Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-08-10, n. 202207087

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2022-08-10, n. 202207087
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207087
Data del deposito : 10 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 10/08/2022

N. 07087/2022REG.PROV.COLL.

N. 02075/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2075 del 2021, proposto da
Be Smart S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati I P, G M R, A R e F A S, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F S in Roma, alla via Arenula, n. 29;

contro

ANAC – Autorità Nazionale Anticorruzione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Ministero dell'Università e della Ricerca e Ministero dell’Istruzione, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
Università degli Studi Palermo, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
CINECA – Consorzio interuniversitario, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati Damiano Lipani, Francesca Sbrana e Fabio Baglivo, con domicilio digitale come da registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Damiano Lipani in Roma, alla via Vittoria Colonna, n. 40;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, sez. I, n. 1027/2021, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, del Ministero dell'Università e della Ricerca, del Ministero dell'Istruzione, dell’Università degli Studi Palermo e di CINECA – Consorzio Interuniversitario;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Giovanni Grasso e uditi per le parti gli avvocati Perego, Romano, Sbrana, Baglivo, nonché l’avvocato dello Stato Pluchino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.- Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio e notificato in data 24 gennaio 2019, Be Smart S.r.l. impugnava la delibera n. 1172 del 19 dicembre 2018, con la quale l’ANAC aveva accertato la sussistenza dei presupposti per l’iscrizione del MIUR e di tutti i consorziati del Cineca nell’elenco degli operatori che procedono ad affidamenti diretti in favore di un proprio soggetto in house , di cui all’art. 192, comma 1, del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50.

Con successivi motivi aggiunti, impugnava altresì: a ) la nota della stessa Autorità prot. n. 78803 dell’8 ottobre 2019, di rigetto dell’istanza di riesame in autotutela; b ) la delibera n. 399 dell’8 maggio 2020, avente ad oggetto la variazione dell’iscrizione nell’Elenco degli enti aderenti al Consorzio, a seguito dell’intervenuta adozione del nuovo Statuto di detto Consorzio da parte dell’Assemblea consortile del 6 maggio 2020.

Censurava, altresì, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. amm., il parziale diniego opposto dall’ANAC sull’istanza di accesso agli atti presentata il 14 ottobre 2019 e, successivamente, il 3 dicembre 2019.

2.- Nel rituale contradditorio delle parti, con sentenza n. 1027 del 26 gennaio 2021, il TAR adito: a ) per un verso, dichiarava in parte qua inammissibile il ricorso, così come integrato per aggiunzione di motivi, in quanto volto a censurare atti privi di valenza provvedimentale e di immediata portata lesiva; b ) per altro verso, accolto parzialmente le istanze ex art. 116 cod. proc. amm., ordinando all’ANAC e al MIUR l’esibizione, rispettivamente, integrale e parziale della documentazione oggetto delle richieste di accesso avanzate nei loro confronti.

3.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, Be Smart s.r.l. impugnava, per quanto di interesse, la ridetta statuizione, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia ed invocandone, per quanto di ritenuta ragione, la riforma.

Si costituivano in giudizio, in resistenza, l’Autorità Nazionale Anticorruzione, il Ministero dell'Università e della Ricerca, il Ministero dell'Istruzione, l’Università degli Studi Palermo e Consorzio CINECA.

Alla pubblica udienza del 25 novembre 2021, sulle reiterate conclusioni delle parti, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello è solo in parte, nei sensi e nei limiti delle considerazioni che seguono, fondato.

2.- Con il primo motivo di doglianza, l’appellante censura la sentenza impugnata, sull’assunto che – nel qualificare la delibera impugnata come “ priva di valore provvedimentale ” e, come tale, inidonea a produrre una effettiva ed immediata lesione, suscettibile di dar corso al rimedio giurisdizionale – non avrebbe tenuto conto della reale natura e degli effetti correlati all’atto in questione, finendo per degradare l’iscrizione nell’elenco di cui all’art. 192 d. lgs. n. 50/2016 a mera “ pubblicità notizia ”, volta esclusivamente a sollecitare un controllo esterno del mercato.

A suo dire, per contro, non sarebbe corretto negare che l’iscrizione de qua produca effetti giuridici immediatamente incisivi “ sull’assetto delle situazioni giuridiche preesistenti ”, tali da conferirgli consistenza propriamente provvedimentale: segnatamente, essa a ) determinerebbe, anzitutto, “ una presunzione di legittimità degli affidamenti diretti ”, per tal via realizzando un effetto di “ consolidazione ” della legittimazione assicurata, in via meramente provvisoria, dalla presentazione della relativa domanda; b ) scandirebbe, inoltre, un mutato regime di responsabilità a carico dell’ente affidante, segnatamente esonerandolo, a posteriori , dal carico risarcitorio potenzialmente correlato alla illegittimità dell’affidamento (diretto) posto in essere in assenza delle condizioni di legge.

Per altro, la valorizzata valenza provvedimentale sarebbe, in tesi deducibile, argomentando a contrario ( recte , in realtà: a simili ad similem) dalla non disconosciuta rilevanza decisionale all’atto di diniego e/o di cancellazione dell’iscrizione, determinativa dell’effetto di inibizione relativamente alla facoltà di procedere ad affidamenti diretti.

Inoltre, avuto riguardo al piano delle situazioni soggettive relazionalmente incise, per un verso l’iscrizione consoliderebbe, nei sensi chiariti, l’affidamento dell’ente controllante sugli affidamenti in house , e, per altro verso, frustrerebbe (in via immediata ed attuale) l’interesse di terzi, portatori di una posizione differenziata e qualificata, ad ottenere l’adozione del provvedimento interdittivo (di per sé vantaggioso per gli operatori economici del settore, in quanto idoneo ad attivare o ripristinare la pienezza del confronto concorrenziale e, con essa, la parità di acceso alle commesse pubbliche nel mercato di riferimento.

A fronte di ciò, sarebbe erroneo l’assunto, argomentato in sentenza, della carenza di lesività immediata (trattandosi di condizione bensì necessaria, ma non ancora sufficiente per procedere agli affidamenti in house ): e ciò in quanto l’obbligo di motivazione imposto alle Amministrazioni aggiudicatrici dal comma 2 dell’art. 192 riguarderebbe profili diversi (ulteriori ed aggiuntivi) rispetto a quelli “ controllati e validati dall’Autorità al momento dell’iscrizione ”.

Donde, in definitiva, l’immediato interesse alla relativa impugnazione.

2.- Il motivo non è persuasivo.

Come è noto, l’art. 192, comma 1 del d. lgs. n. 50/2016 prevede – anche al fine di garantire “ adeguati livelli di pubblicità e di trasparenza nei contratti pubblici ” – l’istituzione, presso l’ANAC, di un “ elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house”.

È, all’uopo, previsto che l’iscrizione nell’elenco avvenga “ a domanda ”, previa accertamento – secondo “ modalità ” e con “ criteri ” rimessi ad “ atto ” regolatorio dell’Autorità (in concreto, la delibera n. 235 del 15 febbraio 2017, approvativa delle relative “ linee guida ” – dalla sussistenza dei “ requisiti ” di cui all’art. 5 del Codice.

Importa evidenziare che, nell’originario intendimento dei codificatori, all’iscrizione nell’elenco de quo erano stati attribuiti effetti costitutivi (cioè a dire condizionanti della stessa possibilità di procedere ad affidamento diretto): sennonché, in recepimento dei rilievi critici formulati dal Consiglio di Stato in sede consultiva – intesi ad evidenziare che una tale previsione avrebbe ecceduto i principi contenuti nella legge delega, che riconosceva all’iscrizione mera funzione dichiarativa – l’attuale formulazione della norma più non subordina l’affidamento in house al previo perfezionamento della procedura di iscrizione, ma pretende solo la presentazione della relativa domanda, la quale, di per sé, “ consente alle amministrazioni aggiudicatrici e agli enti aggiudicatori, sotto la propria responsabilità, di effettuare affidamenti diretti all’ente strumentale ”.

L’evidenziata natura “ dichiarativa ” vale, allora, ad escluderne la valenza provvedimentale (posto che l’effetto abilitativo è correlato recta via alla sussistenza dei requisiti di legge, sia pure con la mediazione dell’obbligo, di natura meramente strumentale, di formalizzazione della “ domanda ” di iscrizione).

Il punto è colto con precisione (e correttamente valorizzato al primo giudice) dal parere n. 282 del 1° febbraio 2017, reso dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato sulle “linee guida” ANAC di cui si è detto, ove è chiarito: a ) che – essendo “ l’autoproduzione mediante organismi domestici […] subordinata soltanto al rispetto delle condizioni fissate direttamente dalla legge” ed essendo il ruolo normativamente assegnato all’Autorità correlato propriamente ad una “ funzione di controllo ” – la domanda di iscrizione de qua (obiettivamente doverosa, al segno che la sua omissione o irrituale formalizzazione è presidiata dalle sanzioni di cui all’art. 213 del Codice) non va acquisita quale “ atto di iniziativa procedimentale ” (cfr. art. 2 l. n. 241/1990), come tale preordinato, in exitu , al rilascio di un formale titolo “ abilitativo ” di matrice autorizzatoria; b ) che, per contro – “ secondo uno schema concettuale che estende al potere amministrativo sottoposto a controllo pubblicistico il paradigma della segnalazione certificata delle attività private di cui all’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ” – essa consente ex se di procedere all’affidamento senza gara, rendendo operativa in termini di attualità concreta, senza bisogno dell’intermediazione di un’attività provvedimentale preventiva, la legittimazione astratta riconosciuta dal legislatore; b ) che, d’altra parte, essa “ innesca una fase di controllo dell’ANAC, tesa a verificare la sussistenza dei presupposti soggettivi ai quali la normativa – comunitaria e nazionale – subordina la sottrazione alle regole della competizione e del mercato ”.

Per tal via: a ) l’esito positivo del controllo non si realizza “ mediante l’espressione di un ‘consenso’, incompatibile con l’assenza di un regime autorizzatorio ”, esaurendosi “ nel mero ‘riscontro’ della sussistenza dei requisiti di legge ”, di tal che l’iscrizione si risolve nella mera consolidazione (con valenza dichiarativa ) di una legittimazione “ già assicurata, nei termini descritti, dalla presentazione della domanda ”; b ) per contro, (solo) in caso di esito negativo (con conseguente diniego di iscrizione o cancellazione dall’elenco), la verifica assume consistenza provvedimentale (non trattandosi, sul piano formale, di “ rigetto ” dell’istanza, ma di “ atto di accertamento negativo, assimilabile a un provvedimento di esercizio del potere inibitorio analogo a quello del citato art. 19 della legge n. 241 del 1990 ”.

Ne discende, in guisa del tutto coerente: a ) che il diniego di iscrizione – in quanto dotato di specifica ed immediata lesività , formalmente correlata alla evidenziata attitudine provvedimentale e sostanzialmente incentrata sull’effetto inibitorio e/o preclusivo di affidamenti diretti – è suscettibile di impugnativa giurisdizionale da parte dei soggetti interessati; b ) che, per contro, la mera iscrizione (così come, per distinto verso, ed avuto riguardo alle posizioni di controinteresse, la mera istanza , che è atto di parte) non assume (propria ed autonoma) attitudine abilitativa, essendo, con ciò, insuscettibile di immediata impugnazione.

Non è, per tal via, plausibile l’assunto critico dell’appellante, laddove pretende di desumere dalla (sicura) impugnabilità del rifiuto di iscrizione la (corrispondente) impugnabilità dell’ assenso alla stessa: trattandosi di argomento fondato presupposto, che le considerazioni che precedono dimostrano erroneo, della identità (o formale reciprocità ) delle situazioni (onde quod differtur non aufertur ).

Né è di ausilio il richiamo, come termine di paragone, alla riconosciuta impugnabilità, da parte dei terzi controinteressati, dei provvedimenti negativi con cui l’AGCM archivia una denuncia o comunque rifiuta di esercitare il proprio potere interdittivo o sanzionatorio: e ciò in quanto, in tali casi (come espressamente chiarito da Cons. Stato, sez. VI, n. 3751/2011, che ha affermato il principio, ora consolidato), i terzi rivestono una posizione qualificata di controinteresse, nella specie insussistente (proprio in quanto l’iscrizione nell’elenco di un operatore non determina un effetto provvedimentale costitutivo, derivando l’abilitazione direttamente dalla legge, al ricorrere del relativi presupposti).

Vale ancora aggiungere che, di fatto, l’iscrizione nell’elenco, anche quando si sia perfezionata, è bensì condizione necessaria (sotto il profilo dei vincoli formali imposti all’affidamento diretto, ai sensi dell’art. 192, comma 1 del Codice), ma non (di per sé) sufficiente (sotto il profilo sostanziale della ricorrenza degli effetti presupposti e requisiti, di cui all’art. 5 del Codice, non meno che del motivato vaglio imposto alle amministrazioni aggiudicatrici o agli enti aggiudicatori dal comma 2 dell’art. 192.

Sotto il profilo in questione, la sentenza appellata ha correttamente cura di valorizzare le prese di posizione dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dalla Corte Costituzionale, entrambe chiamate a valutare la compatibilità (eurocomune e costituzionale) della previsione contenuta all’art. 192, comma 2, del Codice, che impone al committente di motivare, ai fini degli affidamenti diretti al soggetto su cui viene esercitato il controllo analogo, anche in ordine alla “ congruità economica dell’offerta dei soggetti in house” e alle “ ragioni del mancato ricorso al mercato ”.

Invero, con ordinanza del 6 febbraio 2020 (resa nelle cause riunite da C-89/19 a C-91/19), la Sezione IX della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha statuito che “ l’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2014/24 deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che subordina la conclusione di un’operazione interna, denominata anche ‘contratto in house’ , all’impossibilità di procedere all’aggiudicazione di un appalto e, in ogni caso, alla dimostrazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dei vantaggi per la collettività specificamente connessi al ricorso all’operazione interna ”.

Inoltre, con sentenza della Corte Costituzionale n. 100 del 27 maggio 2020, il medesimo comma 2 dell’art. 192 del Codice è stato ritenuto compatibile anche sul piano costituzionale, non determinando né un eccesso di delega, posto che la norma delegante – l’art. 1, comma 1, lettera a), della L. 28 gennaio 2016, n. 11 – “ è espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali ”, né la violazione del divieto di gold plating , la cui “ratio [...] è quella di impedire l’introduzione, in via legislativa, di oneri amministrativi e tecnici, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa comunitaria, che riducano la concorrenza in danno delle imprese e dei cittadini, mentre è evidente che la norma censurata si rivolge all’amministrazione e segue una direttrice proconcorrenziale, in quanto è volta ad allargare il ricorso al mercato ”.

Ne discende, con un corollario correttamente tratto dal primo giudice, che l’obbligo di motivazione sancito dall’art. 192, comma 2 rappresenta un presidio di legalità e trasparenza degli affidamenti in house , ulteriore rispetto alla mera sussistenza dei requisiti per configurare l’ in house providing ed avente proprio la finalità di porre dei paletti alle amministrazioni nell’avvalersi di tali forme di affidamenti, dovendosi per ciò escludere in radice che la mera iscrizione di una amministrazione o di un ente nell’elenco di cui al comma 1 dell’art. 192 abbia portata immediatamente lesiva per i soggetti concorrenti operanti sullo stesso mercato.

A diverso intendimento, infine, non giova la valorizzazione della astratta ammissibilità di una azione di accertamento mero anche nel processo amministrativo: il che, giova puntualizzare, non va certo negato, ma pur sempre in presenza di un effettivo “ bisogno di tutela giurisdizionale ” (cioè a dire di uno specifico, concreto ed attuale interesse a ricorrere) che, in base alle considerazioni sopra esposte, deve essere pregiudizialmente negato.

3.- Con distinto motivo di doglianza, la società appellante si duole che la sentenza gravata abbia accolto soltanto parzialmente le proprie istanze ostensive, con le quali ha chiesto di accedere, senza limitazioni e senza omissioni, al documento trasmesso da CINECA il 10.12.2018, recante i dati di fatturato relativi agli esercizi 2015, 2016 e 2017.

La sentenza, nel riscontrare le ragioni di riservatezza opposte da CINECA e Ministero a giustificazione delle omissioni dei dati ivi riportati, ha correttamente riconosciuto che il documento de quo non rientra tra quelli per i quali, in via di eccezione, è negato il diritto di accesso, e che non possono venire in rilievo esigenze di riservatezza considerando la finalità ‘difensiva’ dell’istanza di accesso presentata dalla ricorrente, motivata da specifiche esigenze di tutela dei propri interessi giuridici. Sennonché, ha inopinatamente accordato l’accesso, in modo inopinato, limitatamente ai dati dell’annualità 2017: e ciò sebbene l’iscrizione risalisse al 2018 e, dunque, i dati di fatturato da verificare fossero quelli consolidati del triennio antecedente, ossia 2015, 2016 e 2017 (tutti e tre, e non soltanto quest’ultimo).

3.1.- Per questo profilo, l’appello è fondato e va accolto.

In primo luogo, occorre rilevare che le informazioni negate, sia per la forma in cui sono riportate nel documento oggetto di richiesta ostensiva che per la loro stessa natura, sono in realtà obiettivamente neutre, ovvero incapaci di costituire un vulnus alla riservatezza di CINECA. Si tratta, infatti, di ricavi rappresentati in maniera aggregata – e non per specifico cliente/commessa – e da cui, pertanto, non è possibile dedurre le condizioni economiche delle singole commesse e, quindi, le eventuali strategie commerciali del Consorzio.

Ciò vale, già di per sé, ad escluderne la natura riservata.

In ogni caso, anche a voler ipotizzare la sussistenza di ragioni di riservatezza, ciò non è di per sé sufficiente a negarne l’ostensione. Trattasi, infatti, di dati in virtù dei quali CINECA asserisce di possedere un requisito che lo legittima a sottrarsi agli obblighi di evidenza pubblica, con conseguente nocumento per gli operatori economici concorrenti, che si vedono negata la possibilità di concorrere all’aggiudicazione dei relativi appalti. Rispetto a tali dati, quindi, eventuali esigenze di riservatezza sono destinate comunque a cedere, ai sensi dell’art 24, c 7, della l. 241/1990, dinanzi all’interesse di un operatore concorrente – quale è indubbiamente Be Smart – ad avervi accesso per verificare in concreto la sussistenza del requisito di legge. E ciò, a prescindere dalla pendenza sul punto di un giudizio e dalla strumentalità delle informazioni rispetto alle specifiche censure ivi già dedotte.

Invero, l’art 24, c 7, cit. nell’assicurare “ comunque ” l’accesso se necessario sia per “ curare ” che per “ difendere ” un interesse giuridicamente rilevante, non àncora il presidio di garanzia al requisito della pendenza di un processo e delle censure ivi dedotte: questo può costituire un elemento – tra gli altri – utile a valutare la concretezza e l’attualità dell’interesse legittimante all’accesso, ma non ne rappresenta la precondizione necessaria e non può, quindi, tradursi in parametro per delimitarne l’ampiezza.

Per questo profilo, in definitiva, l’appello merita accoglimento, discendendone, in riforma parziale della sentenza impugnata, il diritto di Be Smart s.r.l. ad accedere pienamente al documento richiesto con l’istanza del 3 dicembre 2019 con conseguente condanna del MIUR (e, per esso, del Ministero che attualmente e concretamente detiene tale atto, dopo l’intervenuta costituzione dei due dicasteri, Ministero dell’Istruzione e Ministero dell’Università e della Ricerca) alla esibizione ed al rilascio, senza omissioni, del documento presentato da CINECA in data 10 dicembre 2018, anche con riferimento ai dati di fatturato delle annualità 2015 e 2016.

4.- La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione, tra le parti, di spese e competenze del doppio grado di giudizio.

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