Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-01, n. 201904475

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2019-07-01, n. 201904475
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904475
Data del deposito : 1 luglio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/07/2019

N. 04475/2019REG.PROV.COLL.

N. 05352/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5352 del 2008, proposto dai signori
F C, G C, A C, S C in proprio e quali eredi di Fabri Ida, rappresentati e difesi dagli avvocati G C e L F L, con domicilio eletto presso l’avv. G C in Roma, piazza Mancini, n.4;

contro

Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. A M, con domicilio ex lege in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 04352/2007, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti gli avvocati G C;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente appello i signori F C, G C, A C e S C, hanno impugnato la sentenza n. 4352 del 2007, con cui il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha respinto il ricorso proposto avverso la Determinazione Dirigenziale n. 111 del 29 gennaio 1999 che, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 47 del 1985, ha ingiunto la demolizione delle opere abusive costituito da un massetto di cemento realizzato sul terreno di proprietà in Circonvallazione gianicolense tra i numeri 29 e 31 ( in zona “N” di PRG destinata a parchi e impianti sportivi) e il ripristino dello stato dei luoghi.

Con il ricorso di primo grado avevano dedotto in fatto che l’opera era stata realizzata dal proprio padre (e marito, essendo stato il ricorso proposto anche dalla signora Ida Fabbri successivamente deceduta) a seguito di una comunicazione di inizio lavori inviata agli uffici della XVI circoscrizione il 25 maggio 1998, a cui non era seguito alcun riscontro da parte del Comune e che il massetto in cemento aveva l’esclusiva funzione di manutenzione del terreno, al fine di evitare la ricrescita selvaggia di arbusti e rovi e l’utilizzo come discarica da parte di ignoti, per cui, inoltre, nel 1995 era già stato effettuato un intervento di pulizia su disposizione dei Vigili del Fuoco, rivelatosi inutile. Hanno sostenuto in diritto che l’opera non aveva, pertanto, alcuna funzione di carattere edificatorio e che non necessitava, quindi, di concessione edilizia;
inoltre, il terreno era sito in area interamente edificata del Comune di Roma.

Nel giudizio di primo grado, con ordinanza cautelare n. 1728 del 10 giugno 1999, è stata accolta la domanda di sospensione del provvedimento impugnato sulla base della natura del manufatto, non richiedente la concessione edilizia;
con la sentenza impugnata è stato respinto il ricorso, escludendo che il manufatto realizzato potesse rientrare nella manutenzione ordinaria o straordinaria, in base alla definizione dell’art. 31, comma 1, lett. a) e lett. b) della legge 5 agosto 1978 n. 458, avendo comportato una modifica sostanziale al precedente assetto del territorio;
inoltre, l’Amministrazione comunale aveva esercitato il potere di cui all’art. 4 della legge n. 47 del 1985 per le opere eseguire su aree sottoposte a vincoli di inedificabilità o destinate ad opere e spazi pubblici, in cui rientrava la destinazione prevista nel P.R.G..

Con il presente appello è stata contestata la sentenza impugnata, in relazione alla natura dell’intervento, con esclusiva funzione di manutenzione e pulizia del terreno;
è stata poi dedotta l’erronea applicazione dell’art. 4 della legge n. 47 del 1985 in relazione alla destinazione dell’area in base al PRG, trattandosi di destinazione a parchi pubblici e impianti sportivi mai attuata e quindi decaduta;
infine, è stata ribadita la circostanza già dedotta in primo grado dell’avvenuta comunicazione di inizio lavori il 25 maggio 1998, a cui non era stato dato alcun seguito da parte dell’Amministrazione comunale (deducendo altresì che analoga comunicazione era stata già inviata nel 1995 per un intervento di manutenzione e pulizia del terreno, peraltro, imposto dai Vigili del Fuoco che non si era dimostrato risolutivo).

Sono state, quindi, riproposte le censure del ricorso di primo grado di violazione degli articoli 7 e seguenti della legge n. 47 del 1985;
di eccesso di potere per errore dei presupposti, erronea e carente motivazione, ingiustizia manifesta, illogicità e ingiustizia per sproporzione tra l’opera concretamente realizzata e entità della sanzione.

Il Comune si è costituito con atto di mero stile.

All’udienza pubblica del 28 maggio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è fondato.

Al momento di realizzazione dell’opera era vigente la disciplina della legge n. 47 del 1985, che all’art. 7 prevedeva la demolizione per le “opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali”, e delle opere di ristrutturazione edilizia, definite dalla lettera d) del primo comma dell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457;
all’art. 26 disponeva che non erano “soggette a concessione né ad autorizzazione le opere interne alle costruzioni che non siano in contrasto con gli strumenti urbanistici adottati o approvati e con i regolamenti edilizi vigenti, non comportino modifiche della sagoma della costruzione, dei prospetti, né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile” subordinando tali opere ad una comunicazione di inizio lavori.

Si deve, anche, tenere presente che con la legge 23 dicembre 1996, n. 662 era stata introdotta una modifica all’art. 4 del d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, conv. nella legge 4 dicembre 1993 n. 493, prevedendo la denunzia di inizio attività, tra le altre, per le opere di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, prima sottoposte ad autorizzazione. Ai sensi del comma 13 del detto art. 4 “l’esecuzione di opere in assenza della o in difformità dalla denuncia di cui al comma 7 comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere stesse e comunque in misura non inferiore a lire un milione”.

Ritiene il Collegio che, rispetto a tale disciplina, l’opera concretamente realizzata, con la posa di un massetto di pochi centimetri e la sua esclusiva funzione di manutenzione del terreno, non potesse configurare, diversamente da quanto affermato dal giudice di primo grado, una opera di trasformazione irreversibile del terreno con realizzazione di un nuovo organismo edilizio.

La esclusiva funzione di manutenzione del terreno è, in fatto, confermata anche dalla mancanza di qualsiasi attività edilizia successiva alla posa del massetto nonché dello stesso utilizzo dell’area, in base alle circostanze risultanti dagli atti del giudizio.

Ne deriva che tale opera non richiedesse la concessione edilizia e che potesse essere realizzata con denunzia di inizio attività, rientrando nella definizione di restauro e risanamento conservativo di cui al primo comma lettera c) della legge n. 457 del 1978.

A sostegno di tale interpretazione ritiene il Collegio di richiamare, altresì, le norme sopravvenute in materia edilizia, non applicabili al caso di specie, ma utilizzabili quale ausilio interpretativo, che hanno espressamente indicato “le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni, anche per aree di sosta” (che siano contenute entro l'indice di permeabilità, ove stabilito dallo strumento urbanistico) nella attività edilizia libera ( attualmente art. 6 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comma 1 lettera e ter) .

La giurisprudenza, infatti, ha ritenuto, con riferimento alle attività di pavimentazione e spargimento di ghiaia sul terreno che debba essere assentita dal Comune ogni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, anche quelle non consistenti in attività di edificazione, ma nella modificazione dello stato materiale e della conformazione del suolo qualora appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d’uso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 aprile 2012, n. 2450, id. 31 marzo 2016 n. 1268 con riguardo ad una attività di spargimento di ghiaia su di un’area). Con riferimento alla realizzazione di parcheggi, la giurisprudenza di questo Consiglio ha più volte affermato la necessità del permesso di costruire edilizio, in quanto la sistemazione di un’area a parcheggio aumenta il carico urbanistico (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 17 dicembre 2018, n. 7103).

Nel caso di specie, la posa del massetto di cemento non ha comportato alcuna modifica della destinazione d’uso del terreno né una qualunque utilizzazione del bene;
è escluso, quindi, che la modifica dello stato materiale del suolo sia stata effettuata per adattarlo ad un utilizzo diverso, né una tale circostanza è stata contestata dal Comune;
sembra utile rilevare, del pari, che l’amministrazione pubblica non ha mai contestato le affermazioni degli originari ricorrenti circa la finalità del modesto manufatto, utile ad evitare incivili fenomeni di abbandono incontrollato di rifiuti: e d’altra parte, per un elementare principio di non contraddizione dell’ordinamento, una volta che il sistema onera il privato proprietario a vigilare sulla non adibizione dell’area di sua pertinenza a discarica da parte di terzi (attraverso la predisposizione di recinzioni, etc) sembra incongruo che, di converso, lo sanzioni in termini così afflittivi per una modestissima opera volta proprio a perseguire detta finalità

Inoltre, neppure appare riportabile ad un aumento del carico urbanistico della zona interessata.

Ritiene, ancora, il Collegio, che, per le concrete modalità dell’opera, nel caso di specie, il Comune non potesse fare applicazione in maniera legittima dei poteri di cui all’art. 4 della legge n. 47 del 1985, che prevede la demolizione per le “opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167”.

Infatti, a prescindere dalla effettiva natura del vincolo- conformativo o espropriativo- posto sull’area in base alla destinazione di piano regolatore (parchi pubblici e impianti sportivi), la particolare natura dell’opera realizzata non appare in contrasto con tale destinazione, trattandosi di una mera attività di pavimentazione funzionale alla conservazione in buono stato dell’area, non incompatibile con la destinazione impressa dal piano regolatore.

L’appello è, quindi, fondato e deve essere accolto con annullamento della sentenza impugnata e, in accoglimento del ricorso di primo grado, annullamento del provvedimento impugnato, salva la ulteriore attività sanzionatoria del Comune.

In considerazione della particolarità della questione, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

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