Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-12-01, n. 201405932
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N. 05932/2014REG.PROV.COLL.
N. 04620/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4620 del 2010, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali, nella persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Scala Rosaria, rappresentata e difesa dall'avv. F S E, con domicilio eletto presso Massimo Lauro in Roma, via Ludovisi, 35;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII n. 01748/2009, resa tra le parti, concernente accertamento compatibilità paesistica di opere realizzate in difformità dal permesso di costruire
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Scala Rosaria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 giugno 2014 il Cons. V C e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Paola Palmieri e l'avvocato F S E;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Risulta dalla sentenza appellata che la Soprintendenza dichiarò improcedibile l’istanza della signora Scala Rosaria, ricorrente originaria, volta all’accertamento postumo della compatibilità paesaggistica della realizzazione, in difformità dal permesso di costruire rilasciato per l’installazione dell’ascensore condominiale, di un torrino, funzionale a consentire il prolungamento della corsa sino all’ultimo piano.
Il provvedimento è fondato sulla motivazione che le opere “ hanno comportato anche la realizzazione di volume ex novo, con conseguente incremento di volumetria legittima…in contrasto con il citato art. 167, lettere a) e c) ” del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli ha accolto il ricorso dell’interessata, rilevando nel realizzato torrino di ascensore la qualifica di un vano tecnico sicchè erroneamente la Soprintendenza avrebbe ritenuto che l’intervento non rientra tra quelli suscettibili di accertamento della compatibilità paesistica ai sensi dell’art. 167, comma 4, lettera a) .
Con l’atto di appello, strutturato su un unico motivo di gravame, l’Amministrazione critica la sentenza per l’asserita natura nell’opera di volume tecnico , per l’interpretazione teleologica in assimilazione di nozioni urbanistiche nel diverso contesto dei valori paesaggistici, per la differenza sostanziale tra impatto urbanistico e impatto paesaggistico, per la violazione della discrezionalità propria della Soprintendenza nella valutazione della richiesta di compatibilità paesaggistica in sanatoria.
L’appellata resiste e con la memoria di costituzione richiama altra fattispecie (aumento esterno della falda di 25 cm) dove la stessa Soprintendenza aveva sostenuto che, in quanto volume tecnico , esulasse dal limite alla sanabilità ex post introdotto dall’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 (Tar Napoli, sentenza n. 9328 del 2007).
All’udienza del 10 giugno 2014 la causa è stata introitata per la decisione.
2.- L’appello va respinto perché infondato e la sentenza va confermata.
In linea preliminare occorre muovere dalla rilevazione del contenuto dell’art. 167 ( Ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria ) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il cui comma 4 prevede che l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei casi indicati ( per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 );il comma 5 consente al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 di presentare apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi che, qualora venga accertata, comporta il pagamento di una indennità pecuniaria equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.
Come ben considerato dal primo giudice, la Soprintendenza ha indebitamente dichiarato improcedibile l'istanza di accertamento della compatibilità paesistica, evidenziando in motivazione che le opere non rientrano nella casistica prevista dall'articolo 167, comma 4, lettere a) e c) del decreto legislativo n. 42 del 2004, perché: " hanno comportato anche la realizzazione di volume ex novo, con conseguente incremento della volumetria legittima ".
Non appare dubitabile in punto di fatto che in termini edilizi ed urbanistici – vale a dire, secondo il il linguaggio e i parametri che, seppure incongruamente rispetto al contesto, usa l’art. 167 – il torrino di cui si verte sia un volume tecnico , perché servente all’ascensore.
Ne consegue che, proprio per il detto rinvio alle categorie evocate dalla disposizione, la Soprintendenza avrebbe dovuto non già dichiarare l’intervento senz’altro non rientrante nelle fattispecie dell’art. 167, bensì procedere alla sua valutazione in concreto e postuma di compatibilità paesaggistica (in quanto, al contrario, rientrantevi perché accessivo a quelle stesse categorie). Sarebbe stato cioè necessario, data la natura di volume tecnico, procedere a un concreto accertamento di compatibilità paesaggistica, con una valutazione effettiva e concreta rispetto ai valori tutelati.
3.- Non può dunque essere condiso l’assunto dell’Amministrazione, che addebita ancora alla sentenza la pretesa di riscontrare la corrispondenza tra l’ambito urbanistico e quello della tutela paesaggistica sulla base della fallace nozione di “ volume tecnico ”, laddove invece l'introduzione legislativa di concetti quali " superfici utili " o " volumi ", in un ambito normativo che attiene solo e soltanto alla tutela del paesaggio non può che aver riferimento, per l'appunto, “ a quelle superfici utili o a quei volumi idonei ad apportare una modificazione alla realtà preesistente, tale da arrecare un "vulnus" agli interessi superiori di tutela del paesaggio ”.
L’impostazione, che fonda sulla separatezza delle nozioni tecniche di “ superfici utili” e “volumi tecnici ” a seconda della loro diversa applicazione nel campo urbanistico o in ambito paesaggistico nel quale ogni modificazione alla realtà preesistente determina “ di per sé vulnus " agli interessi superiori di tutela del paesaggio, non è suscettibile di condivisione alcuna.
In realtà, le nozioni tecniche in questione non sono specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio , ma solo dalle normative sulle costruzioni (in via esemplificativa e non esaustiva, circolare del Ministero dei lavori pubblici 23 luglio 1960, n. 1820;artt. 5 e 6 d.m. 2 agosto 1969;art. 3 d.m. 10 maggio 1977;art. 1 d.m. 26 aprile 1991;art. 6 d.m. 5 agosto 1994), dove la superficie utile (SU) coincide -in estrema sintesi- con l’area abitabile (superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e balconi) mentre per superficie accessoria (SA) si intendono le parti dell’edificio destinate ad accessori e servizi (cantine, locali tecnologici, vano ascensore e scale, terrazze, balconi, logge e quant’altro).
A sua volta il volume degli edifici, espresso in metri cubi vuoto per pieno, è costituito dalla sommatoria della superficie delimitata dal perimetro esterno dei vari piani per le relative altezze effettive misurate da pavimento a pavimento del solaio sovrastante;il volume tecnico si riferisce alle opere edilizie a servizio dell’edificio, che hanno una funzione strumentale, anche se necessariamente essenziale, in relazione all’uso della costruzione principale, senza assumere il carattere di vani chiusi utilizzabili, quali sono in genere gli accessori e per l’appunto la colonna ascensore.
Dunque, come già ritenuto da questa Sezione del Consiglio di Stato (Sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1512), “ la nozione di ‘volume tecnico’, non computabile nella volumetria ai fini in questione, corrisponde a un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché è destinata a solo contenere, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima. In sostanza, si tratta di impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere in alcun modo ubicati all'interno di questa, come possono essere -e sempre in difetto dell’alternativa- quelli connessi alla condotta idrica, termica o all'ascensore e simili, i quali si risolvono in semplici interventi di trasformazione senza generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto visivo ”.
Quindi non può essere ipotizzato - nella locuzione “ superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente autorizzati ” - un’accezione in termini atecnici o eccedenti il loro significato specialistico, per giungere senz’altro alla conclusione di un’astratta preclusione normativa rispetto a una valutazione che va invece ragionevolmente espressa in funzione della essenzialità del vano corsa dell’ascensore: per modo da porlo in concreta ed effettiva relazione (avuto riguardo anche alle reali dimensioni), ai fini del successivo giudizio di compatabilità paesaggistica, rispetto al contesto paesaggistico tutelato.
4.- In conclusione, l’appello va respinto, con conferma della sentenza gravata, risultando la criticata valutazione della Soprintendenza illegittima.
Tuttavia, in considerazione della particolarità della fattispecie, le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti anche nell’odierno grado.