieste dal bando, aveva designato per l’esecuzione dei lavori la consorziata So.Te.C. s.r.l. solo parzialmente qualificata e ciò aveva determinato l’esclusione in base all’interpretazione delle disposizioni dettate dal codice dei contratti pubblici in materia di beni culturali fornita dall’ANAC: tale interpretazione che ostava quanto ai beni culturali al principio generale del c.d. “cumulo alla rinfusa” generalmente valido per i consorzi stabili, ma che invece richiedeva come esecutori delle opere i soli consorziati che fossero in possesso (in proprio) delle qualificazioni richieste dalla lex specialis per l’esecuzione dei lavori oggetto di affidamento, in ragione di quanto stabilito dall’art. 146, co. 2 del codice nel suo contenuto vigente, secondo cui “ i lavori di cui al presente capo sono utilizzati, per la qualificazione, unicamente dall’operatore che li ha effettivamente eseguiti ”, alla stregua dei r.t.i., con l’implicazione dell’impedimento anche del soccorso istruttorio.
A sostegno del gravame il ricorrente deduceva varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere.
Si costituiva in giudizio per resistere il Comune intimato.
Con la sentenza n. 3795 del 7 giugno 2018 il Tribunale amministrativo riteneva il ricorso infondato.
L’indicazione in sede di offerta un’impresa (consorziata) esecutrice dei lavori priva della qualificazione nella categoria OG2 (lavori su beni culturali) si poneva in contrasto con l’art. 146 co. 2 e con il successivo regolamento attuativo D.M. n. 154/2017, poiché per i beni culturali era necessaria la qualificazione dell’esecutore diretto, pur in presenza nel caso dei consorzi stabili, del possesso complessivo in capo a costoro della qualificazione sopraddetta.
Né può sostenersi che le limitazioni sussistenti nel settore dei beni culturali dovessero valere solo per il caso dell’avvalimento ed una limitazione operativa dei consorzi stabili autonomamente titolari di tutti i requisiti dei consorziati ai sensi dell’art. 48 del d.lgs. n. 50 del 2016 e quanto disposto avrebbe infranto il principio di tassatività delle clausole di esclusione, poiché l’art. 146 del d.lgs. n. 50 del 2016 in quanto consentito dall’art. 36 del TUE che lascia agli Stati la facoltà di porre restrizioni laddove sia interessata la protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale ed in conformità agli artt. 9 bis e 29 del d.lgs. n. 42 del 2004 ha stabilito il principio che ad eseguire i lavori sui beni culturali possono essere solo i soggetti in possesso delle necessarie qualificazioni e più in generale che gli interventi sui beni culturali possono essere “affidati ed eseguiti” solo da professionisti a ciò qualificati.
Il possesso in proprio delle necessarie qualificazioni da parte del Consorzio non può compensare la carenza riscontrata, poiché la finalità delle norme in materia non è tanto quello dell’individuazione di un responsabile della buona esecuzione dei lavori, ma l’evitare che soggetti non qualificati possano arrecare al patrimonio culturale danni irreversibili e non compensabili;tale fattispecie configurava quindi la mancanza di un requisito soggettivo necessario e rendeva perciò il soccorso istruttorio un passaggio in contrasto con la par condicio .
Con appello in Consiglio di Stato notificato il 3 luglio 2018 il Consorzio impugnava la sentenza in questione e la censurava nuovamente di violazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione, l’erronea interpretazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 50 del 2016 volto a limitare il solo avvalimento ed anche delle pronunce dell’ANAC sul punto, la possibilità di ricorrere al soccorso istruttorio in vista del possesso complessivo da parte dell’appellante del requisito richiesto in categoria OG2 e l’omessa considerazione di tale aspetto in riferimento a quanto previsto in materia dalle norme europee.
Il Consorzio concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese.
Il Comune di Forio si è costituito anche in questo grado di giudizio, sostenendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.
All’udienza del 4 ottobre 2018 la causa è passata in decisione.
Si fa questione dell’esclusione del Consorzio Stabile Medil a s.r.l. dalla gara di appalto per primo lotto di riqualificazione e recupero funzionale dell’ex municipio di Forio, bene monumentale tutelato ai sensi del d. lgs, n. 42 del 2004: il Consorzio è stato escluso, perché la consorziata So.Te.C. indicata come esecutrice dei lavori, era solo parzialmente in possesso della qualificazione nella categoria OG2, specifica per lavori sui beni culturali, richiesta per €. 404.539,66 ed ricorrente introduttivo ora appellante, senza contestare il dato di fatto, si duole della disapplicazione del principio generale del cosiddetto cumulo alla rinfusa, sulla cui base i consorzi stabili possono provare possesso dei requisiti di ordine speciale richiesti da una legge di gara, cumulo fondato sulla sommatoria in capo al proprio complesso di tutti i requisiti dei consorziati, elemento che avrebbe comunque impedito la propria esclusione.
La sentenza impugnata merita conferma, tanto è che si può prescindere dall’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune appellato.
Del tutto correttamente il Tribunale amministrativo ha sottolineato la giustezza del richiamo ad un parere Anac operato dalla P.A. nell’escludere l’appellante dalla gara, parere secondo il quale se principio generale del “cumulo alla rinfusa” dei consorzi stabili non è stato superato della legislazione in materia di contratti pubblici, non può essere applicato per le qualificazioni nelle gare per lavori relativi ai beni culturali per i quali vi è una chiara disposizione derogatoria costituita in particolare dall’art. 146 comma 2 del d. lgs, n. 50 del 2016, laddove si stabilisce che “ I lavori di cui al presente capo – ovverosia interventi sui beni culturali - sono utilizzati, per la qualificazione, unicamente dall’operatore che ha effettivamente eseguiti. Il loro utilizzo, quale requisito tecnico, non è condizionato da criteri di validità temporale .”
La disposizione afferma con tutta evidenza che una determinata ditta che ha eseguito tale tipo di lavori potrà “spenderli” come requisito esclusivamente proprio e ne consegue che, se inserita in una struttura come proprio consorzio stabile, potrà farne uso per la propria qualificazione, ma non prestarli ad associate o eventualmente assumere come propri i lavori di questi.
L’interpretazione, letterale, ora tratta del comma 2 dell’art. 146 del codice dei contratti pubblici deve essere letta congiuntamente ai commi 1 e 3 dello stesso articolo, poiché il comma 1 dichiara espressamente che tali disposizioni sono dettate in conformità agli artt. 9- bis e 29 del codice dei beni culturali – d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 – per i quali coloro che seguono lavori attinenti detti beni necessitano del possesso dei requisiti qualificazione specifici ed adeguati ad assicurare la tutela dei beni oggetto di intervento con il corollario rafforzativo – comma 3 - dell’eccezionale esclusione dell’istituto dell’avvalimento, esclusione ammessa per la specificità del settore dallo stesso art. 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Gli artt. 9- bis e 29 del codice dei beni culturali richiamano il primo la necessità che gli interventi operativi di tutela, protezione conservazione dei beni culturali siano affidati alla responsabilità ed all’attuazione secondo le rispettive competenze delle figure specializzate nei singoli settori ed il secondo - segnatamente il comma 6 - ribadisce di specificità in materia di progettazione e di esecuzione di opere su beni architettonici e richiede altresì che gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili vengano eseguiti in via esclusiva dai soggetti formalmente individuati come restauratori di beni culturali.
La deroga all’art. 48 del codice dei contratti pubblici che permette ai consorzi stabili il già richiamato cumulo alla rinfusa non ammette dubbi interpretativi ed il d.m. n. 154 del 2017 recante attuazione dell’art. 146 con l’individuazione dei requisiti di qualificazione per esecutori del tipo di lavori in controversia rafforzano le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado.
Va anche sottolineato che non ha pregio la censura avanzata dal Consorzio appellante secondo cui la specialità delle previsioni trova applicazione solamente nell’esclusione dell’avvalimento, poiché tale ipotesi è solamente una delle specificità di questa normativa di “nicchia”, tanto da assumere carattere eccezionale nel settore complessivo, ma che comprende comunque l’intero campo degli interventi di manutenzione, restauro e valorizzazione dei beni culturali immobili e mobili.
Nemmeno trova fondamento la censura secondo cui l’esclusione non poteva essere pronunciata se non infrangendo il principio di tassatività delle clausole esclusive sancito dall’art. 80 del codice dei contratti pubblici, poiché è del tutto evidente che la non ammissione alle gare per l’affidamento di lavori su beni coperti da tutela storico-artistica a soggetti non qualificati o solo parzialmente qualificati discende direttamente dalla legge, per cui oltre alla necessità del rispetto delle norme di qualificazione, una diversa soluzione costituirebbe solamente un’elusione amministrativa in una Nazione che pone la tutela del proprio patrimonio culturale dei principi costituzionali fondamentali.
Il Collegio rileva per completezza, anche se l’apprestamento normativo del tutto privo di incertezze non lo richiederebbe, che un’eventuale applicazione del cumulo alla rinfusa per i consorzi stabili anche nel campo degli interventi di beni oggetto di vincolo artistico avrebbe comunque la conseguenza della responsabilità solidale del consorzio stabile a fronte di lavori non eseguiti a regola d’arte da componenti del consorzio non qualificati: ma l’interesse pubblico reale nel campo resta principalmente quello interventi di restauro e manutenzione portata a termine nel pieno soddisfacimento dell’interesse tutelato e non tanto quello successivo di un risarcimento per un adempimento dannoso o incompleto.
Per le considerazioni ora esposte l’appello deve essere respinto.
La novità delle questioni trattate, affrontate da questa Sezione solamente in un caso simile risolto con la sentenza n. 5427 del 17 settembre 2018, ed il non ancora maturato quadro giurisprudenziale giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio.