Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2021-12-02, n. 202108039
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Pubblicato il 02/12/2021
N. 08039/2021REG.PROV.COLL.
N. 04383/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4383 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia
ex lege
in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 novembre 2021 il Cons. E F e viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con la sentenza appellata, il T.A.R. per il Lazio ha respinto il ricorso proposto dall’odierno appellante, cittadino -OMISSIS- titolare di permesso per motivi di carattere umanitario in corso di validità, avverso il provvedimento di espulsione dal territorio nazionale, adottato dal Ministro dell’Interno per ragioni di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, ai sensi dell’art. 13, comma 1, d.lvo n. 286/1998 e dell’art. 3, comma 1, d.l. n. 144/2005, -OMISSIS-.
I motivi del provvedimento espulsivo sono compendiati nei seguenti passaggi del suo preambolo:
- “preso atto che per il predetto non emergono situazioni impeditive al rimpatrio tali da trovare rimedio nella misura residuale prevista dall’art. 19 co.1 e 1.1. del T.U.I., così come da comunicazione della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale -OMISSIS-”;
- “esaminati gli atti d’ufficio, dai quali risulta che lo stesso è particolarmente attivo nel contesto del -OMISSIS- -OMISSIS- ed, in data -OMISSIS-, lo stesso è stato tratto in arresto per il reato di cui all’art. 1 della legge 865/1967 (disposizioni per il controllo delle armi) con l’aggravante della finalità del terrorismo, in quanto trovato in possesso di -OMISSIS-”;
- “preso atto che da attività info-investigativa risulta che il predetto ha fornito concreto supporto a noti -OMISSIS- ritenuti responsabili di -OMISSIS-;
- “valutato che il predetto ha manifestato in diversi contesti una spiccata pericolosità, come dimostrano il deferimento o l’arresto per plurime fattispecie di reato, concretizzatesi sia nell’ambito di -OMISSIS- che tramite condotte individuali quali -OMISSIS-”;
- “ritenuto che la presenza in Italia del predetto costituisca una minaccia per la sicurezza dello Stato e che possa agevolare, in vario modo, organizzazioni o attività terroristiche”;
- “rilevato che la durata del soggiorno in Italia del cittadino -OMISSIS-, la sua età, la sua situazione familiare ed economica, il suo stato di salute, il suo livello di integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e l’importanza dei suoi legami in Italia non fanno venire meno la necessità di adottare nei suoi confronti un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale”.
All’ordine di espulsione irrogato con il provvedimento impugnato si aggiungeva l’avvertenza che lo straniero destinatario non sarebbe potuto rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’interno, ai sensi dell’art. 13, comma 13, d.lvo n. 286/1998: divieto la cui estensione temporale veniva determinata dall’Amministrazione in un periodo di -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 13, comma 14, d.lvo n. 286/1998, “in considerazione del particolare profilo di pericolosità sociale evidenziato dallo straniero, come specificato in premessa”.
Il T.A.R., dopo aver inquadrato il provvedimento nell’alveo delle misure preventive finalizzate a prevenire il compimento di reati, essendo “il presupposto per l’espulsione costituito solo dai fondati motivi per ritenere che la presenza dello straniero possa agevolare in vario modo organizzazioni o attività terroristiche e, comunque, mettere in pericolo, con azioni anche proselitistiche, la sicurezza dello Stato”, ed evidenziato che “anche la tutela della vita privata e familiare, sancita dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non è incondizionata, posto che l’ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata e familiare è consentita, ai sensi dell’art. 2 ( recte , art. 8, comma 2) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), se prevista dalla legge quale misura necessaria ai fini della sicurezza nazionale, del benessere economico del Paese, della difesa dell’ordine e della prevenzione dei reati, della protezione della salute e della morale e della protezione dei diritti e delle libertà altrui”, ha ritenuto che “il provvedimento del Ministro dell’Interno impugnato enuncia elementi di fatto più che sufficienti a fornire fondati motivi per ritenere che la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato possa agevolare organizzazioni o attività anche di stampo terroristico, in grado di minacciare la sicurezza del Paese”.
I suddetti elementi sono stati ricavati dal giudice di primo grado, alla luce della documentazione depositata in giudizio, dalle circostanze di seguito richiamate:
- l’arresto del ricorrente - seguito dalla condanna del medesimo -OMISSIS-, da parte del Tribunale -OMISSIS- alla pena di -OMISSIS- di reclusione, confermata dalla Corte di Appello -OMISSIS- e risulta passata in giudicato - per il reato di -OMISSIS- (risalente al mese di -OMISSIS-): nell’occasione, il ricorrente è stato trovato in possesso di -OMISSIS- -OMISSIS-;nella stessa abitazione è stata altresì rinvenuta -OMISSIS- -OMISSIS- e di un documento -OMISSIS-;
- la condanna dello straniero, disposta nella stessa occasione, -OMISSIS-;
- l’attribuzione allo straniero, nell’ambito dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale -OMISSIS- a carico di -OMISSIS- attivi nell’-OMISSIS- -OMISSIS- (in quanto ritenuti responsabili di -OMISSIS-), del ruolo di punto di riferimento per l’-OMISSIS- attiva nell’area -OMISSIS-;
- la precedente condanna dello straniero, con sentenza del Tribunale -OMISSIS- del -OMISSIS-, per il reato di -OMISSIS- e la sua segnalazione all’Autorità Giudiziaria in numerose occasioni in relazione ad ipotesi di -OMISSIS- ed altri fatti di reato.
Il T.A.R. ha altresì rilevato che il giudizio di bilanciamento effettuato dall’Amministrazione – tra l’esigenza di salvaguardare i beni della sicurezza dello Stato e della incolumità dei cittadini, da un lato, e la tutela degli interessi del ricorrente alla permanenza sul territorio dello Stato, come da lui rappresentati in ricorso - non peccava di irragionevolezza, sul rilievo che “è del tutto idonea, per la giustificazione del provvedimento di espulsione, la mera valutazione che a persone contigue, simpatizzanti o comunque idealmente vicine o in contatto con un -OMISSIS-, non si possa consentire di permanere sul territorio italiano, ciò in quanto la sicurezza della Repubblica è interesse di rango certamente superiore rispetto a quello dello straniero a rimanere in Italia”.
In particolare, quanto alla dedotta “caduta”, in sede penale, dell’aggravante della finalità terroristica della condotta, il giudice di primo grado ha rilevato che “ai fini che qui interessano, è proprio la potenzialità di poter arrecare un grave danno al Paese l’oggetto del bene che il provvedimento impugnato, in applicazione dell’art. 13 del d.lgs n. 286 del 1998 e dell’art. 3, comma 1, del decreto legge n. 144 del 2005 (conv. in legge n. 155 del 2005), tende proprio a tutelare”, mentre, quanto al riferimento alla “-OMISSIS-” del ricorrente, ha evidenziato il T.A.R. che “è lo stesso Tribunale civile -OMISSIS- che, -OMISSIS-, nel riconoscere all’istante la protezione umanitaria, ha espresso dubbi sul -OMISSIS- dallo stesso dichiarato e, invero, ha ancorato il predetto riconoscimento all’-OMISSIS-”, con la conseguente insussistenza dei presupposti per l’applicazione dei divieti di espulsione previsti dall’art. 19, commi 1 e 1.1, del d.lgs n. 286/1998.
Mediante i motivi di appello – al cui accoglimento si oppone l’Amministrazione appellata – l’originario ricorrente ribadisce l’illegittimità del provvedimento originariamente impugnato e, quindi, l’erroneità della sentenza di primo grado, che ha escluso la sussistenza dei vizi dedotti, in vista della riforma di quest’ultima e del consequenziale annullamento del primo.
Tanto premesso, la complessità dei temi sollevati – inevitabile riflesso della peculiare delicatezza degli interessi coinvolti, sia sul versante dell’Amministrazione, che si prefigge di preservare, mediante il provvedimento impugnato in primo grado, la sicurezza dello Stato (in senso istituzionale e comunitario) dal pericolo di aggressioni attuate mediante azioni violente di ordine terroristico, sia nella prospettiva del ricorrente, che fa valere l’interesse alla conservazione del suo status esistenziale, che non può non risultare radicalmente sovvertito dal rimpatrio forzoso discendente dal provvedimento espulsivo – impone una analisi articolata secondo una precisa quanto razionale sequenza, essendo necessario:
- in via preliminare, verificare se il provvedimento impugnato si fondi su una esaustiva e coerente ricostruzione dei suoi presupposti legittimanti, così come disegnati dal legislatore con le norme disciplinatrici del potere di cui esso costituisce espressione;
- in secondo luogo, e laddove la suddetta verifica abbia esito positivo, accertare se la misura espulsiva sia “proporzionata” in rapporto all’interesse perseguito, alla luce delle ripercussioni che essa è destinata a produrre sulla sfera personale e familiare del suo destinatario.
Iniziando dal primo segmento dell’indagine, non è contestata dalla parte appellante la natura preventiva del provvedimento impugnato, espressamente affermata dalla sentenza appellata.
La funzione preventiva del medesimo provvedimento sottende la finalizzazione dello stesso alla neutralizzazione del pericolo, rappresentato dalla permanenza in Italia dello straniero che ne sia destinatario, per beni dotati di primaria rilevanza costituzionale, quali l’integrità delle strutture fondamentali dello Stato o l’incolumità dei suoi cittadini.
E’ altresì noto che l’esercizio della funzione preventiva non richiede l’accertamento, nella competente sede penale, di condotte delittuose ascrivibili allo straniero, né, parallelamente, l’esclusione della sua responsabilità in quella sede eventualmente intervenuta è suscettibile automaticamente di inficiare la sussistenza dei presupposti per l’adozione della misura preventiva, laddove i fatti accertati dal giudice penale, pur se inidonei ad integrare i presupposti applicativi dell’apparato sanzionatorio penale, siano nondimeno espressivi dell’esigenza preventiva che fa da sfondo al potere de quo .
E’ infatti del tutto coerente che alla diversità dei beni coinvolti dall’esercizio della funzione repressiva, tipicamente demandata all’A.G., e della funzione preventiva, riservata all’Amministrazione (essendo la prima diretta a “svuotare” dall’interno, in chiave punitiva, la libertà personale dell’individuo, e la seconda a limitarla dall’esterno, privandola di alcune tipiche manifestazioni, in misura crescente in rapporto alla gravità dell’esigenza preventiva perseguita), si correli un diverso grado di garanzie a favore del soggetto interessato, il quale si traduce nella sufficienza, ai fini dell’adozione della misura preventiva, del mero pericolo, sebbene “qualificato” dalla sussistenza di oggettive ragioni giustificative, di attentato agli interessi pubblici tutelati.
Deve infine evidenziarsi che, anche con riferimento alla funzione preventiva, spetta al legislatore fissare il rapporto di prevalenza tra i beni coinvolti, mentre è rimesso all’Amministrazione il “dosaggio” concreto – in termini assoluti e nella loro posizione relativa - degli interessi che vengono in rilievo, al fine di garantire che il suo esercizio risponda a criteri di ragionevolezza, proporzionalità e coerenza con il corrispondente schema normativo.
Deve solo aggiungersi, per concludere sul punto, che la devoluzione del potere valutativo (in termini, essenzialmente, di bilanciamento tra contrapposti interessi) in esame alla P.A. trova la sua ratio nella qualificazione giuridica dell’interesse facente capo allo straniero: ciò in quanto la natura sostanzialmente concessoria del suo titolo alla permanenza sul territorio nazionale ed a far parte della relativa comunità sottende l’imputazione allo stesso di una posizione giuridica inquadrabile come interesse legittimo, cui è connaturata la spettanza all’Amministrazione del potere di verificarne la compatibilità con interessi di segno opposto, nel quadro del rapporto di bilanciamento di volta in volta prefigurato dal legislatore.
Ciò premesso, e spostando l’attenzione sulla concreta fattispecie dedotta in giudizio, deve osservarsi che, a fondamento del provvedimento espulsivo, l’Amministrazione ha posto i seguenti elementi:
- la condanna dello straniero, con sentenza del G.I.P. presso il Tribunale -OMISSIS-, emessa -OMISSIS- e confermata con sentenza della Corte di Appello -OMISSIS- -OMISSIS-, per il reato di cui agli artt. 56 c.p. ed 1 l. n. 895/1967, perché riconosciuto responsabile della -OMISSIS- -OMISSIS-, cui faceva seguito il fermo di indiziato -OMISSIS-;
- il rinvenimento presso l’abitazione dello straniero, nella medesima occasione, di -OMISSIS- -OMISSIS- e di -OMISSIS-;
- il “consolidato rapporto di frequentazione e conoscenza” tra -OMISSIS- e -OMISSIS- destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale -OMISSIS-, in quanto ritenuti responsabili di -OMISSIS-.
Delineato, nei sintetici termini che precedono, il quadro degli elementi da cui l’Amministrazione ha desunto i presupposti per l’esercizio del potere di espulsione, devono esaminarsi – estrapolandoli dal testo complessivo del gravame, che non segue analogo ordine espositivo - i motivi di appello intesi a censurare, sotto il profilo esaminato, la sentenza appellata così come il provvedimento impugnato in primo grado.
In proposito, deduce la parte appellante che la sentenza appellata ha fatto “assurgere al rango di prova quelle che sono mere illazioni da parte del Ministro”, altresì evidenziando che le “risultanze ministeriali, di fatto, sono poi sempre state smentite dai provvedimenti in sede giudiziale, come dimostrano gli esiti dei procedimenti in ambito penale in atti”.
Aggiunge la parte appellante, nel medesimo solco argomentativo, che -OMISSIS- non risulta “né imputato, né indagato, né tanto meno condannato per reati descritti nel provvedimento espulsivo”, che il provvedimento ministeriale di espulsione “interviene -OMISSIS- dopo il fatto presunto più grave che ne costituisce il fondamento, dimostrando in questo modo la totale carenza di urgenza e necessità” e richiama, al fine di contestare i connotati di pericolosità attribuiti dal Ministero alla condotta dello straniero, i passaggi della citata sentenza del G.I.P. -OMISSIS- del -OMISSIS-, diretti ad escludere la sussistenza dell’aggravante inerente alla finalità terroristica, nonché quelli relativi alla commisurazione della pena ed alla concessione della sospensione condizionale della stessa.
Inoltre, si sottolinea che per i fatti oggetto della summenzionata ordinanza cautelare -OMISSIS- non risulta né indagato né persona informata sui fatti, che il provvedimento inerisce ad una fase preliminare del procedimento penale, la lieve entità dei fatti oggetto delle altre due condanne riportate nel casellario del-OMISSIS-, risalenti -OMISSIS-, definiti con decreto penale di condanna, per i quali è stata comminata una pena pecuniaria anch'essa sospesa e relativi a semplici reati contravvenzionali.
Infine, evidenzia l’appellante che se i precedenti e le segnalazioni riportate dal Ministero avessero avuto reale rilevanza in termini di pericolo, l'Autorità Giudiziaria sarebbe intervenuta con la richiesta di emissione di misure cautelari a carico del -OMISSIS-, cosa di fatto non avvenuta tanto che l’impugnato provvedimento di espulsione lo ha raggiunto in stato di libertà.
Nessuno dei surriportati motivi di censura è suscettibile, ad avviso della Sezione, di porre in evidenza concreti profili di illegittimità – nel segno della carenza istruttoria e motivazionale o della violazione dei principi di logicità, ragionevolezza e proporzionalità – a carico del provvedimento impugnato in primo grado.
In primo luogo, le risultanze del processo penale svoltosi a carico dell’appellante non si pongono affatto in rapporto di antinomia, come assume la parte appellante, rispetto ai presupposti motivazionali del provvedimento impugnato.
Deve in primo luogo osservarsi che la sentenza -OMISSIS- ha accertato il nucleo della condotta criminosa ascritta all’imputato, riconoscendo che “-OMISSIS-, n.d.e. ) -OMISSIS-, n.d.e. ). Deve poi ritenersi parimenti provato che la condotta di -OMISSIS-”.
La componente dell’imputazione che, invece, il giudice penale ha ritenuto non configurabile è quella relativa all’aggravante della “finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico” di cui all’art. 1, comma 1, d.l. n. 625/1979, conv. in l. n. 15/1980, vigente ratione temporis : ciò sul rilievo che “-OMISSIS-, non aveva alcuna attitudine a provocare un grave danno al paese, potendosi ipotizzare -OMISSIS-. Ancor meno ipotizzabile è che un simile intento, comunque non dimostrato, avrebbe potuto essere raggiunto mediante -OMISSIS- dal-OMISSIS-”.
Deve tuttavia osservarsi che, nonostante l’esito parzialmente assolutorio del processo penale a carico dello straniero, i fatti accertati in sede penale integrino la fattispecie rilevante ai fini dell’esercizio del potere espulsivo.
Deve all’uopo rilevarsi che l’art. 13, comma 1, d.lvo n. 286/1998 consente al Ministro dell’Interno di esercitare il potere suindicati “per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato”, mentre l’art. 3, comma 1, d.l. n. 144/2005, conv. in l. n. 155/2005, reca analoga legittimazione laddove nei confronti dello straniero vi siano “fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”.
Ebbene, quanto alla prima fonte legittimante, premesso che l’”ordine pubblico” deve essere inteso come “il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale” (art. 159, comma 2, d.lvo n. 112/1998), non vi è dubbio che -OMISSIS-, indipendentemente dalla attitudine offensiva degli stessi (sulla cui valutazione si incentra la pronuncia assolutoria richiamata dalla parte appellante), sia suscettibile di attivare il legittimo esercizio del potere preventivo de quo, al fine di evitare che si rechi effettiva aggressione a quei beni (la sicurezza dei cittadini, l’incolumità degli stessi, il regolare esercizio delle libertà fondamentali e delle funzioni preordinate a tutelarle) che compongono la tavola di valori compendiata nella richiamata formula dell’”ordine pubblico”.
Peraltro, ribadita la natura preventiva del potere de quo, non può escludersi che nel suo spettro applicativo rientrino quelle condotte che, a prescindere dal loro attuale stadio offensivo (costituente oggetto primario dell’interesse del giudice penale, al fine di verificare la loro rispondenza agli schemi qualificatori tipici recati dalle singole norme incriminatrici), siano sintomatiche di un orientamento criminoso suscettibile di evoluzione, in collegamento con circostanze e relazioni che possono presentarsi nel circuito esistenziale dell’interessato, ad un ulteriore e più avanzato livello di pericolosità, anche contrassegnato dalla matrice terroristica esclusa dal giudice penale con la sentenza suindicata.
Da questo punto di vista, non appare affetto dai vizi dedotti nemmeno l’inquadramento, operato dall’Amministrazione con riguardo ai presupposti sulla scorta dei quali è stato adottato il provvedimento impugnato, entro la cornice normativa imperniata sui “fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”.
Da questo punto di vista, viene in rilievo quanto affermato dalla citata sentenza -OMISSIS-, nel senso che “la sicura appartenenza dell’imputato ad -OMISSIS- può trovare concreta manifestazione anche in forme violente, ed anche con azioni che prevedano -OMISSIS-”: appartenenza avvalorata dall’ordinanza cautelare del G.I.P. presso il Tribunale -OMISSIS-, la quale mette in luce i consolidati legami esistenti tra -OMISSIS- ed altri -OMISSIS-, gravemente indiziati di aver posto in essere condotte di -OMISSIS- nonché l’appartenenza degli stessi alla medesima -OMISSIS-.
La citata ordinanza consente altresì di escludere la fondatezza della deduzione attorea, intesa a negare la sussistenza dei motivi di urgenza a fondamento dell’intervento preventivo, alla luce del lasso di tempo intercorso dai fatti -OMISSIS-: deve infatti osservarsi che il suddetto provvedimento cautelare è tale da determinare una esigenza preventiva che l’Amministrazione, nell’esercizio della sua discrezionalità, aveva ritenuto non essere giunta al necessario livello di maturazione sulla sola scorta della precedente imputazione, attualizzandone ed acutizzandone la valenza sintomatica (del pericolo da prevenire).
Nemmeno potrebbe farsi leva, al fine di dimostrare l’illegittimità del provvedimento impugnato, sul carattere cautelare della citata ordinanza del giudice -OMISSIS-, ovvero sul fatto che -OMISSIS- non risulta formalmente indagato nell’ambito del relativo procedimento, tenuto conto del fatto che la funzione preventiva, pur nutrendosi degli apporti probatori del processo penale, non è condizionata dalle qualificazioni giuridiche che vi vengono operate, atteso anche l’orizzonte conoscitivo più ampio sul quale si fondano le determinazioni amministrative in subiecta materia , non circoscritto allo specifico episodio criminoso ma esteso a ricomprendere, come nella specie, ed a collocare entro un quadro ricostruttivo unitario e coerente elementi fattuali venuti in essere anche ad una certa distanza temporale l’uno dall’altro.
Alla medesima conclusione deve pervenirsi con riguardo alla favorevole valutazione svolta dal giudice penale in ordine alla condotta futura dello straniero, ai fini della dosimetria della pena e della sospensione condizionale della stessa, attesa la già evidenziata autonomia del giudizio penale e del potere preventivo: autonomia che nella specie trova emblematica evidenza nel fatto che l’autorità amministrativa, ai fini delle sue valutazioni, ha potuto considerare un elemento (quello appunto rappresentato dalla citata ordinanza cautelare) che denota una concreta possibilità evolutiva del livello di pericolosità connesso alla permanenza in Italia del-OMISSIS-, attraverso il contributo agevolativo che da essa potrebbe derivare ad organizzazioni terroristiche, o comunque votate alla commissione di azioni violente, di cui lo straniero è risultato essere membro.
Nemmeno – e per analoghe ragioni – rileva il fatto che lo straniero, quando è stato attinto dal provvedimento espulsivo, non si trovasse sottoposto a restrizioni della sua libertà da parte del giudice penale, atteso che, come si è detto, la citata ordinanza del Tribunale -OMISSIS- non viene in rilievo, al fine di suffragare sul piano istruttorio e motivazionale il provvedimento impugnato, per la responsabilità eventualmente ascrivibile al-OMISSIS- per i fatti contestati agli indagati, ma quale dimostrazione della intrinseca pericolosità del -OMISSIS- di cui il suddetto fa parte e nel cui ambito ideologico si iscrivono le condotte criminose a quelli contestate.
Inoltre, ad ulteriore dimostrazione dell’esigenza preventiva (sebbene non espressamente menzionato nel provvedimento impugnato), concorre quanto riferito dall’Amministrazione con la nota di riscontro alla richiesta di informazioni trasmessa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’ambito del procedimento ex art. 39 del relativo Regolamento di procedura, in ordine alla intenzione manifestata -OMISSIS- dal-OMISSIS- di compiere -OMISSIS-.
Allo stesso modo, non può sottacersi che, come comunicato dall’Amministrazione con la relazione -OMISSIS- il Tribunale -OMISSIS- – Sezione Misure di Prevenzione ha emesso il Decreto -OMISSIS-, nei confronti del cittadino -OMISSIS-, disponendo l’applicazione della misura di prevenzione -OMISSIS- ai sensi del D.L.vo n. 159/2011.
Nel contesto illustrato, assumono rilievo secondario e meramente integrativo le ulteriori pendenze ascritte all’appellante e di cui esso evidenzia la lieve entità.
Acclarato, quindi, che il provvedimento impugnato trova ragionevole fondamento in una esigenza preventiva oggettivamente riscontrabile, occorre esaminare i motivi di appello intesi a negare il compimento da parte dell’Amministrazione di un ragionevole giudizio di bilanciamento tra la medesima esigenza e gli interessi, meritevoli di considerazione, di cui è titolare l’appellante.
A tal riguardo, la parte appellante richiama il provvedimento del Tribunale -OMISSIS- in data -OMISSIS-, col quale è stata applicata a suo favore la protezione umanitaria, sulla scorta del riconoscimento di importanti profili di vulnerabilità.
Assume infatti la parte appellante che dal menzionato provvedimento è ricavabile una situazione di inespellibilità del-OMISSIS- ex artt. 19, comma 1, d.lvo n. 286/1998 ed 8 CEDU, sia in ragione del -OMISSIS-, sia in ragione della sua condizione di vulnerabilità.
Egli lamenta anche la completa pretermissione della circostanza relativa alla -OMISSIS-, tra -OMISSIS- e -OMISSIS-, così come il fatto che -OMISSIS-.
Allo stesso modo, lamenta l’appellante che l’Amministrazione non ha tenuto conto del -OMISSIS-.
Nessuno dei suindicati profili di censura è meritevole di accoglimento.
Deve premettersi che l’art. 8 della C.E.D.U., al comma 1, recita: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.
Il successivo comma dispone invece che: “Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.
L’art. 19 d.lvo n. 286/1998, a sua volta, al suo primo comma prevede che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”, mentre il comma 2, dispone che “non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.
Ebbene, già a livello normativo deve rilevarsi - sulla scorta delle citate disposizioni, nazionali e sovranazionali – che il diritto al rispetto alla vita privata e familiare non è incondizionato, ma destinato a recedere laddove il respingimento o l’espulsione siano misure necessarie “per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica”.
Da questo punto di vista, una volta acclarato – alla luce delle considerazioni in precedenza sviluppate - che l’impugnato provvedimento preventivo si atteggia quale misura funzionale (come tale “necessaria”) alla tutela dei beni suindicati, ne resta conseguentemente esclusa la sussistenza della causa di inespellibilità invocata dalla parte appellante.
Né, del resto, sono ravvisabili concreti spazi applicativi della disposizione che impone di tenere conto “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”, inerendo la stessa alla “valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente” (ovvero della vita privata e familiare dello straniero), la quale assume tuttavia, nell’ordito normativo, carattere recessivo in presenza di una preminente esigenza di carattere preventivo.
Nemmeno potrebbe ritenersi sussistere, quale causa ostativa all’espulsione, il pericolo di “discriminazione” dello straniero a causa -OMISSIS-.
Dallo stesso provvedimento del Tribunale -OMISSIS- invocato dall’appellante, invero, si evince quanto segue: “-OMISSIS-”.
Né potrebbe sostenersi, come fa l’appellante, che in una situazione di dubbio dovrebbe prevalere la tesi della inespellibilità, dal momento che, atteggiandosi essa quale deroga al potere di espulsione, sarebbe stato onere dell’appellante, nell’assolvimento del suo onere probatorio (trattandosi di circostanza attinente alla sua dimensione soggettiva), fornire quantomeno concreti elementi di prova a dimostrazione della sua condizione di -OMISSIS- (sulla falsariga del metro decisorio adottato dal giudice -OMISSIS-, che ha all’uopo respinto la domanda di protezione internazionale fondata su quello status).
Deve peraltro soggiungersi che la scelta del-OMISSIS- di -OMISSIS-, se non può assumere rilievo significativo ai fini della valutazione della legittimità del provvedimento impugnato (essendo successiva alla sua adozione), induce ulteriormente a dubitare della inconculcabile -OMISSIS- del suddetto, alla luce del -OMISSIS-.
Infine, non possono avere rilievo, ai fini della valutazione di proporzionalità del provvedimento impugnato (e della sussistenza del dedotto vizio di carenza istruttoria e motivazionale), né il pericolo di compromissione dell’equilibrio psico-fisico dell’appellante (sulla base del quale il Tribunale -OMISSIS- ha riconosciuto a suo favore la protezione umanitaria) né il contributo da lui dato allo sviluppo della -OMISSIS-, essendo estranei al perimetro delle ragioni suscettibili di integrare, ai sensi di legge, una causa di inespellibilità: ciò che l’Amministrazione ha ritenuto di esprimere mediante la formula, sintetica ma espressiva, secondo cui “non emergono situazioni impeditive al rimpatrio tali da trovare rimedio nella misura residuale prevista dall’art. 19 co.1 e 1.1. del T.U.I., così come da comunicazione della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale -OMISSIS-”.
Infine, alla luce della valutazione di pericolosità svolta dall’Amministrazione, non inficiata nella sua pregnanza dalle censure attoree, anche l’assunto secondo cui “la durata del soggiorno in Italia del cittadino -OMISSIS-, la sua età, la sua situazione familiare ed economica, il suo stato di salute, il suo livello di integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale e l’importanza dei suoi legami in Italia non fanno venire meno la necessità di adottare nei suoi confronti un provvedimento di espulsione dal territorio nazionale” appare esente dai vizi dedotti, costituendo ragionevole espressione del bilanciamento operato dal Ministro dell’Interno tra interessi contrapposti.
L’appello, in conclusione, deve essere complessivamente respinto, mentre la natura degli interessi coinvolti giustifica la compensazione delle spese di giudizio.