Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-04-08, n. 202102854

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-04-08, n. 202102854
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102854
Data del deposito : 8 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/04/2021

N. 02854/2021REG.PROV.COLL.

N. 01177/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1177 del 2015, proposto da
A D R, rappresentato e difeso dall'avvocato E S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, n. 5;

contro

Comune di Arzano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato A M, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro n. 13;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 5716/2014, resa tra le parti, concernente demolizione e ripristino stato dei luoghi.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Arzano;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 marzo 2021 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino. L’udienza si svolge ai sensi degli artt. 25 del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 e 4 comma 1, Decreto Legge 28 del 30 aprile 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Campania l’odierno appellante invocava l’annullamento: a) della ordinanza di demolizione n.7 del 17.07.2014, a firma del Responsabile Settore Urbanistica del Comune di Arzano e del Dirigente Area Pianificazione e Gestione territoriale, con la quale si ingiungeva al ricorrente di provvedere a proprie cure e spese alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi conformemente ai titoli abitativi entro il termine di giorni 90 dalla notifica del provvedimento;
b) del provvedimento protocollo n. 12599/14 del 15.7.2014 di chiusura del procedimento per l'annullamento della D.I.A. prot. n. 13246 del 13.05.2004, della D.M. prot. n. 21357 dell'11.12.2013 e della Autorizzazione di Agibilità n. 64/2014 a firma del Dirigente Pianificazione e Gestione Territoriale del Comune di Arzano (Na), con il quale si diffidava il ricorrente a realizzare qualsiasi opera edilizia sugli immobili in oggetto ed a trasferirne la proprietà, a qualsiasi titolo, essendo in bene in questione oggetto di sentenza di demolizione e ripristino oltre che realizzato in difformità alle leggi e norme urbanistiche vigenti;
c) del provvedimento prot. 12168/14 dell'8.7.2014 a firma del Responsabile del Procedimento, Area Pianificazione e Gestione Territoriale — Settore Urbanistica- del Comune di Arzano (Na) non indirizzato al ricorrente e l'avvio (nota prot. 3419 del 21.2.2014) del procedimento per l'annullamento della DIA 13246 del 13.5.2014 e del certificato di agibilità n. 6/2014.

2. Il primo giudice respingeva il ricorso, valutando come infondate tutte le censure proposte dall’originario ricorrente. Secondo il TAR, infatti, quanto all’annullamento della D.I.A. prot. n. 13246 del 13 maggio 2004 le opere edilizie che ne erano oggetto avevano determinato la modifica della sagoma e dei prospetti ed un incremento di superfici e volume del manufatto, e delle stesse era stata già ordinata la demolizione per il ripristino dello status quo ante con sentenza del GIP del Tribunale di Napoli del 23 febbraio 2006. Quanto, invece, all’annullamento della D.I.A. in sanatoria prot. n. 21357 dell’11 dicembre 2013, il recupero abitativo dei sottotetti, ai sensi della l.r. Campania n. 15 del 28 novembre 2000, effettivamente presupponeva che l'edificio in cui era ubicato il sottotetto fosse stato realizzato legittimamente ovvero che, qualora realizzato abusivamente (come nell’ipotesi in esame, per quanto si è appena detto), fosse stato preventivamente sanato sulla base della legislazione sul condono edilizio, condizione che nel caso di specie non risultava soddisfatta. Inoltre, il giudice di prime cure, da un lato, escludeva la presenza di qualsivoglia affidamento in capo al ricorrente;
dall’altro, l’impossibilità ai sensi dell’art. 38, d.P.R. n. 380/2001 di adottare una sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria e la mancata dimostrazione ai sensi dell’art. 34, d.P.R. n. 380/2001 del pregiudizio che ne deriverebbe per la struttura e l'utilizzazione del bene residuo. Da ultimo, il TAR escludeva la sussistenza della violazione degli artt. 10- bis e 21- quinquies , l. 241/1990, come la rilevanza del difetto di notificazione dell’ordinanza di demolizione alla moglie dell’originario ricorrente.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello il Sig. A D R, che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: a) l’annullamento della d.i.a. del 2004 non sarebbe stato disposto per ragioni sostanziali ma per un motivo formale, ossia per l’erronea dichiarazione del tecnico asseveratore. Ciò avrebbe imposto all’amministrazione di verificare la non assentibilità delle opere autorizzate e, quindi, la sussistenza di un interesse pubblico alla rimozione dell’atto. Né varrebbe a dimostrare in contrario la sussistenza di un indagine penale. Pertanto, il TAR avrebbe dovuto riscontrare la presenza di un deficit motivazionale anche in ragione del lasso temporale intercorso tra la d.i.a. e l’intervento in autotutela, non risultando sufficiente un annullamento d’ufficio disposto per il ripristino della legalità violata e risultando errato il riferimento alla d.i.a. del 2013 e al certificato di agibilità del 2014. Inoltre, non si sarebbe tenuto conto che i grafici allegati alla d.i.a. avrebbero riportato i lavori per come effettivamente realizzati;
b) il TAR avrebbe errato nel non rilevare che l’amministrazione comunale non avrebbe potuto irrogare la sanzione demolitoria senza valutare la possibilità di mantenere l’opera in omaggio a quanto statuito dall’art. 38, d.P.R. n. 380/2001. Né sarebbe predicabile che una prova dell’impossibilità della demolizione sarebbe da porre in capo all’interessato;
c) l’annullamento della d.i.a. in sanatoria del 2013 sarebbe illegittimo in quanto illegittimo sarebbe l’annullamento della d.i.a. del 2004. Inoltre, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto autonomamente valutare l’assentibilità dei lavori di cui alla d.i.a. del 2013. Senza dire che l’art. 12 comma 4-bis l.r. Campania, n. 19/2009 prevedrebbe il recupero dei sottotetti, purché i lavori fossero ultimati alla data del 28 novembre 2009.

4. Costituitasi in giudizio, l’amministrazione comunale argomenta in ordine all’infondatezza dell’avverso gravame.

5. Con memorie depositate in vista dell’odierna udienza entrambe le parti insistono nelle proprie conclusioni.

6. L’appello è infondato e non merita di essere accolto. Prima di passare al vaglio le doglianze contenute nel gravame in esame è opportuno ricostruire brevemente la vicenda fattuale. In data 13 maggio 2004 l’odierno appellante presentava d.i.a. avente ad oggetto le tompagnature di un tetto termico realizzato in forza di permesso di costruire n. 69/2003 e di successivo permesso in sanatoria n. 6/2004. Nel 2005 il cantiere veniva sottoposto a sequestro atteso che veniva riscontrato che in luogo del sottotetto termico erano state realizzate due mansarde. In data 23 febbraio 2006 veniva pronunciata sentenza del GUP presso il Tribunale di Napoli, passata in giudicato, con sui si disponeva la demolizione delle opere e il ripristino dello status quo ante. In data 11 dicembre 2013 l’appellante presentava d.i.a. in sanatoria per le opere suddette con richiesta di mutamento della destinazione d’uso. In data 30 gennaio 2014 veniva rilasciato il certificato di agibilità, seguivano, quindi, i provvedimenti avversati dall’originario ricorrente,

6.1. Tanto premesso deve osservarsi l’infondatezza della prima articolata censura di appello. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante la non veritiera rappresentazione dei fatti non può essere valutata quale mero vizio formale, specie quando la dichiarazione del tecnico in ordine al fatto che i lavori non avrebbero alterato la sagoma dell’edificio, quindi, non avrebbero comportato mutamenti di altezze, superfici e volumi dell’edificio ( come invece è stato alla luce di quanto argomentato nella sentenza di primo grado ), si pone in chiaro contrasto con l’art. 22, d.P.R. n. 380/2001, che definiva le opere assoggettabili a d.i.a. Né può predicarsi la sussistenza di un obbligo in capo all’amministrazione di verifica in concreto dell’assentibilità delle opere, dal momento che proprio il carattere mendace della dichiarazione non consente all’amministrazione di intervenire per salvaguardare gli effetti di quanto realizzato in forza del mendacio. In questo senso l’art. 21, l. 241/1990, nella versione ratione temporis vigente esprime, infatti, un principio di non conformazione dell'attività e dei suoi effetti a legge che trova applicazione anche nella fattispecie. Del tutto singolare è poi l’affermazione secondo la quale il giudicato penale che contiene un ordine di demolizione delle opere sarebbe irrilevante. Al contrario, proprio il detto giudicato è argomento definitivo per escludere qualsivoglia forma di affidamento tutelabile in capo all’interessato che era ben conscio delle illiceità commesse. Del pari non può predicarsi la sussistenza di un qualche deficit motivazionale, stante l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 8/2017, secondo il quale la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte anche in caso di decorso di un considerevole lasso temporale.

6.2. Infondato risulta anche il secondo motivo di appello con il quale si lamenta la mancata applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 380/2001, la norma in questione nella misura in cui prevede la fiscalizzazione delle conseguenze dell’abuso può venire applicata solo nel caso in cui i vizi che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione (Cons. St., Ad. Plen., n. 17/2020) eventualità che non ricorre nel caso in cui il vizio poggia sulla falsa dichiarazione dell’interessato. Da un lato, infatti, il mendacio non è equiparabile ad un vizio formale;
dall’altro, una simile conseguenza contrasterebbe con il principio di carattere generale che esclude la possibile di conformazione degli effetti di quanto dichiarato falsamente. Pertanto, il richiamo all’art. 38 è in radice erroneo.

6.3. Del tutto infondato è anche il terzo motivo di appello con il quale si invoca l’applicazione della l.r. Campania, n. 19/2009, dal momento che secondo quanto correttamente statuito dal primo giudice l’art. 12, co. 4 bis, prevede testualmente che “ Possono essere autorizzati gli interventi già realizzati alla data in vigore delle presenti norme e ad esse conformi ”. Circostanza che nella fattispecie non ricorre.

7. L’appello deve, dunque, essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

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