Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-01-18, n. 202100539

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-01-18, n. 202100539
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202100539
Data del deposito : 18 gennaio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/01/2021

N. 00539/2021REG.PROV.COLL.

N. 02132/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2132 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato R P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. G R in Roma, via Cosseria n. 5;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Reggio Emilia, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo Reggio Emilia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2021 il Cons. G T e dato atto della presenza ai sensi di legge degli avvocati delle parti come da verbale dell’udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor -OMISSIS- nel gennaio 2011 venne attinto da un divieto di detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti, ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S.

Espone il predetto di essere stato nel 2016 “ condannato per l’omessa denuncia di esplosivo detenuto in misura eccedente il denunciato, sebbene, ai fini della valutazione da parte delle autorità competenti al rilascio della licenza di porto di fucile da caccia, il Tribunale di Reggio Emilia abbia riconosciuto al sig. -OMISSIS- le circostanze attenuanti generiche sia in ragione del corretto comportamento processuale sia della condizione di incensuratezza, sottolineando che “la quantità in più, detenuta rispetto a quella denunciata effettivamente è minimale e comunque era posseduta da soggetto che aveva effettuato la denuncia del rimanente”. Il giudice penale ha inoltre valutato il contesto in cui il reato si è concretizzato formulando una positiva prognosi circa la non reiterazione del reato stesso, anche in ragione della occasionalità dei fatti;
tanto che nella sentenza il giudicante ha ritenuto plausibile e probabile che l’applicazione per la prima volta di pena sospesa avrebbe condotto il sig. -OMISSIS- al ravvedimento, evitando la recidiva, come effettivamente avvenuto
”.

Sulla base di tale sopravvenienza rispetto al divieto, ha chiesto all’amministrazione la revoca del provvedimento.

Non ricevendo risposta, neppure a seguito di sollecito, ha impugnato il silenzio davanti al T.A.R. Emilia Romagna.

Il primo giudice ha rigettato il ricorso richiamandosi all’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’amministrazione non ha un obbligo di provvedere sulla sollecitazione all’esercizio del potere di autotutela.

2. L’interessato ha proposto ricorso in appello avverso tale decisione.

L’amministrazione intimata si è costituita in giudizio.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla camera di consiglio del 14 gennaio 2021 svoltasi ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell'art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, attraverso collegamento in videoconferenza secondo le modalità indicate dalla circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.

3. Deduce l’appellante che il divieto ex art. 39 T.U.L.P.S. non ha un termine finale di durata, sicché l’unico strumento per consentirne la rimozione, all’esito di sopravvenienze che mutino il quadro fattuale su cui lo stesso è fondato, sarebbe la revoca: onde l’orientamento giurisprudenziale sull’inesistenza di un obbligo di provvedere in presenza di un’istanza di autotutela andrebbe rivisto o comunque diversamente declinato nella fattispecie.

4. Il mezzo è infondato.

Per costante orientamento di questo Consiglio di Stato (da ultimo, sentenza n. 5922/2020 di questa Sezione), il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale della Pubblica amministrazione e non si esercita in base ad un'istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere, con la conseguente inutilizzabilità del rimedio processuale previsto avverso il silenzio inadempimento della p.a.

La peculiarità della fattispecie, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante (con il supporto di alcune isolate pronunce di primo grado), non legittima alcuna deroga a tale principio.

La tesi posta a fondamento del gravame sconta infatti un duplice vizio d’impostazione.

In primo luogo, a distanza di anni e in presenza di fatti nuovi l’interessato avrebbe potuto, e dovuto, chiedere un nuovo provvedimento abilitativo, e nel relativo procedimento avrebbe potuto far valere il mutato quadro fattuale.

In secondo luogo, proprio perché l’istanza in questione allega l’esigenza di una nuova valutazione conseguente a fatti successivi, la sua prospettazione è comunque infondata, perché il precedente provvedimento è stato adottato in relazione allo stato di fatto e di diritto sussistente all’atto della sua adozione, sicché vicende successive possono certamente incidere – nelle forme sopra delineate – sul rapporto, ma non certo sull’atto (almeno nella prospettiva dell’affermato obbligo di provvedere a seguito di presentazione di istanza di revoca).

5. Il ricorso in appello è pertanto infondato e come tale deve essere rigettato.

Sussistono le condizioni di legge, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.

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