Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-05-06, n. 201302431
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Testo completo
N. 02431/2013REG.PROV.COLL.
N. 03503/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3503 del 2010, proposto da:
D L, rappresentato e difeso dall’Avv. F O e dall’Avv. C G, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, via dei Gracchi, 39;
contro
Comune di Almenno San Salvatore (Bg), in persona del Sindaco
pro tempore
, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. M B e dall’Avv. F C, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via degli Scipioni, 8;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 2565 dd. 14 dicembre 2009, resa tra le parti e concernente acquisizione gratuita al patrimonio comunale di opere abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Almenno San Salvatore;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 novembre 2012 il Cons. Fulvio Rocco e uditi per l’appellante Luigi D l’Avv. F O e per l’appellato Comune di Almenno San Salvatore l’Avv. F C.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. L’esposizione della vicenda per cui è causa non può prescindere dall’illustrazione di taluni antefatti, alquanto risalenti nel tempo e che - nondimeno - risultano determinanti per la compiuta conoscenza della vicenda medesima.
In data 20 giugno 1968, il Comune di Almenno San Salvatore (Bg) ha rilasciato all’attuale appellante, Sig. Luigi D, la licenza edilizia n. 457 Reg. Costr. avente ad oggetto la realizzazione in località Oppoli Sopra, su un terreno fortemente scosceso e ad oggi corrispondente al civico n. 15 di Via Repubblica, di un edificio che sarebbe dovuto essere di sette piani, verso il lato a valle, e di quattro sul versante opposto.
I relativi lavori, iniziati il 5 novembre 1968 sono stati peraltro sospesi quasi subito a seguito di ordinanza del Pretore di Almenno San Salvatore emessa a’ sensi dell’art. 703 cod. proc. civ. a seguito di denuncia di nuova opera formulata dall’Opera Pia Rota a’ sensi dell’art. 1171 cod. civ., dante causa del medesimo D, la quale reclamava l’esercizio di una servitu altius non tollendi gravante sul fondo ceduto in proprietà all’attuale appellante.
A seguito di tale provvedimento giudiziale, l’impresa costruttrice ha abbandonato il cantiere quanto l’edificio era stato realizzato per 3 piani fuori terra, verso il lato di valle, e per un piano dalla parte opposta, sui lato strada.
Il D riferisce, quindi, di aver completato l’edificio medesimo mediante lavori da lui eseguiti in economia, adibendo quindi il piano prospiciente alla strada provinciale (lato verso monte) a negozio: tutto ciò a motivo dell’intervenuta sua impugnazione del provvedimento pretorile di sospensione dei lavori, reso poi in effetti privo della sua efficacia interdittiva.
Va comunque evidenziato che con sentenza n. 2435 dd. 10 ottobre 1980 la Sez. III civile della Corte di Cassazione ha accolto integralmente le ragioni fatte valere dall’Opera Pia Rota nei confronti del D.
Il medesimo D riferisce quindi che il Sindaco di Almenno San Salvatore, a riscontro di una pregressa sua richiesta presentata in data 7 aprile 1970, ha rilasciato il certificate di agibilità limitatamente alla parte di edificio adibito a negozio.
L’Amministrazione Comunale ha inoltre proceduto in data 21 dicembre 1972 ad un nuovo sopralluogo in cantiere, all’esito del quale è stato rilevato che, a parte il piano adibito a negozio, degli altre tre realizzati uno era stato completato al 90%, nel mentre gli altri due erano stati invece, cornpletati per il 30% circa, mancando ancora a quella data le barriere, gli infissi, i pavimenti e gli impianti igienici.
In dipendenza di ciò e su richiesta dello stesso D presentata il 26 marzo 1974, il Sindaco ha prorogato sine die l’efficacia dell’originaria licenza edilizia del 1968.
Il D riferisce quindi che i lavori sono stati ripresi e continuati sino alla data del 7 settembre 1977, allorquando il Sindaco di Almenno San Salvatore – a suo dire “inaspettatamente” e comunque nonostante la proroga della licenza edilizia disposta dal medio tempore sopravvenuto art. 18 della L. 28 gennaio 1977 n. 10 sino alla data del 30 gennaio 1981 – ha disposto la sospensione dei lavori “di completamento e di sopralzo dell’edificio esistente in località Oppoli Sopra” , in quanto eseguiti in assenza della “prescritta licenza” ; a tale provvedimento ha fatto quindi seguito in data 23 novembre 1978 l’ordinanza di demolizione di quanto era stato ulteriormente realizzato in sopralzo, ossia gli ultimi tre piani.
Va rilevato, peraltro, che a fondamento dell’ordinanza sindacale di sospensione dei lavori è stata pure addotta dallo stesso Comune l’entrata in vigore del nuovo P.R.G., adottato sin dal 1977 e per effetto del quale è stato introdotto per la zona B1, nella quale ricade l’immobile del D, un limite di altezza pari a 7,5 metri, non rispettato dal progetto che il medesimo D stava realizzando.
Il D riferisce di aver presentato ricorso avverso il provvedimento di approvazione del nuovo strumento urbanistico, respinto dal T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia, con sentenza n. 542 del 1982.
L’anzidetta ordinanza di demolizione è stata parimenti impugnata dal D innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia: ma con sentenza n. 46 dd. 2 febbraio 1982 tale ricorso è stato dichiarato perento a’ sensi dell’allora vigente art. 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, non essendo stata depositata entro il termine dovuto la domanda di fissazione del ricorso medesimo.
Il D riferisce inoltre che l’adozione dell’ordinanza di demolizione medesima era stata, tra l’altro, preceduta dalla richiesta preventiva di parere obbligatorio che il Sindaco aveva inoltrato alla Sezione Urbanistica della Regione Lombardia, a’ sensi e per gli effetti dell’art. 32 della L. 17 agosto 1942 n. 1150, e che l’organo adito si era pronunciato in senso favorevole alla demolizione dei tre piani costruiti fino al forzato fermo dei lavori determinato dall’ordinanza di sospensione dei lavori dd. 7 settembre 1977.
Il D afferma di aver quindi chiesto l’annullamento di tale parere con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto in data 3 ottobre 2001 a’ sensi dell’art. 8 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199 e di non conoscere a tutt’oggi l’esito di tale ulteriore impugnativa da lui proposta.
Il D espone pure di aver chiesto al Comune in data 19 ottobre 1981 di essere autorizzato a proseguire i lavori di completamento dell’edificio sulla scorta della proroga della licenza edilizia conseguita nel 1974; non ricevendo risposta, egli afferma di aver più volte reiterato la domanda medesima, ricevendo soltanto in data 3 febbraio 1982 una prima risposta negativa su conforme parere reso dalla Commissione Edilizia comunale, secondo la quale egli non era più titolare del diritto di costruire in dipendenza non solo della pretesa dell’Opera Pia Rota al rispetto dell’anzidetta servitus altius non tollendi , ma anche per effetto della sopravvenuta disciplina contenuta nel P.R.G. che limitava l’altezza degli edifici ricadenti in quella zona del territorio comunale.
In data 20 aprile 1982 il Comune ha reiterato tale diniego a seguito di ulteriore istanza del D, il quale a sua volta ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento con ulteriore ricorso proposto innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sezione di Brescia, dichiarato inammissibile con sentenza n. 702 dd. 31 agosto 1984, a sua volta confermata in appello con sentenza n. 670 dd. 16 gennaio 1996 resa da questa stessa Sezione.
Nella sua esposizione dei fatti il D non sottace che la vicenda sin qui illustrata ha assunto pure risvolti penali, posto che il Pretore di Almenno San Salvatore ha disposto il sequestro dell’immobile in data 12 settembre 1983 nell’evenienza dell’esecuzione di opere - non assentite dal Comune - di tamponamento di alcuni dei muri perimetrali dell’edificio in corso di costruzione.
Il procedimento penale che è da ciò conseguito à stato definito con sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI, penale n. 2751 dd. 23 ottobre 1990, recante conferma della sentenza di condanna n. 212 dd. 26 febbraio 1990 emessa dalla Corte d’Appello di Brescia, ad eccezione del capo di imputazione inerente la violazione degli artt. 334, comma 2, e 388 cod. pen. (rispettivamente: sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) per intervenuta amnistia.
Il D riferisce quindi che l’immobile di cui trattasi è stato assoggettato a diversi provvedimenti giudiziali di sospensione dei lavori e di sequestro, segnatamente dal 3 ottobre 1977 fino al 15 dicembre 1983, ossia fino a quando il Pretore di Almenno San Salvatore ha disposto la revoca dell’anzidetto sequestro penale: circostanza, questa, che al di là della personale sua convinzione di essere comunque titolare di un legittimo e idoneo titolo edilizio che lo abilitava a completare l’edificio, gli avrebbe comunque materialmente impedito la spontanea ottemperanza all’ordinanza di demolizione degli ultimi tre piani dell’edificio medesimo emanata dal Sindaco in data 28 novembre 1978.
Il D afferma pure che la stessa sentenza della Corte di Cassazione dianzi citata confermerebbe che, in forza delle proroghe normative contenute nelle disposizioni di cui alla L. 10 del 1977, l’attività edilizia che egli avrebbe potuto porre in essere fino a tutto il 31 dicembre 1984 sarebbe stata per certo legittima.
L’attuale appellante riferisce inoltre che con deliberazione del Consiglio di amministrazione dd. 26 luglio 1984 l’Opera Pia Rota si era determinata a concludere con lui una transazione, comprendente la rinuncia a far valere la servitus altius non tollendi a fronte della corresponsione di una congrua somma quale corrispettivo al riguardo, e che peraltro la Sezione provinciale di Bergamo del Comitato Regionale di Controllo ha annullato con proprio provvedimento dd. 25 luglio1987.
Il Sindaco ha quindi emesso il provvedimento Prot. n. 4139 dd. 26 luglio 1991, recante un’ulteriore ingiunzione a demolire le parti abusive dell’edificio, dando contestualmente atto nella parte motiva di tale provvedimento che la demolizione stessa non era stata sino a quel momento possibile in dipendenza sia del sopradescritto contenzioso giudiziale penale ed amministrativo, sia delle misure di condono edilizio medio tempore intervenute.
Anche tale provvedimento sindacale à stato impugnato innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sede di Brescia, sub R.G. 1160 del 1991.
Con ordinanza n. 625 dd. 15 novembre 1991 l’adito giudice di primo grado ha respinto la domanda cautelare di sospensione del provvedimento impugnato, avanzata dal D, il quale ha pure proposto appello al riguardo, respinto a sua volta da questa stessa Sezione con ordinanza n. 843 dd. 28 maggio 1993.
Tale procedimento è stato quindi definito con decreto di perenzione n. 930 dd. 30 giugno 2003, emesso a’ sensi dell’allora vigente art. 26, ultimo comma, della L. 6 dicembre 1971 n. 1034;il relativo appello del D è stato respinto da questa stessa Sezione con ordinanza n. 5784 dd. 7 settembre 2004, così testualmente motivata: “il ricorso va respinto, stante la sospensione legislativa in atto in materia di condono edilizio (art. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269 conv. in L. 24 novembre 2003 n. 326), efficace nei confronti dei provvedimenti impugnati in primo grado, come pure del decreto presidenziale n. 930 del 2003 e dell’ordinanza (collegiale) n. 7 dd. 2 febbraio 2004 del T.A.R. di Brescia, per legge da ritenersi tutti sospesi fino al 31 luglio 2004 (ed anche successivamente, in presenza di domanda di sanatoria). Pertanto, il ricorso in appello va respinto, mentre le spese di questa fase saranno liquidate al definitivo ”.
1.2. Nelle more di tale giudizio il Sindaco di Almenno San Salvatore ha disposto con provvedimento Prot. n. 5280 del 4 novembre 1992 l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli ultimi tre piani abusivi fuori terra dell’edificio in questione, posto sul mappale n. 1870 (ex 1351/b) del medesimo Comune censuario, nonchè della relativa area pertinenziale.
Tale provvedimento di acquisizione è stato adottato sulla base dell’allora vigente art. 7, comma 3. della L. 28 febbraio 1985 n. 47 (corrispondente, nella sostanza, all’art. 31, comma 3, del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ad oggi in vigore) a seguito all’inottemperanza mantenuta dal proprietario delle opere abusive nei confronti dell’anzidetta ordinanza di demolizione Prot. n. 4139 del 26 luglio 1991.
Va sin d’ora precisato che la quantificazione della superficie ablata è contenuta nella relazione dell’Ufficio Tecnico datata 27 ottobre 1992, nella quale si afferma che costituiscono oggetto di acquisizione gli ultimi tre piani fuori terra e “l’intera area di pertinenza” del fabbricato insistente sul mappale n. 1870.
Va pure precisato che il mappale testè riferito ha una superficie complessiva di 1.035 mq., suddivisa come segue: 485,10 mq di superficie coperta e 549,90 mq di area pertinenziale.
1.3.1. Il D ha impugnato tale provvedimento con ricorso proposto sub R.G. 54 del 1993 innanzi al T.A.R. per la Lombardia, deducendo al riguardo:
1) mancanza del presupposto della volontaria inottemperanza all’ordine di demolizione del 26 luglio 1991;
2) violazione dell’art. 7, comma 3, della L. 47 del 1985, in quanto sarebbe stata acquisita l’intera area pertinenziale;
3) ulteriore violazione dell’art. 7 ,comma 3, della L. 47 del 1985 in quanto l’acquisizione dell’area pertinenziale sarebbe possibile solo nel caso in cui sia acquisito anche il sedime dell’edificio.
1.3.2. Si è costituito in tale primo grado di giudizio il Comune di Almenno San Salvatore, concludendo per la reiezione del ricorso.
Va opportunamente sin d’ora evidenziato che, per quanto segnatamente concerne la quantificazione della superficie acquisita il Comune ha rinviato alla nota di trascrizione Prot. n. 5426 del 6 novembre 1992 da esso inviata alla Conservatoria dei Registri Immobiliari di Bergamo.
In tale nota è chiesta la trascrizione a favore del Comune del seguente compendio “gli ultimi tre piani fuori terra dell’edificio insistente sul mappale n. 1351/b, ora 1870, ivi comprese le opere interne, ubicato in fregio a via Repubblica, al civico n. 15” .
In dipendenza di ciò, pertanto, il Comune reputa che non avverrebbe l’acquisizione in suo favore dell’intera superficie del mappale n. 1870, ma solo di un’area proporzionale ai millesimi dei piani dell’edificio abusivamente realizzati.
1.4. Con sentenza n. 2565 dd. 14 dicembre 2009 la Sezione I dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso del D, compensando integralmente tra le parti le spese di tale primo grado di giudizio.
2.1. Con l’appello in epigrafe il D chiede ora la riforma di tale sentenza, deducendo al riguardo error in iudicando avuto riguardo ai seguenti profili:
1) insussistenza nel caso di specie di una sospensione ex lege del provvedimento da lui impugnato in primo grado;
2) insussistenza nel caso di specie della possibilità, anche pregressa, di provvedere alla demolizione spontanea della parte abusiva dell’edificio, e – conseguentemente – della giustificazione della disposta acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale;
3) erroneità della disposta acquisizione coattiva dell’intero edificio e dell’identificazione dell’area di pertinenza assoggettata all’ablazione.
2.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Almenno San Salvatore, replicando puntualmente ai motivi dedotti dal D e concludendo per la reiezione dell’appello.
3. Alla pubblica udienza del 27 novembre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4.1. Tutto ciò premesso l’appello in epigrafe va respinto.
4.2.1. Secondo il primo ordine di motivi proposto dal D gli argomenti spesi nella sentenza impugnata eluderebbero il punto nodale delle censure proposte con il ricorso di primo grado: ossia l’insussistenza, nel caso di specie, della dimostrazione della sua volontaria inottemperanza alla diffida a demolire, costituente l’atto presupposto e giustificativo della successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale di specie.
In tal senso l’appellante rimarca che al momento in cui, a’ sensi dell’art. 44 della L. 47 del 1985, è iniziato a decorrere il periodo di sospensione dei procedimenti amministrativi sanzionatori degli abusi edilizi in pendenza dei termini per la proposizione della domanda di condono ex D.L. 269 del 2003 convertito in L. 326 del 2003, egli aveva ormai perso sia la proprietà, sia il materiale possesso dell’edificio: più esattamente tale evento risale al 13 novembre 1992, data nella quale è stata eseguita la trascrizione presso la Conservatoria dei registri immobiliari della dichiarazione di acquisizione.
Il D sostiene quindi che, in dipendenza di tale circostanza, egli mai avrebbe potuto attivarsi ai fini del procedimento di condono edilizio, come viceversa affermato nella sentenza impugnato;e che, anche a prescindere da tale assorbente notazione, sarebbe comunque del tutto illogico l’assunto per cui si sarebbe potuto in ogni caso accedere alla sospensione ex lege del procedimento repressivo dell’abuso per cui è causa anche ai fini della mera presentazione della domanda di condono: e ciò per l’ovvia considerazione che non può per certo essere sospeso un procedimento ormai compiuto e definito.
Il D afferma inoltre l’insussistenza, nel suo caso, di qualsivoglia possibilità -. anche pregressa - di procedere alla demolizione spontanea della parte abusiva dell’edificio, e ciò in quanto:
a) fin dall’inizio dei lavori e fino a tutto il 1970, l’opera è stata bloccata dall’iniziativa giudiziaria dell’Opera Pia Rota;
b) dopo la ripresa dei lavori a seguito della proroga della licenza edilizia, conseguita dal D nel 1974, gli stessi sono stati bloccati dapprima dall’ordinanza di sospensione del 1977 e da quella di demolizione del 1978;
c) fino a tutto il 1983 i provvedimenti di sequestra penale del cantiere non solo hanno impedito la prosecuzione dell’opera ma hanno impedito l’ottemperanza allo stesso ordine di demolizione del 1978;
d) dal 1983 al 1991 si sono susseguiti sia le ulteriori ed alterne vicende giudiziarie con l’Opera Pia Rota, culminate nell’annullamento del provvedimento di approvazione dell’accordo transattivo che le parti avevano raggiunto, sia i vari provvedimenti legislativi di condono che, legittimamente, avevano fatto insorgere il legittimo interesse a mantenere l’opera edilizia nella condizione in cui essa si trovava all’epoca;
e) nel 1991 è intervenuta l’ordinanza di demolizione (resa poi oggetto del giudizio che il giudice di primo grado ha dichiarato perento con decreto n. n. 930 dd. 30 giugno 2003) che avrebbe bloccato qualunque sua iniziativa, posto che egli, proponendo tempestivamente il gravame avverso tale provvedimento sanzionatorio, si sarebbe posto nell’aspettativa di non assumere alcuna iniziativa fino all’esito del giudizio;
f) in data 8 giugno 1992, in dipendenza dalla reiezione della domanda sospensione cautelare degli effetti dell’ordinanza di demolizione dd. 27 luglio 1991, la porzione abusiva del fabbricato è stata acquisita al patrimonio edilizio comunale e, perciò, sottratta alla sua materiale disponibilità.
Sempre secondo il D, la materiale impossibilità per lui di formulare la domanda di condono secondo i dettami e le scadenze temporali contemplati dal D.L. 269 del 2003 come convertito in L. 326 del 2003 toglierebbe fondamento pure alla tesi del giudice di primo grado secondo il quale la dichiarazione di perenzione del ricorso da lui ivi proposto sub R.G. 1160 del 1991 e, conseguentemente, la diffida a demolire Prot. n. 4139 del 26 luglio 1991 con esso impugnata sarebbero divenute definitive all'indomani della data del 10 dicembre 2004: termine ultimo, questo, entro il quale la domanda di condono edilizio doveva essere da lui presentata al Comune.
A tale riguardo il D evidenzia che a quella data il procedimento giudiziale con il quale era stata impugnata l’anzidetta ingiunzione a demolire era stato già dichiarato perento e, non essendo quindi più pendente, non poteva invocarsi alcun effetto sospensivo di un procedimento giudiziario che non esisteva più al momento in cui la sospensione pur disposta ex lege aveva iniziato a produrre effetti;e che il susseguente procedimento di opposizione alla perenzione da lui stesso avviato nel gennaio del 2004 a’ sensi dell’allora vigente art. 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 risultava comunque indifferente rispetto alla disciplina di cui all’art. 44 della L. 47 del 1985 proprio per il suo oggetto, concernente non già la diffida sindacale a demolire la parte abusiva del fabbricato, ma la fondatezza della dichiarazione di perenzione del ricorso proposto avverso la stessa;con la conseguenza, quindi, dell’infondatezza dell’assunto del giudice di primo grado circa la sussistenza, nella specie, di un preteso effetto “consolidante” della pronuncia di perenzione.
Tale ultimo rilievo, sempre secondo il D, riverbererebbe anche i suoi effetti sull’asserita definitività della medesima pronuncia di perenzione e sugli asseriti effetti confermativi dell’anzidetta ingiunzione a demolire Prot. n. 4139 del 26 luglio 1991: circostanze, queste, che – sia pure in via indiretta - potrebbero anche far insorgere il dubbio circa la sussistenza di un suo concreto interesse alla proposizione del presente appello, stante la ritenuta immodificabilità dell'atto amministrativo presupposto e giustificativo dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale.
Secondo la prospettazione del D, la sospensione legislativa di cui all’art. 44 della L. 47 del 1985 non potrebbe applicarsi ad un processo estraneo all’ambito da esso fissato, per cui l’ordinanza n. 5784 del 2004 con la quale questa stessa Sezione ha respinto l’appello avverso la statuizione di rigetto dell’opposizione proposta ex art. 26 della L. 1034 del 1971 nei riguardi del decreto di perenzione non avrebbe definito il giudizio, posto che il suo contenuto non attiene al merito della questione proposta, ossia se la statuizione di perenzione emessa in primo grado era corretta o meno.
E, se così è, il D per l’appunto reputa che anche l’ingiunzione a demolire non potrebbe reputarsi “consolidata” e che, pertanto, permane il proprio interesse alla definizione del presente giudizio.
4.2.2. Le tesi suesposte non possono essere condivise dal Collegio.
Innanzitutto, va rimarcato che alla data del 23 ottobre 1990, ossi allorquando con sentenza della Corte di Cassazione è stata definitivamente confermata a carico del D la condanna penale per abusivismo edilizio con accertamento nella res iudicata dell’intervenuta decadenza sin dal 1977 della licenza edilizia a lui a suo tempo giuridico, si è cristallizzata con pari decorrenza la situazione di abusività degli ultimi tre piani dell’edificio in questione, rendendo in tal modo inderogabilmente vincolante per l’Amministrazione Comunale l’adozione dei provvedimenti sanzionatori a quel tempo contemplati dall’art. 7 e ss. della L. 47 del 1985: provvedimenti, questi, che sono stati in effetti adottati mediante l’ingiunzione a demolire Prot. n. 4139 dd. 26 luglio 1991 e l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale Prot. n. 5280 del 4 novembre 1992.
Pendendo le relative impugnative giurisdizionali sono intervenuti i procedimenti i procedimenti di condono edilizio di cui all’art. 39 della L. 23 dicembre 1994 n. 724 e all’art. 32 del D.L. 269 del 2003 convertito con modificazioni in L. 326 del 2003, i quali hanno entrambi riaperto, con adattamenti vari e negli archi temporali ivi rispettivamente previsti, l’applicazione della disciplina di cui all’art. 31 e ss. della stessa L. 47 del 1985.
A tale riguardo va evidenziato che la sospensione dei procedimenti sanzionatori da ultimo disposta sino alla data del 10 ottobre 2004 per effetto dell’art. 32 del D.L. 269 del 2003 convertito con modificazioni in L. 326 del 2003 si riferisce in realtà alla sola possibilità di presentare sino a quella data una domanda di condono e non certo alla possibilità di riproporre ex novo l’intero procedimento deputato all’irrogazione della sanzione urbanistico-edilizia;nè – soprattutto - va sottaciuto che, come a ragione rilevato nell’ordinanza n. 5784 dd. 7 settembre 2004 resa da questa stessa Sezione nel procedimento pendente inter partes sub R.G. 2109 del 2004, il decreto di perenzione n. 930 del 2003 emesso dal Presidente della Sezione staccata di Brescia del T.A.R. per la Lombardia e – a fortiori – l’ingiunzione a demolire Prot. n. 4139 dd. 26 luglio 1991 emessa dal Sindaco del Comune di Almenno San Salvatore impugnata nel relativo procedimento dovevano comunque intendersi sospesi ex lege , stante la disposta riapertura dei “congegni” di salvaguardia comunque disposti per effetto dell’art. 44 della L. 47 del 1985, perlomeno sino al 31 luglio 2004. Altrettanto vale per il provvedimento Prot. n. 5280 del 4 novembre 1992, qui impugnato in primo grado e con il quale è stata disposta l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale della porzione di edificio abusivamente realizzata dal D.
Tale sospensione – giova ribadire – era dovuta per legge, a prescindere se il soggetto che ne beneficiava volesse o potesse poi presentare domanda di condono per l’abuso edilizio a lui realizzato.
Dopo la scadenza della moratoria procedimentale accordata dal legislatore, è ben evidente che l’oggettiva circostanza della mancata della presentazione della domanda di condono edilizio da parte del D – a prescindere, quindi, se egli fosse titolotato o meno a presentarla - ha determinato il necessitato consolidamento nei suoi confronti degli effetti del procedimento sanzionatorio.
Il D afferma che l’omessa presentazione della domanda di condono è dipesa dalla circostanza che nel lasso di tempo in cui ciò era astrattamente possibile egli non era più titolare della res abusiva un quanto già acquisita al patrimonio comunale con decorrenza 13 novembre 1992: circostanza, questa, che – si noti – gli aveva già inibito anche la possibilità di fruire del procedimento di condono ex art. 39 della L. 724 del 1994.
Risponde ad un principio generale di effettività dell’ordinamento giuridico la regola secondo la quale i provvedimenti amministrativi sono efficaci ed esecutivi anche in pendenza di giudizio, salvo che non venga disposta cautelativamente la loro sospensione.
Nel caso di specie - e come dianzi rilevato - la domanda cautelare proposta dal D in sede di opposizione all’ingiunzione a demolire Prot. n. 4139 del 26 luglio 1991 è stata respinta sia in primo che in secondo grado.
In tale contesto risulta ictu oculi illogica l’affermazione del D secondo la quale la mera proposizione del ricorso giurisdizionale legittimerebbe ex se aspettative di successo tali da poter soprassedere alla dovuta ottemperanza del provvedimento con esso impugnato anche se il giudice sia di primo che di secondo grado hanno rigettato le domanda di sospensione cautelare del provvedimento medesimo e pretendendo quindi come dovuta l’inerzia dell’Amministrazione Comunale sino alla definizione del merito di causa: tale tesi dell’appellante, ove accolta, vanificherebbe infatti la stessa funzione dello stesso istituto cautelare, il quale in tal modo non avrebbe più ragion d’essere.
Deve pertanto concludersi nel senso che al momento della materiale esecuzione del provvedimento di ablazione della res abusiva e della sua trascrizione nei registri immobiliari quale patrimonio del Comune, il provvedimento stesso era del tutto valido ed efficace: circostanza questa, ex se assorbente per destituire di fondamento ogni altra diversa tesi qui fatta valere dal D, ivi dunque compresa anche la concomitante sua contestazione della perenzione del ricorso proposto avverso l’ingiunzione a demolire precedentemente emanata nei suoi confronti: ai fini del decidere la presente causa risulta infatti assorbente la circostanza della sussistenza dell’abuso, accertata anche con giudicato penale, e della materiale inerzia del D a demolire la res abusiva anche in un lasso di tempo – intercorrente, se non altro, tra il passaggio in giudicato della sentenza penale e la reiezione della sua domanda di sospensione cautelare dell’ingiunzione a demolire – in cui egli avrebbe ben potuto spontaneamente ottemperare ad un obbligo a lui imposto dalla stessa Amministrazione Comunale sin dal 1978 e da lui sistematicamente evaso.
4.3.3. Per quanto attiene al secondo e al terzo motivo d’appello, va evidenziato che l’art. 7, comma 3, della L. 47 del 1985, pro tempore in vigore, disponeva nell’ipotesi di inosservanza dell’ingiunzione a demolire, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’opera abusiva e del relativo sedime, quest’ultimo peraltro nel limite non superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita, nonchè di “... quella necessaria …alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive ”.
Il provvedimento di acquisizione coattiva dell’edilità riconosciuta come abusiva indubitabilmente si riferisce, nella specie, agli ultimi tre piani dell’edificio ed alla relativa area, nel mentre la nota di trascrizione ricomprende gli ultimi tre piani fuori terra dell’edificio stesso, ivi comprese le opere interne.
Nella sentenza impugnata si evidenzia che, secondo la tesi del D, da un lato si pretenderebbe che, essendo abusivi soltanto gli ultimi 3 piani dell’edificio, il Comune non potrebbe acquisire il sedime dell’edificio medesimo e, quindi, neppure l’area di pertinenza dello stesso;dall’altro si sostiene che il Comune avrebbe comunque oltrepassato il limite dei suoi poteri annettendo al proprio patrimonio l’intera area pertinenziale e non soltanto la quota corrispondente ai millesimi dei piani abusivi.
A ragione il giudice di primo grado ha respinto l’insieme della prospettazione del D.
Infatti, se l’opera abusiva consiste in un piano (o in una porzione di piano) situato in un edificio composto anche da abitazioni regolari, il Comune acquisisce non un diritto di superficie ma la proprietà esclusiva degli appartamenti abusivi e la comproprietà delle parti comuni dell’intero edificio, come definite dall’art. 1117 cod. civ.
Se invece l’edificio era ab origine di un solo proprietario, per effetto del provvedimento di acquisizione si forma un condominio a’ sensi del predetto art. 1117 e ss. cod. civ., posto che tra le parti comuni rientra anche il sedime dell’edificio, il quale quindi viene attribuito pro quota in proporzione ai millesimi dei piani abusivamente realizzati e divenuti conseguentemente oggetto del provvedimento di acquisizione.
Analoga attribuzione avviene anche per l’area pertinenziale.
Peraltro, a ragione il giudice di primo grado ha evidenziato che in quest’ultima evenienza necessita considerare che a’ sensi dell’anzidetto art. 7, comma 3, della L. 47 del 1985 l’acquisizione coattiva deve essere limitata allo spazio necessario per la realizzazione di opere analoghe a quelle abusive, e che quindi non sempre è possibile per l’Amministrazione Comunale estendere la comproprietà all’intera area pertinenziale del condominio.
Nel caso di specie, tuttavia, altrettanto ragionevolmente lo stesso giudice ha considerato il modesto sviluppo dell’area pertinenziale in rapporto alle dimensioni del lotto, concludendo che non residuavano dubbi sul fatto che l’acquisizione pro quota potesse comprendere tutta la superficie.
Inoltre, nonostante la formulazione letterale della relazione dell’Ufficio Tecnico richiamata nel provvedimento di acquisizione, altrettanto ragionevolmente va escluso che l’Amministrazione Comunale abbia nella specie voluto acquisire la proprietà esclusiva dell’area pertinenziale, posto che la nota di trascrizione non reca alcuna precisazione sulla proprietà dell’area medesima e dovendosi pertanto intendere che il Comune abbia chiesto al conservatore dei registri immobiliari (stranamente nella sentenza si usa la locuzione “abbia intavolato” , per certo non in uso nel bergamasco ma riferito notoriamente agli adempimenti di pubblicità immobiliare nei soli territori del Trentino Alto Adige, di Cortina d’Ampezzo, di Pieve di Livinallongo, di Arabba, di Colle Santa Lucia, di Pontebba, di Malboghetto Valbruna, di Cormòns, di Cervignano e delle province di Trieste e di Gorizia nei quali, per l’appunto, vige in deroga al codice civile italiano il sistema di pubblicità reale di derivazione austriaca cui al R.D. 28 marzo 1929 n. 499 e successive modifiche ) la trascrizione non già della proprietà ma della comproprietà dell’intera area pertinenziale per una quota corrispondente ai millesimi dei piani abusivi acquisiti e lasciando con ciò inalterati per il resto i diritti dominicali del D.
Va ribadito pertanto anche da questo giudice d’appello che qualora fosse necessario chiarire documentalmente tale stato di fatto il medesimo D potrà ottenere dal Comune e far trascrivere nei registri immobiliari un apposito atto di specificazione in tal senso, a’ sensi e per gli effetti degli artt. 2657 e 2672 cod. civ. e con riferimento sia all’art. 7, comma 3, della L. 28 febbraio 1985 n. 47, sia all’art. 31, comma 3, del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 attualmente in vigore, il cui rilascio da parte del Comune medesimo è dunque adempimento dovuto.
Rimane ferma peraltro la facoltà delle parti di regolare diversamente i rispettivi interessi sciogliendo consensualmente, in tutto o in parte, la comproprietà dell’area pertinenziale.
5. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti, stante la complessità fattuale della vicenda sottoposta all’esame del Collegio.
Va peraltro dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 corrisposto per il presente grado di giudizio.