Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-12-14, n. 202008002

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-12-14, n. 202008002
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202008002
Data del deposito : 14 dicembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/12/2020

N. 08002/2020REG.PROV.COLL.

N. 09366/2019 REG.RIC.

N. 00654/2020 REG.RIC.

N. 09405/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9366 del 2019, proposto dal Comune di San Teodoro, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato P C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Sassari, viale Umberto, n. 106/g,

contro

-i signori A M, M M e R G, rappresentati e difesi dagli avvocati M V, F P B, M M e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo, in Roma, viale Pasteur, n. 33,
-i signori L M, A M e B S, rappresentati e difesi dagli avvocati M V, M M e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Roma, viale Pasteur, n. 33,
-il signor M O e il Comparto III “Nucleo residenziale porto Coda Cavallo”, in persona del legale rappresentante pro tempore , non costituiti in giudizio,

nei confronti

-la Società Studio Vacanze S.r.l., quale subentrante per fusione per incorporazione della Società Ciet Piemonte S.r.l. e la Società Salina Beach S.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , non costituite in giudizio,



sul ricorso numero di registro generale 9405 del 2019, proposto dalla Società Studio Vacanze S.r.l., subentrata alla Società Ciet Piemonte S.r.l. a seguito di fusione per incorporazione di quest’ultima, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Franco Mario Conti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Sassari, viale Umberto , n. 106/g,

contro

-i signori A M, M M e R G, rappresentati e difesi dagli avvocati M V, F P B, M M e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Pasteur, n. 33,
-i signori L M, A M e B S, rappresentati e difesi dagli avvocati M V, M M e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Roma, viale Pasteur n. 33,
-il signor M O e il Comparto III “Nucleo residenziale porto Coda Cavallo”, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio,

nei confronti

-il Comune di San Teodoro, in persona del Sindaco pro tempore e la Società Salina Beach S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio,



sul ricorso numero di registro generale 654 del 2020, proposto dalla Società Salina Beach s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Maria Grazia Longo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

contro

-i signori A M, M M e R G, rappresentati e difesi dagli avvocati M V, F P B, M M e G S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo, in Roma, viale Pasteur, n. 33;
- i signori M O, L M, A M e B S, il Comparto III “Nucleo residenziale porto Coda Cavallo”, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituiti in giudizio,

nei confronti

-il Comune di San Teodoro, in persona del Sindaco pro tempore e la Società Studio Vacanze s.r.l., quale incorporante per fusione la Società Ciet Piemonte s.r.l., non costituiti in giudizio,

tutti e tre per la revocazione

della sentenza del Consiglio di Stato - Sez. II, n. 5304 del 29 luglio 2019, concernente il rilascio di concessioni edilizie per la realizzazione di un complesso residenziale.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori A M, M M, R G, L M, A M e B S nei procedimenti n.r.g. 9366/2019 e 9405/2019, dei signori A M, M M e R G nel procedimento n.r.g. 654/2020;

Vista la richiesta del Comune di San Teodoro, versata in atti nel procedimento n.r.g. 9366/2019 in data 12 marzo 2020, di rinvio della trattazione già fissata all’udienza del 31 marzo 2020, per riunione al ricorso n.r.g. 654/2020;

Vista l’analoga richiesta della Società Studio Vacanze s.r.l., versata in atti nel procedimento n.r.g.9405/2019 in pari data;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2020, il Cons. Antonella Manzione e uditi per le parti l’avvocato P C, anche su delega dell’avvocato Mario Franco Conti, l’avvocato M M e l’avvocato Grazia Maria Longo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con i distinti ricorsi indicati in epigrafe, il Comune di San Teodoro, nella qualità di amministrazione responsabile del procedimento, le società Studio Vacanze s.r.l., che ha incorporato a seguito di fusione la società Ciet Piemonte s.r.l., e Salina Beach s.r.l., subentrate alla originaria firmataria rispettivamente in via diretta, e a seguito di scissione dalla avente causa dalla subentrante, nella convenzione urbanistica stipulata in data 15 ottobre 1976 per l’edificazione di alcuni comparti residenziali, hanno chiesto revocarsi la sentenza di questa Sezione, n. 5304 del 2019. Si sono costituiti in giudizio, per resistere al ricorso, i controinteressati indicati in epigrafe, con memorie in controdeduzione, sostenendone la inammissibilità, ovvero, qualora si addivenga alla fase rescissoria, l’infondatezza. Nel ricorso n.r.g. 654/2020 i signori M M, A M e R G hanno eccepito un ulteriore profilo di inammissibilità, oltre alla carenza di errore revocatorio, ovvero la mancanza di interesse, rilevando come, essendo passati in giudicato i capi della sentenza non oggetto del ricorso, ed in particolare quello relativo al mancato assenso dei comproprietari alla realizzazione delle opere, la fase rescissoria risulterebbe comunque inutile.

Sia il Comune di San Teodoro che la Società Studio Vacanze s.r.l. hanno chiesto, con apposita nota versata in atti dei rispettivi procedimenti in data 12 marzo 2020, il rinvio della trattazione dei ricorsi per la riunione a quello nel frattempo incardinato presso la Sezione al n.r.g. 654/2020, avente ad oggetto l’istanza di revocazione presentata dalla Società Salina Beach s.r.l.

2. I ricorsi sono stati pertanto tutti chiamati alla pubblica udienza del 22 settembre 2020 ove, sentite le parti, sono stati trattenuti in decisione.

3. In via preliminare il Collegio ne dispone la riunione ai sensi dell’art. 96 c.p.a., trattandosi di impugnazioni, ancorché per revocazione, proposte avverso la medesima sentenza.

4. La sentenza n. 5304 del 2019 ha respinto, dopo averli a sua volta riuniti, gli appelli proposti dal Comune di San Teodoro e dalle Società Ciet Piemonte s.r.l. e Salina Beach s.r.l. contro la sentenza del T.A.R. per la Sardegna, sez. II, n. 191 del 2010 che aveva accolto una serie di ricorsi di primo grado proposti, tra gli altri, dagli odierni controinteressati per l’annullamento di cinque concessioni edilizie (nn.53, 54, 55, 56 e 57 del 13 giugno 2007) e del correlato nulla osta paesistico del 18 maggio 2006, finalizzati all’edificazione di altrettante unità immobiliari, nell’ambito di una risalente lottizzazione denominata “Salina Bamba”. Punto essenziale della controversia è la legittimità delle stesse in ragione del sopravvenuto vincolo di inedificabilità assoluta nella fascia di 300 metri dalla battigia introdotto a seguito della novella apportata dalla l.r. n. 23 del 1993 alla previgente l.r. n. 45 del 1989, nella quale è stato inserito all’uopo l’art. 10 bis . A monte, egualmente essenziale è la ritenuta insussistenza dei requisiti per poter fruire del previgente -e meno rigoroso- regime delle distanze, ovvero, trattandosi di interventi almeno astrattamente riconducibili ad un preesistente piano attuativo, la validità dello stesso, purché le opere di urbanizzazione ivi previste siano state avviate alla data del 17 novembre 1989 (art. 10 bis , comma 2, lett. b) della l.r. n. 45 del 1989);
in alternativa, siano state completate per intero nel termine decennale dalla stipula, siccome implicitamente desumibile dai principi generali in materia di convenzioni di lottizzazione.

5. Ad avviso dei ricorrenti, il Collegio d’appello sarebbe incorso in una serie di errori di fatto. Il primo e più grave di essi, evidenziato in tutti e tre i ricorsi (due dei quali, ovvero i nn.r.g. 9366/2019 e 9405/2019, in verità, perfettamente identici) sarebbe rappresentato proprio dal non aver considerato completate le opere di urbanizzazione entro l’anno di scadenza dell’originario piano di lottizzazione e cioè entro il 1986, travisando la portata testuale della relazione del C.T.U. nominato allo scopo dal giudice di prime cure. Lo stesso, infatti, ne avrebbe addirittura attestato l’avvenuta realizzazione nel termine dato « per un importo sensibilmente superiore a quello previsto nel quadro economico della convenzione » (pag. 7 della relazione, con considerazioni integrative, tratte dall’analisi della fatturazione dei lavori effettuati, a pag. 8). D’altro canto, l’unica viabilità richiesta dalla progettualità originaria era quella “portante”, mentre per il reticolo secondario, cui sono da riferire le minimali lacune riscontrate, si sarebbe provveduto « volta per volta », per stati di avanzamento dell’edificazione.

Un ulteriore errore di percezione sarebbe da ravvisare nella portata attribuita all’eccezione di inammissibilità per omessa impugnativa delle deliberazioni consiliari nn.8 e 37 del 2005, non corrispondente alla prospettazione delle parti: per poter mettere in discussione le concessioni edilizie impugnate, occorreva infatti “aggredire” pregiudizialmente ridetti atti-cornice, la cui chiara portata di validazione dell’efficacia all’attualità del Piano di lottizzazione, di cui costituivano varianti, non era stata invece messa in discussione.

La elencazione non esaustiva dei motivi di appello, dimostrerebbe per tabulas un errore valutativo degli stessi, sintetizzato nell’utilizzo della formula finale della autosufficienza delle censure scrutinate, non assumendo le altre rilievo ai fini della decisione o per supportarne una di segno diverso. Ove non si trattasse di una mera clausola di stile, essa si presterebbe a costituire lo scudo formale per limitare la disamina ad un solo motivo ancorché “più debole o seducente”, senza neppure indicare gli altri, ovvero esplicitarne le ragioni della ritenuta irrilevanza. Con ciò impedendo anche una pronuncia per revocazione sotto gli aspetti pretermessi.

6. Nel ricorso n.r.g. 654/2020, la sola Società Salina Beach s.r.l. introduce un ulteriore e diverso motivo di revocazione, evidenziando come il Collegio d’appello, nell’individuare nella comunicazione di inizio dei lavori da parte del direttore degli stessi il documento determinante ai fini della prova della tardività del ricorso, in quanto adempimento obbligatorio ope legis , ha omesso di valutarne l’avvenuta produzione agli atti del processo di primo grado da parte della sua dante causa, la Immobilmare s.r.l., in data 23 gennaio 2008.

7. Il Collegio ritiene i ricorsi nn.r.g. 9366/2019 e 9405/2019 inammissibili;
quanto invece al ricorso n.r.g. 654/2020, esso è inammissibile, con riferimento alle medesime censure di cui agli altri due, ammissibile, avuto riguardo al primo motivo dedotto.

8. Preliminarmente pare opportuno ricordare come ai sensi degli artt. 106, comma 1, c.p.a e 395, comma 1, n. 4), c.p.c., invocato dai ricorrenti in relazione al caso di specie, la revocazione è proponibile « se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa ». Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare. L’errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall’art. 395, n. 4), c.p.c., secondo il dettato positivo, pertanto, deve:

1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente e immediatamente rilevabile e tale da aver indotto il giudice a supporre l’esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile;

2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa;

3) non cadere su di un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato;

4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche;

5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2020, n. 434;
sez. II, 24 settembre 2020, n. 5586;
sez. III, 6 novembre 2020, n. 6842).

9. Nessuna omissione o parziale valutazione delle risultanze della C.T.U. dell’ing. Masala, dunque, appare addebitabile al Collegio d’appello, che anzi ha tratto ampi passaggi della propria motivazione proprio dalla ricostruzione dello stato dei luoghi ivi rinvenibile. Dopo aver richiamato, infatti, la cornice giuridica di riferimento, ha evidenziato con assoluta chiarezza i passaggi dai quali si evince che la necessaria completezza non è stata asseverata, con ciò venendo meno uno dei possibili presupposti per fruire del richiamato regime transitorio. La percentuale, seppur minima, di incompletezza delle opere di urbanizzazione è d’altro canto incontestata tra le parti. Il diverso valore che i ricorrenti tentano di attribuire a tale forbice minima di mancata realizzazione (quantificata nel 5 %, essendo stata l’urbanizzazione richiesta attuata al 95 %) costituisce la (ennesima) riproposizione di una diversa lettura in diritto, non in fatto, della condizione legale posta. Tale è il senso da attribuire allo stralcio di singoli passaggi della relazione volti ad enfatizzare nella sostanza la parte effettuata, pretermettendo tuttavia l’obiettiva presenza di un’altra, seppur minima, mancante. Le « (trascurabilissime, sotto il profilo funzionale) rifiniture, quali il “tappeto di usura delle strade asfaltate (c.d. “binder chiuso” da cm. 8), cioè un rivestimento” destinato, per sua natura ad essere periodicamente ripristinato», cui fa riferimento il consulente, infatti, costituiscono obiettive mancanze che il Collegio, anche alla luce della richiamata formulazione letterale dell’art. 8 della Convenzione, ha -giustamente- ritenuto dirimenti al fine di escludere una certificazione di compiutezza assoluta, siccome formalmente necessario. L’adesione alla lettura della normativa regionale effettuata dal primo giudice, ritenendola « coerente con l’indirizzo di questo Consiglio, che ne postula un’interpretazione restrittiva» porta in definitiva a concludere che « alla data del 15 ottobre 1986, termine di durata decennale del PdL, le opere di urbanizzazione non fossero state realizzate per la mancanza del reticolo stradale ». Da qui, la ritenuta inefficacia del Piano medesimo, del quale sopravvive solo « la destinazione di zona, la destinazione ad uso pubblico di un bene privato, gli allineamenti, le prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio […] (Cons. Stato, sez. IV, 18 maggio 2018, n. 3002) ».

10. Secondo le parti costituirebbe un ulteriore errore di fatto il fraintendimento dei presupposti della censura di inammissibilità del ricorso di primo grado, per come effettivamente dedotta, in quanto integrante “un abbaglio dei sensi” nella lettura degli scritti difensivi.

Il Collegio rileva come in linea teorica il rimedio revocatorio per errore di fatto risulta in effetti utilizzabile anche a fronte di un’omessa pronuncia su domande o eccezione costituenti il thema decidendum . Situazione questa cui può astrattamente essere equiparato il caso della pronuncia su una doglianza erroneamente interpretata nel suo fondamento giuridico (Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 535).

Nel caso di specie, tuttavia, il Collegio d’appello non ha affatto basato la sua decisione sul contenuto delle deliberazioni impugnate facendo riferimento al precedente Piano di lottizzazione, per l’evidente scelta interpretativa della sua ritenuta inefficacia. Pertanto, quale che fosse la volontà dell’Amministrazione con riferimento al rapporto tra le sedicenti “varianti” e l’atto che andavano a “variare”, esse assumono rilievo nell’odierna controversia, per la ricostruzione datane nella sentenza impugnata, solo nella misura in cui e per il fatto che individuano possibili volumetrie utilizzabili. Al contrario, i ricorrenti pretenderebbero una sorta di effetto accertativo della (diversa) portata da loro attribuita alle deliberazioni consiliari, non solo e non tanto, come nella argomentazione del Collegio, anche di primo grado, quali atti di pianificazione del territorio la cui portata lesiva, quali che ne fossero i presupposti, è stata ravvisata esclusivamente nella individuazione e attribuzione di volumetrie a singole imprese costruttrici. Proprio l’implicita mancata adesione alla proposta ricostruzione delle parti ricorrenti, d’altro canto, ben giustifica l’esplicitazione della sola infondatezza dell’eccezione di tardività riferita alle ridette deliberazioni consiliari che comunque, essendo intervenute a convenzione originaria ormai scaduta, si rapportavano necessariamente alla stessa con insanabile soluzione di continuità, sì da costituire caso mai nuove lottizzazioni, non semplici varianti, siccome più diffusamente evidenziato dal giudice di prime cure.

11. Resta da dire dell’omessa elencazione di taluni dei motivi di appello, peraltro “confluiti” nella contestata “formula” di esaustività di quelli espressamente scrutinati. Pur trattandosi, infatti, di due presunti errori revocatori distintamente enunciati, è evidente che l’omessa menzione di una censura in tanto rileva, in quanto non sia stata scrutinata, e, conseguentemente, risulti “assorbita” in senso materiale, ma non vagliata sotto il profilo sostanziale. La tematica dell’omesso esame di alcuni motivi, cioè, ammesso e non concesso che la loro semplice mancata esplicitazione descrittiva ne costituisca l’indice, va affrontata unitamente a quella del lamentato assorbimento degli stessi o di altri, comunque non scrutinati. Al pari di quanto accade per l’asserito fraintendimento della doglianza, in via generale la condizione perché possa ritenersi sussistente tale fattispecie revocatoria deve conseguire all’esame della motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché essa è riferibile soltanto all’ipotesi in cui risulti non essere stato effettivamente esaminato il punto controverso, seppure dirimente e non a quella in cui, al contrario, la decisione sul motivo d’impugnazione risulti implicitamente da un’affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2020 n. 225).

La revocazione per omesso esame di uno o più motivi presuppone dunque pur sempre un errore di fatto alla sua base, non una scelta, anche in termini di ostensione del percorso ermeneutico seguito. La declaratoria di assorbimento, presente nel caso di specie con valenza tutt’affatto formale, ne è l’esatta antitesi, in quanto postula che il giudice ha conosciuto il motivo, pur senza averlo necessariamente declinato, ma ha ritenuto di doverlo assorbire. Non costituisce pertanto motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice, nell’esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla medesima a sostegno delle proprie conclusioni (Cons. Stato, A.P., 27 luglio 2016, n. 21). D’altro canto, con riferimento a tale ipotetico vizio revocatorio pare al Collegio che le parti nel caso di specie si siano limitate ad una generica, quanto infondata, critica all’utilizzo di espressioni, più o meno consolidate, per esternare la scelta di assorbire i motivi non esaminati. Esse infatti hanno soltanto enunciato quelli “trascurati” nel nome di una asserita strategia decisionale riduttiva perché “più comoda”, senza tuttavia chiarire mediante una disamina puntuale degli effetti quale mutamento il relativo scrutinio avrebbe potuto portare alla decisione presa. Manca, cioè, l’indicazione degli effetti dell’asserito -e non provato-errore revocatorio, stante che nel caso di specie l’assorbimento ha attratto nell’orbita di un insuperabile profilo di illegittimità qualsivoglia residua valutazione. Con ciò soddisfacendo sia le esigenze di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sia quelle di sintesi, a loro volta espressione della leale collaborazione tra le parti, anche nel processo, e dell’efficacia del risultato, comunque immutabile, economizzando il processo decisionale. La scelta della ragione “più liquida”, ma non per questo, siccome prospettato, “più comoda”, in accezione strumentale e capziosa, non implica affatto la mancata disamina delle altre. Ne implica, se mai, lo scarto, stante la loro effettiva ritenuta superfluità una volta che le si siano valutate inidonee a mutare il risultato finale dell’opzione ermeneutica seguita.

12. A diverse conclusioni il Collegio ritiene si debba pervenire con riferimento al primo e distinto motivo di ricorso avanzato dalla Società Salina Beach s.r.l. con riferimento alla tardività del ricorso di primo grado, conseguentemente eccepita di nuovo in questa sede.

Sul punto, il Collegio dell’appello, nel confermare le conclusioni del giudice di prime cure, ne ha inteso correggere il percorso argomentativo, sul condivisibile assunto, riveniente da giurisprudenza consolidata sul punto, che il termine di impugnazione di un titolo edilizio del quale si contesti la legittimità perché afferente ad un intervento realizzato in zona ad inedificabilità assoluta decorra dall’inizio dei lavori, essendone da subito percepibile la lesività. Da qui l’avallo della mancata prova della conoscenza degli atti impugnati in quanto non sarebbe stata fornita in primo grado « una documentata piena prova di tale tardività ». Salvo poi aggiungere: « Per provare la tardività dei ricorsi di primo grado, esse [ id est , le parti intimate, oggi ricorrenti] hanno sostenuto che i lavori avevano avuto inizio immediatamente dopo il rilascio delle concessioni edilizie recanti la data del 13 giugno 2007. Effettivamente, solo un immediato inizio di tali lavori avrebbe consentito di ritenere fondata l’eccezione di tardività, tenuto conto anche della necessità di detrarre 45 giorni, a titolo di sospensione feriale dei termini all’epoca vigente, dal calcolo del termine d’impugnazione. Tuttavia, considerato l’obbligo del direttore dei lavori di comunicare al Comune la data di inizio dei lavori, gli appellanti ben avrebbero potuto documentare tale data, producendo la predetta comunicazione. Tuttavia essi non lo hanno fatto. Pertanto, correttamente il Tar ha ritenuto non fornita la prova rigorosa che deve assistere l’eccezione di irricevibilità dell’impugnazione ».

Sul punto, la società rileva come per mera svista non si sia dato rilievo all’avvenuto deposito di tali comunicazioni di inizio dei lavori agli atti del procedimento davanti al T.A.R. in data 23 gennaio 2008, rubricandoli sub n. 5.

Il Collegio, pertanto, in ossequio ad un’esegesi testuale del combinato disposto dei richiamati articoli 106 c.p.a. e 395 c.p.c. ed in considerazione, altresì, dei principi stabiliti dall’art. 1 c.p.a., ritiene sussistente l’errore percettivo lamentato da parte ricorrente, relativo alla omessa visualizzazione, da parte del Giudicante, della documentazione a suo tempo prodotta nel giudizio di primo grado. Risulta che in effetti tra le produzioni documentali relative al ricorso n.r.g. 1145/2007, proposto da buona parte degli odierni controinteressati, a supporto dell’eccezione di tardività da subito prospettata, venivano versate in atti le copie delle cinque comunicazioni di inizio lavori rese dall’architetto D P, quale direttore dei lavori, ed indicanti per lo stesso la data del 2 luglio 2007.

13. La riscontrata sussistenza, pertanto, dell’errore di percezione costituito dalla omessa visualizzazione di un documento -recte, cinque documenti, uno per ciascuna concessione edilizia- obiettivamente presente in atti, è idonea a determinare l’accoglimento, in parte qua, del ricorso e la conseguente revocazione della sentenza.

14. Sullo specifica circostanza, peraltro, le parti costituite nello specifico procedimento, signori M M, A M e R G, nulla hanno controdedotto, limitandosi a prospettare la ipotetica carenza di interesse alla fase rescissoria in ragione della mancata estensione del ricorso per revocazione al capo autosufficiente della sentenza relativo al mancato coinvolgimento dei proprietari dei lotti. L’eccezione, tuttavia, si palesa inconferente rispetto alle conseguenze in rito dell’invocato errore di fatto revocatorio. È vero, infatti, che di regola, nel caso in cui l’istanza di revocazione non investa la totalità dei capi della decisione impugnata, ma solo alcuni di essi, in analogia con il ricorso in appello, essa è inammissibile per carenza di interesse, non potendo dall’accoglimento derivare nessuna utilità pratica per il ricorrente (v. Cons. giust. sic., 23 luglio 2007, n. 687 ). Ciò tuttavia vale laddove essa non si palesi idonea a determinare la caducazione dei presupposti legittimanti il giudizio. Laddove, al contrario, l’errore si riverberi, come nel caso di specie, su una statuizione in rito, ne è evidente la portata sull’intero susseguente percorso motivazionale, in quanto pregiudizialmente precluso dallo stesso.

15. Nel merito, è lo stesso Collegio d’appello che non ritenendo sufficienti i richiami al regime di pubblicazione all’Albo comunale dei titoli edilizi, nonché alla presenza del cartello di cantiere, ha individuato nella comunicazione di inizio dei lavori il documento necessario a ritenere quanto meno aperto il cantiere (con ciò, ritiene la Sezione, recuperando la valenza probante ed indicativa anche del cartello). Ciò in piena coerenza con l’indirizzo giurisprudenziale, non a caso espressamente evocato, che vuole la decorrenza del termine per impugnare un titolo edilizio computabile dall’inizio dei lavori, ogniqualvolta si eccepisca in primo luogo la loro effettuazione in zona a inedificabilità assoluta, non potendosi procrastinare lo stesso fino all’esercizio dell’accesso agli atti, pena il sacrificio delle contrapposte esigenze di certezza del diritto. Il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso, nell’ambito dell’attività edilizia, è dunque individuato, secondo la giurisprudenza (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. II, 26 giugno 2019, n. 4390;
sez. IV, n. 3875 del 2018; id ., nn. 3067 e 5754 del 2017;
sez. VI, n. 4830 del 2017, che si conformano sostanzialmente all’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, sviluppandone i logici corollari), a seconda dei casi nell’inizio dei lavori, ove si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area di interesse;
ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), nel loro completamento e grado di sviluppo, tali da rendere palese l’esatta dimensione, nonché la finalità dell’erigendo manufatto. La richiesta di accesso agli atti non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, perché se da un lato deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro deve parimenti essere salvaguardato quello del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali (cfr. ancora Cons. Stato, sez. IV, n. 3075 del 2018; id ., n. 5675 del 2017;
nn. 4701 e 1135 del 2016).

16. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso per revocazione n.r.g. 654 del 2020 va accolto e, per l’effetto, in fase rescindente, va revocata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. II, 29 luglio 2019, n. 5304 e, in fase rescissoria, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Sardegna n. 191 del 2010, dichiara irricevibili, perché tardivi, i ricorsi nn.r.g. 1042/2007, 1145/2007 e 52/2008.

17. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

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