Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-05-23, n. 202305078
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Pubblicato il 23/05/2023
N. 05078/2023REG.PROV.COLL.
N. 00982/2019 REG.RIC.
N. 00984/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 982 del 2019, proposto da:
G P B, rappresentato e difeso dall'avvocato S S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cesena, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato F Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 984 del 2019, proposto da:
G P B, rappresentato e difeso dall'avvocato S S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cesena, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato F Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma:
A) Quanto al ricorso n. 982 del 2019 :
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna (sezione Prima) n. 00568/2018, resa tra le parti;
B) Quanto al ricorso n. 984 del 2019 :
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna (sezione Prima) n. 00569/2018, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione nei due giudizi in epigrafe del Comune di Cesena;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2023 il Consigliere Lorenzo Cordì e udito, per parte appellante, l’avvocato S S;
Lette le conclusioni rassegnate dalle parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
A. Il ricorso in appello R.G. n. 982/2019 .
1. Il sig. B ha proposto ricorso in appello avverso la sentenza n. 568/2018 con la quale il T.A.R. per l’Emilia Romagna – sede di Bologna ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza del 9.4.2013, con cui il Comune di Cesena aveva ordinato la demolizione di opere edilizie abusive eseguite in via Bolognesi (foglio 257 mappali 785, 176 e 178).
2. In punto di fatto l’appellante ha esposto di essere stato, dal 15.11.2011, usufruttuario dell’immobile oggetto del provvedimento sanzionatorio, mentre la sig.ra Ulrike Schneider (anch’essa ricorrente in primo grado) era stata nuda proprietaria. Inoltre, l’appellante ha evidenziato come il provvedimento comunale avesse riguardato abusi realizzati prima dell’acquisto del diritto di usufrutto, accertati dal Corpo Forestale dello Stato in data 30.11.2011. In particolare, Il Comune aveva contestato l’abusività delle seguenti opere:
A ) Edificio di civile abitazione, oggetto di intervento edilizio qualificabile come demolizione e ricostruzione con ampliamento e sopraelevazione (per tale immobile il Comune aveva contestato le seguenti violazioni:
i ) mancanza di autorizzazione paesaggistica, necessaria in quanto l’immobile ricade nella fascia di tutela dei 150 metri dal Rio Casalbono;
ii ) aumento dei volumi preesistenti dovuti alla sopraelevazione e all'ampliamento;
iii ) mancanza di permesso di costruire in violazione delle previsioni di cui all’art. 7 delle N.T.A. del P.R.G. e di cui all’art. 28 del codice della strada;
iv ) mancanza di autorizzazione/deposito sismico;
v ) violazione dell’altezza minima con riferimento al bagno soppalcato;
vi ) aumento della superficie utile lorda derivante dalla realizzazione del piano soppalcato);
B ) Edificio di servizio (per tale manufatto il Comune aveva contestato:
i ) mancanza di s.c.i.a. e di autorizzazione paesaggistica;
ii ) contrarietà del cambio di destinazione d’uso alle previsioni di cui all’art. 78 delle N.T.A. del P.R.G. e di cui all’allegato C al regolamento edilizio comunale;
iii ) mancanza di permesso di costruire e di autorizzazione sismica per la realizzazione del portico);
B1 ) manufatto 2 per 3 (c.d. serra) (per tale opera il Comune aveva contestato la mancanza di permesso di costruire);
C/D ) Pergolato/muro di contenimento di metri 19,20/sbancamento (per tali opere il Comune aveva contestato la mancanza di permesso di costruire);
E ) Manufatto 1 (container) (per tale opera il Comune aveva contestato la mancanza di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire);
F ) Manufatto 2 (tettoia e pergolato) (per tali opere il Comune aveva contestato la mancanza di permesso di costruire e di autorizzazione sismica).
3. Avverso tale provvedimento i sig.ri B e Schneider hanno proposto ricorso dinanzi al T.A.R. per l’Emilia Romagna, affidato a nove motivi:
i ) con il primo hanno dedotto l’illegittimità del provvedimento in quanto non responsabili della realizzazione degli abusi;
ii ) con il secondo hanno dedotto l’illegittimità del provvedimento nella parte in cui aveva ordinato all’usufruttuario di rimuovere le opere, ritenendolo responsabile della realizzazione degli abusi;
iii ) con il terzo hanno dedotto l’illegittimità dell’ordinanza in quanto non notificata al responsabile dell’abuso;
iv ) con il quarto hanno dedotto l’illegittimità dell’ordinanza nella parte relativa al mancato rispetto della fascia di rispetto e alla mancanza di autorizzazione paesaggistica degli edifici A, B, e E, evidenziando come il Comune avesse preso in considerazione la “ lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con la sponda o piede dell’argine del corso d’acqua ”, mentre sarebbe stato necessario tener conto dell’andamento del terreno posto in pendio, anche in ragione della forte pendenza tra gli edifici e il fiume;
v ) con il quinto hanno dedotto l’illegittimità dell’ordine di demolizione nella parte in cui aveva contestato la violazione della previsione di cui all’art. 8 della L.r. dell’Emilia Romagna n. 31/2022 per gli edifici B (edificio di servizio) e C/D (pergolato/muro di contenimento/sbancamento), suscettibili della sola sanzione pecuniaria;
vi ) con il sesto hanno dedotto l’illegittimità dell’ordine di demolizione relativamente alla realizzazione del portico dell’edificio di servizio B, all’edificio B1 (serra), alla struttura E (container), e alle opere F (tettoia e pergolato), in quanto interventi di carattere meramente pertinenziale;
vii ) con il settimo hanno dedotto l’illegittimità del provvedimento nella parte relativa al manufatto E, in quanto già rimosso;
viii ) con l’ottavo hanno dedotto l’inutilizzabilità della sanzione edilizia per la contestazione relativa alla violazione della normativa antisismica in relazione agli edifici A, B e F;
ix ) con il nono hanno dedotto la non necessità di titolo per il fabbricato A e per il fabbricato B, in quanto realizzati prima del 1967, come da dichiarazione di parte venditrice;inoltre, hanno dedotto l’impossibilità di adottare la sanzione demolitoria stante il lungo tempo trascorso e la mancanza di una motivazione in ordine all’attualità dell’interesse pubblico ad una simile misura.
4. Il T.A.R. per l’Emilia Romagna ha respinto il ricorso osservando, in primo luogo, che:
i ) era stata respinta l'istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata in data 3.10.2013 e limitata ai soli due edifici contraddistinti con le lettere A e B;
ii ) l’edificio B e il porticato in legno realizzato in adiacenza dello stesso sul lato nord erano stati parzialmente demoliti;erano, però, ancora presenti parti della struttura originaria (i pilastri laterali e una trave centrale);inoltre, era stato ripristinato l’uso agricolo;
iii ) il manufatto ad uso terra di cui al punto B era stato demolito;
iv ) il manufatto 1 di cui al punto E era stato rimosso;
v ) il manufatto 2, la tettoia ed il pergolato di cui al punto F dell'ordinanza erano stati demoliti.
4.1. Operate tali precisazioni il T.A.R. ha respinto il ricorso osservando che:
i ) l’ordinanza era stata legittimamente comunicata al nudo proprietario e all’usufruttuario stante il carattere reale della misura e considerata la previsione di cu all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001;
ii ) la parte non aveva provato concretamente che la distanza fosse superiore a 150 metri mentre il comune di Cesena aveva allegato la documentazione cartografica da cui si aveva desunto che i manufatti si trovassero a meno di 150 metri dal rio Casalbono;inoltre, la fascia di rispetto ambientale non doveva essere misurata seguendo l’orografia del terreno atteso che il diverso criterio comunale era coerente “ con la tutela del connesso vincolo paesaggistico che attiene alla percezione visiva del paesaggio che viene percepito dall'occhio umano sulla base di segmenti di linea retta che collegano l'osservatore alla porzione di paesaggio tutelata ”;in ultimo, si era trattato “ di un criterio il più possibile oggettivo di misurazione, maggiormente idoneo ad evitare contestazioni ”, e, “ in quanto tale, a soddisfare maggiormente le esigenze poste a base del vincolo ”;
iii ) i manufatti di cui alle lettere B (edificio di servizio), C/D (pergolato, muro di contenimento/sbancamento) erano stati, correttamente, inseriti nell’ordinanza di demolizione dovendosi provvedere ad una valutazione unitaria e non atomistica degli abusi;
iv ) era priva di interesse la censura relativa all’avvenuta demolizione del manufatto E;
v ) il generale potere di controllo sull’attività edilizia involge anche la verifica del rispetto della normativa antisismica;
vi ) era stata svolta adeguata istruttoria sull’epoca di realizzazione degli immobili A e B e il Comune non era vincolato ai dati presenti nel rogito d'acquisto;inoltre, l’Amministrazione aveva fatto riferimento ai dati risultanti dalla carta tecnica regionale e dalla documentazione fotografica aerea scattata in diverse fasi temporali;
vii ) l’abuso edilizio costituisce illecito permanente che richiede la sua repressione in ogni tempo.
5. il Sig. B ha proposto ricorso in appello deducendo:
i ) l’erroneità della sentenza del T.A.R. per non aver dichiarato l’ordine di demolizione inefficace stante la presentazione di istanza di sanatoria;
ii ) l’erroneità della sentenza nella parte relativa alla distanza tra il corso d’acqua e i manufatti A e B, stante le incertezze della misurazione eseguita dall’Amministrazione che non aveva conto della conformazione del terreno, e il mancato approfondimento istruttorio da parte del Giudice di primo grado;
iii ) l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuta legittima l’ordinanza di demolizione in relazione ad alcune opere, di carattere meramente pertinenziale e, come tali, suscettibili di mera sanzione pecuniaria;
iv ) l’erroneità della sentenza nella parte relativa all’utilizzo della sanzione edilizia per la contestazione delle violazioni della normativa antisismica;
v ) l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che gli edifici A e B non fossero stati edificati prima del 1967.
5. In data 17.2.2021 si è costituito in giudizio il Comune di Cesena chiedendo di respingere il ricorso in appello.
6. In vista dell’udienza pubblica dell’11.5.2023 le parti hanno depositano memorie conclusionali.
6.1. In particolare il Comune di Cesena ha:
i ) eccepito la carenza di interesse in ordine al primo motivo di ricorso in appello;
ii ) evidenziato la mancata riproposizione dei primi tre motivi del ricorso introduttivo (relativi alla legittimazione passiva dei destinatari dell’ordine demolitorio);
iii) dedotto l’infondatezza dei motivi di ricorso in appello.
6.2. Il sig. B ha depositato memoria conclusionale deducendo di non essere più proprietario dei beni e chiedendo di dichiarare il ricorso improcedibile per carenza di interesse in quanto, dalla circostanza sopra indicata, deriverebbe la perdita di efficacia del provvedimento. Inoltre, il sig. B ha insistito nell’eccezione di improcedibilità del ricorso stante l’intervenuta presentazione di istanza di sanatoria (successivamente respinta dal Comune di Cesena). Nel merito, il sig. B ha, altresì, insistito nei motivi di ricorso in appello.
6.3. Il sig. B ha depositato, altresì, memoria di replica.
6.4. All’udienza dell’11.5.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
B) Il ricorso in appello R.G. n. 984/2019 .
7. Con il ricorso in appello in epigrafe il sig. B ha proposto ricorso in appello avverso la sentenza n. 569/2018 con la quale il T.A.R. per l’Emilia Romagna – sede di Bologna ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento:
i ) del provvedimento P.G. n. 6436 del 23.01.2014 del dirigente del Settore Sviluppo Produttivo e Residenziale del Comune di Cesena (avente ad oggetto: “ richiesta di permesso di costruire in sanatoria per opere edilizie oggetto di ordinanza di demolizione e ripristino del 09.04.2013 P.G. n. 25592/72/E.A./a.c. in via Bolognesi ”), con il quale era stata rigettata l’istanza di permesso di costruire in sanatoria presentata dagli interessati in data 3.10.2013;
ii ) di ogni altro atto antecedente, conseguente, preordinato e comunque connesso, compreso l’atto di comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento emesso in data 11.10.2013 P.G. n. 78432.
8. Il provvedimento impugnato aveva respinto l’istanza di permesso in costruire in sanatoria, articolata con riferimento agli edifici A) e B), di cui al punto 2 della presente sentenza. In particolare, il Comune aveva respinto tale istanza evidenziando, con riferimento all’edificio A), che:
i ) le opere erano state realizzate in assenza di autorizzazione paesaggistica, necessaria in quanto l’immobile ricade nella fascia di tutela dei 150 metri dal Rio Casalbono;
ii ) era stato riscontrato un aumento dei volumi preesistenti dovuti alla sopraelevazione e all’ampliamento, con conseguente impossibilità di sanatoria paesaggistica postuma;
iii ) le opere erano state realizzate in assenza di permesso di costruire, in violazione dell’art. 12 della L.r. dell’Emilia-Romagna n. 31/2002, in contrasto con l’art. 7 delle N.T.A. del P.R.G. e dell’art. 26 del Regolamento del Codice della Strada, in quanto l’ampliamento non rispettava i dieci metri di distanza dalla strada vicinale;
iv ) l’asse stradale risultava classificato come strada vicinale di proprietà privata ad uso pubblico;
v ) le opere erano state realizzate in assenza di autorizzazione/deposito sismico in violazione dell’art. 94 del D.P.R. n. 380/2001 e della L.r. dell’Emilia Romagna n. 19/2008.
8.2. In relazione all’edificio B, il Comune aveva evidenziato che:
i ) le opere erano state realizzate in assenza di s.c.i.a. e di autorizzazione paesaggistica;
ii ) il cambio di destinazione d’uso da attrezzaia a servizi all’abitazione era in contrasto con l’art. 78 delle N.T.A. del P.R.G.;
iii ) si era riscontrata la violazione dell’art.1, lett. f ) dell’allegato “ C ” al Regolamento edilizio comunale che non ammette la costruzione di portici annessi alle attrezzaie;
iv ) il portico era stato realizzato senza titolo e in assenza di autorizzazione/verifica sismica.
9. Avverso tale provvedimento i signori B e Schneider hanno proposto ricorso dinanzi al T.A.R. per l’Emilia Romagna – sede di Bologna, affidato a quattro motivi.
9.1. Con il primo motivo hanno dedotto come fosse possibile presentare un’istanza ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 soltanto per taluni degli interventi interessati dall’ordinanza di demolizione, diversamente da quanto evidenziato dal Comune che aveva, comunque, valutato il merito dell’istanza.
9.2. Con il secondo motivo hanno dedotto l’illegittimità del diniego nella parte relativa al mancato rispetto della fascia di rispetto e alla mancanza di autorizzazione paesaggistica degli edifici A) e B), evidenziando come il Comune avesse preso in considerazione la “ lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con la sponda o piede dell’argine del corso d’acqua ”, mentre la misurazione corretta avrebbe dovuto tener conto dell’andamento del terreno posto in pendio, anche in ragione della forte pendenza tra gli edifici e il fiume.
9.3. Con il terzo motivo hanno dedotto l’illegittimità del diniego sia in relazione all’aumento dei volumi che alla ritenuta contrarietà alla disciplina urbanistica dell’area.
9.4. Con il quarto motivo hanno dedotto l’illegittimità del diniego con riferimento alle motivazioni indicate in relazione all’edificio B, ritenendole non sussistenti.
10. Il T.A.R. per l’Emilia Romagna – sede di Bologna ha respinto il ricorso osservando che:
i ) il primo motivo era inammissibile per carenza di interesse in quanto il Comune aveva evidenziato l’impossibilità di procedere ad una sanatoria parziale ma aveva, comunque, indicato le ragioni per le quali le opere indicate dall’istanza non erano, comunque, suscettibili di accertamento di conformità;
ii ) la parte non aveva provato concretamente che la distanza fosse superiore a 150 metri mentre il comune di Cesena aveva allegato la documentazione cartografica da cui aveva desunto come i manufatti si trovassero a meno di 150 metri dal rio Casalbono;inoltre, la fascia di rispetto non doveva essere misurata seguendo l’orografia del terreno atteso che il diverso criterio comunale era coerente “ con la tutela del connesso vincolo paesaggistico che attiene alla percezione visiva del paesaggio che viene percepito dall'occhio umano sulla base di segmenti di linea retta che collegano l'osservatore alla porzione di paesaggio tutelata ”;inoltre, si era trattato “ di un criterio il più possibile oggettivo di misurazione, maggiormente idoneo ad evitare contestazioni ”, e, “ in quanto tale, a soddisfare maggiormente le esigenze poste a base del vincolo ”;
iii ) per gli immobili soggetti a vincolo paesaggistico non è possibile la sanatoria in caso di interventi che abbiano comportano la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati, con conseguente impossibilità di ottenere la sanatoria per gli immobili sub A) e sub B);
iv ) la circostanza relativa all’incremento di volume generato dall'immobile B era stata contestata dalla parte, ma tali deduzioni dovevano ritenersi infondate tenuto conto dell’assenza di un titolo edilizio relativo al manufatto;
v ) dall'analisi della carta tecnica regionale del 1979 si era evinta la presenza di due manufatti diversi da quelli rappresentati nella carta tecnica regionale del 1968, ma comunque posti in un'area di sedime non coincidente all'area di sedime del fabbricato a servizio attuale;solo dall'esame della carta tecnica regionale del 1997 era risultato un manufatto nell'area di sedime del fabbricato a servizio attuale, mentre la sagoma non era pienamente corrispondente a quella del fabbricato presente;di conseguenza il fabbricato sub B) doveva ritenersi realizzato in epoca successiva al 1967.
11. il Sig. B ha proposto ricorso in appello deducendo:
i ) l’erroneità della sentenza nella parte relativa alla distanza tra il corso d’acqua e i manufatti A e B, stante le incertezze della misurazione eseguita che non aveva conto della conformazione del terreno, e considerato che il T.A.R. aveva omesso di disporre approfondimenti istruttori;
ii ) l’erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuta legittimo il diniego in relazione ai manufatti A e B, riproponendo, in sostanza, le censure già articolate su tali punti nel ricorso introduttivo del giudizio.
12. In data 17.2.2021 si è costituito in giudizio il Comune di Cesena chiedendo di respingere il ricorso in appello.
13. In vista dell’udienza pubblica dell’11.5.2023 le parti hanno depositano memorie conclusionali.
13.1. In particolare il Comune di Cesena ha dedotto l’infondatezza dei motivi di ricorso in appello.
13.2. Il sig. B ha depositato memoria conclusionale deducendo di non essere più proprietario dei beni e chiedendo di dichiarare il ricorso improcedibile per carenza di interesse in quanto, da tale circostanza, deriverebbe la perdita di efficacia del provvedimento di demolizione. Nel merito, il sig. B ha insistito nei motivi di ricorso in appello.
13.3. Il sig. B ha, inoltre, depositato memoria di replica.
13.4. All’udienza dell’11.5.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
C. Riunione dei giudizi R.G. n. 982/2019 e R.G. n. 984/2019 .
14. Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei giudizi in epigrafe ritenendone sussistenti i presupposti. Secondo consolidata giurisprudenza la verifica circa i presupposti per la riunione dei giudizi è rimessa ad una valutazione discrezionale del Collegio ( cfr ., ex multis , Consiglio di Stato, sez. VI, 7 giugno 2018, n. 4647): nel caso di specie, sussiste una connessione oggettiva tra i giudizi in quanto entrambi relativi alla medesima vicenda amministrativa.
D. Sull’improcedibilità dei ricorsi in appelli .
15. Preliminarmente il Collegio deve esaminare l’istanza della parte appellante di dichiarare i ricorsi in appello improcedibili stante l’alienazione del bene, dalla quale discenderebbe la perdita di efficacia del provvedimento sanzionatorio.
15.1. L’istanza di parte appellante non si traduce, quindi, in un atto di disposizione del diritto alla tutela giurisdizionale e, in particolare, nella rinuncia ai ricorsi che comporterebbe per il Collegio l’obbligo di prenderne atto, dichiarando, pertanto, il giudizio estinto ex art. 35, comma 2, lett. c ), c.p.a. Al contrario, la formulazione dell’istanza (e le motivazioni a sostegno della stessa) impongono al Collegio di verificare la perdurante sussistenza del proprio dovere decisorio. Verifica da effettuare accertando se il sopravvenuto mutamento, in pendenza di giudizio, dell’assetto di interesse attuato tra le parti integri i presupposti per ritenere effettivamente certa e definitiva l’inutilità della sentenza, potendosi affermare che sia venuta meno qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, derivante da una possibile pronuncia di accoglimento ( cfr .: Consiglio di Stato, sez. II, 29 gennaio 2020, n. 742;Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 settembre 2022, n. 7895;Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 marzo 2023, n. 2560).
15.2. Procedendo a tale disamina il Collegio osserva, in primo luogo, come l’alienazione del bene inciso da un provvedimento demolitorio non sia circostanza che elida ex se l’interesse alla decisione giurisdizionale. Occorre, infatti, considerare come l’alienazione del bene (che, nel caso di specie, si realizza, invero, mediante la risoluzione del precedente contratto di compravendita, con conseguente retrocessione del diritto di proprietà) non renda invalido il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Amministrazione atteso che i presupposti di validità devono valutarsi con riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento dell’emanazione del provvedimento, con conseguente irrilevanza delle circostanze successive, le quali non possono incidere ex post su precedenti atti amministrativi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2023, n. 4918). In secondo luogo, occorre considerare come l’alienazione del bene non comporti la perdita di efficacia del provvedimento repressivo adottato dall’Amministrazione il quale continua ad imporre l’obbligo di rimozione delle opere abusive al destinatario dello stesso, potendo tale circostanza precludere, in ipotesi, soltanto l’adozione degli eventuali successi atti previsti dalla disposizione di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001.
15.3. In ragione di quanto esposto deve, quindi, escludersi che, dinanzi ad un provvedimento valido ed efficace, la parte abbia definitivamente e certamente perso l’interesse ad una decisione sul merito del proprio ricorso e che, conseguentemente, sia venuto meno il dovere di decidere il merito della controversia.
15.4. Un discorso differente deve, invece, articolarsi con riferimento al secondo ricorso in appello atteso che l’alienazione del bene comporta che l’eventuale sanatoria porterebbe certamente un’utilità all’attuale proprietario mentre non sembrerebbe, prima facie , attribuirebbe alcun vantaggio al precedente, il quale potrebbe, quindi, ritenersi non più interessato alla decisione sul merito. Occorre, tuttavia, considerare come l’annullamento del diniego di sanatoria spiegherebbe, comunque, effetti sull’ordinanza di demolizione che, come spiegato, in precedenza è da ritenersi ancora valida ed efficace. Pertanto, sotto questo profilo non sarebbe ipotizzabile una sicura inutilità della pronuncia sul merito del secondo ricorso in appello.
15.5. In definitiva il Collegio ritiene non sussistenti i presupposti per dichiarare i ricorsi in appello improcedibili, dovendo, quindi, procedere alla disamina del merito di tali ricorsi, attesa anche (come spiegato in apertura della presente parte) la carenza di un atto di rinuncia che elida il dovere decisorio sul merito delle controversie.
E. Ragioni della decisione del ricorso in appello R.G. n. 982/2019 .
16. Prendendo l’abbrivio dal primo dei due ricorsi riuniti, il Collegio precisa, in primo luogo, come non siano riproposti – sotto forma di impugnazione della sentenza del T.A.R. – i primi tre motivi del ricorso introduttivo del giudizio che, pertanto, non costituiscono parte del thema decidendum di questo giudizio di appello.
16.1. Procedendo ad esaminare il primo motivo si osserva come lo stesso sia infondato per le ragioni di seguito esposte. L’infondatezza del motivo consente di prescindere dalla disamina e decisione dell’eccezione di carenza di interesse, dedotta dall’Amministrazione comunale.
16.2. La giurisprudenza più recente, alla quale il Collegio ritiene di aderire, precisa che la presentazione di una istanza di sanatoria ex art. 36 D.P.R. 380/2011 non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso ma determina una mera sospensione dell’efficacia dell’ordine di demolizione con la conseguenza che, in caso di rigetto dell’istanza di sanatoria, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia ( cfr ., ex multis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 giugno 2018, n. 3417;Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 settembre 2020, n. 5669;Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 settembre 2022, n. 8320). Infatti, per i principi di legalità e di tipicità del provvedimento amministrativo e dei suoi effetti, soltanto nei casi previsti dalla legge una successiva iniziativa procedimentale del destinatario dell’atto può essere idonea a determinare ipso iure la cessazione della sua efficacia. Diversamente da quanto previsto in materia di condono, nel caso di istanza di accertamento di conformità non vi è alcuna regola che determini la cessazione dell’efficacia dell’ordine di demolizione i cui effetti sono, quindi, meramente sospesi fino alla definizione del procedimento ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001.
17. Il secondo motivo di ricorso in appello è, parimenti, infondato. Osserva il Collegio come la misurazione sia effettuata dal Comune in base alla cartografia relativa all’area e non siano dedotti elementi per ritenere tale documentazione non idonea a fornire una fedele trasposizione dello stato dei luoghi.
17.1. Inoltre, le censure di parte appellante riguardano, principalmente, la questione relativa al metodo di misurazione. Osserva, tuttavia, il Collegio come debba ritenersi corretta la misurazione effettuata dal Comune tenuto conto della ratio sulla quale riposa la previsione legale che impone il limite della distanza dei 150 metri. Infatti, la previsione operante nel caso di specie è quella contenuta all’interno dell’art. 142, comma 1, lett. c ), del D.Lgs. n. 42/2004, a mente della quale sono di interesse paesaggistico “ i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna ”.
17.2. La previsione assegna, quindi, rilievo paesaggistico ai beni ivi indicati con la conseguenza che la fascia di rispetto dei 150 metri riguarda, come evidenziato dal T.A.R., proprio il campo fisico che deve essere lasciato, pertanto, libero. Lo conferma anche la giurisprudenza della Sezione che, di recente, sottolinea come il tema della visione sia tipico del paesaggio, “ non a caso descritto da un autorevole filosofo tedesco come l’occhio che vede, non il solo sostrato materiale oggetto di percezione ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 aprile 2023, n. 3406). Deve, quindi, ritenersi corretta e condivisibile l’affermazione del primo Giudice secondo il quale “ il criterio utilizzato dal Comune risulta coerente con la tutela del connesso vincolo paesaggistico che attiene alla percezione visiva del paesaggio che viene percepito dall’occhio umano sulla base di segmenti di linea retta che collegano l’osservatore alla porzione di paesaggio tutelata ”.
17.2. Risulta, altresì, condivisibile l’affermazione del T.A.R. che nota come il criterio risulti il più possibile oggettivo, anche ove si consideri che una misurazione che segua l’orografia del terreno darebbe plurimi valori in presenza di più punti posti sulla linea del segmento minimo dell’edificio interessato.
17.3. Inoltre, occorre evidenziare come le deduzioni di parte appellante in ordine a possibili margini di errore risultino del tutto generiche e, come tali, non idonee a confutare l’accertamento eseguito dal Comune. Parimenti generica è l’affermazione secondo la quale il vincolo paesaggistico non sarebbe stato neppure esistente al momento di realizzazione dei manufatti, trattandosi di affermazione non supportata da alcuna evidenza in ordine all’epoca di costruzione dei fabbricati né di un confronto con l’epoca di introduzione del vincolo in esame che, come esposto, discende direttamente dalla legge, ed era già previsto dall’art. 1 del decreto-legge n. 312/1985, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 431/1985. Pertanto, tenuto conto anche delle considerazioni sull’epoca di realizzazione degli immobili che si effettueranno infra , non vi sono elementi per decretare la non operatività del vincolo.
18. Con il terzo motivo di appello la parte censura il capo della sentenza di primo grado con il quale il Giudice ha ritenuto sottoposti al regime di cui all’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 una serie di opere che, secondo l’appellante, sarebbero, invece, soggetti a mera sanzione pecuniaria.
18.1. Il motivo è infondato atteso che le opere vanno complessivamente valutate, in coerenza con il costante orientamento di questo Consiglio (condiviso dal Collegio), secondo il quale “ la valutazione degli abusi edilizi e/o paesaggistici richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio o al paesaggio deriva, non da ciascun intervento in sé considerato, ma dall'insieme dei lavori nel loro contestuale impatto edilizio e paesistico e nelle reciproche interazioni ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 21 aprile 2023, n. 4070;Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2022, n. 8848; cfr ., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 luglio 2022, n. 6681;Id, 12 aprile 2021, n. 2974;Id., 1 aprile 2021, n. 2721;Id., 19 ottobre 2020, n. 6300;Id., 30 giugno 2020, n. 4170;Id., 30 giugno 2020, n. 4170;Id., 7 novembre 2019, n. 7601;Id., Sez. V, 12 ottobre 2018, n. 5887).
18.2. Inoltre, non può condividersi la tesi dell’appellante in ordine alla natura pertinenziale delle opere. Infatti, come affermato dalla Sezione, “ il concetto di pertinenza urbanistica è più ristrett [o] rispetto a quella civilistic [o] ed è applicabile solo ad opere di modesta entità, che risultino accessorie rispetto ad un'opera principale, non a quelle che da un punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all'opera principale e non siano coessenziali alla stessa ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 29 luglio 2022, n. 6685). Pertanto, non occorre considerare solo il rapporto funzionale di accessorietà con la cosa principale, ma anche le caratteristiche dell’opera in sé sotto il profilo dell’autonomo impatto urbanistico sul territorio, sicché esso si fonda sulla assenza di autonoma destinazione del manufatto pertinenziale, di incidenza sul carico urbanistico e di modifica all’assetto del territorio (Consiglio di Stato, Sez. II, 20 luglio 2022, n. 6371). Nel caso di specie si tratta, in primo luogo, di un manufatto non coessenziale all’abitazione principale e, comunque, munito di rilievo autonomo, nonché di un muro di contenimento di metri 19,20, e di uno sbancamento, anch’essi interventi che incidono sull’assetto del territorio in modo del autonomo rispetto all’edificio principale.
19. Privo di rilievo è il motivo con il quale si deduce l’indebito utilizzo della sanzione edilizia per ritenute violazioni della normativa antisismica. Occorre, infatti, considerare come il riferimento alla mancanza di autorizzazione antisismica costituisce un mero accertamento del Comune che, tuttavia, non si traduce nell’apposito provvedimento sanzionatorio ex art. 31 del D.P.R. n. 380/2001. In sostanza, il comando contenuto nell’ordinanza è relativo esclusivamente alle violazioni edilizie, mentre i riferimenti alla violazione della normativa antisismica costituiscono meri accertamenti che non si traducono in un apposito ordine motivato da tali difformità.
20. In ultimo, è infondato il quinto motivo di ricorso in appello, relativo all’epoca di realizzazione dei manufatti.
20.1. Osserva il Collegio come non possa ritenersi che la parte abbia assolto l’onere su di essa gravante in ordine all’epoca di realizzazione dei manufatti. Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, incombe, infatti, sulla parte che adduce un rilievo a sé favorevole l’onere di fornire adeguata dimostrazione del proprio assunto, avendo la condivisibile giurisprudenza chiarito che le prove sulla data di realizzazione delle opere debbono risultare obiettivamente inconfutabili sulla base di atti e documenti che, da soli o unitamente ad altri elementi probatori, offrono la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto (Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 agosto 2014 n. 4208;Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 luglio 2014, n. 3414). Tale onere discende, infatti, “ in linea di principio, dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a. in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità ” (Consiglio di Stato, Sez. II, 05 febbraio 2021, n. 1109; cfr. , inoltre, Consiglio di Stato, Sez. II, 8 maggio 2020, n. 2906;Consiglio di Stato, Sez. II, 4 gennaio 2021, n. 80, secondo cui: “ spetta a colui che ha commesso l’abuso edilizio l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto;in mancanza di tali prove, l’Amministrazione può negare la sanatoria dell’abuso, rimanendo integro il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria, mentre nel caso in cui il diretto interessato fornisca la prova suddetta, l’onere della prova contraria viene trasferito in capo all’amministrazione ”;in ultimo, cfr .: Consiglio di Stato. Sez. VI, 13 febbraio 2023, n. 1515;Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 aprile 2023, n. 4172).
20.2. Nel caso di specie, tale prova non può ritenersi fornita facendo riferimento a quanto dichiarato negli atti di compravendita, trattandosi di una dichiarazione che va, comunque, supportata da evidenze, mancanti nel caso di specie.
20.3. Inoltre, il provvedimento comunale risulta fondato su accertamenti oggetti che la parte si limita a contestare senza, tuttavia, assolvere l’onere di supportare la differente ricostruzione con evidente oggettive.
20.4. Osserva il Comune che:
i ) dall’analisi della Carta Tecnica Regionale (CTR) del 1968 emerge che, nell’area oggetto di verifica, erano presenti due manufatti, posti in un’area di sedime diversa rispetto all’area di sedime del fabbricato di civile abitazione attuale e con una sagoma non conforme a quella del fabbricato presente;
ii ) dall’analisi della Carta Tecnica Regionale (CTR) del 1979 emerge che, nell’area oggetto di verifica, erano presenti due manufatti, diversi da quelli rappresentati nella CTR del 1968, e, comunque, posti in un’area di sedime non coincidente all’area di sedime del fabbricato di civile abitazione attuale e con una sagoma diversa rispetto a quella del fabbricato presente;
iii ) dall’analisi della Carta Tecnica Regionale (CTR) del 1997 emerge che nell’area oggetto di verifica erano presenti cinque manufatti, uno dei quali risulta approssimativamente nell’area di sedime del fabbricato di civile abitazione attuale, con una sagoma non corrispondente a quella del fabbricato presente;
iv ) dall’esame dell’ortofoto eseguita nel 2002 si distingue la sagoma di tre manufatti, uno dei quali risulta approssimativamente nell’area di sedime del fabbricato di civile abitazione attuale, ma con una sagoma non corrispondente a quella del fabbricato presente.
20.5. Dinanzi a simile puntuale accertamento la parte si limita a contestare la non chiarezza dell’ortofoto e la genericità degli assunti del Comune senza, tuttavia, dedurre elementi di prova che, come spiegato in precedenza, era proprio onere fornire.
21. In definitiva il ricorso in appello R.G. n. 982/2019 deve respingersi in quanto infondato.
F. Ragioni della decisione del ricorso in appello R.G. n. 984/2019 .
22. Procedendo ad esaminare il ricorso in appello in epigrafe il Collegio decreta l’infondatezza del primo motivo per le ragioni già spiegate ai punti 17-17.3 della presente sentenza alle quali si rinvia, evitando un’inutile duplicazione.
23. Dalla decretata sussistenza del vincolo paesaggistico discende la non sanabilità dell’edificio A), stante la regola di cui all’art. 167, co. 4, del D.Lgs. n. 42/2004. Tale previsione considera suscettibili di sanatoria (e, quindi, inidonei a determinare un vulnus alle esigenze paesaggistiche) esclusivamente:
i ) i lavori che non determinano la creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
ii) i lavori effettuati con materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
iii ) i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del D.P.R. n. 380/2001.
23.1. Al contrario, sono considerati sempre rilevanti dal punto di vista paesaggistico lavori che determinino incremento di superficie o di volumetria. In simili casi la rilevanza paesaggistica è direttamente assegnata dal legislatore ed è, conseguentemente, preclusa ogni valutazione in concreto in ordine all’effettivo pregiudizio dagli stessi arrecato rispetto al bene paesaggistico tutelato. Ciò è confermato dal fatto che il divieto di sanatoria si applica anche ai volumi interrati, a nulla rilevando il fatto che essi non rappresentino un ostacolo o una limitazione per le visuali panoramiche
23.2. Nel caso dell’edificio A), l’Amministrazione accerta, infatti, un aumento dei volumi preesistenti dovuti alla sopraelevazione e all'ampliamento nonché aumento della superficie utile lorda derivante dalla realizzazione del piano soppalcato. Pertanto, per tale intervento opera la preclusione di legge e, correttamente, l’Amministrazione nega il rilascio del titolo in sanatoria.
23.3. Tale considerazione rende superflua la disamina delle ulteriori contestazione di parte appellante, relative alla violazione delle previsioni di cui all’art. 7 delle N.T.A. del P.R.G. e all’art. 28 regolamento del Codice della strada ( ff . 14-15 del ricorso in appello), nonché alla violazione della regola di cui all’art. 94 del D.P.R. n. 380/2001 ( ff . 15-16 del ricorso in appello). Infatti, la ragione indicata supra (punti 23.1 e 23.2) è ex se ostativa alla sanabilità del manufatto e rende prive di rilievo – in quanto inidonee a condurre ad un diverso esito decisorio – le ulteriori censure dedotte dalla parte. Del resto, trattandosi di provvedimento plurimotivato, opera il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza secondo il quale “ in caso di impugnazione giurisdizionale di determinazioni amministrative di segno negativo fondate su una pluralità di ragioni ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento, è sufficiente che una sola di esse resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento […] nel suo complesso resti indenne dalle censure articolate ed il ricorso venga dichiarato infondato o meglio inammissibile per carenza di interesse alla coltivazione dell’impugnativa avverso l’ulteriore ragione ostativa, il cui esito resta assorbito dalla pronuncia negativa in ordine alla prima ragione ostativa ” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 marzo 2015, n. 1532;Id., Sez. VI, 23 settembre 2022, n. 8182;Id., 10 ottobre 2022, n. 8643;Id., 13 dicembre 2022, n. 10918;Id., 3 gennaio 2023, n. 65).
23.4. In riferimento all’edificio B), il Collegio rileva, invece, come la questione dirimente sia costituita dalla mancanza di un titolo edilizio, necessario in considerazione della mancanza di prove in ordine alla realizzazione del manufatto in epoca antecedente al 1967. Sul punto, devono richiamarsi le considerazioni articolate ai punti 20-20.5 della presente sentenza, ove si è già affrontato il tema relativo all’insussistenza di evidenze idonee a smentire l’accertamento operato dal Comune. Inoltre, proprio l’accertamento operato dal Comune consente di comprendere come i manufatti presente sull’area (ivi compreso quello in questione) siano collocati in aree di sedime diverse e con variazioni di sagoma. Pertanto, la contestazione del Comune non è limitata esclusivamente alla sussistenza di un intervento di ristrutturazione, comprendente la sostituzione di parte della copertura del manufatto, ma, come emerge dalla chiara lettura dell’ordinanza di demolizione ( ff . 2 e 3 del provvedimento), all’insussistenza di un idoneo titolo edilizio. Proprio la mancanza di un titolo idoneo preesistente comporta che il manufatto determini la la creazione di nuovi superfici e volumi, con conseguente applicazione, anche nel caso di specie, della regola di cui all’art. 167, co. 4, del D.Lgs. n. 42/2004.
G. Statuizioni finali .
24. I ricorsi in appello vanno, quindi, respinti in quanto infondati e, per le ragioni esposte a sostegno della loro reiezione, risulta superfluo l’approfondimento istruttorio richiesto dalla parte appellante.
25. Le questioni esaminate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante; cfr ., ex plurimis , Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209;Id., 13 settembre 2022, n. 7949), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
26. Le spese di lite del presente grado di giudizio per i due ricorsi riuniti seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.