Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2020-04-24, n. 202002651
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Testo completo
Pubblicato il 24/04/2020
N. 02651/2020REG.PROV.COLL.
N. 04341/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4341 del 2019, proposto dalla -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, e dai signori -OMISSIS-, nella qualità di Amministratore unico e legale rappresentante pro tempore, e -OMISSIS-, nella sua qualità di Direttore Tecnico e socio di maggioranza, rappresentati e difesi dall'avvocato C C, e con questi elettivamente domiciliati in Roma alla Via Ennio Quirino Visconti n. 55, presso lo studio dell’avv. R S,
contro
l’Ufficio Territoriale del Governo Vibo Valentia - Prefettura di Vibo Valentia e il Ministero dell’interno, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la riforma
della sentenza del Tar Calabria, sede di Catanzaro, sez. I, -OMISSIS- del 30 novembre 2018, che ha respinto il ricorso proposto avverso l’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Vibo Valentia -OMISSIS- dell'1 agosto 2017.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo Vibo Valentia - Prefettura di Vibo Valentia e il Ministero dell’interno;
Vista la memoria depositata dall’Ufficio Territoriale del Governo Vibo Valentia - Prefettura di Vibo Valentia e dal Ministero dell’interno in data 4 dicembre 2019;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza del giorno 16 aprile 2020, svoltasi da remoto in videoconferenza ex art. 84, comma 6, d.l. n. 18 del 2020, il Cons. G F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-), con sede in -OMISSIS- di Vibo Valentia, svolge attività di -OMISSIS-. La società è composta dalla signora da -OMISSIS-, che riveste la qualità di Amministratore Unico, e da -OMISSIS- -OMISSIS-, che ricopre il ruolo di Direttore Tecnico.
In data 1 agosto 2017 è stata emessa, a carico della società, dal Prefetto di Vibo Valentia una interdittiva antimafia, basata sul rapporto di parentela dei titolari della Ditta, -OMISSIS- e -OMISSIS-, rispettivamente -OMISSIS- e -OMISSIS- del signor -OMISSIS- il quale, insieme ai -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, è titolare di società destinatarie di informazione interdittiva antimafia, ed in particolare della -OMISSIS-, fallita poco prima della costituzione della Ditta in questione. Il signor -OMISSIS- è stato poi controllato con soggetti deferiti all’Autorità Giudiziaria per reati di estorsione, associazione mafiosa, usura, associazione destinata a traffico di stupefacenti ed è -OMISSIS- di -OMISSIS-, -OMISSIS- con -OMISSIS-, legato da vincoli di parentela con soggetti condannati per omicidio, usura, furto, ricettazione, associazione mafiosa, e ritenuto elemento di spicco della criminalità organizzata operante nelle -OMISSIS- di Vibo Valentia.
2. L’interdittiva è stata impugnata dinanzi al Tar Catanzaro che, con sentenza -OMISSIS- del 30 novembre 2018 della sezione I, ha respinto il ricorso.
Il giudice di primo grado ha ritenuto sufficiente a supportare il provvedimento impugnato la circostanza che la società -OMISSIS- è stata costituita il -OMISSIS-2015 da -OMISSIS- e -OMISSIS- conviventi con -OMISSIS- - indagato per bancarotta fraudolenta e documentale, appartenente a famiglia pregiudicata - immediatamente dopo il fallimento della società da lui amministrata, la -OMISSIS-, dichiarato il -OMISSIS- 2015 (v. visure camerale) società destinataria di interdittiva divenuta definitiva. La coincidenza dell’oggetto sociale tra le due società colpite da interdittive (-OMISSIS-), unita alla menzionata conseguenzialità temporale, consente, secondo la logica probabilistica, alla -OMISSIS- di proseguire l’attività della società del capofamiglia.
3. La sentenza è stata impugnata con appello depositato in data 22 maggio 2019, deducendone l’erroneità sotto diversi profili.
La sentenza è erronea, ed il provvedimento interdittivo illegittimo, innanzitutto perché dalla lettura di detto provvedimento non si scorge alcun addebito legato agli appellanti ma, al contrario, il suo contenuto si presenta come una palese censura alla figura di -OMISSIS- e dei suoi familiari.
Il giudice di primo grado non ha però considerato che l’interdittiva a carico della -OMISSIS- è risalente al 6 ottobre 2016 ed è, dunque, successiva alla dichiarazione di fallimento della società del 2015, che ha determinato la gestione della stessa da parte di un curatore fallimentare.
A dimostrazione della fragilità della tesi, volta a riconoscere il condizionamento mafioso, contenuta nella sentenza impugnata è, ad avviso di parte ricorrente, la circostanza che, ad esclusione del rapporto parentale con il signor -OMISSIS-, nessun indicatore di pericolo è presente.
Nella valutazione dell’atto prefettizio impugnato, il Tar Catanzaro avrebbe dovuto considerare il quadro indiziario esistente valutando, così come eccepito, anche la mancanza degli elementi sintomatici indicati da una costante giurisprudenza del giudice di appello ed eventualmente spiegare perché l’assenza di condotte “spia” sarebbe stata ininfluente per il giudizio.
4. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'interno e l’Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Vibo Valentia, che hanno preliminarmente eccepito la tardività dell’appello, notificato in data 13 maggio 2019 mentre la sentenza di primo grado è stata notificata in data 6 dicembre 2018; nel merito ne hanno sostenuto l’infondatezza.
5. Alla udienza del 16 aprile 2020, tenuta in videoconferenza ex art. 84, co. 6, d.l. n. 18 del 2020, la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione di tardività dell’appello, sollevata dal Ministero dell'interno e dall’Ufficio territoriale del Governo - Prefettura di Vibo Valentia, sul rilievo che la sentenza di primo grado è stata notificata in data 6 dicembre 2018 mentre l’appello è stato notificato solo in data 13 maggio 2019, a distanza dunque di circa cinque mesi dall’avvenuta notifica.
L’eccezione – sulla quale peraltro parte appellante non si è difesa – è fondata.
Il comma 1 dell’art. 92 c.p.a. ha disposto che “Salvo quanto diversamente previsto da speciali disposizioni di legge, le impugnazioni si propongono con ricorso e devono essere notificate entro il termine perentorio di sessanta giorni decorrenti dalla notificazione della sentenza”.
Ne consegue che l’appello in esame, notificato dopo più di cinque mesi dalla notifica della sentenza di primo grado, è ampiamente tardivo.
2. Sebbene tale rilievo assuma carattere assorbente di ogni altra considerazione, il Collegio ritiene di passare anche all’esame del merito dell’appello, che è palesemente infondato.
La -OMISSIS- (d’ora in poi, -OMISSIS-) svolge attività di -OMISSIS-; annovera quale Amministratore unico e legale rappresentante la signora -OMISSIS- e quale Direttore Tecnico e socio di maggioranza il signor -OMISSIS-.
L’interdittiva antimafia -OMISSIS- dell'1 agosto 2017, emessa dal Prefetto di Vibo Valentia, si fonda essenzialmente sul rapporto di parentela dei titolari della Ditta, -OMISSIS- e -OMISSIS-, con -OMISSIS-, rispettivamente -OMISSIS- di -OMISSIS- e -OMISSIS- di -OMISSIS-.
Contrariamente a quanto assume l’appellante, tali rapporti sono sufficienti a fondare il provvedimento interdittivo.
Giova premettere, richiamando una ormai consolidata giurisprudenza della sezione (tra le tante, 27 dicembre 2019, n. 8882; 5 settembre 2019, n. 6105; 20 febbraio 2019, n. 1182), che l’informativa antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipico dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.
Ha aggiunto la Sezione (n. 758 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.
Ha ancora chiarito la Sezione (5 settembre 2019, n. 6105) che la legge italiana, nell’ancorare l’emissione del provvedimento interdittivo antimafia all’esistenza di “tentativi” di infiltrazione mafiosa, ha fatto ricorso, inevitabilmente, ad una clausola generale, aperta, che, tuttavia, non costituisce una “norma in bianco” né una delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa imprevedibile per il cittadino, e insindacabile per il giudice, anche quando il Prefetto non fondi la propria