Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-11-19, n. 201806506

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-11-19, n. 201806506
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201806506
Data del deposito : 19 novembre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/11/2018

N. 06506/2018REG.PROV.COLL.

N. 09257/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9257 del 2014, proposto dal signor A T, in proprio e nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante pro tempore della società Diaz Immobiliare S.r.l., rappresentato e difeso dall’avvocato G F F, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, via di Ripetta, n. 142;

contro

il Comune di Venosa, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato A C ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato A C in Roma, via di Ripetta, n. 258;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Basilicata, Sez. I, 23 maggio 2014 n. 342, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del Comune appellato ed i documenti prodotti;

Esaminate le memorie e i documenti prodotti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2018 il Cons. S T e uditi per le parti gli avvocati G F F e Arturo Colella, per delega dell'avvocato A C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello il signor A T, in proprio e nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante pro tempore della società Diaz Immobiliare S.r.l., ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del T.A.R. per la Basilicata, Sez. I, 23 maggio 2014 n. 342, con la quale è stato respinto il ricorso (R.G. n. 469/2013) proposto ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno derivante da un prospettato illegittimo comportamento dilatorio messo in atto dal Comune di Venosa nel corso di una procedura di cambio di destinazione d’uso di un immobile sito nel territorio del medesimo comune in via Armando Diaz n. 43.

2. - Dalla lettura dell’atto di appello e dei documenti depositati in primo ed in secondo grado nonché dalle memorie prodotte nei due gradi di giudizio sia dall’appellante che dal Comune di Venosa, la vicenda contenziosa qui sottoposta all’esame del Collegio può riassumersi come segue:

- nel 2003 la società Diaz Immobiliare chiedeva ed otteneva dal Comune di Venosa il rilascio di un permesso di costruire (n. 19 del 6 giugno 2003) per l'esecuzione di lavori di sopraelevazione di un fabbricato urbano ad uso residenziale sito in Venosa, in via Armando Diaz n. 43, al quale seguiva il rilascio di un secondo titolo abilitativo (n. 10 del 15 marzo 2004 n. 10), richiesto dalla predetta società, in variante del precedente permesso di costruire;

- quindi il signor T (nella qualità di amministratore della società) presentava una richiesta di variante al permesso n. 10/2004 per realizzare un solaio di copertura (e rispetto alla quale non era data risposta dal Comune) e poi, in data 31 agosto 2004, un’istanza per il cambio di destinazione d’uso del fabbricato in questione, da civile abitazione ad uso scolastico;

- l'Ufficio tecnico dell’edilizia e l'Ufficio di polizia municipale del Comune di Venosa, in data 16 settembre 2004, contestavano al signor T e alla Diaz Immobiliare la realizzazione di lavori eseguiti in parziale difformità rispetto al permesso di costruire n. 10/04, di talché il responsabile del competente servizio comunale, con ordinanza n 45/2004 del 23 settembre 2004, disponeva l'immediata sospensione dei lavori;

- il signor T presentava dunque istanza per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria relativo ai lavori di costruzione del fabbricato, alla quale seguiva, con ordinanza n. 52/04 del 13 ottobre 2004, l’ingiunzione di pagamento della somma di euro 40.669,39 per il rilascio della sanatoria;

- in seguito alla proposizione di un ricorso giurisdizionale dinanzi al TAR per la Basilicata nei confronti del provvedimento con il quale si indicava l’ammontare della somma dovuta per la sanatoria, gli uffici comunali disponevano la irrogazione di una nuova sanzione, per il minor importo di euro 28.586,74, che il signor T corrispondeva nonostante avesse proposto un nuovo ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo, poi definito con sentenza n. 384 del 2012, in quanto non gli era stata concessa la misura cautelare richiesta con la proposizione dell’atto di impugnazione.

Il signor T otteneva il rilascio del titolo in sanatoria in data 24 giugno 2005, e quindi:

- in data 29 giugno 2005 veniva rilasciato dagli uffici comunali il certificato di agibilità richiesto dall’interessato, a seguito della realizzazione delle opere di cui si è sopra detto, in data 8 giugno 2005;

- nella stessa data del 29 giugno 2005 egli richiedeva il permesso di mutare la destinazione d’uso del fabbricato in questione da residenziale a istituto scolastico (liceo classico Quinto Orazio Flacco), sicché gli uffici comunali, ritenendo che la domanda proposta non dovesse essere inquadrata tra le ipotesi di richiesta di mutamento di destinazione d’uso, bensì producesse una ritipizzazione urbanistica, valutabile solo mediante apposita conferenza dei servizi, con nota prot. n. 9000 del 19 luglio 2005, procedettero alla relativa indizione, cui seguì una richiesta di integrazione documentale al signor T il quale, non concordando con la tesi comunale volta a qualificare la procedura quale “tipizzazione urbanistica”, produceva, in data 28 luglio 2005, un parere dell'arch. Pietro Romanello (redattore degli atti tecnici del P.R.G. del Comune di Venosa) comprovante l’ammissibilità del cambio di destinazione d’uso per come richiesto;

- all’esito di due riunioni della conferenza, svoltesi in data 22 e 29 agosto 2005, veniva autorizzato in via provvisoria il cambio di destinazione d’uso e quindi la Giunta comunale, con deliberazione n. 310 del 30 agosto 2005, approvando i verbali della predetta conferenza, demandava al responsabile dello Sportello unico edilizia il rilascio dell'autorizzazione per il cambio di destinazione richiesto, alle condizioni stabilite in sede conferenza, che avveniva con provvedimento del 27 settembre 2005 prot. 8127 al quale seguiva, il successivo 24 ottobre 2005, il rilascio del relativo certificato di agibilità.

Fin qui i fatti che hanno condotto al ricorso di primo grado.

3. – In data 30 luglio 2013 il signor T proponeva ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata formulando domanda risarcitoria al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito al comportamento degli uffici comunali nel corso della procedura sopra descritta, in tesi di parte ritenuto dilatorio ed illegittimo.

In particolare, dopo aver allegato la sussistenza della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere nonché la circostanza che l’esercizio dell’azione risarcitoria non si fosse nel frattempo prescritto, con un unico e complesso motivo di doglianza prospettava al Tribunale le ragioni in base alle quali sussistevano, a suo dire, i presupposti per dichiarare la responsabilità comunale, in uno con la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi che la giurisprudenza seleziona, ordinariamente, come necessari per riconoscere il diritto al risarcimento del danno provocato dell’azione di una pubblica amministrazione nell’ambito dell’esercizio del potere autoritativo (nella fattispecie in materia edilizia);
arricchendo infine la illustrazione delle proprie ragioni con la indicazione delle coordinate attraverso le quali si sarebbe dovuto quantificare l’ammontare del danno subito e disporne la relativa liquidazione.

Si costituiva nel giudizio di primo grado l’amministrazione comunale che, oltre ad eccepire l’intervenuta prescrizione dell’azione risarcitoria e la insussistenza della responsabilità nell’operato degli uffici, contestava la presenza nella specie dei presupposti per l’ottenimento del risarcimento del danno.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, sezione prima, con la sentenza 23 maggio 2014 n. 342 ha respinto il ricorso.

4. – Il giudice di prime cure, in via preliminare, rileva che alla domanda risarcitoria in questione non può applicarsi la disciplina di cui all’art. 30 c.p.a. ratione temporis , in quanto “ il ritardo di cui si lamenta la lesività è cessato, nella prospettazione attorea, in data 27 settembre 2005, allorquando è stato adottato il provvedimento del cambio di destinazione d’uso del fabbricato di proprietà del ricorrente ” (così, testualmente, a pag. 9 della sentenza qui appellata), conseguentemente all’azione risarcitoria proposta dal signor T trova applicazione il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947, primo comma, c.c..

In secondo luogo, sempre nell’ambito dello scrutinio preliminare in rito delle eccezioni sollevate e rilevabili, il Tribunale ha disatteso la tesi della difesa comunale in ordine alla irricevibilità o inammissibilità della domanda per intervenuta prescrizione, per essere stata proposta oltre il termine di cinque anni dal verificarsi dell’evento lesivo e non potendo assumere alcun valore interruttivo la nota trasmessa dalla parte ricorrente al Comune il 26 ottobre 2008 con la quale sarebbe stato chiesto al Comune il pagamento dei danni subiti. Su tale punto il giudice di prime cure ha ritenuto che il contenuto della nota suddetta presenti tutti gli elementi necessari al fine di poter qualificare un atto di parte come idoneo ad interrompere il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria, sicché, essendo stato proposto il ricorso di primo grado con atto notificato il 31 luglio 2013 e depositato il successivo 19 settembre 2013, la relativa domanda è stata giudicata tempestiva.

5. - Ritenuto quindi ammissibile e tempestivo il ricorso, nel merito e in primo luogo il Tribunale ha preso atto della precisazione fornita dalla parte ricorrente e volta a perimetrare, con maggiore dettaglio, i contorni e la portata della domanda risarcitoria proposta che, dunque, “ è indirizzata ad evidenziare come, a fronte di un impegno contrattuale ed economico nei confronti dell’Amministrazione Provinciale di Potenza che necessitava di usufruire di locali per l’espletamento dell’attività scolastica, non sarebbe stato possibile onorare i propri impegni e si sarebbe reso necessario stipulare un nuovo contratto peggiorativo rispetto al primo solo ed esclusivamente per fatto e colpa dell’Amministrazione resistente ”, chiarendo ulteriormente che “ l’oggetto dell’azione risarcitoria (deriva) dal rilevante fatto che gli atti amministrativi oggetto della presente azione risarcitoria sono stati tutti rilasciati e non sono oggetto di valutazione giudiziaria. Nello specifico, la principale contestazione in termini di illiceità ed illegittimità dell’azione amministrativa riguarda il tardivo rilascio del cosiddetto cambio di destinazione d’uso avvenuto solo nel settembre 2005 ” (così, testualmente, a pag. 8 della sentenza qui appellata).

Chiarito quanto sopra, il Tribunale respingeva nel merito la domanda risarcitoria proposta facendo proprio il tradizionale orientamento a mente del quale “ la domanda di risarcimento del danno derivante da provvedimento non impugnato è ammissibile, ma è infondata nel merito in quanto la mancata impugnazione dell’atto fonte del danno consente a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti e imponendone l’osservanza ai consociati ed impedisce così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall’Amministrazione in esecuzione dell’atto divenuto inoppugnabile (Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 aprile 2009 , n. 2436) ” (così, testualmente, a pag. 15 della sentenza qui appellata) ed avendo appurato che il signor T colpevolmente (ai fini della positiva coltivazione della proposizione della domanda risarcitoria in sede giudiziale) non risulta che abbia impugnato nella sede giudiziale l’ordinanza n. 45/2004 del 23 settembre 2004, con la quale il responsabile del settore urbanistica ed edilizia del Comune di Venosa aveva disposto la sospensione dei lavori, asseritamente realizzati in contrasto con l’art. 34 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;
provvedimento che non solo non è stato impugnato ma del quale il signor T avrebbe espressamente riconosciuto la fondatezza, presentando già il giorno seguente istanza di permesso di costruire in sanatoria. Ne deriva che va disattesa la ricostruzione operata dal ricorrente, al fine di dare corpo alla domanda risarcitoria proposta, con la quale il signor T intende ascrivere la causa del danno all’adozione (asseritamente illegittima) della successiva ordinanza n. 52/2004 del 13 ottobre 2004, con la quale il medesimo responsabile di settore ha ingiunto il pagamento di euro 40.669,39 a titolo di sanzione amministrativa per la predetta violazione.

Il giudice di primo grado ha altresì considerato impraticabile desumere la fondatezza della domanda risarcitoria e la implicata responsabilità dell’amministrazione comunale dal ritardo nella conclusione dell’articolato procedimento di cambio di destinazione d’uso.

Piuttosto, il Tribunale ha ritenuto essere stato, nella specie, proprio il comportamento del signor T la causa delle eventuali conseguenze patrimoniali sfavorevoli, costui essendosi assunto consapevolmente il rischio di incorrere in adempimento nei confronti della Provincia di Potenza, in quanto “ il ricorrente ha stipulato il contratto di locazione dell’immobile di cui trattasi con la Provincia di Potenza, in vista della sua adibizione a sede del liceo classico di Venosa, in data 29 settembre 2004, ovverosia nell’efficacia del provvedimento di sospensione dei lavori adottato dal S.U.E. in data 23 settembre 2004. Il sig. T ha dunque sottoscritto detto contratto pur essendo consapevole dei gravi provvedimenti amministrativi in essere, della mancata ultimazione dei lavori, del fatto che il cambio di destinazione d’uso non fosse stato ancora autorizzato e così pure il permesso di costruzione in sanatoria ” (così, testualmente, a pag. 19 della sentenza qui appellata).

6. – La parte appellante contesta ora, dinanzi a questo Consiglio, la sentenza appellata, chiedendone quindi la riforma nella sede di appello.

In dettaglio, propone due articolati motivi di gravame con i quali ricostruisce i profili di asserita erroneità che caratterizzerebbero il decisum di primo grado, puntualizzando poi in un terzo motivo il contenuto dell’istanza risarcitoria proposta ed in base a cui dovrebbe liquidarsi l’entità del compenso risarcitorio.

7. - Il primo motivo di appello enuncia diversi profili di asserita erroneità della sentenza gravata (travisamento ed erronea valutazione dei fatti;
insufficienza e contraddittorietà della motivazione;
omessa e/o erronea motivazione in punto di: violazione e falsa applicazione dell'art. 30, comma 3, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104;
violazione degli art. 27 e 34 del d.p.r. n. 380/2001) e può sintetizzarsi come segue.

Anzitutto vi sarebbe stato un travisamento operato del thema decidendum su cui si fondava la pretesa risarcitoria proposta in primo grado, dal momento che sarebbe stato palese dalla lettura degli scritti difensivi depositati in quel grado di giudizio “ come, con l'imputazione mossa nei confronti dell'ordinanza n. 52/04, non si sia voluto effettuare un surrettizio tentativo di attribuirle i medesimi effetti della previa ordinanza di sospensione dei lavori, così "aggirando" l'onere di impugnazione della stessa;
al contrario, l'ordinanza n. 52/04, nella sua veste di (erroneo) provvedimento sanzionatorio, ha cagionato un danno produttivo di effetti diversi rispetto a quelli del succitato provvedimento sospensivo, riguardando l'illegittima applicazione di una misura sanzionatoria
” (così, testualmente alle pagg. 4 e 5 dell’atto di appello).

Erra dunque il Tribunale quando dichiara infondata la domanda risarcitoria per non avere il richiedente gravato tempestivamente l’ordinanza di sospensione dei lavori, sia perché – allorché egli ha a suo tempo impugnato nella sede giudiziale l’ordinanza comunale n. 52 del 13 ottobre 2004, con la quale il responsabile del settore urbanistica ed edilizia del Comune di Venosa ha ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di euro 40.669,39 a titolo di sanzione amministrativa per la violazione delle norme del DPR n. 380/2001 – con tale contestazione ha inteso portare all’attenzione del giudice la illegittimità dell’intero intervento repressivo-sanzionatorio messo in campo dagli uffici comunali, ricomprendendovi anche, necessariamente, la illegittimità dell’ordinanza n. 45/2004 del 23 settembre 2004 di sospensione dei lavori, sia perché nei medesimi scritti difensivi si era efficacemente chiarito che “ il pregiudizio subito si pone nell'iter sanzionatorio successivo alla citata ordinanza n. 45/2004, a fronte dell'erronea conduzione, ad opera del S.U.E. (Sportello Unico dell'Edilizia) del Comune di Venosa, del procedimento per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, a norma dell'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, sostanziatasi, in primis, nell'adozione dell'ordinanza sanzionatoria n. 52/04 e nella successiva ordinanza n. 26/05, nonché nel ritardo relativo al cambio di destinazione d'uso richiesto già in data 31/08/2004 ” (così, testualmente a pag. 7 dell’atto di appello):

Ne consegue che il vizio di falsa applicazione dell'art. 30, comma 3, c.p.a., da parte del giudice di primo grado rileva sotto un duplice profilo:

- per un verso “ il caso in esame, pur con le sue peculiarità, rientra nel novero di quelle ipotesi nell'ambito delle quali la contestata regola della pregiudizialità pacificamente non ha modo di operare, (…) in quanto il pregiudizio lamentato (…) non procede, quanto meno non direttamente, da un provvedimento amministrativo ”;

- sotto altro versante, “ anche qualora si volesse scorgere nelle ordinanze n. 52/04 e 26/05 la fonte del danno invocato, si rileva come rispetto ad entrambe i provvedimenti sia già stata esperita l'auspicata tutela impugnatoria” (le parti virgolettate sono tratte dalla pag. 8 dell’atto di appello).

Inoltre, le conclusioni alle quali è giunto il Tribunale non solo non sarebbero adeguatamente motivate, ma anzi si appaleserebbero addirittura contraddittorie, essendo il medesimo Tribunale a ricordare la natura temporanea dell’efficacia del provvedimento di sospensione dei lavori, che ha effetto meramente cautelare nell’ambito del procedimento di repressione degli abusi edilizi.

8. - Il secondo motivo di appello è incentrato sulla circostanza che il giudice di primo grado, nel valutare le disposizioni normative applicabili al caso di specie e nel voler fare propria la tesi dell’infondatezza della domanda risarcitoria per la mancata impugnazione del provvedimento causativo del danno, ha omesso di considerare il ruolo che assume nel nostro ordinamento giuridico la disposizione contenuta nell’art.

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