Consiglio di Stato, sez. C, parere definitivo 2017-06-14, n. 201701405

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. C, parere definitivo 2017-06-14, n. 201701405
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701405
Data del deposito : 14 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00927/2017 AFFARE

Numero 01405/2017 e data 14/06/2017 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Adunanza della Commissione speciale del 31 maggio 2017




NUMERO AFFARE

00927/2017

OGGETTO:

Ministero del lavoro e delle politiche sociali.


Richiesta di parere, ai sensi dell’articolo 20, comma 3, lettera a), della legge 15 marzo 1997, n. 59, sullo schema di decreto legislativo recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106».

LA SEZIONE

Vista la relazione prot. n. 3536 del 23 maggio 2017, pervenuta il successivo 24 maggio, con cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 70 del 29 maggio 2017, che ha istituito la Commissione speciale per la trattazione dell’affare in oggetto;

Tenuto conto dell’audizione dei rappresentanti delle Amministrazioni proponenti nelle persone del Capo Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Vice Capo vicario dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Direttore generale del terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del Capo Ufficio legislativo Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché di due esperti dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, avvenuta ai sensi dell’art. 21 del R.D. 26 giugno 1924 n. 1054, in data 31 maggio 2017;

Considerato che nell’adunanza del 31 maggio 2017, presente anche il Presidente aggiunto Paolo Troiano, la Commissione Speciale ha esaminato gli atti e udito i relatori Consiglieri Vincenzo Neri, Dario Simeoli, Stefania Santoleri, Italo Volpe e Giuseppa Carluccio;


PREMESSO E CONSIDERATO


1.‒ LA RICHIESTA DI PARERE

Con nota del 24 maggio 2017, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha trasmesso al Consiglio di Stato ‒ per l’espressione del parere previsto dall’articolo 20, comma 3, lettera a ), della legge 15 marzo 1997, n. 59 ‒ il testo del provvedimento indicato in oggetto, approvato in via preliminare nella riunione del Consiglio dei Ministri del 12 maggio 2017.

Lo schema di decreto è accompagnato da una relazione illustrativa e tecnica, dalla relazione concernente l’analisi tecnico-normativa e dalla relazione dell’analisi di impatto della regolamentazione che descrive, accanto al quadro normativo di interesse, le ragioni e gli obiettivi dell’intervento regolatorio e gli indicatori individuati per la verifica del raggiungimento di questi ultimi, il procedimento di consultazione pubblica e la valutazione delle opzioni alternative.

Il Consiglio di Stato, nel quadro delle sue funzioni «di consulenza giuridico-amministrativa» (articolo 100, primo comma, Cost.), è organo tecnico di ausilio, in posizione di indipendenza, nell’attività di regolazione. La «qualità» dei testi normativi viene da questo Istituto apprezzata in termini sia formali che sostanziali: le disposizioni devono essere sì chiare, coerenti, intellegibili e accessibili ma anche tradursi in regole «buone» e capaci di trovare concreta attuazione (cfr., per tutti, il parere sez. norm. 24 febbraio 2016, n. 515).

Proprio considerando l’esigenza di curare in modo adeguato la qualità dei testi normativi, prima di procedere all’emanazione del parere questo Consiglio di Stato non può non dolersi del rilevante ritardo con cui è stato trasmesso lo schema in oggetto, considerata la prossimità della scadenza della delega (poco più di un mese) e la necessità che sul testo si pronuncino ancora le Commissioni parlamentari competenti.

Questo ritardo non consente l’esame di un intervento così rilevante (un corpus di oltre 100 articoli) in tempi fisiologici per il necessario approfondimento tecnico-giuridico, il tutto mettendo a rischio – si ripete – la qualità finale del testo e la sua capacità di produrre i benefici attesi per il Paese.

Ciò nonostante, attesa la estrema importanza dell’intervento normativo per una materia – quella del cd. “Terzo settore” – così socialmente rilevante, questo Consiglio – tramite un’apposita Commissione speciale, che ha integrato i magistrati della Sezione normativa con magistrati provenienti dalle Sezioni giurisdizionali – ha ritenuto di procedere comunque a una trattazione per quanto possibile ampia e approfondita, pur in tempi ben inferiori a quelli previsti dalla legge per l’emanazione del parere.

L’eccezionalità di tale modo di procedere non appare, però, agevolmente ripetibile, se non a scapito del corretto svolgimento delle funzioni giurisdizionali e consultive dell’Istituto.

Invita, pertanto, il Governo a considerare che, in futuro, in condizioni analoghe sarà difficilmente possibile rendere il parere.


2.‒ CONSIDERAZIONI DI ORDINE GENERALE SUL «TERZO SETTORE»

Il fenomeno del non profit ‒ ovvero delle organizzazioni private che svolgono attività di utilità sociale, perseguendo obiettivi diversi dal profitto ‒ ha una storia antica (basti pensare alle IPAB istituite dalla legge Crispi del 1890 e agli enti ecclesiastici riconosciuti dagli accordi fra lo Stato e la Santa Sede). Pur essendo da molto tempo presenti nella società e noti all’Ordinamento, gli enti non lucrativi hanno oggi esteso in modo esponenziale la loro azione al punto da ingenerare nuove e più consistenti esigenze regolative.

Nel codice civile del 1942 l’attività delle comunità intermedie era costretta in una dimensione «rigidamente statalistica». Associazioni e fondazioni figuravano quali enti «para-pubblicistici» e il potere amministrativo esercitava su di essi una penetrante funzione tutoria: dalla “concessione” della personalità giuridica al defatigante sistema di controlli, autorizzazioni e vincoli apposti alla loro attività interna ed esterna.

Il marcato disallineamento realizzatosi con il sopravvenuto dettato costituzionale ‒ che all’articolo 2 promuove le «formazioni sociali» ove si svolge la personalità del singolo ‒ non ha sortito effetti per molti anni.

Soltanto alla fine del secolo appena trascorso sono proliferate discipline settoriali degli enti non profit , la cui impronta regolativa ‒ a differenza delle disposizioni del Libro I del codice civile, incentrate sul funzionamento interno e sull’imputazione collettiva della responsabilità ‒ è connotata dall’introduzione di regimi fiscali agevolativi e dalla predisposizione di vincoli «positivi» riguardanti le attività esercitabili e la destinazione dei risultati.

Tale tipizzazione normativa, disarmonica e frammentata, ha fatto emergere l’esigenza di ricondurre la materia in esame a un disegno coerente e organico.

Gli enti non profit sono assai diversificati in relazione alle tipologie giuridiche, alle caratteristiche produttive, alle configurazioni organizzative, alla direzione finalistica ( mutual benefit o public service ) e ai campi operativi (assistenza, sanità, scuola, ricerca, formazione, ambiente, arte e sport).

Da tempo se ne propone la confluenza nell’ampia nozione trans-tipica di «Terzo settore», per differenziarli rispetto agli altri due settori della vita sociale: la Pubblica Amministrazione ‒ i cui apparati, regolati dalla legge e finanziati dalla fiscalità generale, perseguono finalità (non solo collettive ma anche) “pubbliche” ‒ e il Mercato ‒ dove le imprese private operano con finalità lucrative finanziate dal capitale di rischio.

La categorizzazione enfatizza l’importanza di questa vera e propria area di «economia sociale» in concomitanza con i fenomeni di government failure (inadeguatezza dell’intervento statale a cagione della crisi fiscale) e market failure (impossibilità per il mercato informato al sistema dei prezzi di soddisfare determinati interessi generali).

In un contesto di crescente domanda di servizi sociali, si auspica un alleggerimento dell’intervento pubblico, a tutto vantaggio dell’iniziativa privata, la quale si approvvigiona mediante il ricorso a forme di autofinanziamento e con le attività che provengono dall’apporto disinteressato dei singoli.

Il ruolo assunto dal privato sociale trova corrispondenza nel principio organizzativo che dimensiona lo spazio del potere pubblico secondo la matrice della «sussidiarietà». Mentre la sussidiarietà «verticale» privilegia (nell’allocazione delle funzioni amministrative) l’ambito istituzionale più vicino al tessuto sociale, la sua dimensione «orizzontale» (o «sociale») imprime un verso di sviluppo che modifica i rapporti tra istituzioni e società. Le realtà organizzative espressive della comunità vengono così investite di compiti tradizionalmente riservati alla sfera pubblica, secondo un modello che dal 2001 ha trovato un riconoscimento anche costituzionale nel nuovo quarto comma dell’art. 118 Cost. (cfr. il parere n. 1354/2002 del 1° luglio 2002).


2.1.‒ LA LEGGE DELEGA

L’intervento normativo in esame è predisposto in attuazione della delega conferita al Governo con la legge 6 giugno 2016, n. 106, per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. Dopo anni in cui è prevalso nell’ordinamento un approccio occasionale e contingente, la delega prevede il riordino e la revisione organica della disciplina (anche fiscale) relativa agli enti del Terzo settore, mediante la redazione di un apposito «Codice del terzo settore».

Coerentemente con le criticità rilevate nella AIR ‒ segnatamente: l’incertezza normativa, la frammentazione della disciplina fiscale, l’eterogeneità degli strumenti di sostegno finanziario, la mancanza di strumenti di trasparenza patrimoniale, l’assenza di un sistema omogeneo di controlli, le deboli forme di interazione con i livelli della governance territoriale ‒ le direttrici del mandato parlamentare sono compendiabili nelle seguenti parole: sostegno , armonizzazione, accountability e semplificazione .


2.2.‒ LA STRUTTURA DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO

Lo schema di decreto legislativo in esame si compone di 104 articoli suddivisi in dodici Titoli.

I Titoli primo e secondo recano disposizioni di carattere generale relative agli enti del Terzo settore.

Il Titolo terzo prevede disposizioni in materia di volontari e di attività di volontariato.

I Titoli quarto e quinto disciplinano le specifiche tipologie di enti del Terzo settore, in particolare le associazioni e le fondazioni, le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le reti associative e le società di mutuo soccorso.

Il Titolo sesto disciplina il Registro unico nazionale del Terzo settore.

Il Titolo settimo reca la disciplina relativa ai rapporti con gli enti pubblici.

Il Titolo ottavo detta disposizioni in materia di promozione e di sostegno degli enti del Terzo settore prevedendo l’istituzione del Consiglio nazionale del Terzo settore, la disciplina dei centri di servizio per il volontariato e norme in materia di risorse finanziarie destinate agli enti medesimi.

Il Titolo nono reca disposizioni in materia di titoli di solidarietà degli enti del Terzo settore e altre forme di finanza sociale.

Il Titolo decimo disciplina il regime fiscale degli enti in parola.

Il Titolo undicesimo detta disposizioni in materia di controlli e coordinamento.

Infine, il Titolo dodicesimo reca disposizioni transitorie e finali.


3.‒ RILIEVI GENERALI SULL’INTERVENTO NORMATIVO

Il «Codice del terzo settore» ‒ oltre al consolidamento formale ‒ contiene una riconoscibile visione di sistema e una espressa enucleazione dei relativi principi informatori, introducendo al contempo elementi di effettiva semplificazione sostanziale.

Appaiono centrati i principali obiettivi perseguiti attraverso l’esercizio della delega: definire gli enti del Terzo settore nelle loro forme tipiche e atipiche;
armonizzare la disciplina applicabile (soprattutto fiscale);
configurare la struttura del Registro Unico Nazionale, con le relative condizioni di accesso e permanenza;
introdurre meccanismi di trasparenza, pubblicità e accountability , oltre che un sistema di controlli e vigilanza.

La Commissione speciale apprezza la decisione ‒ in quanto si muove nella direzione, auspicata dal Consiglio di Stato, di porre costante attenzione in sede regolatoria alla capacità delle astratte previsioni normative di trovare concreta attuazione ‒ di istituire presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, una Cabina di regia con il compito, tra l’altro, di monitorare lo stato di attuazione del Codice anche al fine di segnalare eventuali soluzioni correttive e di miglioramento.

Fermo restando l’apprezzamento generale sopra manifestato, si ritiene opportuno muovere alcuni rilievi e suggerimenti.

Prima di procedere all’esame dell’articolato, vengono di seguito anticipate alcune indicazioni di carattere generale.

a) Drafting

L’obiettivo di chiarezza ed esaustività del codice rischia di essere tradito se il linguaggio non è chiaro e univoco. Al tal fine la Commissione segnala l’opportunità di semplificare talune norme, ad esempio quelle in cui l’utilizzo di acronimi è sovrabbondante (paradigmatico al riguardo è l’articolo 62).

b) Sulla mancata attuazione di alcune parti della delega

La legge delega n. 106 del 2016 si era posta l’obiettivo, da realizzare attraverso l’adozione di più decreti legislativi, di operare un riordino complessivo ed organico del sistema normativo di riferimento. L’articolo 1, comma 2, lettera a ) stabiliva che i decreti legislativi delegati avrebbero dovuto provvedere anche: «alla revisione della disciplina del titolo II del libro primo del codice civile in materia di associazioni, fondazioni e altre istituzioni di carattere privato senza scopo di lucro, riconosciute come persone giuridiche o non riconosciute».

Il mandato del legislatore aveva un preciso fondamento. Gli sviluppi normativi e l’evoluzione sociale hanno nel corso del tempo progressivamente reso obsoleto e marginale il sistema codicistico originario. Si pensi ‒ oltre che al superamento della distinzione tra enti eretti in persona giuridica e organizzazioni di fatto e all’abrogazione del rigido sistema di controlli sugli acquisti ‒ alla «destrutturazione» degli enti, le cui tipologie concrete non trovano oramai corrispondenza negli “stampi” del 1942 (si pensi: alle fondazioni culturali e di partecipazione;
all’impresa sociale;
alle strutture caratterizzate dall’eterodestinazione dei risultati dell’attività).

La scelta del Governo di limitarsi a creare soltanto un sotto-settore delle associazioni e fondazioni operanti nel Terzo Settore avrà verosimilmente l’effetto di determinare un ulteriore svuotamento di contenuto normativo del Libro I del codice civile.

La Commissione speciale, pur dando atto che il concreto esercizio della delega legislativa costituisce una scelta che rientra nella discrezionalità propria del Governo, sottolinea che sarebbe stato auspicabile un intervento ancor più organico e completo.

c) Non profit e concorrenza

I Trattati Europei non attribuiscono all’Unione alcuna competenza in materia di enti non profit . Nonostante tale scelta di policy ‒ tradizionalmente giustificata in ragione della prossimità tra le attività degli enti non profit e i sistemi nazionali di welfare ‒ la competenza degli Stati membri deve, nondimeno, essere esercitata nel rispetto della disciplina in materia di concorrenza (CGCE, sentenza 14 settembre 2006 in causa C-386/04, Stauffer ). La Corte di Giustizia è costante nell’adottare una nozione funzionale di impresa, incentrata sullo svolgimento di attività economica, anziché sulle caratteristiche dell’operatore professionale: per “impresa” deve intendersi l’organismo che «esercita un’attività economica, offrendo beni e servizi su un determinato mercato, a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di finanziamento» (a partire quanto meno da CGCE, 23 aprile 1991, in causa C-41/90, Höfner ).

Su queste basi, il Codice del Terzo settore ‒ come emergerà meglio dall’esame dell’articolato ‒ potrebbe forse considerare con più attenzione la necessità (imposta dal diritto europeo) di mediare le due contrapposte esigenze: valorizzare le organizzazioni non lucrative e, al contempo, salvaguardare gli equilibri funzionali del libero mercato.

d) La tutela di oblatori e beneficiari

È stato osservato che le attività delle organizzazioni non lucrative hanno sovente ad oggetto la fornitura di un bene a fruizione collettiva o, comunque, una prestazione nella quale chi «acquista» il servizio attraverso la donazione è persona diversa dall’utente. Esiste dunque l’esigenza di proteggere la fiducia di oblatori e beneficiari, consentendo loro di sorvegliare la qualità dei servizi resi e la rispondenza alle aspettative.

Sul punto, le risposte del Codice sembrano non del tutto calibrate allo scopo.

L’articolo 28, ad esempio, estende alle associazioni e fondazioni operanti nel Terzo settore le previsioni degli articoli 2392, 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis, 2395, 2396 e 2407 del codice civile e dell’articolo 15 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, in quanto compatibili.

Sennonché, tali norme sono tutte incentrate sul «danno patrimoniale» (diretto e indiretto) subiti da ente, creditori sociali, fondatore, associati e terzi. Sarebbe forse opportuno introdurre disposizioni specifiche (o almeno offrire le coordinate applicative di schemi tratti dal diritto comune) sulla legittimazione ad agire degli oblatori e dei beneficiari per l’invalidazione delle scelte distrattive dei gestori delle risorse ovvero per la condanna degli stessi al compimento di azioni positive. Si potrebbe per tale via dispiegare un efficace controllo decentralizzato su tutti gli atti aventi rilievo (l’articolo 29 riserva, infatti, la denunzia al tribunale e ai componenti dell’organo di controllo a un decimo degli associati, all’organo di controllo, al soggetto incaricato della revisione legale dei conti ovvero al pubblico ministero).


4.‒ OSSERVAZIONI SUI SINGOLI ARTICOLI

Seguendo l’ordine degli articoli del codice, si esprimeranno, ove occorra, talune osservazioni.


TITOLO I – DISPOSIZIONI GENERALI (artt. 1-3)


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