Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-07-31, n. 200904858

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-07-31, n. 200904858
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200904858
Data del deposito : 31 luglio 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01017/2003 REG.RIC.

N. 04858/2009 REG.DEC.

N. 01017/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sull’appello n. 1017 del 2003, proposto dal dott. N P, rappresentato e difeso dall'avv. I M D, con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense, 104;

contro

Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi 12;
Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore;

per la riforma della sentenza del Tar Puglia – Bari, sezione prima, n. 3919 del 2002, concernente MANCATO INQUADRAMENTO GIURIDICO ED ECONOMICO EX L. N. 395/1990.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 giugno 2009 il cons. A P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO

L’appellante, dipendente del Ministero di Grazia e Giustizia con qualifica di Direttore di istituto penitenziario, ottava qualifica funzionale, ha proposto ricorso al TAR Puglia – Bari, per l’annullamento del decreto 10 gennaio 1997, con cui il Direttore Generale dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile del Ministero di Grazia e Giustizia ha negato nei suoi confronti l’applicazione dei benefici previsti dall’art.40 della legge n. 395 del 1990 ed ha respinto la domanda di accertamento del suo diritto ad usufruire ai fini economici dei predetti benefici.

Il TAR, con l’appellata sentenza, ha respinto il ricorso, ritenendo che il trattamento economico spettante all’interessato, anche tenuto conto dell’art. 26, comma 3, del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge n. 356 del 1992, non può che essere determinato, in ragione del mutamento di ruolo, con la conseguente perdita dei benefici previsti dall’art. 40 della legge n. 395 del 1990, sulla base della sola anzianità di servizio e del livello retributivo già maturati.

L’appellante contesta la statuizione del giudice di primo grado, proponendo motivi di violazione del citato d.l. n. 306/1992, come pure interpretato dalla giurisprudenza di questo Consiglio e del Giudice contabile.

Con ulteriore memoria l’interessato ha illustrato i motivi d’appello.

Il Ministero si è costituito con memoria, contestando la fondatezza dell’appello in punto di diritto.

All’udienza del 30 giugno 2009, la causa, sentiti i difensori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1 - L’appellante, già in servizio presso l’amministrazione penitenziaria, è transitato, ai sensi dell’art. 200 del D.P.R. n. 3 del 1957 e con decorrenza 18 maggio 1995, dal ruolo dei Direttori di istituto penitenziario per adulti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al ruolo dei Direttori di istituto penitenziario per minori dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile, con diritto alla conservazione dell’anzianità da lui maturata nel ruolo di provenienza e del trattamento economico in godimento.

Egli ha prestato servizio dal 17 luglio 1995 come Direttore dell’Istituto penale minorile di Bari ed ha ottenuto (con il decreto ministeriale del 12 luglio 1996 - Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile e con decorrenza dal 17 luglio 1995) il trattamento economico già spettante presso l’Amministrazione penitenziaria, equiparato a quello del personale della Polizia di Stato con qualifica di Commissario capo, ai sensi dell’ art. 40 della legge n. 395 del 1990.

Con istanza del 29 luglio 1998, l’appellante ha chiesto di partecipare al procedimento per la promozione a ruolo aperto alla qualifica di Direttore Coordinatore di Istituto Penitenziario, IX qualifica funzionale, avendo maturato quattro anni di servizio effettivo nella qualifica di Direttore di Istituto Penitenziario, con anzianità complessiva di oltre nove anni e sei mesi nella ex carriera direttiva (dapprima nel profilo professionale di Collaboratore di Cancelleria, VII qualifica funzionale, dal 28.3.1986 al 31 luglio 1991, quindi nel profilo professionale di Direttore di Istituto, Penitenziario, VIII qualifica funzionale, dal 1° agosto 1991 al 16 luglio 1995, presso la Casa Circondariale di Foggia).

Con la nota del 5 novembre 1996, la Ragioneria centrale del Ministero di Grazia e Giustizia ha comunicato la mancata registrazione del suddetto decreto del 12 luglio 1996, poiché per l’art. 1 del D.M. 10 maggio 1994, disciplinante l’accesso del personale civile nei ruoli organici dell’Ufficio centrale per la giustizia minorile, la conservazione del trattamento giuridico-economico maturato nell’Amministrazione penitenziaria opererebbe nei confronti del solo personale già in servizio nelle strutture minorili alla data del 16 febbraio 1994.

Con successivo provvedimento del 10 gennaio 1997, è stato pertanto nuovamente determinato il trattamento economico dell’appellante, senza l’ applicazione dei benefici dell’art. 40 della legge n. 395 del 1990.

Avverso detto provvedimento l’interessato ha adito il Tribunale amministrativo di Bari, deducendo sostanzialmente due profili di illegittimità: a) Violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, violazione ed erronea applicazione dell’art. 37 del D.P.R. 24.4.1982, n. 335, dell’art. 40 della legge n. 395/1990 e del d.l. n. 306/1992, convertito nella legge n. 356 del 1992;
violazione ed erronea applicazione dell’art. 1 del D.M. 10.5.1994, violazione dei diritti quesiti, eccesso di potere per erronea presupposizione, irragionevolezza, contraddittorietà, manifesta ingiustizia e disparità di trattamento;
b) Violazione, sotto altro profilo, delle stesse norme, eccesso di potere per erronea presupposizione, illogicità, contraddittorietà e disparità di trattamento, atteso che l’Amministrazione erroneamente non avrebbe concesso al ricorrente i benefici di cui all’art. 40 della legge n. 395 del 1990.

2 - Con l’atto d’appello avverso la sentenza del TAR il funzionario ha riproposto in sostanza gli stessi motivi, lamentando l’erroneità della sentenza per una scorretta lettura del d.l. del 1992, per avere ignorato i precedenti di questo Consiglio e del Giudice contabile e per non avere considerato l’unicità del profilo di “ Direttore di Istituto penitenziario “.

3. - L’appello è fondato e va accolto.

L’art. 40, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395, ha disposto che “A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, al personale dirigente e direttivo dell‘Amministrazione penitenziaria è attribuito lo stesso trattamento giuridico spettante al personale dirigente e direttivo delle corrispondenti qualifìche della Polizia di Stato in base alla legge 10 aprile 1981, n. 121, ai relativi decreti legislativi ed alle altre norme in materia. Al medesimo personale spetta, altresì, il corrispondente trattamento economico della Polizia di Stato se non inferiore a quello attualmente goduto”.

In applicazione della citata disposizione, il decreto del 27 giugno 1995 del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del Ministero di Grazia e Giustizia ha attribuito all’appellante il medesimo trattamento economico percepito dal personale della Polizia di Stato con qualifica di Commissario capo.

Con il decreto legge 29 gennaio 1992, n. 36, convertito nella legge 29 febbraio1992, n. 213, si è disposta la riorganizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, con l’istituzione, introdotta dall’art. 26, presso il Ministero di Grazia e Giustizia dell’Ufficio centrale per la Giustizia Minorile, in luogo del precedente Ufficio minorile inserito all’interno del medesimo Dipartimento, nonché con la definizione della relativa dotazione organica.

Il citato art. 26, al comma 3, ha poi demandato al Ministero l’emanazione di disposizioni regolamentari disciplinanti le modalità di accesso nei nuovi contingenti del personale di ruolo del Ministero di Grazia e Giustizia già in servizio presso il settore minorile dell’amministrazione penitenziaria, ovvero in possesso di specifica esperienza o preparazione sulle problematiche minorili, con la previsione del mantenimento del trattamento giuridico ed economico maturato.

Con il decreto ministeriale del 10 maggio 1994, è stato disciplinato l’accesso del personale civile nei ruoli organici dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile. Ai sensi dell’art. 1 del citato decreto del 1994 è stato previsto, per il personale civile del Ministero di Grazia e Giustizia in servizio nelle strutture del settore minorile alla data del 16 febbraio 1994, l’inquadramento nella qualifica dirigenziale corrispondente o nel profilo professionale corrispondente alla qualifica funzionale di appartenenza ed il mantenimento della qualifica funzionale e del trattamento giuridico ed economico in godimento.

Di conseguenza, il personale dipendente inizialmente inserito nel ruolo unico dei Direttori di istituto penitenziario di adulti e minori (VIII qualifica funzionale del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria) è stato ripartito, sulla base delle funzioni svolte, tra il ruolo dei Direttori di istituto penitenziario per adulti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ed il ruolo dei Direttori di istituto penitenziario per minori dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile.

Il Collegio rileva che con decreto ministeriale in data 18.5.1995 è stato disposto, ai sensi dell’art. 200 del D.P.R. n. 3 del 1957, il trasferimento dell’appellante dal ruolo dei Direttori di istituto penitenziario per adulti del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria al ruolo dei Direttori di istituto penitenziario per minori dell’Ufficio Centrale per la Giustizia Minorile.

Riguardo all’applicazione nei suoi confronti dei benefici di cui all’art. 40, comma 1, della citata legge n. 395 del 1990, il TAR ha ritenuto che - in attuazione del disposto di cui all’art. 26 del decreto legge n. 306/1992, convertito nella legge n. 356 del 7.8.1992 - a seguito del suddetto trasferimento non potessero più essere riconosciuti i benefici di cui al citato art.40, in quanto espressamente previsti in favore del solo personale appartenente ai ruoli dell’ Amministrazione penitenziaria.

Conseguentemente, il trattamento giuridico - economico spettante non poteva che essere determinato sulla base dell’anzianità di servizio e del corrispondente trattamento economico maturato nel precedente ruolo di appartenenza e non essere comprensivo dei benefici di cui all’art. 40, previsti per il solo personale del ruolo dell‘Amministrazione penitenziaria.

Ritiene la Sezione che non risulta condivisibile la ricostruzione del quadro normativo effettuata dalla sentenza gravata.

Il comma 3 dell’articolo 26 del d.l. n. 306 del 1992 ha previsto che i nuovi ruoli dell’Ufficio Centrale Giustizia Minorile (UCGM) si alimentassero, in sede di prima applicazione e secondo le modalità stabilite con apposito decreto ministeriale, del personale di ruolo dello stesso Ministero di grazia e giustizia in servizio presso il settore minorile ovvero con specifica esperienza o preparazione sulle problematiche minorili, “ il quale conserva il trattamento giuridico ed economico maturato”.

Sulla base di tale disposizione, si deve ritenere che il citato art. 40 della legge n. 325 del 1990 riguarda non solo personale dell’amministrazione penitenziaria, ma anche quello trasferito alle nuove strutture dell’UCGM.

Esso ha determinato un principio di salvaguardia per il personale transitato nei nuovi ruoli del costituito Ufficio centrale, al fine di assicurare la funzionalità delle nuove strutture (che altrimenti avrebbero rischiato di rimanere prive di dotazioni organiche per effetto di un rifiuto di passaggio e di una scelta di mantenimento dello stato giuridico ed economico acquisito). Né può ritenersi che la formula legale per cui il personale in questione “ conserva il trattamento giuridico ed economico maturato” possa essere intesa come semplice conservazione del trattamento in godimento all’atto del passaggio.

Ove fosse così intesa, la norma sarebbe stata inutile, in quanto meramente ripetitiva del principio generale di divieto di reformatio in pejus dei trattamenti retributivi in concreto godimento dei pubblici dipendenti e del principio di conservazione delle anzianità di carriera e di qualifica già acquisite (art. 200, comma 3, del T. U. n. 3 del 1957).

Il citato articolo 26, comma 3, non può dunque essere interpretato quale norma meramente ripetitiva di principi da lungo tempo affermatisi nel pubblico impiego: esso, invece, ha specificamente sancito il mantenimento dei criteri determinativi della retribuzione e degli altri benefici di carriera attribuiti al personale già in servizio presso l’amministrazione penitenziaria, istituita con l’articolo 30 della legge n. 395 del 1990, e da questa transitato nel neo costituito Ufficio Centrale G. M.

Il comma 3, in altri termini, ha disposto un regime di sostanziale equiparazione retributivo – funzionale, peratro ricavabile da altre disposizioni dello stesso articolo 26, in particolare dal comma 6, secondo cui nei confronti del personale del nuovo Ufficio centrale della giustizia minorile in servizio alla data di entrata in vigore della legge 15 dicembre 1990, n. 395, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all'articolo 4 del D.L. 28 agosto 1987, n. 356 , convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 1987, n. 436 (riguardanti le provvidenze per il personale civile e per quello militare degli istituti di prevenzione e pena).

Risulta dunque fondato l’atto d’appello, che ha rilevato - con riguardo alla tabella allegata al DPR n. 1219 del 29 dicembre 1984 - l’equiparazione economico – funzionale tra la direzione di istituto penitenziario per adulti e quella per i minorenni.


Non rileva in contrario il D.M. 10-5-1994, con il quale, in attuazione dell’articolo 26 del d.l. n. 306 citato, sono state dettate disposizioni per l'accesso del personale civile nei ruoli organici dell'Ufficio centrale per la giustizia minorile.

L’articolo 1 del decreto stabilisce che il personale civile di ruolo del Ministero, in servizio nelle strutture del settore minorile alla data del 16 febbraio 1994, è inquadrato nella qualifica dirigenziale o nel profilo professionale corrispondenti, “conservando la qualifica funzionale ed il trattamento giuridico ed economico in godimento”, facendosi tuttavia salva la facoltà, manifestata per iscritto entro il termine di giorni trenta dalla data di pubblicazione del decreto, di permanere nei ruoli di precedente appartenenza.

Contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’Amministrazione, la norma non dispone che la conservazione del trattamento maturato nell’amministrazione di provenienza operi soltanto nei confronti del solo personale già in servizio nelle strutture del settore minorile alla data del 16 febbraio 1994 (decorrenza fissata dal decreto del 10 maggio 1994), ma riguarda anche coloro i quali, come l’appellante, siano entrati a far parte della Giustizia Minorile in epoca successiva, ossia dopo il 16 febbraio 1994 con la procedura prevista dall’art. 200 del D.P.R. n. 3 del 1957.

La contraria interpretazione urterebbe contro il dato letterale, che abbina l’inquadramento alla conservazione del trattamento maturato. Quindi, delle due l’una: o il funzionario non aveva titolo all’inquadramento (e allora sarebbe stato mantenuto nel DAP, con il relativo trattamento) o aveva titolo ed allora conservava congiuntamente quanto già acquisito.

La norma regolamentare, quindi, non fa altro che ribadire il principio di conservazione già espresso a livello primario e d’altra parte non avrebbe potuto fare altrimenti, in virtù del principio di gerarchia tra le fonti del diritto.

Sulla base delle argomentazioni che precedono, va dunque ribadita la giurisprudenza già formatasi sulla questione (Cons. St., sez. III, 19 febbraio 2008, n. 4089/2007;
id., 30 giugno 1998, n. 1377/97;
T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 27 gennaio 2006, n. 1120).

3. Per le ragioni che precedono, l’appello va accolto, sicché – in riforma della gravata sentenza – va accolto il ricorso di primo grado e va annullato l’impugnato provvedimento del 10 gennaio 1997, nella parte lesiva dell’interessato.

La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

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