Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-06, n. 202301230
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Testo completo
Pubblicato il 06/02/2023
N. 01230/2023REG.PROV.COLL.
N. 06074/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6074 del 2018, proposto da:
Parrocchia di S. Martino Vescovo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati G F e D S, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F D M in Roma, via Pompeo Magno, 2/B
contro
Comune di Carpi, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati C O e M E M, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G M G in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 132/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Carpi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Laura Marzano;
Uditi, nell'udienza straordinaria del giorno 13 gennaio 2023, gli avvocati G F per parte appellante e C O per parte appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Parrocchia di S. Martino Vescovo di San Martino Secchia di Carpi ha impugnato la sentenza del TAR Emilia Romagna, di reiezione del ricorso proposto per l’annullamento del provvedimento in data 8 luglio 2011, con cui il Comune di Carpi ha quantificato in € 47.586,76 la somma dovuta a titolo di contributo di costruzione, in relazione alla domanda di accertamento di conformità ex art. 17 della legge regionale n. 23/2004, presentata dalla Parrocchia in data 11 novembre 2010.
Il Comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Le parti hanno depositato memorie conclusive e repliche e all’udienza straordinaria del 13 gennaio 2023, sentiti i difensori presenti, la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L’appellante espone come segue i fatti di causa.
In data 25 luglio 2009 la Parrocchia di San Martino Vescovo presentò al Comune di Carpi (previa acquisizione del nulla osta della Soprintendenza) la dichiarazione di inizio attività (DIA) prot. n. 36746 per il recupero della canonica, gravemente ammalorata.
L’intervento progettato ed autorizzato dal Comune prevedeva il rifacimento di tutti i solai.
Nel corso dei lavori, precisamente nell’aprile del 2010, si verificò un collasso strutturale parziale nell’ala est del complesso edilizio, che interessò l’edificio principale (canonica) e il primo blocco degli annessi adiacenti.
Il geometra coordinatore della sicurezza, dopo un attento sopralluogo, rilevò gravi lesioni al fabbricato e ordinò la demolizione totale dei blocchi 2 e 3 degli annessi laterali (che erano stati gravemente danneggiati dal collasso della canonica) e del primo blocco adiacente, tutti corpi slegati dalla porzione del fabbricato principale, rimasto inalterato, che sarebbero dovuti essere ricostruiti.
In data 22 aprile 2010 il Comune di Carpi ordinò la sospensione dei lavori, quando erano state iniziate solamente le nuove fondazioni.
La Parrocchia, in data 11 novembre 2010, presentò una DIA in sanatoria (sostanzialmente una domanda di accertamento di conformità ex art. 17 della legge regionale n. 23/2004).
Il Comune rilasciò l’autorizzazione paesaggistica, in data 5 luglio 2011, dopo avere acquisito il parere vincolante (favorevole) della Soprintendenza.
Infine, con provvedimento in data 8 luglio 2011, il Comune di Carpi quantificò in € 500,00 la somma dovuta a titolo di oblazione ex art. 17, comma 3, L.R. 23/2004 e in € 47.586,76 la somma dovuta a titolo di contributo di costruzione.
3. La Parrocchia, pur avendo provveduto al pagamento di tali somme, ha impugnato la sanzione irrogata dinanzi al TAR Emilia Romagna il quale, con sentenza n. 132 del 7 febbraio 2018, lo ha respinto osservando in sintesi quanto segue:
- il contributo di costruzione da corrispondere a titolo di oblazione non riguarda soltanto l’inizio delle fondazioni, ma anche l’avvenuta demolizione del fabbricato, nella prospettiva della ricostruzione che deve riprodurre le caratteristiche esterne del fabbricato demolito sicché l’accertamento di conformità non può riguardare solo ciò che è stato già realizzato ma l’intero, trattandosi di edificio che insiste su una area di PRG soggetta a diversi vincoli, tra i quali quello relativo agli edifici di interesse storico-architettonico-testimoniale, che impone la ricostruzione filologica di parti dell’edificio eventualmente crollate o demolite;
- l’intervento edilizio segnalato con la DIA in sanatoria è una ristrutturazione edilizia poiché il suo esito è la creazione di un organismo edilizio in parte nuovo rispetto al preesistente e cioè la ricostruzione dell’intero complesso, costituito da canonica e blocchi annessi adiacenti, per realizzare una residenza collettiva per monaci, con conseguente variazione dello stato di fatto nella definizione degli ambienti interni, variazioni suffragate dalle esigenze della nuova destinazione d’uso;
- le somme richieste sono state determinate correttamente ai sensi della lettera a) dell’art. 17, comma 3, L.R. 23/2004 anche se distinte in due voci;
- quando si tratta di interventi in sanatoria la somma da pagare a titolo di oblazione è calcolata in misura pari a quanto dispone la normativa regionale e comunale, come ha fatto il Comune.
4. L’appellante ritiene errata la sentenza per i seguenti motivi.
I) Violazione dell’art. 17 L.R. 23/2004 e dell’art. 36 DPR 380/2001; errore nei presupposti.
Il Comune di Carpi ha calcolato il contributo di costruzione muovendo dal presupposto che le opere realizzate siano le seguenti: 1) demolizione completa del fabbricato; 2) ricostruzione dello stesso, previa realizzazione di fondazioni.
Si tratterebbe di presupposto errato dal momento che, alla data di presentazione della DIA in sanatoria (ed anche alla data della notifica del provvedimento impugnato), non era ancora stato ricostruito nulla, essendo state soltanto iniziate le fondazioni: pertanto il Comune avrebbe dovuto calcolare il contributo di costruzione solo con riferimento alle opere già concretamente realizzate (fondazioni) e non con riferimento alle opere ancora da realizzare (ricostruzione del fabbricato).
Quindi l’appellante osserva, da una parte, che l’unica attività sanzionabile come intervento non autorizzato sarebbe stata l’intervenuta demolizione; dall’altra che, dalla considerazione del TAR secondo cui la sola demolizione non potrebbe ottenere la sanatoria, non discenderebbe affatto che la ricostruzione debba essere necessariamente assoggettata al regime sanzionatorio della sanatoria.
Anche la circostanza pacifica che la ricostruzione debba avvenire in modo conforme non rileverebbe ai fini della quantificazione della sanzione per l’accertamento di conformità, dal momento che l'art. 36 del DPR 380/2001 prevede che l'accertamento di conformità riguardi gli “interventi realizzati” e che nello stesso senso si esprime l'art. 17 della legge regionale 21 ottobre 2004 n. 23.
A parere dell’appellante il Comune avrebbe dovuto sanare l’intervenuta demolizione e assentire in via “ordinaria” la fedele ricostruzione.
Aggiunge che la sanatoria è stata chiesta in ragione dell’intervenuto imprevisto crollo, fermo restando il risultato finale già assentito; dunque la difformità da sanare sarebbe consistita soltanto nelle diverse modalità esecutive dell’intervento edilizio, sicché non si sarebbe potuta applicare la sanzione all’intero fabbricato, come se fosse completamente abusivo, essendo pacifico che l’unico abuso sarebbe la demolizione non prevista.
L’opinamento contrario costituirebbe una deroga al requisito legale della doppia conformità; si finirebbe con l’ammettere una conformità ex post , conseguente alla realizzazione di ulteriori interventi, una conformità, quindi, che non esisterebbe al momento della presentazione della domanda di sanatoria, ma che verrebbe eventualmente ad esistere solo successivamente.
II) Violazione dell’art. 17 L.R. 23/2004 e dell’art. 36 DPR 380/2001; erronea qualificazione dell’intervento e della natura dell’abuso.
Il Comune erroneamente avrebbe qualificato l’intervento edilizio come “ ristrutturazione attraverso completa demolizione e ricostruzione, con identica sagoma ”, trattandosi, invece, di restauro e risanamento conservativo, come