Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-05-20, n. 201903228

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2019-05-20, n. 201903228
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201903228
Data del deposito : 20 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/05/2019

N. 03228/2019REG.PROV.COLL.

N. 07881/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7881 del 2012, proposto dai signori:
I) I V e P G S, in qualità di soci e componenti del disciolto consiglio di amministrazione della Banca di Credito Cooperativo di San Vincenzo La Costa;
II) D F A C, I B, I M E, R F, L B A, T C, T M, L T, D B O, P P F, P R, B F, B R V, B U, P A, M L, P E, P F e F C, in qualità di soci della Banca di Credito Cooperativo di San Vincenzo La Costa;
tutti originariamente rappresentati e difesi dagli avvocati G I, F I (i quali, con atto del 25 marzo 2013, hanno dichiarato di rinunciare al mandato difensivo) e M C, con domicilio eletto presso lo studio dei primi in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 82;
III) I A, in qualità di socio e di ex direttore generale della Banca di Credito Cooperativo di San Vincenzo La Costa, rappresentato e difeso dagli avvocati F I e M C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F I, in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 82;

contro

il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Agresti, Marco Mancini e F S, con domicilio eletto presso l’Ufficio legale della Banca d’Italia, in Roma, via Nazionale, n. 91;

nei confronti

del signor L Alessandro, in qualità di Commissario Liquidatore della Banca di Credito Cooperativo di San Vincenzo La Costa, rappresentato e difeso dagli avvocati L T e Tommaso Di Nitto, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L T in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 47;
della Banca per lo Sviluppo della Cooperazione di Credito S.p.A., non costituita in giudizio nel presente grado;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione III, n. 5492/2012, resa tra le parti e concernente domanda di annullamento:

a) del decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 499 del 26 maggio 2011, con il quale è stata revocata l’autorizzazione all’attività bancaria nei confronti della Banca di Credito Cooperativo San Vincenzo La Costa, già in amministrazione straordinaria, e la stessa è stata posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’art.80, commi 1 e 2, d.lgs. n. 385/1993;

b) del provvedimento della Banca d’Italia del 27 maggio 2011, con il quale l’avvocato A L è stato nominato commissario liquidatore di detto istituto bancario e l’avvocato F M, il dott. P F e l’avvocato F R sono stati nominati componenti del comitato di sorveglianza;

c) del provvedimento della Banca d’Italia del 27 maggio 2011, con il quale è stata autorizzata la cessione delle attività e delle passività facenti capo al menzionato istituto bancario alla Banca per lo Sviluppo della Cooperazione di Credito S.p.A.;

d) di tutti gli atti presupposti, connessi e/o conseguenziali.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2018, il consigliere B L e uditi, per le parti, gli avvocati M C e F I, l’avvocato dello Stato M V L e gli avvocati F S e L T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.0 Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio dichiarava in parte inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, e in parte infondato nel merito il ricorso n. 7581 del 2011, proposto dagli odierni appellanti – nelle qualità precisate in epigrafe, con riferimento alle posizioni e agli incarichi dagli stessi ricoperti nell’ambito della Banca di Credito Cooperativo di San Vincenzo La Costa (d’ora in avanti: «BCC») – avverso i seguenti atti:

(i) il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) n. 499 del 26 maggio 2011, con il quale nei confronti della BCC, già in amministrazione straordinaria, era stata revocata l’autorizzazione all’attività bancaria e la stessa è stata posta in liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’art.80, commi 1 e 2, d.lgs. 1° settembre 1993, n.385 (T.U.B.);

(ii) il provvedimento della Banca d’Italia del 27 maggio 2011, con il quale l’avvocato A L era stato nominato commissario liquidatore di detto istituto bancario e l’avvocato F M, il dott. P F e l’avvocato F R erano stati nominati componenti del comitato di sorveglianza;

c) il provvedimento della Banca di Italia del 27 maggio 2011, con il quale era stata autorizzata la cessione, alla Banca per lo Sviluppo della Cooperazione di Credito S.p.A., delle attività e delle passività facenti capo alla BCC.

1.1 In precedenza, con decreto del MEF n. 958 del 27 novembre 2009, su conforme proposta della Banca d’Italia, la BCC era stata sottoposta ad amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 70, comma 1, lettere a) e b), T.U.B., per la concomitante sussistenza di gravi irregolarità e violazioni normative e per la previsione di gravi perdite tali da ridurre il patrimonio al di sotto del minimo richiesto per legge.

1.2 Il menzionato decreto ministeriale, impugnato in sede giudiziale, era stato considerato legittimo sia dal T.a.r. per il Lazio (con le sentenze n. 6185/2010 e n. 6189/2010) sia dal Consiglio di Stato (con la sentenza n. 8016/2010).

1.3 In esito alla procedura di amministrazione straordinaria – la quale è stata oggetto di proroga semestrale disposta dal MEF con decreto del 26 novembre 2010 –, avendo gli organi straordinari escluso, sulla base della situazione aziendale appurata, ogni possibilità di utile continuazione in via autonoma dell’attività bancaria, la Banca d’Italia aveva proposto al MEF l’adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’art. 80, comma 1, T.U.B., per le riscontrate violazioni normative e irregolarità amministrative e per la previsione di perdite, assurgenti agli estremi di eccezionale gravità.

1.4 Il MEF, uniformandosi a tale proposta, aveva quindi adottato il decreto n. 499 del 26 maggio 2011, recante la revoca dell’autorizzazione rilasciata alla BCC per l’esercizio dell’attività bancaria e la sua messa in liquidazione coatta amministrativa.

1.5 Sulla base di tale decreto, la Banca d’Italia con provvedimento del 27 maggio 2011 aveva nominato il commissario liquidatore e i membri del comitato di sorveglianza;

1.6 Il commissario liquidatore, in linea con le direttive impartite dalla Banca d’Italia nella lettera di conferimento dell’incarico e previa acquisizione del parere favorevole del comitato di sorveglianza e dell’autorizzazione della Banca d’Italia (di cui alla determinazione n. 462339 del 27 maggio 2011), aveva quindi provveduto alla cessione delle attività e delle passività della BCC, esistenti alla data della cessione (quali risultanti dalla ultima situazione contabile disponibile all’avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa), alla Banca per lo Sviluppo e la Cooperazione di Credito S.p.A..

2. In particolare, il T.a.r. adìto, con la sentenza in epigrafe, provvedeva come segue:

(i) respingeva il primo motivo di ricorso – con cui erano state dedotte le censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 l. n.241/1990, degli artt. 23, 24 e 41 Cost. e di eccesso di potere per sviamento –, rilevando, per un verso, la legittimità della motivazione ob relationem con riferimento alla proposta della Banca d’Italia, posta a base del decreto del MEF del 26 maggio 2011, e, per altro verso, la mancata necessità, a norma dell’art. 80, comma 3, T.U.B., della comunicazione della proposta della Banca d’Italia agli interessati prima dell’adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa;

(ii) in reiezione del secondo motivo – con cui erano state dedotte la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., dei principi e delle norme che disciplinano il giusto procedimento, dei principi di trasparenza e di buon andamento, la violazione e falsa applicazione della l. n. 241/1990 (anche in relazione all’art. 24 l. 28 dicembre 2005, n. 262) e del regolamento della Banca di Italia adottato in esecuzione del citato art. 24, e dell’art. 80 T.U.B. (anche in relazione al citato art. 24), nonché l’eccesso di potere per sviamento e per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto –, rilevava che la normativa in materia di risoluzione di crisi bancarie non attribuiva agli organi disciolti della banca e ai soci alcun diritto di informazione o di partecipazione nei procedimenti in questione, essendo la relativa normativa non già finalizzata a tutelare gli interessi di dette categorie soggettive, ma piuttosto ad impedire che la situazione di crisi di un istituto di credito possa ripercuotersi in modo negativo sulla stabilità dell’intero sistema creditizio e a prevenire i conseguenti pregiudizi in capo ai depositanti e risparmiatori, e dovendosi dunque i procedimenti di gestione delle crisi bancarie qualificare alla stregua di « procedimenti ad istruttoria chiusa »;

(iii) in reiezione del terzo motivo – con cui erano state dedotte le censure di violazione e falsa applicazione dell’art. 80, commi 1 e 2, T.U.B., anche in relazione all’art. 70 del T.U.B., e dell’art. 97 Cost., nonché di eccesso di potere per sviamento e per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto –, escludeva l’imputabilità agli amministratori straordinari della situazione economico-finanziaria della BCC che, dalla fase dell’amministrazione straordinaria, aveva condotto alla liquidazione coatta amministrativa, in quanto solo all’esito di una più approfondita analisi della situazione della banca in sede di amministrazione straordinaria (come da relazione di chiusura dei commissari straordinari relativa all’esercizio 1° gennaio 2009 - 27 maggio 2011) era emerso che il quadro aziendale fosse più grave, per inadeguatezza organizzativa e patrimoniale, di quanto già riscontrato in sede ispettiva e non rimediabile con interventi finalizzati al risanamento dell’azienda;

(iv) respingeva il quarto motivo – con cui erano state dedotte le censure di violazione delle norme disciplinanti il trasferimento dell’impresa posta in liquidazione e degli artt. 1362 ss. cod. civ per l’erronea interpretazione delle pattuizioni di cui al rogito notarile del 27 maggio 2011 di cessione delle attività e passività e dell’art. 2555 cod. civ., nonché di eccesso di potere per sviamento e per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto –, affermando la conformità della cessione alla disciplina di cui all’art. 90 T.U.B. che non prevedeva una procedura di gara tra potenziali banche acquirenti, peraltro incompatibile con le esigenze di riservatezza che presiedono alla relativa disciplina a tutela dei clienti della banca, né potendosi inferire dalla celerità della procedura di cessione i dedotti elementi sintomatici del vizio di eccesso di potere;

(v) dichiarava inammissibili, per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo, le censure dedotte con il quinto motivo – di violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 cod. civ. e della disciplina dell’avviamento, per non essersi nel negozio di cessione in alcun modo tenuto conto dell’avviamento commerciale della BCC, e di illiceità della cessione dell’azienda, per aver i relativi autori operato all’evidente fine di realizzare un motivo comune ed illecito ex artt. 1345 e 1418 cod. civ., nonché di eccesso di potere per sviamento e per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto –, trattandosi di censure rivolte avverso il contenuto dell’atto negoziale di cessione, sicché la relativa controversia rientrava nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario;

(vi) per ragioni sostanzialmente identiche dichiarava inammissibile anche il sesto motivo, pure rivolto avverso l’atto negoziale di cessione in sé considerato, risultandone contestata la validità/liceità sotto profili civilistici;

(vii) in reiezione del settimo motivo – con cui erano state dedotte le censure di violazione e falsa applicazione dei principi e delle norme che impongono la trasparenza dell’azione amministrativa, dei principi e delle norme disciplinanti i procedimenti concorsuali e quelli amministrativi e di eccesso di potere per abuso, sviamento e conflitto di interessi sotto il profilo che il provvedimento di nomina a commissario liquidatore dell’avvocato L sarebbe illegittimo, in quanto lo stesso aveva ricoperto la carica di componente del comitato di sorveglianza durante la procedura di amministrazione straordinaria della BCC –, escludendo la paventata incompatibilità del commissario liquidatore, non prevista da norma alcuna, né ravvisabile in concreto;

(viii) dichiarava le spese di causa interamente compensate tra tutte le parti.

3. Avverso tale sentenza interponevano appello gli originari ricorrenti, sostanzialmente riproponendo i motivi di primo grado, seppure adattati all’impianto motivazionale dell’impugnata sentenza, nonché censurando la declaratoria d’inammissibilità per difetto di giurisdizione di cui alle statuizioni riportate sopra sub 2.(v) e 2.(vi). Gli appellanti chiedevano pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza, disporsi in via istruttoria consulenza tecnica d’ufficio diretta ad accertare l’avviamento (clientela e capacità produttiva) della BCC sia alla data dell’apertura dell’amministrazione straordinaria (27 novembre 2009) sia a quella della liquidazione coatta amministrativa (26 maggio 2011) e l’esibizione degli elenchi dei clienti e della documentazione relativa ai rapporti di conto corrente alla data del 26 maggio 2011 di tutte le filiali della BCC, nonché, nel merito, la riforma della sentenza e l’accoglimento del ricorso di primo grado.

4. Si costituivano in giudizio, con atti separati, la Banca d’Italia, il MEF e il commissario liquidatore avvocato L, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.

5. Con ordinanza n. 4836 del 12 dicembre 2012 veniva respinta l’istanza cautelare, per carenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora .

6. Dopo che in data 10 novembre 2017 era stato comunicato alle parti avviso di perenzione ultraquinquennale ex art. 82, comma 1, cod. proc. amm., il solo ricorrente I A manifestava l’interesse alla decisione, depositando in data 7 maggio 2018 istanza di fissazione di udienza (e riconfermando quali propri difensori gli avvocati F I e M C).

7. Indi, all’udienza pubblica del 20 dicembre 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

8.0 Premesso che, a fronte dell’inscindibilità dell’oggetto del giudizio connesso al petitum di annullamento del decreto di liquidazione coatta amministrativa della BCC e della conseguente unitarietà del rapporto processuale tra tutte le parti, la mancata presentazione dell’istanza di prosecuzione del giudizio da parte degli appellanti diversi dal signor I A – il quale agisce nella sua qualità di ex direttore generale della BCC, oltre che di socio, e, come esposto sopra sub 6., era l’unico tra gli appellanti ad aver presentato tempestiva istanza di fissazione d’udienza – non determina la perenzione del ricorso in appello nei confronti dei medesimi (salva l’incidenza della differente condotta processuale sulla regolazione delle spese di causa), si osserva che l’appello è infondato.

8.1 Destituiti di fondamento sono i motivi d’appello – tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente –, con i quali gli appellanti reiterano le censure di primo grado respinte con le statuizioni sub 2.(i) e 2.(ii) e incentrate sulla violazione del contraddittorio e delle garanzie partecipative nell’ambito della procedura di liquidazione coatta amministrativa, non essendo stato loro consentito di interloquire nel procedimento.

Invero, nell’ambito dell’esercizio di funzioni di vigilanza sull’attività bancaria, le disposizioni della legge n. 241/1990, tra cui, in particolare, quelle sulla partecipazione procedimentale, a norma dell’art. 4, comma 3, T.U.B. trovano applicazione soltanto « in quanto compatibili » con la specificità della materia.

Analoga clausola di compatibilità è contenuto nell’art. 24 l. 28 dicembre 2005, n. 262 ( Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari ), che, sotto la rubrica « Procedimenti per l’adozione di provvedimenti individuali , testualmente recita: « Ai procedimenti della Banca d’Italia, della CONSOB, dell’ISVAP e della COVIP volti all’emanazione di provvedimenti individuali, si applicano, in quanto compatibili, i principi sull’individuazione e sulle funzioni del responsabile del procedimento, sulla partecipazione al procedimento e sull’accesso agli atti amministrativi, recati dalla legge 7 agosto 1990 n. 241 e successive modificazioni […]».

L’art. 80 T.U.B., disciplinante il procedimento di liquidazione coatta amministrativa, al primo comma statuisce: « Il Ministro dell’economia e delle finanze, su proposta della Banca d’Italia, può disporre con decreto la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e la liquidazione coatta amministrativa delle banche, anche quando ne sia in corso l’amministrazione straordinaria ovvero la liquidazione secondo le norme ordinarie, qualora le irregolarità nell’amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall’art. 70 siano di eccezionale gravità ».

Il terzo comma dell’art. 80 prevede che: « Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze e la proposta della Banca d’Italia sono comunicati dai commissari liquidatori agli interessati, che ne facciano richiesta, non prima dell’insediamento ai sensi dell'art. 85 ».

Con ciò, il terzo comma dell’art 80 T.U.B. deroga specificamente alle garanzie partecipative di cui agli artt. 7 ss. l. n. 241/1990, sottraendo alla regola della partecipazione procedimentale sia il decreto di scioglimento del MEF sia la proposta formulata dalla Banca d’Italia, laddove prevede che né l’uno né l’altra possono essere comunicati agli interessati prima dell’insediamento dei commissari liquidatori e della contestuale presa in consegna dell’azienda dai precedenti organi di amministrazione.

Tale disciplina speciale e derogatoria si ispira a evidenti ragioni di riservatezza a tutela del pubblico risparmio, incompatibili con le garanzie partecipative invocate dagli odierni appellanti, con la conseguente inapplicabilità in parte qua della disciplina generale sul procedimento amministrativo, attesa la rilevata insussistenza della condizione della compatibilità normativa prevista dagli artt. 4, comma 3, T.U.B. e 24 l. n. 262/2005.

Con riguardo alla disposizione da ultimo citata, ritiene peraltro il Collegio che l’intero procedimento di liquidazione coatta amministrativa di cui all’art. 80 T.U.B. (e, nella fase antecedente, quello di commissariamento ex art. 70 T.U.B.) deve ritenersi sottratto ab imis al perimetro applicativo dell’art. 24, in quanto:

- tale norma di legge si riferisce testualmente « ai procedimenti della Banca d’Italia […] volti all’emanazione di provvedimenti individuali », ossia ad atti provvedimentali che definiscano procedimenti amministrativi per così dire ‘ordinari’ (di autorizzazione, sanzionatori, ecc.);

- al contrario, la liquidazione coatta amministrativa degli istituti di credito, sussumibile nel genus delle procedure di gestione delle crisi bancarie, integra una procedura profondamente diversa, nella quale il ruolo della Banca d’Italia è di carattere istruttorio e preparatorio e si esaurisce in una « proposta », sulla quale le determinazioni conclusive sono rimesse al MEF, il quale « può » disporre la revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria la liquidazione coatta;

- le procedure di gestione di crisi bancarie, quale quella all’esame, si collocano in un contesto in cui assumono particolare rilievo gli interessi pubblici e collettivi coinvolti, concorrenti e/o confliggenti con quelli facenti capo agli stakeholder e agli organi di amministrazione della banca disciolta ‘toccati’ dalle misure, alquanto incisive, adottandi all’esito della procedura in questione;

- siffatti interessi pubblici e collettivi, che trascendono quelli interni aziendali, vanno, evidentemente, indentificati nell’esigenza di garantire la stabilità e il corretto andamento della funzione creditizia, anche nell’interesse dell’economia nazionale, e trovano copertura costituzionale nell’art. 47 Cost.;

- proprio agli interessi pubblici e collettivi sopra evocati è riconducibile la necessità di evitare una discovery anticipata delle valutazioni istruttorie compiute dalla Banca d’Italia, onde impedire manovre speculative o ‘fughe’ dei risparmiatori e scongiurare il rischio di manipolazioni documentali, integrante la ratio del diverso trattamento normativo riservato dal legislatore alle particolari procedure di che trattasi, affatto assimilabili ai procedimenti amministrativi ‘ordinari’ destinati a sfociare in « provvedimenti individuali ».

Evidenziata quindi, per le ragioni appena esposte, l’inconferenza dell’art. 24 l. n. 262/2005 rispetto alla fattispecie sub iudice , risulta ultroneo anche il richiamo al regolamento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008 ( Regolamento recante l’individuazione dei termini e delle unità organizzative responsabili dei procedimenti amministrativi di competenza della Banca d’Italia relativi all’esercizio delle funzioni di vigilanza in materia bancaria e finanziaria, ai sensi degli articoli 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni ). Infatti, tale regolamento – in disparte la sua natura di fonte necessariamente sottordinata alla legge (che, pertanto, giammai potrebbe porsi in contrasto con la disciplina di cui al citato art. 80 T.U.B.) – fa riferimento alla « Proposta di liquidazione coatta amministrativa (avvio del procedimento per l’emanazione del decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze) » al solo scopo di stabilire i termini della procedura e di individuare l’unità organizzativa responsabile all’interno della Banca d’Italia, senza che da ciò si possa ricavare induttivamente l’applicabilità in toto della legge n. 241/1990 al procedura medesima (v., su tali principi, l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa – Cons. Stato, Sez. IV, 8 maggio 2015, n. 2328;
id., 11 novembre 2010, n. 8016;
Cons. Stato, Sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4124;
id., 4 giugno 2007, n. 2945 –, ancorché formatosi con riferimento alla procedura di commissariamento ex art. 70 T.U.B., ma estensibile all’omologa disciplina procedurale contenuta nell’art. 80 T.U.B.).

Deve, poi, senz’altro ritenersi legittima la motivazione del decreto ministeriale (di revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e di liquidazione coatta amministrativo), attraverso il richiamo ob relationem alla proposta della Banca d’Italia, allorché il Ministro – come nel caso di specie – ritenga di condividerla (v. in tal senso, con riferimento all’omologa procedura di commissariamento ex art. 70 T.U.B., Cons. Stato, Sez. VI, 20 dicembre 2012, n. 6583), incombendo, per contro, un onere motivazionale pregnante e specifico solo nel caso in cui il MEF non recepisca la proposta della Banca d’Italia, peraltro istituzionalmente munita degli strumenti, anche operativi, per svolgere l’istruttoria per verificare la sussistenza dei presupposti della revoca dell’autorizzazione e della liquidazione coatta amministrativa.

Concludendo sul punto, le censure devolute al presente grado con i motivi all’esame devono essere respinte, attesa l’incompatibilità in parte qua dell’invocata disciplina ex artt. 3 e 7 ss. l. n. 241/1990 e 24 l. n. 262/2005 con i procedimenti di gestione delle crisi bancarie, quale quello delineato dall’art. 80 T.U.B., rispettivamente l’inconferenza del richiamato art. 24.

8.2 Infondato è altresì il motivo d’appello reiterativo delle censure di primo grado respinte con la statuizione sub 2.(iii), incentrate sulla violazione della disciplina sostanziale dell’art. 80, commi 1 e 2, T.U.B., anche in relazione all’art. 70 del T.U.B., e dell’art. 97 Cost., e sul connesso vizio di eccesso di potere per sviamento e per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.

8.2.1. Giova al riguardo premettere, in linea di diritto, che gli atti di vigilanza posti in essere dalla Banca d’Italia, i quali, per quanto qui interessa, possono culminare nella adozione da parte del MEF del decreto di revoca dell’autorizzazione all’attività bancaria e di liquidazione coatta amministrativa, costituiscono esplicazione di un potere amministrativo caratterizzato da discrezionalità tecnica, volto alla tutela sia dei risparmiatori e correntisti e, dunque, delle garanzie che devono assistere l’attività di raccolta del risparmio e di erogazione del credito, sia – specularmente – dell’affidabilità complessiva del sistema bancario e, in particolare, di ogni singolo istituto.

Ciò, innanzi tutto, in concreta esplicazione di attività volta alla tutela dei valori di promozione e tutela del risparmio, nonché di esercizio dell’attività creditizia, contemplati e garantiti dall’art. 47 della Costituzione. Infatti, il settore del credito è, in relazione alla tutela del risparmio, un settore considerato particolarmente delicato dall’ordinamento e pertanto sottoposto a penetranti poteri di controllo dell’autorità di vigilanza. In particolare, il principio cardine della vigilanza bancaria, esplicitato dall’art 5 T.UB., è costituito dalla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, dalla stabilità complessiva del sistema finanziario, dalla osservanza delle disposizioni in materia creditizia.

Attesa la natura discrezionale del potere esercitato, gli atti adottati sono sindacabili innanzi al giudice amministrativo in sede di legittimità, oltre che per vizi di incompetenza e di violazione di legge, puntualmente indicati, solo per illogicità/irragionevolezza manifesta o travisamento dei presupposti di fatto, quali figure sintomatiche del vizio di eccesso di potere, non potendo il giudice amministrativo – nei limiti propri del sindacato di legittimità – invadere le valutazioni tecniche e di merito riservate all’organo di vigilanza e controllo (v. sul punto, ex plurimis , Cons Stato, Sez. IV, 8 maggio 2015, n. 2328). In altri termini, né questo giudice né le banche, soggetti vigilati, possono sostituire le loro valutazioni a quelle della Banca d’Italia, in termini di rischio del credito, liquidità della banca, stabilità del sistema.

La discrezionalità attribuita al potere decisionale del MEF deve ritenersi riferita, precipuamente, all’accertamento dei presupposti del decreto di revoca dell’autorizzazione bancaria e di liquidazione coatta amministrativa, che ai sensi dell’art. 80 T.U.B. può essere adottato, « qualora le irregolarità nell’amministrazione o le violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie o le perdite previste dall'art. 70 siano di eccezionale gravità ».

8.2.2. Ebbene, nel caso di specie il decreto ministeriale, attraverso il richiamo ob relationem della proposta della Banca d’Italia, ha individuato in modo chiaro e preciso le circostanze di fatto e le condotte contrarie alle regole della sana gestione del credito e della corretta conduzione di un istituto bancario, tali da giustificare la decisione di revocare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria e di procedere alla liquidazione coatta amministrativa della BCC, per l’eccezionale gravità dei fatti accertati.

Invero, la proposta dell’Autorità di vigilanza del 24 maggio 2011 si basa, principalmente, sugli accertamenti degli organi straordinari – insediati alla fine dell’anno 2009, in esito all’apertura della procedura di amministrazione straordinaria per l’accertata sussistenza dei presupposti di cui all’art. 70 T.U.B., la cui legittimità è rimasta acclarata, con autorità di cosa giudicata, dalla sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 6189/2010, confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 8016/2010 –, dai quali è emerso che:

- la situazione aziendale era connotata da « un quadro ancora più grave rispetto a quello posto a base dell’amministrazione straordinaria, per la presenza di irregolarità e criticità di eccezionale gravità riguardanti l’assetto gestionale, il processo di erogazione creditizia, il sistema organizzativo e dei controlli interni »;

- « il rilevante ammontare di perdite accertate sul portafoglio crediti ha condotto al totale azzeramento dei mezzi patrimoniali, delineando la definitiva compromissione della situazione tecnica dell’intermediario » (v. così, testualmente, il punto 2. della proposta);

- in particolare, le significative e molteplici anomalie dell’attività di intermediazione creditizia riguardavano l’insufficienza e lacunosità della documentazione pur minima per l’erogazione dei crediti, il superamento dei limiti competenziali degli organi decidenti, l’inappropriata valutazione delle garanzie e della capacità di rimborso dei beneficiari, l’insufficiente controllo andamentale delle relazioni creditizie, anomale prassi operative quali il sistematico ricorso agli sconfinamenti e la sospensione di assegni privi di copertura oltre i termini per la levata del protesto, la violazione delle disposizioni in tema di centrale di allarme interbancaria, il mancato adeguamento degli interessi sui mutui bancari, l’applicazione di valuta penalizzante per i clienti, l’omesso monitoraggio del pratiche inviate ai legali in fase di recupero, la mancata segnalazione, a fini di vigilanza, di molte posizioni ad andamento anomalo, le concrete modalità di partecipazione alla procedure giudiziali di realizzo coattivo, con la ripetuta necessità della banca di rendersi assegnataria di immobili rimasti non aggiudicati in sede d’asta per la scarsa commerciabilità dei beni oggetto delle acquisite garanzie, spesso in assenza di idonee perizie, oppure con il ricorso al rifinanziamento degli stessi debitori per il favorire il riacquisto degli immobili dagli stessi rimasti occupati (v. il punto 2.1 della proposta);

- l’assetto organizzativo era del tutto inadeguato ad assicurare il governo dei rischi assunti (v. il punto 2.2 della proposta, con ulteriori specificazioni e puntualizzazioni);

- i commissari straordinari hanno provveduto a sanare diversi profili di irregolarità emersi, con particolare riguardo alla disciplina in materia di antiriciclaggio (ibid.);

- « il complesso delle menzionate violazioni e irregolarità gestionali si è riflesso sugli equilibri tecnici aziendali, che, in esito agli accertamenti svolti nel corso della amministrazione straordinaria, supportati anche da una specifica revisione condotta da una società specializzata del movimento cooperativo, sono risultati irreversibilmente compromessi » (v. il punto 2.3 della proposta), risultando, in particolare, con riferimento alla data del 31 marzo 2011, il portafoglio prestiti gravato da posizioni ad andamento anomalo pari a euro 72 milioni corrispondenti al 46% del totale, la capacità di reddito strutturalmente inadeguata e il patrimonio netto inciso dalle perdite sul portafoglio crediti e dai rischi di carattere legale, con un defici t di euro 6,9 milioni (ibid.);

- gli organi straordinari sono stati costretti a far fronte a ripetute tensioni di liquidità conseguenti alla politica fortemente espansiva perseguita dai disciolti organi aziendali, che hanno reso necessario l’intervento del Fondo di garanzia per gli istituti di credito cooperativo (FGDCC) a garanzia di una linea di credito di euro 10 milioni rilasciata alla BCC da Iccrea nel maggio 2010 (ibid.).

Alla luce di siffatto quadro aziendale, la Banca d’Italia ha valutato il complesso delle violazioni e irregolarità gestionali, unitamente alle perdite previste, quali manifestazioni di una crisi di eccezionale gravità connotata da caratteristiche di irreversibilità, per gli effetti di cui all’art. 80 T.U.B., che non avrebbe consentito la prosecuzione dell’attività e reso ineludibile l’immediato avvio di un processo liquidatorio, ritenendo che in tale quadro, considerata l’insussistenza di concrete soluzioni alternative, pur vagliate dagli organi straordinari – quali un’eventuale ricapitalizzazione e il contestuale rilancio dell’attività bancaria –, « la prospettata operazione di cessione di attività e passività assicura [va] la piena salvaguardia delle ragioni dei depositanti e la prosecuzione dei rapporti con la clientela » (v. il punto 4. della proposta).

Le sopra esposte motivazioni poste a base della proposta della Banca d’Italia, quali recepite dal decreto ministeriale, per un verso, esplicitano in modo congruo e adeguato le ragioni per cui solo le verifiche approfondite degli organi commissariali (di cui alla relazione dei commissari straordinari relativa all’esercizio dal 1° gennaio 2009 al 27 maggio 2011, che, in quanto redatta dai commissari in qualità di pubblici ufficiali, è munita di un alto grado di attendibilità) hanno consentito una valutazione dei medesimi fatti, già valutati come gravi ai fini dell’apertura della procedura di amministrazione straordinaria ex art. 70 T.U.B., sub specie di fatti di eccezionale gravità, giustificativi della sottoposizione della BCC alla liquidazione coatta amministrativa (peraltro, l’irreversibilità della crisi della BCC risulta confermata dalla successiva dichiarazione di insolvenza da parte del Tribunale di Como, Sezione fallimentare, di cui alla sentenza 21 novembre 2012, con la quale è stata accertata la situazione di irreversibile dissesto economico-finanziario al momento della sottoposizione della banca alla procedura liquidatoria). Per altro verso, risulta smentito l’assunto – per vero apodittico, in quanto non suffragato da concreti e precisi elementi di prova – degli appellanti circa la riconducibilità causale ed imputalità all’operato degli stessi organi commissariali della situazione che aveva condotto alla liquidazione coatta, risalendo, invero, le prime irregolarità, in una situazione definibile come mala gestio persistente e vieppiù aggravatasi progressivamente nel tempo, al 1996, allorquando la BCC già era divenuta destinataria di un provvedimento della Banca di Italia che aveva imposto l’osservanza, in relazione alla incauta e irregolare gestione dell’attività di erogazione del credito, di un preciso coefficiente cautelativo di solvibilità. In epoca successiva, la BCC era stata sottoposta ad ispezione da parte del Settore di vigilanza della Banca di Italia dall’8 febbraio 2006 al 21 aprile 2006, in cui erano state accertate una serie di carenze gestionali nell’organizzazione e nei controlli interni e di incauta erogazione, gestione e controllo del credito, cui erano seguite altre attività ispettive dal 3 giugno al 21 agosto 2009, nelle quali erano state riscontrate le medesime criticità delle precedenti ispezioni, oltre a irregolarità relative al riciclaggio, ed al cui esito era stato proposta l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, la cui legittimità è stata acclarata dalle sopra richiamate sentenze del T.a.r. Lazio e del Consiglio di Stato.

Come, poi, puntualmente rilevato nell’impugnata sentenza, la correttezza dell’operato dei commissari straordinari è rimasta suffragata sia dalla relazione del 16 gennaio 2012 della società KPMG sulla revisione contabile del bilancio di chiusura dell’amministrazione straordinaria, sia dalla due diligence effettuata nell’ambito dell’istruttoria preordinata all’acquisizione delle attività e delle passività della BCC in cui era stato dato contezza del fatto che in quelle partite anomale oggetto di cessione e già oggetto di svalutazione da parte dei commissari era ulteriormente insito un potenziale rischio legale di non recuperabilità.

A fronte delle risultanze delle relazioni dei commissari, della società di revisione KPMG e della due diligenze , sostanzialmente confermative degli accertamenti di fatto e delle valutazioni tecniche su cui si fonda la proposta dell’Autorità di vigilanza recepita nel decreto ministeriale di liquidazione coatta amministrativa, il T.a.r. correttamente non ha dato ingresso all’istanza istruttoria di consulenza tecnica d’ufficio, in quanto in ultima analisi tesa ad un’inammissibile sostituzione dell’organo giudicante alle valutazioni dell’Autorità di vigilanza improntate a discrezionalità tecnica – che, nella specie, investe –, le quali nel caso di specie, oltre ad essere sorrette da un’adeguata istruttoria e non inficiate da travisamento dei presupposti di fatto, sono esenti da vizi di manifesta illogicità, irragionevolezza, incongruità e/o inadeguatezza e, quanto ai criteri valutativi applicati, si muovono entro i limiti dell’attendibilità tecnico-scientifica del settore che qui viene in rilievo;
valutazioni, alle quali gli appellanti si limitano ad opporre una lettura e valorizzazione alternativa dei dati economico-aziendali acquisiti, con ciò finendo per chiedere un’inammissibile sostituzione dell’organo giudicante alle determinazioni dell’Autorità di vigilanza quali recepite dal MEF.

7.3 Parimenti infondato è il motivo che devolve al presente grado le censure respinte dal T.a.r. con la statuizione sub 2.(iv), in quanto:

- in primo luogo, l’art. 90 T.U.B. non prevede affatto lo svolgimento di una procedura di gara per la cessione delle attività e passività della banca in liquidazione, conferendo alla Banca d’Italia (competente a rilasciare la relativa autorizzazione) un’ampia discrezionalità entro i limiti delle finalità generali cui è preordinata la funzione di vigilanza ai sensi dell’art. 5 T.U.B., il cui esercizio nella specie è scevra da vizi di manifesta irragionevolezza, illogicità o di palese travisamento dei presupposti di fatto;

- in secondo luogo, la concentrazione della sequenza temporale dell’operazione di liquidazione della BCC e di cessione a Banca Sviluppo nell’arco di una sola giornata (del 27 maggio 2011), di certo non è idonea ad inficiare la legittimità della procedura.

Infatti, la mancata previsione dello svolgimento di una gara pubblica e la particolare tempestività nello svolgimento della procedura sono riconducibili all’esigenza di evitare la diffusione di notizie sulla decozione dell’azienda liquidanda, onde prevenire reazioni irrazionali dei clienti della banca col connesso rischio di aggravare ulteriormente la situazione di crisi e, al contempo, di scoraggiare potenziali acquirenti, sicché la condotta degli organi commissariali e dell’Autorità di vigilanza non solo si rivela immune dai paventati vizi di sviamento, ma deve ritenersi conforme alla ratio che sorregge la procedura ex artt. 80 e 90 T.U.B.. Nel verbale n. 1 del 27 maggio 2011 del comitato di sorveglianza nominato dalla Banca d’Italia si rinviene, peraltro, un’espressa motivazione circa l’esigenza di un tempestivo svolgimento della fase procedurale di cui all’art. 90 T.U.B., laddove si evidenzia la « necessità di un tempestivo intervento a salvaguardia degli interessi dei partecipanti, della clientela e dei creditori in genere ».

Quanto all’individuazione della cessionaria Banca Sviluppo – un istituto bancario, costituito nell’ambito del movimento cooperativo proprio al fine di acquisire e risanare banche cooperative decotte –, la stessa risulta espressamente motivata dagli organi commissariali sulla base dei testuali rilievi, per cui tale soluzione « consentirebbe l’integrale tutela dei depositanti e la salvaguardia dei livelli occupazionali dell’azienda, evitando ricadute negative sull’economia locale. Essa appare inoltre utilmente percorribile grazie al sostegno finanziario del Fondo di garanzia, il cui onere risulterebbe inferiore a quello stimato in relazione all’ipotesi di rimborso dei depositanti ».

8.4 Meritano, altresì, conferma le statuizione sub 2.(v) e 2.(vi), dichiarative dell’inammissibilità delle correlative censure per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo.

Trattasi, invero, di censure rivolte avverso l’atto di cessione sotto profili prettamente civilistici, per vizi propri dell’atto negoziale, che si risolvono in una vera propria impugnativa negoziale, come tali rientranti nell’ambito di giurisdizione del giudice ordinario, in applicazione del criterio di riparto del petitum sostanziale (quale enucleabile dalle domande veicolate con le censure in questione).

8.5 Destituito di fondamento è, infine, il motivo con cui vengono riproposte le censure respinte dal T.a.r. con la statuizione sub 2. (vii) – relative all’asserita incompatibilità dell’avvocato L alla carica di commissario liquidatore per avere lo stesso ricoperto la veste di componente del comitato di sorveglianza durante la procedura di amministrazione straordinaria della BCC –, non esistendo norma alcuna che preveda siffatta ipotesi di incompatibilità ed apparendo, tutt’al contrario, giustificata da ragioni di economicità ed efficienza la nomina all’incarico di commissario liquidatore di un soggetto già a conoscenza della situazione aziendale.

8.6 Per le considerazioni tutte sopra svolte s’impone la reiezione dell’appello, con la conseguente conferma dell’impugnata sentenza.

Resta assorbita ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.

9. In applicazione dei criteri della soccombenza e della causalità, le spese del presente grado di giudizio sostenute dalle parti appellate costituite in giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste a carico dell’appellante I A, mentre vanno dichiarate compensate nei rapporti tra le altre parti (v. sopra sub punti 6. e 8.0).

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