Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-08-17, n. 202105907

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-08-17, n. 202105907
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202105907
Data del deposito : 17 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/08/2021

N. 05907/2021REG.PROV.COLL.

N. 09686/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 9686/2019, proposto dal Ministero dello sviluppo economico-MISE, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

– la Città metropolitana di Venezia (ex Provincia di Venezia), in persona del Sindaco metropolitano
pro tempore , non costituita in giudizio e
– la Fierezza di N R, A, L &
C. s.n.c., corrente in Chioggia (VE), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv.ti Simone Cadeddu, Luigino M. Martellato e Federico Marini Balestra, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza breve del TAR Veneto, sez. III, n. 725/2019, resa tra le parti e relativa al recupero di incentivazioni economiche indebitamente erogate alla Società appellata per il rinnovo della flotta peschereccia;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della sola Società appellata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica dell’8 ottobre 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, solo gli avvocati Cadeddu, Martellato e Marini Balestra;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


FATTO e DIRITTO

1. – La presente controversia concerne le vicende del rinnovo della flotta peschereccia nell’area centro/sud di Venezia, con riguardo alla corretta interpretazione da fornire sull’art. 13 del regol. n. 2002/2371/CE del 20 dicembre 2002, recante norme su conservazione e sfruttamento sostenibile delle risorse, nell'ambito della politica comune della pesca.

In particolare, col DM Tesoro n. 2549 del 25 maggio 2001 e s.m.i. fu approvato il Patto territoriale per l’agricoltura e la pesca « Area centro-sud della Provincia di Venezia », recante, tra l’altro, anche agevolazioni per il rinnovo della flotta peschereccia. L’art. 3 del DM 2549/2001, nell’ammettere i programmi agevolati delle imprese pescherecce, tra cui l’odierna appellata qual sottoscrittrice di esso, ne subordinò il contenuto ai parametri comunitari stabiliti sia per il contenimento dello sforzo di pesca, sia sui limiti massimi incentivabili CE di stazza e di potenza motori.

Ebbene, la Fierezza di N R, A, L &
C. s.n.c., corrente in Chioggia (VE), fu ammessa a beneficiare delle agevolazioni previste da tale Patto, ai fini dell’acquisito di due nuove imbarcazioni per la pesca a strascico volante la prima ed a solo strascico la seconda, ciascuna con stazza lorda pari a TSL 49,35 e potenza pari a HP 581,52. Tanto a fronte del ritiro di quattro vecchi natanti, aventi una stazza complessiva pari a TSL 104,94 ed una potenza complessiva pari a kW 1241. Con nota prot. n. 221460 del 3 maggio 2002, il MIPAF, constatati la dismissione del predetto vecchio naviglio e l’allontanamento dello sforzo di pesca dalla costa, rilasciò il proprio n.o. alla pesca costiera, secondo quanto rappresentatogli da detta Società.

Giova, però, rammentare che la Provincia di Venezia, soggetto responsabile del Patto, con nota n. 42324 dell’11 giugno 2002 aveva avvertito pure tale Società che, per ottenerne le agevolazioni, era necessario lo stretto adempimento degli obiettivi annuali del Piano d’orientamento pluriennale-POP per la flotta peschereccia italiana 1997/2001 costituiti dai parametri di stazza e potenza motori e che al riguardo le imprese interessate inviassero una dichiarazione sostitutiva, soggetta a verifica, indicando la stazza e la potenza motori in GT e, rispettivamente, in kW, tanto per il naviglio nuovo, quanto per quello dismesso. Con la nota n. 69885 del successivo 11 ottobre, la Provincia sollecitò la trasmissione delle citate dichiarazioni, al fine di poter ottenere quanto prima il n.o. del MIPAF, ma detta Società, che pur aveva ottenuto dalla competente Autorità marittima le licenze da per i natanti Impero II e Mistral , rispose indicando i parametri di tutte le imbarcazioni in TSL e HP.

Con nota prot. n. 5015 del 19 febbraio 2004, a seguito degli accertamenti in comparazione delle caratteristiche tra il nuovo naviglio e quello offerto in ritiro, il MIPAF evidenziò per detta Società che le nuove unità già costruite ebbero «… le caratteristiche tecniche (TSL e Kw) simili alle unità offerte in ritiro …» (sebbene il valore di stazza di ciascun peschereccio di tal Società fosse in realtà di GT 166).

Dopo ulteriori vicissitudini, detta Società ottenne da parte della Provincia di Venezia, previo parere favorevole dell’Istituto bancario istruttore e del MISE, un’agevolazione definitiva (21 agosto 2013), pari ad € 817.841,14, così erogatole attraverso la Cassa DD.PP.

2. – A seguito dell’avvio da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia di un procedimento penale pure verso detta Società ed i soci, il 5 aprile 2017 la Guardia di finanza di Venezia trasmise il processo verbale di constatazione sulle irregolarità inerenti al varo delle unità da pesca Mistral -CI3411 e Impero II -CI3434 (stazza = GT 166 ciascuna) a fronte del ritiro di vecchio naviglio per una stazza complessiva pari a GT 109, per cui detta Società aveva percepito il citato, a valere sui fondi del Patto territoriale, in quanto correlato alla contestuale riduzione dello sforzo di pesca, prevista dall’art. 9 del regol. n. 99/2792/CE e dall’art. 13 del regol. n. 2002/2371/CE, in vigore dal 1° gennaio 2003.

La GDF quindi invitò il MISE ad attivare le opportune azioni per il recupero dei predetti contributi indebitamente percepiti o comunque irregolari. Con nota prot. n. 168830 del 5 aprile 2018, il MISE, su invito della Città metropolitana di Venezia (soggetto responsabile del Patto), ha comunicato alla Società l’avvio del procedimento per la revoca del contributo erogato, senza, però, che essa abbia dedotto alcunché. È intervenuto il decreto direttoriale n. 2225 dell’11 luglio 2018, con cui il MISE ha disposto siffatta revoca con contestuale recupero dell’indebito cogli interessi di legge, in quanto, avendo l’art. 13 del regol. n. 2371/2002 subordinato l’agevolazione alla contestuale riduzione dello sforzo di pesca, detta Società aveva armato due motopescherecci con stazza pari ognuno a GT 166 (a fronte del ritiro di naviglio vecchio di stazza pari a GT 109) e senza rispettare il rapporto pari a 1,35 in termini di stazza espressa in GT tra le imbarcazioni varate e quelle dismesse, né ridurre il valore di stazza secondo quanto previsto dall’art. 13 del regolamento n. 2371, così da ottenere un beneficio non dovuto e da estinguere il rapporto fiduciario con la P.A. concedente.

Avverso tal decreto e l’atto di recupero detta Società s’è gravata innanzi al TAR Veneto, col ricorso NRG 1206/2018, deducendo: A) – la sicura giurisdizione di questo Giudice in soggetta materia;
1) – l’insussistenza dell’illegittimità per procedere all’annullamento ex art. 21-nonies della l. 7 agosto 1990 n. 241 dell’agevolazione accordata alla ricorrente, effettuata così in mancanza dei presupposti del recupero ex art. 12, co. 3 del DM 31 luglio 2000 n. 320 (richiamato nel decreto impugnato) in relazione all’art. 9 del regol. n. 99/1792/CE con riguardo al natante Mistral (entrato nella flotta solo nel 2002) ed all’art. 3 del regol. n. 2002/2371, valido per gli aiuti economici erogati dal 1° gennaio 2003 in poi (ossia quasi due anni dopo che il titolo attoreo all’erogazione del contributo si era formato grazie al DM 2549/2001 per il natante Impero II ), gli atti successivi a tal DM essendo al più l’avveramento della condizione sospensiva apposta all’inizio;
2) – in ogni caso, la violazione dell’art. 21-nonies della l. 241/1990, per aver il MISE disposto l’autotutela oltre ogni ragionevole termine senza indicare le cogenti ragioni d’interesse pubblico sottese al recupero, né tener conto dell’affidamento legittimo ingenerato in così tanti anni e via via rafforzatosi grazie a plurimi atti di gestione del Patto territoriale, specie del MIPAF (considerato l’unica Autorità competente a dare il proprio avviso sul punto e che attestò la congruità del contributo richiesto con la normativa di settore: cfr. nota MIPAF n. 5015/2004, doc. n. 11 allegato al ricorso di primo grado, che però fece riferimento espresso al regol. n. 2002/2371/CE), nonché in violazione delle esigenze di certezza giuridica rispetto a parametri prima espressi in TSL e HP e senza ragione poi mutati in GT e kW, ferma in ogni caso l’avvenuta abolizione, grazie all’art. 6, co. 2 della l. 7 agosto 2015 n. 124, della norma speciale sui recuperi in via d’autotutela ex art. 1, co. 136 della l. 30 dicembre 2004 n. 311, i quali soggiacciono così alle regole ed al termine ordinari ex art. 21-nonies della l. 241/1990.

Con l’atto per motivi aggiunti depositato il depositato il 22 maggio 2019, la ricorrente ha impugnato altresì la cartella di pagamento n. 119 2019 00070020 89 000 emessa dall'Agenzia delle entrate su richiesta del MISE, recante il recupero coattivo del contributo revocato e dei relativi interessi.

3. – L’adito TAR, con sentenza breve n. 725 del 12 giugno 2019, ha accolto la pretesa così azionata, posto che: a) nella specie, il decreto impugnato non né una revoca propriamente detta, né una decadenza accertativa per inadempimento di obblighi che il beneficiato aveva assunto con la P.A. concedente, ma è un annullamento in autotutela, essendo il beneficio stato concesso in violazione ab origine di legge, cioè in assenza dei presupposti previsti dalla normativa d’incentivazione;
b) il decreto stesso viola l’art. 21-nonies della l. 241/1990, stante il mancato rispetto del ragionevole termine per una corretta conclusione del procedimento in autotutela, in particolare del termine di diciotto mesi, nel caso in esame decorrente dal 28 agosto 2015 ed in scadenza il 28 febbraio 2017;
c) la violazione del legittimo affidamento attoreo circa il regolare esito della procedura valutativa.

Dal che l’appello del MISE, affidato alla vincolatezza del recupero d’un incentivo UE non dovuto ab origine per difetto di presupposti ed all’affidamento non legittimo del relativo destinatario.

Resiste in giudizio la sola Società appellata, concludendo per il rigetto dell’appello e qui ribadendo i il 1° motivo di primo grado, a suo dire assorbito dal TAR. Il 20 gennaio 2020, l’appellata deposita il parere dell’Avvocatura generale dello Stato del 16 maggio 2017, cui s’oppone, essendo un novum in appello, il MISE.

4. –In via preliminare, è da ritenere inammissibile, ai sensi dell’art. 104 c.p.a., il deposito del citato parere dell’Avvocatura generale dello Stato, concernente il n.o. a suo tempo rilasciato dal MIPAF e la necessità del coinvolgimento di esso nel procedimento di revoca per cui è causa, se non altro per l’eventuale esercizio dell’autotutela sul predetto n.o.

Invero, da un lato, ha ragione l’appellante nel trattare tal parere come documento nuovo in appello, del cui contenuto e delle relative implicazioni argomentative il Collegio non deve occuparsi, stante la preclusione ex lege . Dall’altro lato, non appare dirimente in senso contrario la circostanza che tal parere sarebbe stato prodotto in giudizi analoghi e con parti diverse, giacché esso è e resta un atto nuovo nel presente giudizio, né parte appellata ne dimostra l’impossibilità d’averlo potuto produrre per tempo, se si considera che esso è un atto interno e, comunque, ben anteriore ai fatti di causa. Tanto in disparte della manifesta irrilevanza di esso ai fini di questo giudizio, ove si controverte soltanto del decreto MISE sul recupero dell’indebita agevolazione percetta dall’appellata e secondo il thema decidendum introdotto coi motivi avanti al TAR, donde pure l’evidente tardività di tutti gli argomenti dedotti da parte appellata in base al parere stesso. È comunque da osservare l’omessa considerazione, nel parere stesso, sulla distinzione di piani logico-giuridici e competenze dell’intervento del MIPAF rispetto al MISE, com’è noto Autorità emanante sia dell’incentivazione, che della revoca decadenziale per cui è causa.

5. – Il Patto territoriale della Provincia di Venezia precisò, tra le norme applicabili alla procedura di agevolazione in argomento, che «… sono inoltre da considerare di applicazione necessaria le norme comunitarie citate nei seguenti paragrafi del presente bando, in particolare le eventuali restrizioni alla produzione, le limitazioni ed i divieti individuati nel quadro delle organizzazioni comuni di mercato (OCM) e nelle norme comunitarie relative agli aiuti di stato nel settore agricolo, agro-industriale e della pesca …».

Ha obiettato in primo grado l’odierna appellata che, in virtù dell’abolizione dell’art. 1, co. 136 della l. 311/2004 recata dall’art. 6, co. 2 della l. 124/2005, pure i recuperi in autotutela di esborsi indebiti soggiacciono alle regole ed ai principi rivenienti dall’art. 21-nonies della l. 241 del 1990. Si vedrà tra breve che la fattispecie non ha nulla a che vedere con l’ordinario annullamento in autotutela per illegittimità originaria del provvedimento. Ma quand’anche tale fosse stato l’esercizio della potestà ripristinatoria esercitata dal MISE, nella specie si trattò del recupero di astrattamente leciti aiuti di Stato nell’ambito della politica comune UE sulla pesca, in particolare per il rinnovo del naviglio e per la correlata rimodulazione dello sforzo di pesca rilasciati in assenza di presupposti. Sicché soccorre al riguardo il principio, posto in tema di politica agricola UE (cfr. Trib. I gr. UE, V, 30 gennaio 2020 n. 292) quando si tratti della gestione nazionale di finanziamenti relativi ad interventi per le politiche comuni, per cui è preciso compito delle autorità nazionali, fatto salvo il rispetto dell'obbligo di diligenza generale, di scegliere i mezzi di ricorso più acconci all’obiettivo del recupero di finanziamenti stessi, nel senso che gli Stati membri devono procedere al recupero stesso e adottare le misure destinate a porre rimedio alle irregolarità prontamente e in tempo utile. Questa è una delle declinazioni del principio, fermo nella giurisprudenza della CGUE (cfr. CGUE, III, 13 marzo 2008 n. 383), secondo il quale, se il recupero di importi indebitamente concessi in forza del diritto UE sia lasciata al diritto nazionale, questo non deve ledere l'applicazione e l'efficacia del diritto comunitario, rendendo di fatto impossibile la ripetizione degli aiuti irregolarmente concessi. Il giudice nazionale deve quindi garantire la piena efficacia del diritto comunitario, arrivando anche a disapplicare, ove occorra, una norma nazionale che vi si opponga . Il giudice nazionale può attuare i principi comunitari di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento valutando il comportamento sia dei beneficiari dei fondi persi, sia quello della P.A., purché si tenga pienamente conto del preminente interesse dell’Unione e della integrità del bilancio europeo.

Questo Consiglio ha esaminato i risvolti di rilevanza comunitaria nella materia dei contributi erogati dallo Stato a sostegno dell’industrializzazione, sottolineando l’obbligo della P.A. di farsi garante della compatibilità delle misure adottate a sostegno del mercato con l’art. 87 del Trattato UE e l’art. 107 del TFUE.

Ecco, dunque, che in tale ottica il recupero avviene mediante un provvedimento decadenziale e la decadenza ha in realtà una funzione sanzionatoria, che non ne consente l'inquadramento, al di là del nomen iuris utilizzato dal legislatore, né come un annullamento, né quale revoca in senso stretto. Da ciò discende l’inutilizzabilità delle disposizioni specifiche dettate in materia d’autotutela e, in particolare l'art. 21-nonies della l. 241/1990, invocate dall'appellata a sostegno dell'esistenza di un termine preciso o comunque ragionevole che tenga conto degli interessi dei destinatari, per emanare la sanzione (cfr. Cons. St., III, 25 marzo 2019 n. 1932). Non sfugge al Collegio che pure il parametro della ragionevolezza è un criterio per applicare e ben intendere i principi euro-unitari implicati nel Patto territoriale de quo, ma ciò vale tanto per la P.A. emanante (il MISE, unico competente in materia, il quale s’attivò con sufficiente tempestività rispetto all’erogazione definitiva ed il processo verbale della GDF), quanto per l’appellata (verso la quale l’ammissione al Patto non fu il titolo per percepire l’agevolazione, ma per partecipare alla procedura per la relativa erogazione).

6. – Scolorano tutte le questioni poste dal TAR tanto sulla natura dell’impugnato recupero, quanto sull’obbligo di ripetizione dell’indebito, valendo la buona fede del percettore, desumibile da un’eventuale comportamento in buona fede del privato ma anche dai suoi obblighi di diligenza (p.es., quello di indicare in GT e in kW la stazza e, rispettivamente, la potenza motori: cfr. le citate note provinciali che invitarono invano la Società appellata a rendere tal dichiarazione), al più solo in sede d’esecuzione del recupero stesso e non come esimente dalla responsabilità.

Sicché va accolto il primo motivo d’appello, con cui il MISE contesta la qualificazione fornita dal TAR all’atto di recupero, intendendolo a guisa d’annullamento in autotutela, anziché per quel che è stato, ossia una decadenza, o revoca, sanzionatoria. Ha invece ragione il Ministero appellante a ribadire il principio già affermato della Sezione (cfr. Cons. St., VI, 30 maggio 2017 n. 2614;
id., 23 novembre 2018 n. 6659), in virtù del quale il recupero di erogazioni in generale (e maxime se si tratta di agevolazioni di diritto UE), erroneamente erogate o in assenza del presupposto, non è una una funzione d’autotutela ex artt. 21-quinquies o 21-nonies della l. 241/1990. Si tratta piuttosto del doveroso esercizio di un potere vincolato, senza che ciò determini la violazione dei principi di tipicità e nominatività della funzione amministrativa (e del provvedimento che ne è la forma giuridica), di revoca sanzionatoria, correlato unicamente alla ricorrenza dei presupposti normativi richiesti per elidere ex tunc il beneficio assentito sine titulo . In tal caso, la “revoca” ( recte , l’obbligo tutt’altro che discrezionale di ripetizione dell’indebito) si fonda sul dato oggettivo della violazione della normativa di regolazione del settore senza che ne rilevi lo stato soggettivo del beneficiario. Emerge quindi preminente l’esigenza per la P.A. di ripetere erogazioni indebite di pubblico denaro senza che vi occorra una motivazione specifica sulle eventuali ragioni d’interesse pubblico concreto e attuale o di comparazione con quello del debitore, anche quando questi sia in buona fede, dato, questo, che assume rilievo al più nel quomodo del recupero, non certo nell’ an .

Si può discettare se, fuori dal recupero di aiuti europei o strettamente inerenti alle politiche comuni, la ripetizione dell’indebito debba seguire le regole proprie dell’autotutela di cui al ripetuto art. 21-nonies. Crede piuttosto il Collegio che l’abrogazione dell’art. 1, co. 136 della l. 311/2004 abbia in via definitiva svincolato la ripetizione dell’indebito di somme erogate sine titulo dal contesto delle funzioni discrezionali di secondo grado con esito d’annullamento o di riforma, sottomettendola per contro alla logica d’una potestà pubblicistica di tipo sanzionatorio/ripristinatorio, riconosciuta alla P.A. in applicazione espressa dell’art. 12, co. 3, lett. f) del DM 31 luglio 2000 n. 320, al fine di salvaguardare il medesimo interesse pubblico di settore (art. 13, § 1 del regol. n. 2002/2371/UE) protetto con la concessione dell’agevolazione.

Sicché, nella specie, è stato compiuto non un riesame discrezionale dell’atto, alla stregua della sua legittimità od opportunità, quanto invece l’obbligo di ripetizione d'un indebito pagamento, non importa, tranne nella fase esecutiva o ad altri fini, a causa di un errore a priori nel pagamento, d’un originario comportamento fraudolento del percettore o del di lui inadempimento degli obblighi connessi al beneficio dalla normativa di settore. È fermo altresì il principio (cfr., ex multis , Cons. St., V, 19 gennaio 2020;
id., II, 18 maggio 2020 n. 3159;
id., V, 8 febbraio 2021 n. 1126) per cui il recupero d’un illegittimo esborso di denaro pubblico (pure della UE), non richiede una particolare motivazione neppure con riguardo al decorso del tempo, invece rilevante, qual fattispecie estintiva tipica, nell’autotutela discrezionale.

Va condivisa pure la doglianza attorea sull’effetto non determinante dell’affidamento dell’appellata. Nel caso in esame, non vi fu, come s’è visto, né autotutela vera e propria, ma ripetizione d’indebito (donde l’inapplicabilità di tutte le questioni discendenti dall’art. 21-nonies della l. 241/1990, dopo la novella del 2015), né un’agevolazione erogata prima dell’entrata in vigore del regol. (CE) n. 2371. Né concretizza affidamento il riferimento dell’appellata al n.o. del MIPAF o, peggio, del soggetto istruttore quali momenti determinanti della norma applicabile, essendo ogni, tra l’altro erronea, valutazione in proposito, per quanto si dirà di seguito in relazione alla normativa UE applicabile, inopponibile al MISE quale responsabile per il recupero, altrimenti mai ipotizzabile a fronte di malgoverno istruttorio della concessione dell’agevolazione ). Non si configura alcun affidamento legittimo in capo all’appellata (considerato che ad essa rimase disponibile una stazza pari a GT 166, a fronte della dismessa stazza pari a GT 109), né tampoco rilevanza di suoi stati soggettivi dirimenti (trattandosi d’un indebito oggettivo). Ciò avvenne per errori e sovrapposizioni di competenze, ma certo non per colpa del MIPAF, che pur condividendo l’iniziativa dell’appellata, non poté sostituirsi né al Soggetto responsabile, né alla P.A. emanante il Patto, né a quella titolare del procedimento di concessione del contributo. Né colpa è ravvisabile in capo al MISE, che della oggettiva complessità della vicenda dovrà tener conto nel concreto recupero dell’indebito.

A fermo avviso del Collegio, in tanto si può riconoscere in capo al beneficiario di un finanziamento un affidamento degno di tutela, in quanto quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto delle regole e, in base ad un principio di autoresponsabilità, quando lo stesso operatore economico diligente ha rigorosamente rispettato le procedure, donde, per i fatti dianzi descritti, l’affidamento dell’appellata è per vero evanescente.

7. – La Società appellata ripropone per intero il primo motivo del suo ricorso, che il TAR ha invece assorbito e che il Collegio non condivide.

Giova rammentare, lo s’è accennato dianzi, che la mera sottoscrizione del Patto territoriale da parte della Società appellata non fu equivalente alla concessione dell’agevolazione. Invero, l’art. 3 del DM n. 2549/2001, nell’approvare il Patto territoriale in questione. aveva subordinato la concessione dei benefici per i vari programmi «… al rispetto degli obiettivi annuali e generali del… (POP) per la flotta peschereccia dell’Italia 1997/2001 costituiti da valori definiti di stazza e potenza motori;
alla comunicazione formale del Ministero (PAF)… dell’intervenuto raggiungimento degli obiettivi previsti;
al mantenimento globale degli interventi sulla flotta anche ai fini dell’aggiornamento del relativo sistema informativo nel quale le iniziative… in questione vanno inserite;
all’approvazione delle iniziative medesime da parte del Ministero delle politiche agricole e forestali
…». Molte, come si vede, furono le condizioni cui ogni agevolazione fu subordinata, in particolare ai poteri di verifica del MIPAF in ordine all’osservanza del predetto POP.

Dice l’appellata che la motobarca Mistral non fu soggetta al regol. (CE) n. 2792, né al successivo.

Ora, l’art. 9, § 1) di detto regolamento, nel suo testo originario, previde che aiuti pubblici per il rinnovo e l’ammodernamento della flotta peschereccia, per i segmenti in cui non fossero stati rispettati (periodo 2000/2001) gli obiettivi del POP, erano autorizzabili fino al 31 dicembre 2001, a condizione che «… l’entrata di nuova capacità con aiuti pubblici sia compensata da un ritiro di capacità senza aiuti pubblici che superi di almeno il 30% la nuova capacità introdotta nei segmenti in questione …». Senonché il natante Mistral entrò nella flotta, secondo quanto precisa tale Società, solo il 26 novembre 2002, quando, cioè, vigeva il testo di detto art. 9 come novellato non dal regol. n. 2002/2369/CE (che sarebbe entrato in vigore solo il 1° gennaio 2003), ma dal regol. (CE) n. 179 del 28 gennaio 2002. Sicché, ai presenti fini e nei casi di mancato rispetto degli obiettivi del POP per i gli Stati membri devono assicurare che l'entrata di nuova capacità con aiuti pubblici sia compensata nel 2002 da un ritiro di capacità senza aiuti pubblici che superi di almeno il 35 % la nuova capacità introdotta, calcolata in termini aggregati e in termini sia di stazza che di potenza.

Per quel che poi concerne la motobarca Impero II , essa ricevette la licenza da pesca il 4 giugno 2003, per cui, nonostante ogni diversa opinione dell’appellata, tal naviglio soggiacque da subito all’art. 13 del regol. n. 2002/2371/CE, entrato in vigore il precedente 1° gennaio.

L’appellata insiste nell’affermare l’inapplicabilità ad essa del predetto regolamento, giacché l’aiuto riferito ad essa le era stato concesso col DM n. 2549/2001. Sfugge invero da dove l’appellata arguisca tal assunto, cioè il diritto alla citata agevolazione per il sol fatto che il DM 25 maggio 2001 n. 2549 avesse approvato il Patto territoriale in questione ed essa poi lo sottoscrisse. Vale, quindi, quel che dianzi il Collegio ha sottolineato, ossia che l’adesione al Patto stesso consentì a tal Società ad accedere non all’agevolazione in sé, ma al procedimento agevolativo, che non sarebbe mai potuto prescindere dai pareri degli organi istruttori e dalla volizione del MISE, al di là del n.o. rilasciato ad altri fini dal MIPAF. Al Collegio, quindi, non resta che ribadire quanto già detto al § 5): il rilascio di naviglio con stazza indicata in TSL e l’erroneo convincimento che il n.o. del MIPAF fosse sufficiente a confermare il possesso dei presupposti —per accedere in via definitiva alle agevolazioni per l’acquisto del nuovo naviglio invece che all’ottenimento delle licenza da pesca—, nella migliore dei casi non permisero all’appellata l’immediata percezione d’aver armato due imbarcazioni nuove con GT superiore a quello delle barche dismesse, né di soggiacere alle norme del regol. (CE) n. 2792/1999 e, rispettivamente, al sopravvenuto regime dell’art. 13 del regol. n. 2002/2371/CE.

È appena da soggiungere che parte appellata non s’avvede di quel che la citata nota MIPAF n. 5015 del 2004, nel render parere favorevole sul suo progetto, lo fece in conformità alla normativa UE del settore degli interventi strutturali, ossia proprio il regol. n. 2371 allora già vigente.

8. – In definitiva, l’appello va accolto. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

La complessità della vicenda suggerisce la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del doppio grado di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi