Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-09-13, n. 202207957

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-09-13, n. 202207957
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202207957
Data del deposito : 13 settembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/09/2022

N. 07957/2022REG.PROV.COLL.

N. 03026/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3026 del 2020, proposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore , e dall’Istituto Comprensivo Leonardo Da Vinci di Guidonia Montecelio, in persona del Direttore pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

contro

la signora -OSIS-, in proprio e quale genitore esercente la potestà sul figlio minorenne, e la signora -OSIS-, in proprio e quale genitore esercente la potestà sul figlio minorenne, rappresentate e difese dagli avvocati G V e Riccardo Vecchione, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

nei confronti

Bioristoro Italia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituito in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Terza, n. -OSIS-, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle signore -OSIS- -OSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 giugno 2022 il consigliere D D C;

Udito l’avvocato G V per le parti appellate costituite;

Nessuno è comparso per le Amministrazioni appellanti;

Viste, altresì, le conclusioni della parte appellante, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Le ricorrenti hanno impugnato, chiedendone l’annullamento, la nota prot. n. 4660 del 6 settembre 2019, con la quale il dirigente dell’Istituto scolastico intimato ha imposto agli studenti la fruizione obbligatoria del servizio pubblico di mensa ovvero, in alternativa, l’uscita da scuola durante il tempo occorrente per la consumazione del pasto, con il conseguente divieto, in via generalizzata, di consumare a scuola il pasto portato da casa.

2. Il ricorso contestava, in sintesi:

a) l’incompetenza del dirigente nell’annullare il regolamento scolastico sul pasto domestico datato 13 dicembre 2017, in quanto la relativa competenza sarebbe spettata al Consiglio di Istituto;
la violazione degli artt. 7, 8, 9 e 10 della legge n. 241/90 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento;
il difetto di motivazione del provvedimento, in assenza di qualsiasi riferimento all’organizzazione scolastica dei precedenti anni, in cui invece l’autorefezione era ammessa (primo motivo);

b) plurime violazioni di legge: partendo dal presupposto per il quale il tempo mensa rappresenta, a tutti gli effetti, “tempo scuola”, e richiamata la giurisprudenza civile ed amministrativa formatasi negli anni, si evidenziava che il servizio pubblico di ristorazione collettiva non è un servizio pubblico essenziale ed ha natura facoltativa;
viceversa, si assumeva che rendere obbligatorio il suddetto servizio avrebbe comportato la violazione del principio costituzionale della gratuità della scuola dell’obbligo, come previsto dall’art. 34 Cost. (secondo motivo);

c) ancora, la violazione del D.M. 31 dicembre 1983 e del decreto legislativo n. 63/2017, norme primarie che declinano il servizio in questione in termini di servizio locale a domanda individuale, oneroso e facoltativo (terzo motivo);

d) la carenza istruttoria rispetto agli obblighi derivanti dalla vigente normativa sulla gestione del rischio (art. 26, commi 3 e 3 ter, del decreto legislativo n. 81/2008), in quanto l’Amministrazione intimata ha introdotto un divieto generalizzato ed aprioristico di consumare il pasto preparato da casa, così sottraendosi alla responsabilità su di sé gravante nella gestione del locale refettorio e delle aree di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti (quarto motivo);

e) la violazione di leggi e trattati internazionali a presidio dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a partire dalla Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989, e con essa gli artt. 1, 2, 3, 5, 14, 16, 18, 19, 28 e 42 della legge di ratifica n. 176/91;
l’eccesso di potere per chiara disparità di trattamento, per la violazione del principio generale di uguaglianza, per carenza assoluta di istruttoria e di motivazione, di illogicità, di arbitrarietà e di ragionevolezza (quinto motivo).

3. Con la sentenza di cui all’epigrafe, il TAR del Lazio ha accolto il ricorso, reputando fondato il secondo motivo di impugnazione, con portata assorbente rispetto a tutti gli altri motivi, non esaminati.

In particolare, il TAR ha ritenuto che il servizio di ristorazione o refezione scolastica di cui al D.M. 31 dicembre 2013 rappresenta un servizio pubblico non essenziale, a domanda individuale, non obbligatorio ed anzi facoltativo, con la conseguenza che la sua fruizione è rimessa ad una libera determinazione e scelta dell’utente, il quale non è tenuto a richiederne la prestazione all’Ente titolare, potendone liberamente approvvigionarsi per altre vie.

Infine, il TAR ha condannato l’Amministrazione intimata a pagare ai ricorrenti le spese di lite, liquidandole in complessivi euro 1.500,00 (millecinquecento), oltre accessori di legge, nonché a restituire il contributo unificato.

3. Le parti appellanti hanno impugnato la pronuncia ed hanno censurato la correttezza del ragionamento logico giuridico seguito dal primo giudice attraverso la riproposizione delle argomentazioni difensive articolate nel primo grado del giudizio, corroborate, a loro dire, anche da parte della giurisprudenza amministrativa.

4. Le originarie ricorrenti hanno resistito al gravame.

5. Le parti hanno insistito sulle rispettive tesi difensive.

6. All’udienza pubblica del 28 giugno 2022, la causa è passata in decisione.

7. La Sezione ritiene che l’appello non sia fondato e che lo stesso debba essere, pertanto, respinto.

8. In particolare, la Sezione pone a base della reiezione del gravame alcune sentenze e ordinanze del Consiglio di Stato, con valore di precedente conforme specifico ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d), del c.p.a.

9. Anzitutto, la Sezione condivide il ragionamento logico-giuridico seguito dal Consiglio di Stato, Sezione VI, già in sede di cognizione cautelare (cfr. da ultimo l’ordinanza cautelare n. 1884 del 2020, che a sua volta conferma l’orientamento già espresso dalla Sezione con le precedenti ordinanze n. 6368 del 2019 e n. 298 del 2020).

Le argomentazioni sulle quali riposano i suddetti arresti giurisprudenziali possono essere così sinteticamente compendiate:

- considerato che, in materia, il servizio di ristorazione scolastica va qualificato alla stregua di un servizio facoltativo a domanda individuale meramente strumentale all’attività scolastica non riconducibile al diritto all’istruzione;

- atteso che, più in particolare, il servizio di mensa scolastica non può dirsi strettamente qualificante il servizio di pubblica istruzione;

- rilevato che l’autorefezione, quale esplicazione del diritto costituzionale alla scelta alimentare tutelato dagli articoli 2 e 32 Cost., deve avere pari dignità rispetto a qualsiasi altra scelta clinica, etica o religiosa, specie in presenza di un rischio per la salute psicologica del minore;

- considerato che l’autorefezione non comporta in alcun modo – di necessità - una modalità solitaria di consumazione del pasto, dovendosi, per quanto possibile, garantire, da parte dell’Amministrazione scolastica, la consumazione dei pasti degli studenti in un tempo condiviso che favorisca la loro socializzazione;

- ritenuto che il servizio di refezione scolastica, previsto dal D.M. 31 dicembre 1983, sia un servizio locale a domanda individuale, oneroso, facoltativo sia per l’ente locale, libero anche di non erogarlo, sia per l’utenza, libera di non servirsene;

- atteso che tale facoltatività reciproca è stata conferma dal recente d.lgs 63/2017, il cui art. 6 prevede che i servizi di mensa siano “attivabili a richiesta degli interessati”;

- ritenuto pertanto che, in caso di autorefezione giustificata, competa principalmente all’amministrazione scolastica ed a quella comunale adottare le corrette procedure per gestire i rischi da interferenze, con applicazione dell’art. 26, commi 3 e 3 ter d.lgs n. 81/2008, pienamente calzante al caso dei refettori scolastici, ossia con conseguente adeguamento del documento unico di valutazione dei rischi, individuati i quali non resta che determinare gli strumenti e “le misure per eliminare o, ove ciò non è possibile, ridurre al minimo” i medesimi (cfr. art. 26 comma 3 cit., su cui Consiglio di Stato, sez. VI, ord.za n. 1623 del 2019 e nota MIUR n. 348/17);

- atteso che spetta al corpo docente la vigilanza sui minori, volta ad evitare che vi siano scambi incontrollati di alimenti;

- considerato che trattasi di identica funzione rispetto a quella che, presumibilmente, lo stesso corpo è chiamato ad assolvere anche durante gli intervalli del mattino, in occasione delle merende;

- ritenuto conclusivamente, nei termini già evidenziati dalla Sezione, che la tutela di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti nella fattispecie, si attua attraverso l’ordinaria attività di vigilanza di competenza dell’istituzione scolastica, mediante il proprio personale, nel momento di consumazione del pasto nell’ambito dello stesso refettorio;

- considerato che ogni ulteriore approfondimento delle invero complesse questioni dedotte in giudizio (anche con riferimento alla giurisprudenza delle Sezioni Unite: sentenza n. 20504/2019) va riservato alla sentenza definitiva del giudizio, a cognizione piena ed esauriente, nel quale si dovranno enucleare, in termini di principio e ferme le scelte organizzative dell’Amministrazione scolastica, le condizioni e le modalità per la definizione di un bilanciato assetto di interessi e valori coinvolti nel servizio, che consentano di conciliare posizioni individuali ed esigenze collettive;

- ritenuto che pertanto sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda cautelare, vertendosi in materia di situazioni giuridiche soggettive relative alla tutela della persona umana sia pure nell’ambito dell’organizzazione di un pubblico servizio;

- atteso che, in termini di fumus boni juris, il divieto generalizzato di consumare i pasti domestici all’interno dei locali destinati al servizio di refezione scolastica in compagnia degli altri alunni, non può che ritenersi inficiato dalla dedotta violazione del principio di proporzionalità;

- rilevato che, in termini di periculum in mora, assume rilievo preminente la natura non patrimoniale (per contenuto e funzione) delle situazioni giuridiche soggettive dedotte in giudizio, esposte a pregiudizi non adeguatamente reintegrabili per equivalente monetario in caso di protrazione dello stato di insoddisfazione per tutta la durata del giudizio, anche a fronte di un’udienza di merito già fissata in primo grado per il giorno 18.3.2020 ”.

10. L’indirizzo interpretativo appena illustrato è conforme ai principi di diritto enunciati dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5156/2018, all’esito dell’accertamento tipico del giudizio ordinario di cognizione, nell’ambito di una controversia instaurata da un gruppo di genitori di alunni frequentanti le scuole materne ed elementari del Comune di Benevento.

Più in particolare, sebbene quel contenzioso si sia fondato su ragioni di censura diverse da quelle prospettate nel presente adottate dal Comune di Benevento, in quanto in quel caso si discuteva della legittimità della regolamentazione del servizio obbligatorio di refezione scolastica sotto il profilo della competenza degli organi comunali (il Consiglio e la Giunta Comunale di Benevento) ad adottare gli atti impugnati in luogo dei dirigenti scolastici, mentre nel presente contenzioso si discute ex sé della legittimità della natura obbligatoria della refezione scolastica, essendo stati gli atti impugnati emanati, per l’appunto, dai dirigenti scolastici, le considerazioni giuridiche espresse in quella pronuncia sono decisive anche ai fini della decisione del presente ricorso, in quanto vengono svolte fondamentali argomentazioni, da questa Sezione condivise e fatte proprie, circa la natura giuridica del servizio pubblico di refezione scolastica (con tutti i connessi corollari in tema di non essenzialità del servizio pubblico e facoltatività della fruizione della prestazione offerta dall’Ente scolastico) e circa il contenuto della responsabilità dell’Istituto scolastico medesimo per l’organizzazione e gestione del rischio durante la somministrazione degli alimenti nelle mense o refettori.

In particolare, secondo l’indirizzo interpretativo seguito da questa pronuncia, la decisione di interdire il consumo di cibi portati da casa, attraverso lo strumentale e astratto divieto di permanenza nei locali scolastici degli alunni che intendono pranzare con alimenti diversi da quelli somministrati dalla refezione scolastica, limita una naturale facoltà dell’individuo afferente alla sua libertà personale e, se minore, della famiglia, in quanto la scelta alimentare, salvo che non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di sicurezza o decoro, è per sua natura e in principio libera, e si esplica vuoi all’interno delle mura domestiche vuoi al loro esterno: in luoghi altrui, in luoghi aperti al pubblico, in luoghi pubblici.

Nel dettaglio, secondo la pronuncia in commento, “ Occorre pertanto, per poter legittimamente restringere da parte della pubblica autorità una tale naturale facoltà dell’individuo o per esso della famiglia, che sussistano dimostrate e proporzionali ragioni inerenti quegli opposti interessi pubblici o generali. Queste ragioni, vertendosi di libertà individuali e nell’ambiente scolastico, non possono surrettiziamente consistere nelle mere esigenze di economicità di un servizio generale esternalizzato e del quale non si intende fruire perché non intrinseco, ma collaterale alla funzione educativa scolastica;
e che invece, nella situazione restrittiva data, verrebbe senz’altro privilegiato a tutto scapito della libertà in questione.

Nella specie, la restrizione praticata con l’impugnato regolamento – che nemmeno si preoccupa di ricercare un bilanciamento degli interessi - manifestamente non corrisponde ai canoni di idoneità, coerenza, proporzionalità e necessarietà rispetto all’obiettivo - dichiaratamente perseguito - di prevenire il rischio igienico-sanitario. E l’assunto che “il consumo di parti confezionati a domicilio o comunque acquistati autonomamente potrebbe rappresentare un comportamento non corretto dal punto di vista nutrizionale” si manifesta irrispettoso delle rammentate libertà e comunque è apodittico.

L’inidoneità e l’incoerenza della misura emerge in particolare dalla considerazione che non risulta, ad esempio, inibito agli alunni il consumo di merende portate da casa, durante l’orario scolastico: per analogia, si potrebbe addurre infatti anche per queste la sollevata problematica del rischio igienico-sanitario.

Da un altro lato, per ciò che concerne la proporzionalità e la necessità della misura, occorre rilevare che la sicurezza igienica degli alimenti portati da casa non può essere esclusa a priori attraverso una regolamento comunale: ma va rimessa al prudente apprezzamento e al controllo in concreto dei singoli direttori scolastici, mediante l’eventuale adozione di misure specifiche, da valutare caso per caso, necessarie ad assicurare, mediante accurato vaglio, la sicurezza generale degli alimenti.

La tassativa e rigorosa prescrizione regolamentare che ha introdotto il divieto di permanenza nei locali scolastici per gli alunni che intendono consumare cibi portati da casa (o acquistati autonomamente) si rivela, pertanto, affetta da eccesso di potere per irragionevolezza, in quanto misura inidonea e sproporzionata rispetto al fine perseguito .”.

11. I rammentati principi sono stati confermati in seguito dal Consiglio di Stato, con le sentenze n. 2851 e n. 5247 del 2021, su fattispecie analoghe all’odierno contezioso.

12. La Sezione non condivide, all’opposto, le argomentazioni espresse dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1817 del 2020, che ha incentrato l’accoglimento dell’appello, e dunque il rigetto del ricorso di primo grado instaurato dalle famiglie degli alunni, sulla natura giuridica della pretesa azionata, alla luce dell’orientamento espresso dalla Corte di cassazione, sez. un., 30 luglio 2019, n. 20504, e che non valgono a scalfire la validità delle considerazioni espresse dalla menzionata sentenza del Consiglio di Stato n. 5156 del 2018.

13. In definitiva, alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello va, quindi, respinto.

14. La peculiarità della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

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