Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-10-19, n. 202208906
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Testo completo
Pubblicato il 19/10/2022
N. 08906/2022REG.PROV.COLL.
N. 10213/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10213 del 2018, proposto da
Michelangelo Società Cooperativa a.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati L B, A M e G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Riccione, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato N F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna – Bologna (Sezione Prima) n. 00701/2018, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Riccione;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2022 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati G P, L B, A M e Maria Paola Giorgi per delega di N F;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la Società cooperativa Michelangelo a.r.l. appella la sentenza n. 701/2018, con cui il T Emilia-Romagna, sede di Bologna, ha rigettato il ricorso e i motivi aggiunti (proposti dall’odierna appellante) diretti ad ottenere l’annullamento delle determinazioni assunte dal Comune di Riccione in data 17.9.2011 (di diniego di n. 45 istanze di definizione di illecito edilizio presentate in data 9.12.2004), del provvedimento dirigenziale del 14.10.2016 (recante l’assegnazione di un ulteriore termine per l’esecuzione dell’ordinanza di demolizione n. 4 del 15.2.2002), nonché del provvedimento dirigenziale del 20.4.2017 (di accertamento dell’inottemperanza dell’ordinanza di demolizione n. 4/2002).
In particolare, secondo quanto dedotto in appello:
- la Cooperativa Michelangelo ha acquistato nel 1993 la proprietà di un fabbricato sito nel Comune di Riccione, in passato adibito a colonia;
- il Comune di Riccione, in accoglimento di un’istanza presentata dal precedente proprietario, ha rilasciato la concessione edilizia n. 152/92 del 18.8.1993 per la ristrutturazione dell’intero complesso edilizio, assentendo un progetto che avrebbe previsto la realizzazione di una pluralità di appartamenti (dotati ciascuno di soggiorno, camere da letto, servizi igienici, cucina e angolo cottura e riscaldamento autonomo), oltre ad alcuni servizi comuni (locali di servizio, sale polivalenti, locali per attività motorie);il fabbricato assentito veniva qualificato quale residenza protetta ai sensi della deliberazione della giunta regionale n. 560 dell’11.7.1991, mentre gli oneri concessori venivano determinati e corrisposti quale edificio residenziale;
- in sede di rilascio della concessione edilizia il Comune ha chiesto alla Cooperativa Michelangelo la produzione di un atto unilaterale d’obbligo con impegno a mantenere la destinazione a residenza protetta con finalità prettamente abitative e l’assegnazione degli alloggi in affitto, uso o proprietà;
- eseguita la comunicazione di ultimazione dei lavori in data 13.2.1998, in data 28.3.1999 è stata presentata la pratica per il rilascio del certificato di conformità edilizia ed agibilità, asseritamente assentiti in via tacita;
-con ordinanza di demolizione n. 4 del 15.2.2002, il Comune ha disposto la demolizione delle opere eseguite, ritenendo che si fosse verificata una trasformazione dell’uso previsto (da attività sanitaria pubblica o privata a residenza), con aumento del numero delle unità immobiliari;
- il provvedimento di demolizione è stato impugnato dinnanzi al T Bologna;
- la ricorrente ha, comunque, presentato in data 4.12.2014 n. 45 domande di sanatoria ai sensi della sopravvenuta L.R. n. 23/2004, ai fini della regolarizzazione dell’unico ipotetico abuso, dato dal mutamento di destinazione d’uso senza opere da residenza protetta a residenziale;
- il T, con sentenza n. 205/2012, ha dichiarato il ricorso avverso l’ordinanza di demolizione improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione della sopravvenuta presentazione dell’istanza ex L. n. 23/2004;
- il Comune ha rigettato le domande di sanatoria ritenendo che si facesse questione di un intervento di ristrutturazione edilizia con mutamento della destinazione d’uso da direzionale a residenziale, non ammesso dalla legislazione regionale dettata in materia di condono edilizio;
- tali provvedimenti di diniego sono stati impugnati in giudizio, in ragione dell’erronea qualificazione dell’intervento edilizio operata dal Comune, integrato asseritamente da un mero diverso utilizzo delle unità immobiliari conformi al progetto;inoltre, la destinazione originale non avrebbe potuto essere qualificata come direzionale, trattandosi di destinazione prettamente abitativa, con conseguente emersione di un diverso utilizzo nell’ambito della stessa categoria funzionale (residenziale);
- in pendenza del giudizio il Comune ha assegnato un nuovo termine per la demolizione, ritenendo ancora valida ed efficace l’ordinanza n. 4/2002;
- tale provvedimento è stato impugnato con motivi aggiunti, deducendosi l’inefficacia della precedente ordinanza a seguito della presentazione delle domande di condono, l’erronea qualificazione dell’intervento come variante essenziale o ristrutturazione edilizia e, dunque, l’erronea applicazione degli artt. 31 DPR n. 380/01 e 13 L.R. n. 23/04, nonché la genericità dell’ordine di rimessione in pristino dell’uso a residenza sanitaria;il Comune, secondo la prospettazione attorea, avrebbe dovuto avviare un nuovo procedimento previa comunicazione alla ricorrente;
- in ragione della supposta vigenza dell’ordinanza n. 4/02, il Comune ha adottato il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza dell’ordine demolitorio, parimenti impugnato dalla ricorrente con secondi motivi aggiunti, incentrati sia su vizi di legittimità derivata, sia su vizi di legittimità autonomi, stante la ritenuta inapplicabilità dell’art. 31 DPR n. 380/01 e la mancata verifica circa l’utilizzo residenziale degli alloggi;
- il T ha rigettato il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.
2. La ricorrente in prime cure ha appellato la sentenza pronunciata dal T, deducendone l’erroneità con l’articolazione di plurimi motivi di impugnazione.
3. L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio, resistendo al ricorso.
4. La Sezione, con ordinanza n. 594 dell’8 febbraio 2019, ha rigettato l’istanza cautelare articolata dall’appellante, rilevando che “ ad una sommaria delibazione, propria della fase cautelare, i motivi di appello non paiono degni di positiva valutazione in quanto nell’area oggetto d’intervento non è consentita la destinazione d’uso residenziale ”.
5. In vista dell’udienza di discussione del 15 dicembre 2020 l’appellante ha prodotto documentazione;entrambe le parti hanno depositato memorie e repliche, insistendo nelle rispettive conclusioni.
6. La Sezione, con ordinanza n. 197 del 7 gennaio 2021, ha ritenuto, ai fini del decidere, opportuno sollecitare le parti a precisare, con apposita memoria, l’inquadramento normativo della fattispecie per cui è causa alla luce della normativa intervenuta nelle more del processo.
7. L’Amministrazione comunale, con deposito del 3 marzo 2021, ha fornito i propri chiarimenti;la parte appellante, con istanza del 5 marzo 2021, ha chiesto nella forma dei “ chiarimenti ” se il riferimento alla “ “normativa intervenuta nelle more del processo” sia al d.l. n. 76/2020 convertito con modificazioni dalla l. n. 120/2020 (c.d. decreto semplificazioni) nella parte in cui intervenendo sul testo unico dell’edilizia all’art. 10 comma 1 lett. b) n. 1 del citato d.l. n. 76/2020, ha chiarito che sono ricompresi nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sia la modifica della destinazione d’uso non urbanisticamente rilevante in quantointerna della stessa categoria funzionale, sia il passaggio da una ad altra categoria funzionale ove la nuova destinazione comunque non richieda maggiori dotazioni territoriali e pertinenziali;e se vi siano altre sopravvenute cui l’ordinanza istruttoria si riferisca” .
8. Le parti hanno depositato ulteriori memorie conclusionali e repliche in vista dell’udienza, originariamente calendarizzata per il 20 gennaio 2022;l’Amministrazione comunale ha depositato ulteriori memorie conclusionali e repliche in vista dell’udienza del 7 luglio 2022, mentre la parte appellante ha depositato repliche alle avverse deduzioni.
9. Nel corso dell’udienza del 7 luglio 2022 la parte appellante ha prodotto le delibere regionali n. 561 del 1990 e n. 564 del 2000;il Comune non si è opposto alla produzione e il Collegio si è riservato di valutare l’acquisizione della relativa documentazione.
All’esito, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Pregiudizialmente, il Collegio ritiene di ammettere la documentazione prodotta dall’appellante nell’udienza di discussione del 7 luglio 2022.
In particolare, la prima delibera (n. 560 del 1991) è stata adottata ai sensi della L.R. n. 2 del 1985 ed è espressamente richiamata e posta a fondamento dei provvedimenti di diniego di condono impugnati in prime cure;la seconda delibera (n. 564 del 2000) è stata adottata, ai sensi della L.R. n. 34 del 1998, a superamento delle previsioni attuative della L.R. n. 2 del 1985 in materia di autorizzazione al funzionamento di strutture residenziali e semiresidenziali socio-assistenziali.
La produzione di tali documenti in grado di appello e nell’udienza di discussione, da un lato, non determina la violazione delle preclusioni processuali istruttorie poste dall’art. 104, comma 2, c.p.a., dall’altro, non compromette il diritto di difesa delle parti.
1.1 Sotto il primo profilo, si osserva che, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 46, comma 2, c.p.a, 65, comma 3, c.p.a. e 104, comma 2, c.p.a, la documentazione riguardante i procedimenti amministrativi definiti con provvedimenti impugnati in giudizio può essere acquisita anche in grado di appello, trattandosi di documenti considerati ex lege (artt. 46, comma 2, c.p.a. e 65, comma 3, c.p.a.) indispensabili ai fini della decisione, come tali oggetto di un obbligo di produzione a carico dell’Amministrazione intimata e acquisibili al giudizio, in caso di inottemperanza della resistente, anche in sede di gravame e su ordine giudiziale (Consiglio di Stato, sez. V, 14 aprile 2020, n. 2385).
Nel caso di specie:
- la delibera n. 560 del 1991 costituisce un atto sulla cui base sono stati assunti i dinieghi di condono impugnati in prime cure e, come tale, è soggetta all’obbligo di produzione ex artt. 46, comma 2, c.p.a. e 65, comma 3, c.p.a, in ragione della sua indispensabilità ex lege , con conseguente ammissibilità della sua acquisizione pure in grado di appello;
- la delibera n. 564 del 2000 esprime una disciplina adottata a superamento delle disposizioni attuative della L.R. n. 2/1985 (ivi compresa, dunque, la delibera n. 560/91, ai sensi di quanto previsto dall’art. 7 della stessa direttiva n. 560/91), influendo in tale modo sulla delibera alla base dei provvedimenti censurati dinnanzi al T, con conseguente possibilità di una sua acquisizione anche in grado di appello quale atto integrativo degli atti soggetti ad obbligo di produzione.
1.2 L’acquisizione di tali documenti una volta decorso il termine di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a. (operante per la produzione di nuovi documenti), direttamente nell’udienza di discussione, non si pone, inoltre, in contrasto con il disposto di cui all’art. 54, comma 1, c.p.a., operante per i documenti acquisibili su “ richiesta di parte ”, diversi da quelli da produrre per obbligo di legge (come gli atti rilevanti nell’odierno giudizio), anche su ordine del giudice, per i quali non operano preclusioni o decadenze istruttorie.
In ogni caso, tale produzione non influisce negativamente neppure sul diritto di difesa o sul contraddittorio delle parti (rilevante anche ai sensi dell’art. 54, comma 1, c.p.a., che impone di assicurare “ il pieno rispetto del diritto delle controparti al contraddittorio su tali atti ”), tenuto conto che:
- quanto all’appellante, si tratta di documenti prodotti dalla stessa Michelangelo società cooperativa a.r.l., che pertanto era a conoscenza delle relative delibere e in condizione di dedurre al riguardo;
- quanto all’Amministrazione comunale, il difensore della parte pubblica non si è opposto alla produzione documentale, né ha chiesto un rinvio della causa al fine di dedurre al riguardo, manifestando in tale maniera la capacità di contraddire direttamente in udienza, anche in ragione della natura dei documenti de quibus , costituenti delibere regionali certamente conosciute dall’Amministrazione comunale perché rilevanti per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali.
1.3 Alla luce dei rilievi svolti, deve ammettersi la produzione delle delibere nn. 560/91 e 564/00 e, dunque, la loro utilizzabilità ai fini dell’odierna decisione.
2. Sempre in via pregiudiziale, da un lato, deve essere dichiarata l’inammissibilità della memoria di replica depositata dal Comune in data 16 giugno 2022, non avendo la parte appellante prodotto alcuna memoria conclusionale cui poter replicare in vista dell’udienza pubblica del 7 luglio 2022;dall’altro, deve essere rigettata l’istanza istruttoria, formulata dall’appellante con la memoria del 20.12.2021, avente ad oggetto la nomina di un verificatore o di un consulente tecnico, tenuto conto che le questioni su cui dovrebbe disporsi istruttoria implicano valutazioni giuridiche rimesse al Collegio e, comunque, sono suscettibili di decisione sulla base dell’ampia documentazione in atti, alla stregua di quanto verrà osservato nella disamina delle singole censure attoree.
3. Ciò premesso, passando all’esame dei motivi di impugnazione, la società ricorrente, con un primo gruppo di doglianze, ha censurato l’erroneità della sentenza gravata, per avere il T rigettato il ricorso introduttivo del giudizio, proposto avverso i dinieghi di condono edilizio opposti dall’Amministrazione comunale.
3.1 In particolare, con il primo motivo di appello, rubricato “ Eccesso di potere per difetto di motivazione, nonché difetto di istruttoria. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto ”, la ricorrente contesta la qualificazione dell’abuso operata dall’Amministrazione e condivisa dal T, non facendosi questione di un intervento di ristrutturazione edilizia con incremento del numero delle unità immobiliari e modifica della categoria funzionale d’uso, ma di un mero cambio di destinazione d’uso dei singoli alloggi da residenza protetta a residenza senza l’esecuzione di opere abusive.
Il Comune, secondo la prospettazione attorea, aveva già assentito l’esistenza di plurimi alloggi con la concessione edilizia n. 152/1992, rilasciata previa corresponsione degli oneri concessori determinati sulla base della destinazione residenziale dell’immobile.
Anche l’atto d’obbligo sottoscritto dalla ricorrente, integrativo del titolo edilizio, faceva riferimento alla realizzazione di “ due unità strutturali (edifici) nei quali sono previsti alloggi da assegnarsi in affitto, uso o proprietà ” e, pertanto, da assegnarsi in uso, detenzione e in proprietà esclusiva prevedendo l’uso comune, da parte dei singoli destinatari degli alloggi, solo delle “ zone comuni per servizi collettivi ”
Pertanto, il T avrebbe errato nel ravvisare una ristrutturazione edilizia con la realizzazione di quarantacinque unità immobiliari in luogo delle due originariamente previste dal titolo edilizio: proprio il progetto originario prevedeva quarantacinque alloggi, autonomi e integranti distinte unità immobiliari, aggregati in un medesimo edificio, secondo quanto previsto dalla G.R. n. 560 dell’11.7.1991, al fine di offrire possibilità residenziali di vita autonoma in ambiente controllato e protetto;con conseguente emersione di una pluralità di appartamenti facenti parte di un fabbricato avente una configurazione tipologica e strutturale di tipo residenziale.
Il T avrebbe errato pure nel ritenere che l’uso della struttura fosse quello direzionale, facendosi questione di struttura costituita da più appartamenti, avente finalità abitativa, per la quale veniva escluso, ai sensi della deliberazione della giunta regionale n. 564/2000, l’obbligo di autorizzazione al funzionamento (parte I, punto 3).
Pure l’accatastamento dei singoli alloggi quali distinte unità immobiliari in categoria A3 risultava un adempimento dovuto per adeguare lo stato di fatto a quello di diritto, senza intenti elusivi.
Alla luce di tali rilievi, il T avrebbe errato nel rigettare il ricorso facendo leva su una disposizione (art. 37, comma 1, lett. b), L.R. n. 23/2004) inapplicabile nella specie.
3.2. Per ragioni di connessione, facendosi questione di censure riferite sempre alla legittimità del diniego di condono, il primo motivo di appello deve essere esaminato congiuntamente al secondo motivo, con cui la parte ricorrente denuncia la “ Violazione di legge per violazione dell’art. 37 comma 1 lett. b e art. 34 comma 2 lett. a della L.R. 23/2004 ”.
Il T non avrebbe motivato il rigetto del terzo motivo di ricorso: secondo la prospettazione attorea, dovrebbe escludersi, come già osservato con l’articolazione del primo motivo di appello, l’integrazione di un intervento di ristrutturazione edilizia, con conseguente inapplicabilità del limite di 100 mq rapportato all’intero complesso immobiliare di cui all’art. 37, lett. b, L.R. n. 23/2004.
In ogni caso, un intervento di ristrutturazione dei singoli alloggi, sub specie di mero cambio di destinazione d’uso, non avrebbe dovuto essere conforme alle prescrizioni urbanistiche richiamate nei provvedimenti impugnati ai sensi dell’art. 37 L.R. n. 23/04, considerato pure il prevalente uso residenziale già assentito con la concessione edilizia n. 152/1992.
Il mutamento di destinazione d’uso avrebbe inoltre riguardato i singoli alloggi e non l’intero edificio, facendosi pure questione di alloggi già destinati alla residenza esclusiva dei soggetti utilizzatori, che pure potevano acquistarne la proprietà.
Nella specie si discorrerebbe di mero cambio di destinazione d’uso, privo di qualsiasi incidenza urbanistica, con emersione, comunque, di un uso originario residenziale, all’interno della stessa categoria funzionale autonoma.
4. Le questioni poste dalle censure attoree concernono la qualificazione dell’intervento edilizio in concreto eseguito, oggetto delle domande di condono, e la sua compatibilità con la disciplina regionale (L.R. n. 23/2004) invocata ai fini della sanatoria.
Al fine di statuire sui motivi di appello, occorre: dapprima, individuare le rationes decidendi alla base dei dinieghi di condono impugnati in prime cure;all’esito, verificare se la qualificazione operata dall’Amministrazione nel rigettare le domande di parte, incentrata sull’emersione di un intervento di ristrutturazione edilizia comportante un incremento delle unità immobiliare e un mutamento della destinazione d’uso tra categorie funzionali differenti (direzionale e residenziale), corrisponda effettivamente all’intervento edilizio concretamente eseguito dall’appellante, per come denunciato con le domande di condono.
Infine, dovrà verificarsi se, alla stregua dell’intervento in concreto rilevante, per come correttamente qualificato, la pretesa attorea, tesa ad ottenere il condono dell’abuso realizzato, possa ritenersi fondata e, dunque, le decisioni di diniego opposta dall’Amministrazione debbano ritenersi illegittime alla stregua di quanto censurato con i primi due motivi di appello.
5. Alla luce di quanto emergente dalla documentazione in atti (doc. 51 ricorso introduttivo del giudizio di primo grado), la società cooperativa Michelangelo a.r.l. ha presentato n. 45 domande di condono ai sensi dell’art. 32 D.L. n. 289/03 (conv. dalla L. n. 326/03) e della L.R. n. 23/2004, al fine di ottenere la sanatoria del mutamento di destinazione d’uso senza opere e senza aumento di superficie da residenza protetta a residenza.
5.1 L’Amministrazione comunale ha rigettato tali domande (docc.