Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-10-28, n. 201907319
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Testo completo
Pubblicato il 28/10/2019
N. 07319/2019REG.PROV.COLL.
N. 05533/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5533 del 2011, proposto dal signor
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato G C P Z, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Emilia, 81;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Dipartimento Amministrazione Penitenziaria non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 settembre 2019 il Cons. Giovanni Orsini e uditi per le parti l’avvocato Stefano Monti su delega di G C P Z e l’ avvocato dello Stato Alfonso Peluso;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’appellante, già ispettore superiore del Corpo di polizia penitenziaria, ha presentato ricorso in data 20 febbraio 2003 per ottenere la declaratoria dell’illegittimità della condotta del Ministero della Giustizia e del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria quali suoi datori di lavoro e per la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, morali e biologico, perdita di chance, lesione dell’immagine professionale e per costrette dimissioni dal lavoro, denunciando in particolare il comportamento del direttore della casa circondariale di Monza dove prestava servizio in qualità di comandante di reparto.
Nel ricorso vengono citati i rapporti disciplinari mossi nei suoi confronti, la nota riservata del 4 giugno 1997 inviata al vice-direttore generale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, l’atto di contestazione di addebiti del 4 settembre 1997 da cui scaturiva un nuovo procedimento disciplinare, la sentenza del 23 maggio 2002 con cui il T ha accolto il suo ricorso contro la sanzione comminatagli, il successivo trasferimento presso la casa circondariale di Milano, la valutazione relativa al 1997 poi modificata a seguito di ricorso dalla commissione per il personale.
2. Il T, dopo aver svolto specifici adempimenti istruttori, disponendo anche una CTU, per accertare le condizioni di salute del ricorrente e l’eventuale riconducibilità delle lesioni all’ambiente di lavoro, ha respinto il ricorso ritenendo che la condotta dell’amministrazione non presentasse le caratteristiche tipiche del mobbing, vale a dire porre in essere una pluralità di comportamenti sistematicamente finalizzati ad estromettere o emarginare il lavoratore del contesto lavorativo.
3. L’appello deduce plurimi motivi di illegittimità con riferimento a diversi principi costituzionali, alle norme del codice civile sulla responsabilità, alla disciplina legislativa a tutela dei lavoratori e relativa al trattamento retributivo dei militari, a vari articoli del codice penale, alle norme che regolano il procedimento disciplinare della polizia penitenziaria, alla legge n. 241 del 1990 e ai principi di correttezza, buona fede e affidamento. Deduce altresì l’eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto di motivazione.
4. In data 16 luglio 2019 il Ministero della giustizia, costituitosi il 10 agosto 2011, ha depositato una memoria chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
5. Nell’udienza del 17 settembre 2019, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. L’appello non è fondato.
6.1. Le plurime censure enunciate nell’appello vengono in realtà esplicitate in due motivi riassuntivi. Con il primo l’appellante contesta quanto affermato dal T in ordine alla insussistenza di un unico disegno vessatorio consistente in una molteplicità di comportamenti persecutori. Già prima dell’adozione di atti formali si sarebbe infatti manifestata la strategia ostile ai suoi danni che quindi si sarebbe protratta per oltre un anno a partire almeno dal novembre 1996 ed essa sarebbe stata avallata dall’intera linea gerarchica (cita al riguardo la nota del 24 febbraio 1997, che si riferisce al periodo precedente). Inoltre, l’archiviazione del successivo procedimento disciplinare non sarebbe indice dell’assenza dell’intento persecutorio perché essa ha avuto luogo dopo il suo trasferimento a Milano per asserita incompatibilità ambientale. La sentenza di primo grado non terrebbe conto inoltre della nota inviata dal direttore del carcere al vice direttore del DAP contenente affermazioni che l’appellante considera false e non sarebbe condivisibile la tesi del T secondo cui anche l’esito dell’ulteriore procedimento disciplinare con l’accoglimento del suo ricorso da parte del T della Lombardia non consente di ritenere sussistente la condotta “mobbizzante” e il decreto di distacco del 9 giugno 1997 sarebbe stato emesso correttamente in relazione alla situazione di incompatibilità ambientale e all’avvio di un procedimento penale nei suoi confronti. Sul punto osserva che il decreto di distacco è stato emanato dopo tre mesi dall’invio dell’avviso di garanzia. Contesta quindi che il T abbia ritenuto “verosimile” la difesa dell’amministrazione in relazione al demansionamento derivante dal trasferimento a Milano e che l’annullamento del punteggio attribuitogli per il 1997 a seguito di ricorso gerarchico lo renda non significativo dal punto di vista della condotta complessiva dell’amministrazione. L’annullamento è avvenuto infatti a trasferimento già avvenuto e il demansionamento avrebbe potuto essere evitato trasferendolo in una sede a lui gradita. Infine, non considera condivisibile che la sua esclusione da alcune manifestazione del corpo sia ininfluente perchè estranea al rapporto di lavoro.
6.2. Con il secondo motivo deduce la contraddittorietà della sentenza di primo grado rispetto all’esito della CTU: mentre infatti la CTU ha accertato l’esistenza del danno e il legame con l’ambiente di lavoro, la sentenza considera i danni evidenziati “non causalmente imputabili ad una condotta illegittima dell’amministrazione resistente”.
6.3. I motivi possono essere oggetto di un’unica trattazione in quanto la questione controversa riguarda la natura persecutoria o meno del comportamento dell’amministrazione, oggetto del primo motivo, e eventualmente, qualora fosse riconosciuta tale, la sua incidenza sullo stato di salute dell’appellante (secondo motivo). Il T ha disconosciuto l’intento persecutorio e conseguentemente ha escluso, per questa ragione, che la condotta dell’amministrazione (ritenuta non illegittima) potesse essere causa dei danni di cui si è chiesto il risarcimento.
7. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha precisato che per mobbing deve intendersi una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico complessa e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, indicativi di un disegno finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica e con l’ulteriore conseguenza che, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, va accertata la presenza di una pluralità di elementi costitutivi, dati: a) dalla molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio;b) dall'evento lesivo della salute psicofisica del dipendente;c) dal nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell'integrità psicofisica del lavoratore;d) dalla prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (Cons. St., sez. IV, 6 agosto 2013, n.4135;sez. VI, 12 marzo 2012, n.1388).
Inoltre, l'azione offensiva posta in essere a danno del lavoratore deve essere sistematica e frequente, deve essere posta in essere con una serie prolungata di atti e di comportamenti e deve avere le caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione o rivelare intenti meramente emulativi (Cons. St., sez. IV, 19 marzo 2013, n.1609).
Sotto il profilo del rilievo del fattore psicologico del datore di lavoro, è stato chiarito che la sussistenza di condotte mobbizzanti deve essere qualificata dall'accertamento di finalità persecutorie o discriminatorie, in quanto proprio l'elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito e che è imprescindibile ai fini dell'enucleazione del mobbing (Cons. St., sez. IV, 16 febbraio 2012, n.81;sez. III, n. 4105).
8. Alla luce di tali principi si deve condividere la conclusione cui è giunto il giudice di primo grado. Gli episodi su cui l’appellante fonda le proprie richieste appaiono infatti slegati non essendovi prova che essi siano riconducibili ad un disegno unitario volto a screditare il dipendente per emarginarlo e dequalificarlo. Nè l’indispensabile fattore psicologico emerge dall’analisi dei singoli comportamenti denunciati che non sembrano caratterizzati da dolo o colpa, seppur lieve.
8.1. Nell’appello ci si riferisce in primo luogo alla nota riservata del 24 febbraio 1997 per evidenziare che l’ostilità del direttore del carcere nei confronti del ricorrente, con l’avallo del Provveditore, ha inizio almeno dal novembre 1996. In realtà la nota segnala le difficoltà gestionali registrate dal Direttore: in ogni caso la condotta ritenuta lesiva si sarebbe svolta nel primo semestre del 1997 (fino al distacco a Milano) e quindi in un arco di tempo piuttosto limitato.
8.2. Quanto al ritardo con cui sarebbe stata archiviata l’azione disciplinare assunta a seguito della pubblicazione della foto su un giornale locale non si rilevano anomalie nello svolgimento del relativo procedimento che si è concluso positivamente per l’appellante, ma che non appare di per sé indicativo di una volontà persecutoria né con riferimento al suo avvio , né ai tempi di svolgimento visto che la stessa relazione del funzionario istruttore che ne esclude la responsabilità afferma che il comportamento dell’istruttore nell’occasione è stato caratterizzato da “grave superficialità”.
8.3. Anche la successiva nota dell’8 maggio 1997 è certamente indicativa di un forte contrasto all’interno della struttura, ma non sembra essere ascrivibile ad una pregiudiziale volontà di produrre artatamente un effetto discriminatorio. E’ significativo che la nota del 12 maggio 1997 a firma del Provveditore sottolinei ‘ la profonda frattura che si è radiografata nei rapporti tra il Direttore dell’Istituto e il Comandante’ e individui nel procedimento disciplinare non ancora concluso (benchè fosse stata redatta la relazione del funzionario istruttore) e nel procedimento penale pendente a carico dell’appellante due episodi di ‘rilevante gravità dei quali l’ispettore è stato l’indiscusso protagonista’. I due episodi vengono quindi inseriti in un contesto di oggettivo contrasto di cui l’Amministrazione non poteva non farsi carico tenendo doverosamente conto, peraltro, del fatto che l’ispettore destinato a capo del personale del corpo è gerarchicamente e funzionalmente dipendente dal direttore dell’istituto.
8.4. A prescindere dall’esito dei procedimenti e ciò vale anche per il procedimento che si à concluso con l’irrogazione della sanzione pecuniaria poi annullata dal T della Lombardia, occorre infatti valutare se essi siano frutto di un intento persecutorio o se, viceversa, la diversità di vedute e, in definitiva, la contrapposizione all’interno dell’istituto da Monza fosse giunta ad un livello non più fisiologico tale da produrre una situazione conflittuale non più gestibile. Ne sono testimonianza peraltro i toni usati e le critiche anche pubbliche rivolte al ricorrente. Non commendevoli queste ultime, ma di per sé non indicative del disegno ostile.
8.5. E’ condivisibile al riguardo quanto affermato dal giudice di primo grado relativamente all’assenza di un disegno unitario vessatorio, rinvenendosi invece una serie di episodi interni alla dinamica sicuramente conflittuale del rapporto di lavoro.
Conseguentemente, il distacco e il successivo trasferimento a Milano del ricorrente appaiono funzionali alla eliminazione dello stato di conflittualità determinatosi nella struttura e non appare rilevante da questo punto di vista che il provvedimento sia stato assunto a distanza di tre mesi dalla comunicazione di garanzia relativa al procedimento penale avviato nei confronti dell’appellante.
Anche la circostanza che il trasferimento dell’appellante abbia avuto come destinazione la sede di Milano dove non era disponibile la posizione di comandante ricoperta a Monza non sembra poter rappresentare un ulteriore elemento del disegno persecutorio non configurandosi come un demansionamento quanto piuttosto come un effetto di scelte organizzative dell’Amministrazione;d’altra parte i compiti assegnatigli nella nuova sede appaiono coerenti con il profilo professionale di appartenenza.
8.6. Consequenziale agli episodi che si erano registrati è la valutazione del ricorrente per il 1997, né può essere considerato persecutorio il fatto che l’accoglimento del ricorso sia intervenuto successivamente al trasferimento, non essendovi relazione tra i due atti. Condivisibile è infine la valutazione del T sulla irrilevanza all’interno del rapporto contrattuale con l’appellante il mancato invito ad una manifestazione del Corpo.
8.7. Quanto alle valutazioni del collegio peritale nella CTU deve rilevarsi che l’accertato stato di salute e la sua riconducibilità all’ambiente di lavoro non attestano ovviamente la illegittimità del comportamento dell’Amministrazione.
9. Sulla base delle suesposte considerazioni l’appello deve essere respinto.
Sussistono tuttavia le ragioni per compensare le spese del presente grado giudizio.