Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-05-04, n. 202304542

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-05-04, n. 202304542
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304542
Data del deposito : 4 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/05/2023

N. 04542/2023REG.PROV.COLL.

N. 00307/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 307 del 2022, proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

il signor V P C, rappresentato e difeso dall’avvocato M N, con domicilio digitale come da

PEC

Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione seconda, n. 1537 del 26 ottobre 2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del signor V P C;

visti tutti gli atti della causa;

relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 novembre 2022, il consigliere Francesco Frigida e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi e l’avvocato M N;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il sig. V P C chiedeva al Tribunale amministrativo regionale la Puglia, sezione staccata di Lecce, l’annullamento del provvedimento del Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, prot. M_D GMIL REG2021 0159874 del 6 aprile 2021, notificatogli in data 7 aprile 2021, di rigetto della sua richiesta di congedo straordinario senza assegni presentata il 20 febbraio 2021 ai sensi dell’art. 1506 del decreto legislativo n. 66/2010.

2. Con la sentenza in epigrafe, nella resistenza dell’intimata amministrazione statale, il T.a.r. accoglieva il ricorso, compensando tra le parti le spese di lite.

3. Con atto di appello notificato e depositato – rispettivamente in data 30 dicembre 2021 e in data 14 gennaio 2022 – il Ministero della difesa ha chiesto la riforma della su menzionata sentenza, articolando un unico motivo di « violazione e falsa applicazione sia dell’art. 1506, comma 1, lettera d) del Dlg. n. 66/2010, che dell’art. 757, comma 3 del medesimo codice dell’ordinamento militare ».

4. Con ordinanza n. 483 del 2 febbraio 2022 la Sezione ha accolto la domanda cautelare e ha sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza gravata.

5. Con successiva ordinanza n. 3941 del 18 maggio 2022 la Sezione « Rilevato che, come documentato tramite segnalazione, senza valenza di costituzione, depositata da parte appellata, il suo difensore nel giudizio di primo grado è stato cancellato, a domanda, dall’albo degli avvocati in data 25 ottobre 2021, ovverosia dopo l’udienza di discussione della causa dinanzi al T.a.r. (13 ottobre 2021) e il giorno prima della pubblicazione della sentenza impugnata (26 ottobre 2021);
- Osservato che la notificazione dell’appello è stata ricevuta in data 30 dicembre 2021 dal difensore presso la sua casella di posta elettronica certificata
» e considerata nulla – ma non inesistente – la notificazione dell’appello, ha reputato di « di dover disporre d’ufficio la rimessione in termini ai sensi dell’art. 37 del codice del processo amministrativo e di dover concedere all’uopo a parte appellante termine di 30 giorni dalla pubblicazione della presente ordinanza per la rinotificazione dell’appello alla parte appellata personalmente ».

6. In data 3 agosto 2022 l’appellato si è costituito in giudizio, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame, e in data 17 agosto 2022 ha depositato un’istanza per la revoca della disposta misura cautelare.

7. Con ordinanza n. 4620 del 21 settembre 2022 la Sezione, « Rilevato che: - con ordinanza n. 483/2022, la Sezione ha accolto la domanda cautelare proposta da parte appellante, con conseguente sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata;
- in virtù della suddetta ordinanza, l’amministrazione militare ha annullato il provvedimento di concessione del congedo ex art. 1506 del decreto legislativo n. 66/2010, precedentemente adottato in esecuzione della sentenza gravata e, pertanto, ha richiamato in servizio l’interessato, il quale ha dunque dovuto sospendere la frequenza del corso di specializzazione medica;
- tramite ordinanza n. 3941/2022, la Sezione, accertata, a seguito di segnalazione della parte appellata al tempo ancora non costituita, la nullità della notificazione eseguita (e perfezionatasi) presso la pec del difensore in primo grado, cancellatosi poco tempo prima dall’albo professionale, ha disposto la rinotificazione dell’appello e ha rinviato la causa all’udienza di merito del 29 novembre 2022;
- il Ministero ha provveduto tempestivamente alla rinotificazione e la parte appellata si è costituita;
osservato altresì che la parte privata ha depositato istanza di revoca della precedente misura cautelare, siccome emessa in assenza di regolare contraddittorio>>….<<alla luce degli atti di causa>>,
ha revocato <<… , ai sensi dell’art. 58, comma 1, del codice del processo amministrativo, la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata disposta con l’ordinanza cautelare n. 483/2022 ».

8. In vista dell’udienza di discussione l’appellato ha depositato una memoria con cui ha ulteriormente illustrato le proprie tesi tanto con riferimento alla nullità del procedimento notificatorio e alla conseguente inammissibilità o improcedibilità dell’appello quanto in relazione all’infondatezza del gravame.

9. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 29 novembre 2022.

10. L’appello è ammissibile.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che « La notifica dell’atto d’appello eseguita al difensore dell’appellato che, nelle more del decorso del termine di impugnazione, si sia volontariamente cancellato dall’albo professionale, non è inesistente - ove il procedimento notificatorio, avviato ad istanza di soggetto qualificato e dotato della possibilità giuridica di compiere detta attività, si sia comunque concluso con la consegna dell’atto - ma nulla per violazione dell’art. 330 c.p.c., comma 1, in quanto indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla, atteso che la volontaria cancellazione dall’albo degli avvocati importa per il professionista la simultanea perdita dello ius postulandi tanto nel lato attivo quanto in quello passivo » (Cass. Civ., SS.UU., sentenza 13 febbraio 2017, n. 3702;
sez. VI, ordinanza 18 maggio 2020, n. 9104).

Ciò posto, si osserva che nel caso di specie la notificazione a mezzo posta elettronica certificata nella sua materialità si è perfezionata correttamente (giusta le ricevute di accettazione e di consegna), stante l’ultrattività della casella pec dell’avvocato successivamente alla sua volontaria cancellazione dall’albo (dopo l’udienza di discussione dinanzi al T.a.r. e il giorno precedente alla pubblicazione della sentenza gravata), tantoché l’interessato ha avuto comunque contezza del gravame (evidentemente avvertita dal suo ex difensore), segnalando, senza costituirsi, l’irritualità della notificazione.

Dunque il concreto svilupparsi della vicenda – e in particolare la cancellazione dall’albo dopo l’ultima udienza dinanzi al T.a.r. e il rilascio della ricevuta di avvenuta consegna della pec – hanno comportato un’oggettiva difficoltà per il notificante di poter subito definire ritualmente il procedimento notificatorio, sicché del tutto legittimamente è stata consentita una rinotificazione dell’impugnazione (d’ufficio, come possibile ai sensi degli articoli 37 e 44, comma 4, c.p.a., non essendo necessaria un’istanza di parte, a differenza di quanto sostenuto dall’appellato), poi ritualmente effettuata e idonea a sanare la nullità – e non inesistenza – della prima notificazione, che peraltro in ogni caso aveva dal punto di vista sostanziale già raggiunto il suo scopo, essendo stata conosciuta dall’interessato.

Sempre in relazione all’ammissibilità dell’impugnazione va altresì evidenziato che con la sentenza della Corte costituzionale n. 148 del 19 luglio 2021 è stato eliminato il requisito di cui all’art. 44, comma 2, c.p.a. inerente alla necessaria sussistenza di una causa della nullità della notificazione non imputabile al notificante ai fini della concessione del termine per il suo rinnovo ed è stato contestualmente espresso un principio di carattere generale secondo cui « Se (…) le forme degli atti processuali non sono “fine a se stesse”, ma sono funzionali alla migliore qualità della decisione di merito (sentenza n. 77 del 2007), essendo deputate al conseguimento di un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto è destinato ad assolvere nell'ambito del processo, la limitazione, posta dall'art. 44, comma 4, cod. proc. amm., della rinnovazione della notificazione del ricorso alle sole ipotesi in cui la nullità non sia imputabile al notificante non risulta proporzionata agli effetti che ne derivano, tanto più che essa non è posta a presidio di alcuno specifico interesse che non sia già tutelato dalla previsione del termine di decadenza ».

11. L’appello è anche fondato e deve essere accolto alla stregua delle seguenti considerazioni.

12. Deve invero darsi continuità all’orientamento giurisprudenziale recentemente confermato dalle sentenze di questa sezione 27 aprile 2022, n. 3363, 1° settembre 2021, n. 6178 e 13 ottobre 2022, n. 8857, oltre che dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana con sentenza 6 ottobre 2022, n. 1009, dai cui principi non intende discostarsi.

Le richiamate decisioni escludono la possibilità di un’interpretazione restrittiva dell’art. 757, comma 3, del decreto legislativo n. 66/2010, recante il codice dell’ordinamento militare, che ne delimiti l’ambito di operatività ai soli ufficiali medici che accedono alle scuole di specializzazione con la riserva di posti prevista ai sensi del comma 1 del medesimo articolo.

Al contrario, la norma va intesa in termini necessariamente ampi, ovverosia applicabile a tutto il personale in formazione specialistica appartenente ai ruoli della sanità militare, per i quali non trova pertanto applicazione, giusta l’esplicita indicazione ivi contenuta, l’art. 40, comma 2, del decreto legislativo n. 368/1999, concernente la possibilità di usufruire dell’aspettativa senza assegni.

I su richiamati precedenti hanno precisato che con la riforma della formazione dei medici specialisti, attuata con il decreto legislativo n. 368/1999, è divenuto inapplicabile ai medici specializzandi (anche non militari) l’articolo 6, comma 7, della legge n. 398/1989, giacché l’art. 46 (rubricato “ Disposizioni finali ”), comma 3, del d.lgs. n. 368/1999 ha disposto l’abrogazione tra l’altro del « decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257 », il cui art. 5, comma 2, prevedeva che « lo specializzando, ove sussista un rapporto di pubblico impiego, fatta eccezione per i dipendenti di cui all’art. 2, comma 5, è collocato in posizione di congedo straordinario ai sensi dell’art. 6 della legge 30 novembre 1989, n. 398 ». Il medesimo art. 46 ha previsto la graduale applicazione della nuova disciplina, individuando l’anno accademico 2006-2007 quale spartiacque temporale che segna l’avvio della riforma, a partire da cui si applicano « gli articoli da 37 a 42 », tra i quali pertanto l’art. 40, comma 2, che così statuisce: « Il medico in formazione specialistica, ove sussista un rapporto di pubblico impiego, è collocato, compatibilmente con le esigenze di servizio, in posizione di aspettativa senza assegni, secondo le disposizioni legislative contrattuali vigenti ».

Tale norma non è applicabile ai medici militari per effetto della deroga espressa originariamente stabilita dall’articolo 42 del d.lgs. n. 368/1999, poi trasfuso nell’articolo 757, comma 3, del decreto legislativo n. 66/2010.

In sintesi va quindi rilevato che la disciplina invocata dall’appellato, che troverebbe fondamento nell’art. 1506 del codice dell’ordinamento militare, non è suscettibile di applicazione nei confronti dei medici militari per i quali vige una disciplina speciale che preclude, sulla base di una precisa opzione del legislatore, il collocamento in posizione di aspettativa senza assegni previsto per i medici specializzandi.

Siffatta possibilità non riaffiora per effetto dell’applicazione dell’art. 6, comma 7, della legge n. 398/1989, essendo a sua volta preclusa dall’abrogazione del decreto legislativo n. 257/1991 (il cui art. 5 prevedeva il congedo straordinario di cui all’art. 6 della legge n. 398/1989) a opera dell’art. 46, comma 2, del d.lgs. n. 368/1999.

Infine a sua volta l’art. 757, comma 3, del codice dell’ordinamento militare non è suscettibile di interpretazione restrittiva, riferendosi testualmente « a tutto il personale in formazione specialistica appartenente ai ruoli della sanità militare », senza alcuna distinzione a seconda delle modalità di accesso alle scuole di specializzazione.

Da un lato dunque il medesimo decreto legislativo n. 368/1999 ha previsto, all’art. 40, comma 2, la fruibilità dell’aspettativa senza assegni, con una norma che tuttavia non trova applicazione per i medici militari (art. 757, comma 3, del codice dell’ordinamento militare);
dall’altro il congedo straordinario di cui all’art. 6, comma 7, della legge n. 398/1989, seppure letteralmente ancora richiamato dall’art. 1506, comma 1, lettera d), del codice dell’ordinamento militare, non può più a sua volta trovare applicazione in quanto, con specifico riferimento a questa categoria, la norma è venuta meno, essendo stata abrogata, come poc’anzi detto, la disposizione speciale dell’art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 257/1991, che la consentiva.

A fronte di detta disciplina non può assumere rilievo neppure la richiamata circolare M_D GMIL II5 1 0416819, datata 15 novembre 2012, peraltro relativa alla (differente) fattispecie dei dottorati di ricerca.

Rilevano anche le considerazioni dei richiamati precedenti di questa Sezione inerenti alle esigenze di semplificazione normativa sottese alla stesura dell’art. 757 del codice dell’ordinamento militare in cui sono confluite le autonome disposizioni del decreto legislativo n. 368/1999 e segnatamente l’art. 35 nel comma 1 e l’art. 42 nel comma 3, cosicché la ricaduta applicativa di tale già precedentemente vigente disciplina non può subire, peraltro rilevanti, variazioni, per la sola diversa collocazione topografica della stessa.

Non vi è pertanto alcuna ragione tangibile che giustifichi un diverso trattamento tra chi abbia fatto o meno accesso alle scuole di specializzazione mediante la riserva di posti di cui al comma 1 dell’art. 757, comma 1, del codice dell’ordinamento militare, la cui formulazione non ha conseguentemente alcuna incidenza sulla latitudine applicativa della deroga sancita dal comma 3 del medesimo articolo.

La ratio sottesa a tale generalizzata preclusione si fonda sul fatto che, a decorrere dall’anno accademico 2006-2007, i medici specializzandi sono chiamati a stipulare un contratto di formazione specialistica, in luogo della borsa di studio prevista in precedenza, con attribuzione di un vero e proprio trattamento economico annuo omnicomprensivo, che andrebbe a minare il principio di esclusività che connota il rapporto di lavoro pubblico in ambito militare.

Se dunque è innegabile che le prestazioni svolte dai medici specializzandi, in quanto finalizzate al loro accrescimento formativo, non vanno a vantaggio dell’università, ma dell’amministrazione di appartenenza (cfr., ex aliis , Cass., sez. lavoro, ord. 8 settembre 2020, n. 18667), che in tale logica continua a farsene carico in una percentuale sostenibile e predeterminata, lo è altrettanto nei casi dove lo specializzando, in virtù del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al decreto legislativo n. 368/1999, beneficia di un trattamento economico ben più elevato con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali, con obbligo di versamento dei contributi previdenziali previa iscrizione alla gestione separata dell’Inps, prevista dall’art. 1, comma 300, della legge finanziaria per il 2006. L’art. 40, comma 1, del decreto legislativo n. 368/1999 stabilisce peraltro che « l’impegno richiesto per la formazione specialistica è pari a quello previsto per il personale medico del Servizio sanitario nazionale a tempo pieno, assicurando la facoltà dell’esercizio della libera professione intramuraria », che si risolve in un preciso numero di ore lavorative settimanali nonché in un onere gravoso ed assorbente che mal si concilia con le caratteristiche del servizio esclusivo reso in favore dell’amministrazione militare.

Inoltre l’art. 1506 del decreto legislativo n. 66/2010, nell’economia complessiva del codice dell’ordinamento militare, ha natura soltanto residuale (come traspare dall’uso della formula « oltre a quanto già previsto dal presente codice ») e comunque dalla sua formulazione non si evince alcuna volontà di apportare una deroga all’art. 40, comma 2, del decreto legislativo n. 368/1999.

Le richiamate pronunce di questa Sezione hanno altresì escluso la sussistenza di alcuna violazione dei principi costituzionali di cui agli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione, in quanto le disposizioni di legge sopra esaminate non impediscono infatti l’accesso ai corsi delle scuole di specializzazione mediche, ma si limitano a regolamentarne la possibilità di frequenza con riferimento all’impatto sul rapporto di lavoro con l’amministrazione militare e non privano in alcun modo, neanche di fatto, il dipendente dei mezzi economici di sostentamento in quanto durante la frequenza dei corsi stessi è ormai previsto un effettivo trattamento economico.

13. In conclusione l’appello va accolto e pertanto, in riforma della gravata sentenza, va respinto il ricorso di primo grado.

14. La peculiarità della fattispecie e i precedenti giurisprudenziali non univoci dei tribunali amministrativi regionali costituiscono elementi che giustificano l’applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., e quindi la compensazione tra le parti delle spese di ambedue i gradi di giudizio.

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