Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-03-17, n. 201401306

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-03-17, n. 201401306
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201401306
Data del deposito : 17 marzo 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03868/2011 REG.RIC.

N. 01306/2014REG.PROV.COLL.

N. 03868/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3868 del 2011, proposto dalla Danubio Intermediazione SIM s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa (già in amministrazione straordinaria), in persona del curatore speciale, rappresentata e difesa dall’avvocato M P, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Roma, via Filippo Corridoni, 14;

contro

il Ministero dell’economia e delle finanze, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - CONSOB, in persona dei legali rappresentanti in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
la Banca d’Italia, in persona del Governatore in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Leonardo Carriero e Raffaele D’Ambrosio, con domicilio eletto presso l’Ufficio legale della Banca d’Italia, in Roma, via Nazionale, 91;

nei confronti di

Il signor Tedeschi Roberto, quale Commissario straordinario della Danubio Intermediazioni S.I.M. s.p.a., ed i signori Alessandro Carducci Artenisio, Marco Lori e Salvatore Marceca, quali membri del comitato di sorveglianza della Danubio Intermediazioni S.I.M. s.p.a., non costituiti in giudizio nel presente grado;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA, SEZIONE I, n. 423/2011, resa tra le parti e concernente: scioglimento degli organi di amministrazione della società Danubio Intermediazioni SIM s.p.a., nomina del commissario straordinario e del comitato di sorveglianza;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni appellate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2013, il Cons. Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati M P e D’Ambrosio, nonché l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio respingeva il ricorso n. 14680 del 1999, proposto dalla Danubio Intermediazioni SIM s.p.a. avverso il decreto n. 470717 del 3 settembre 1999, con il quale il Ministero del tesoro, Dipartimento del tesoro, Direzione IV, aveva sciolto gli organi di amministrazione e di controllo della società, nonché il provvedimento del 9 settembre 1999, con il quale la Banca d’Italia aveva, di conseguenza, nominato il commissario straordinario ed il comitato di sorveglianza. Gli atti impugnati erano stati adottati in esito ad un’ispezione svolta dalla CONSOB e conclusasi con la proposta (nota CONSOB del 4 agosto 1999, n. 99060148) di sciogliere gli organi di amministrazione e di controllo della società e di sottoporre la stessa a procedura di amministrazione straordinaria, per gravi irregolarità nell’amministrazione e violazioni delle normative di settore.

In particolare, il T.a.r. provvedeva come segue:

(i) respingeva il primo e il secondo motivo di ricorso – con cui era stata censurata l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo e della procedura di amministrazione straordinaria, con conseguente preclusione della valutazione degli apporti partecipativi della ricorrente che avrebbero potuto condurre a chiarire la reale portata delle irregolarità e violazioni riscontrate, mentre il Ministero si era limitato ad un’acritica recezione delle valutazioni svolte dall’organo di vigilanza –, rilevando che, in virtù del rinvio contenuto nell’art. 56, comma 3, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 ( Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli artt. 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52 ), ai provvedimenti di scioglimento degli organi di amministrazione e controllo dei soggetti abilitati ad operare sui mercati finanziari e di conseguente sottoposizione ad amministrazione straordinaria, trovava applicazione la peculiare previsione di cui all’art. 70, comma 3, d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 ( Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia ), secondo cui i detti provvedimenti « sono comunicati dai commissari straordinari agli interessati, che ne facciano richiesta, non prima dell’insediamento », e dunque successivamente all’adozione dei provvedimenti medesimi, con specifica deroga alle formalità partecipative previste dalla l. n. 241 del 1990 (che trova la sua ragione nell’esigenza di evitare turbative dei mercati ed eventuali manovre di mascheramento della reale situazione amministrativa e contabile), nonché escludendo che fossero ravvisabili i dedotti vizi di illogicità e irragionevolezza, segnatamente sotto il profilo di una cesura del nesso di consequenzialità logico-giuridica tra i presupposti e il contenuto dei gravati provvedimenti;

(ii) disattendeva il terzo motivo di ricorso – con il quale era stata censurata l’erroneità dei rilievi relativi allo svolgimento delle attività non autorizzate dei servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di gestione su base individuale di portafogli d’investimento per conto terzi –, ritenendo che le valutazioni poste a base dell’accertamento dell’esercizio non autorizzato di detti servizi fossero suffragate da una corretta qualificazione giuridica, da una condivisibile ricostruzione delle attività esulanti dai limiti delle autorizzazioni rilasciate alla ricorrente e da sufficienti elementi probatori;

(iii) respingeva il quarto motivo di ricorso – con il quale era stata dedotta la violazione e l’erronea interpretazione degli artt. 51 e 56 d.lgs. n. 58 del 1998, in quanto, tutt’al più, potevano essere adottati gli strumenti di diffida o inibitori previsti dal citato art. 51 d.lgs. n. 58 del 1998, giammai quello della amministrazione straordinaria di cui al successivo art. 56 –, rilevando per un verso che le misure ex art. 51 si riferivano a irregolarità e violazioni di minore gravità e, per altro verso, che, in presenza di un coacervo di irregolarità e violazioni attinenti all’esercizio di servizi finanziari senza autorizzazione e all’inadeguatezza della struttura di gestione e delle garanzie per le operazioni d’investimento, le quali, riguardate nel loro complesso, disegnavano un quadro allarmante in ordine all’efficienza e idoneità della gestione societaria, la scelta delle misure più opportune, ragionevole e coerente con i presupposti assunti, costituiva espressione d’insindacabile discrezionalità tecnico-amministrativa;

(iv) rigettava le censure dedotte con tutti gli altri motivi – sostanzialmente intese a ridimensionare la portata di specifiche carenze gestionali riscontrate nella proposta della CONSOB –, rilevando che esse, oltre a risolversi in critiche impingenti profili di stretto merito, in parte risultavano inconferenti rispetto all’effettività della garanzia degli interessi della clientela, in parte si risolvevano in mere apodittiche deduzioni, ed altre ancora erano del tutto prive di rilievo giuridico;

(v) escludeva, infine, che l’intervenuta sentenza penale (del Tribunale di Milano, Sez. III pen., 21 dicembre 2004, n. 12132, passata in giudicato il 14 maggio 2005), di assoluzione degli amministratori delegati della SIM, T R e G N, dal reato loro contestato – p. e p. dagli artt. 110 cod. pen. e 166 d.lgs. n. 58 del1998, « perché, nell’ambito della Danubio SIM S.p.A., agendo in concorso tra loro come effettivi titolari dell’azienda di intermediazione mobiliare predetta, autorizzata dalla Consob al servizio di negoziazione per conto terzi, svolgevano abusivamente i servizi di: gestione individuale di fatto di portafogli di investimento per conto di un gruppo di nove clienti nel periodo gennaio/settembre 1998;
ricezione/trasmissione effettiva di ordini, specie con riguardo a future sul BTP quotato sul mercato nazionale e su altri strumenti finanziari derivati, quotati sui mercati esteri;
e ciò sino al 14.06.1998
» (v. così, testualmente, il capo d’imputazione riportato nella sentenza penale) –, con formula assolutoria ‘perché il fatto non sussiste’, potesse assurgere a rilevanza nel presente giudizio, in quanto l’esclusione della rilevanza penale dei fatti rappresentati nella relazione ispettiva della CONSOB non era, comunque, idonea ad incidere sulle diverse valutazioni e provvedimenti di natura amministrativa che in tale ispezione avevano trovato il loro presupposto;

(vi) condannava la società ricorrente a rifondere alle controparti costituite in giudizio le spese di causa.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria ricorrente, sostanzialmente riproponendo i motivi di primo grado, seppure adattati all’impianto motivazionale dell’impugnata sentenza.

L’appellante chiedeva dunque, in riforma della sentenza del T.a.r., l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento degli impugnati provvedimenti.

3. Si costituivano in giudizio le amministrazioni e le autorità appellate, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.

4. All’udienza pubblica del 29 ottobre 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

5. Premesso che infondata è l’eccezione di inammissibilità dell’appello – sollevata dalla difesa delle Ammiinistrazioni statali sotto il profilo che l’impugnazione non investirebbe tutte le motivazioni portanti della sentenza –, poiché, ad un’attenta lettura del ricorso in appello, emerge in modo chiaro ed univoco che l’impugnazione investe tutti i capi della sentenza, si osserva che l’impugnazione è infondata e deve essere respinta.

5.1. Destituito di fondamento è il primo motivo d’appello – con cui è stata dedotta l’erronea reiezione della censura di violazione delle garanzie procedimentali ex artt. 7 ss .l. n. 241 del 1990, per la mancata previa comunicazione agli interessati della proposta e del provvedimento stesso –, in quanto:

- secondo il combinato disposto degli artt. 56, comma 3, d.lgs. n. 58 del 1998 e 70, comma 3, d.lgs. n. 385 del 1993, la comunicazione agli interessati, che ne facciano richiesta, del decreto del Ministero del tesoro (ora, del Ministero dell’economia e delle finanze) e della relativa proposta, deve avvenire solo successivamente all’insediamento degli organi della procedura;

- come correttamente messo in rilievo nell’appellata sentenza, la ratio del differimento dell’accesso al provvedimento di messa in amministrazione straordinaria (ed alla relativa proposta) risiede, in via generale, nell’esigenza di evitare il prodursi proprio di quelle situazioni (reazioni irrazionali dei clienti/investitori, allarme nel mercato) che l’adozione del provvedimento finale è teso a scongiurare, ossia, di evitare i rischi che deriverebbero al mercato finanziario nel suo complesso, ove, prima dell’insediamento degli organi straordinari, venisse diffusa la notizia attorno alla pendenza di un procedimento di adozione di un provvedimento di sottoposizione di una SIM all’amministrazione straordinaria, nonché, nei casi di mala gestio , nell’esigenza di evitare condotte di occultamento delle prove che ostacolerebbero l’opera degli organi straordinari diretta a ricostruire la situazione amministrativa e contabile nell’interesse dei clienti/investitori;

- tenuto conto della sopra evidenziata ratio sottesa alla disciplina della procedura in esame e della rilevanza costituzionale della tutela del risparmio (v. art. 47 Cost.), la prevalenza attribuita dal legislatore a tale valore rispetto a quello dell’interesse dei destinatari finali della proposta e del decreto di scioglimento alle garanzie partecipative si fonda su un ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, con conseguente manifesta infondatezza della relativa questione di illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 97 Cost. e violazione della garanzia del giusto procedimento, al riguardo sollevata dall’originaria ricorrente ed odierna appellante.

5.2. Infondati sono il secondo, quinto e sesto motivo d’appello, tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, con i quali è stata dedotta l’erronea applicazione dei principi in materia di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnico-amministrativa « in tema di accertamento delle violazioni e disciplina delle crisi a sensi degli artt. 70 e segg. D.Lags. n. 385/1993 e degli artt. 58 e segg. D.Lgs. 58/1998 » (v. così, testualmente, il ricorso in appello) ed in tema di scelta della misura sanzionatoria applicabile, nonché l’erronea affermazione della legittimità della motivazione dell’impugnato provvedimento con riguardo all’assunto « coacervo di irregolarità e violazioni ».

Occorre premettere, in linea di fatto, che l’impugnato decreto ministeriale del 2 settembre 1999, con il quale sono stati sciolti gli organi della Danubio Intermediazioni SIM s.p.a., sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria, dopo aver premesso « che sono state riscontrate a carico della predetta SIM gravi irregolarità nell’amministrazione e gravi violazioni di norme legislative –– (…) », ha elencato le seguenti irregolarità, espressamente qualificate come « autonomi e singolarmente sufficienti presupposti per l’adozione del provvedimento proposto :

- carenze della struttura organizzativa, in termini di risorse umane, di dotazioni informatiche e di funzionalità delle procedure, particolarmente gravi con riguardo all’operatività in derivati;

- svolgimento non autorizzato del servizio di ricezione e trasmissione ordini nei confronti di clientela inconsapevole e del servizio di gestione individuale di portafogli per conto di un gruppo di clienti;

- mancato rispetto dei principi di correttezza e trasparenza sia nella conduzione aziendale, sia nei rapporti con la clientela;

- assunzione in proprio di posizioni di rischio per finanziare la clientela operante su derivati, in assenza di adeguati presidi di controllo e di capitale, suscettibile di ripetersi in futuro ».

Il T.a.r., nel capo di sentenza impugnata col motivo in esame, ha escluso qualsiasi cesura del nesso di consequenzialità logico-giuridica tra i presupposti e il contenuto dei provvedimenti gravati, « ossia qualsiasi profilo di evidente illogicità e irragionevolezza oltre i quali si staglia la sfera di squisita ampia discrezionalità mista, insondabile al sindacato giurisdizionale di legittimità » (v. p. 9 dell’impugnata sentenza).

Premesso che il motivo al riguardo dedotto in primo grado concerne il rapporto tra il decreto ministeriale e la presupposta proposta della CONSOB, si osserva che, essendo quest’ultima basata su un’approfondita e circostanziata istruttoria e su specifici rilievi tecnici dell’organo di vigilanza, la sopra riferita valutazione ministeriale appare sorretta da un coerente impianto motivazionale e da una corretta valutazione delle accertate condotte gestionali degli organi sociali alla stregua di gravi irregolarità e violazioni delle normative del settore, con una puntuale evidenziazione dell’idoneità di ciascuna delle accertate irregolarità a giustificare la misura dello scioglimento degli organi sociale e della sottoposizione della SIM ad amministrazione straordinaria, senza dar luogo ad uno iato logico tra presupposti e contenuto dei provvedimenti adottati, quale lamentato dall’originaria ricorrente, con conseguente inconsistenza del motivo in esame.

A fronte della pluralità e gravità delle riscontrate violazioni ed irregolarità gestionali, il cui accertamento è sorretto da una serie di elementi probatori plurimi, precisi e concordanti, puntualmente enunciati nella proposta di sottoposizione della Danubio SIM s.p.a. alla procedura di amministrazione straordinaria, di cui alla nota CONSOB del 4 agosto 1999 posta a base degli impugnati decreti, l’adottata misura è stata dal T.a.r. correttamente ritenuta esente dai dedotti vizi di incongruità, di violazione del principio di proporzionalità e di carenza motivazionale, con conseguente infondatezza dei motivi in esame.

5.3. Destituito di fondamento è, altresì, il terzo motivo d’appello, con cui sono state dedotte la violazione del giudicato penale assolutorio formatosi sulla sentenza del Tribunale di Milano, Sez. III pen., 21 dicembre 2004, n. 12132, e l’erronea valutazione dei presupposti di fatto sui quali fondavano gli impugnati provvedimenti, in quanto:

- l’art. 654 cod. proc. pen. disciplina gli effetti del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo in un contesto normativo che, diversamente da quanto previsto dall’art. 28 del codice precedente, esclude l’efficacia erga omnes dell’accertamento dei fatti effettuato in sede penale, introducendo il principio della separatezza tra i giudizi ed escludendo che l’accertamento dei fatti materiali oggetto del giudicato penale sia vincolante nei giudizi civili o amministrativi nei confronti di coloro che al giudizio penale siano rimasti estranei;

- nel caso di specie, dalla sentenza penale emerge che le amministrazioni ed autorità appellate non avevano partecipato al giudizio penale in qualità di parti civili, con conseguente inopponibilità del giudicato penale alle amministrazioni medesime (se non sub specie di utilizzabilità delle relative risultanze probatorie quali meri indizi);

- gli impugnati provvedimenti si fondano su una serie di motivazioni autonomamente sufficienti a sorreggerne il dispositivo – come, peraltro, testualmente enunciato nel sopra riportato passaggio testuale del decreto ministeriale del 2 settembre 1999 –, sicché l’accertamento dell’integrazione, o meno, delle contestate fattispecie delittuose dell’esercizio non autorizzato dei servizi di ricezione e trasmissione di ordini e di gestione individuale di portafogli per conto di un gruppo di (nove) clienti non assume comunque rilievo causale dirimente nel contesto motivazionale degli impugnati provvedimenti.

Ad ogni modo, devono ritenersi effettivamente integrate le fattispecie di abusivismo accertate in sede ispettiva (ricezione e trasmissione di ordini;
gestione individuale di portafogli di investimento), per le seguenti ragioni (tenuto conto dell’assetto normativo vigente all’epoca dell’adozione degli impugnati provvedimenti):

- deve escludersi che l’autorizzazione per l’attività di negoziazione per conto terzi comprendesse anche quella di ricezione e trasmissione ordini di cui all’art. 1, comma, 5 lett. e), d.lgs. n. 58 del 1998, distinguendosi i due tipi di autorizzazione per il fatto che, nella negoziazione, l’intermediario esegue l’ordine del cliente, mentre nell’attività di ricezione e trasmissione degli ordini la disposizione del cliente viene trasmessa ad altro intermediario, affinché esso venga eseguito da quest’ultimo, con una conseguente differenza ontologica dei due tipi di servizi non riducibile ad un rapporto di continenza del secondo nel primo;

- la necessità di distinte autorizzazioni per ciascuno dei servizi di investimento che l’intermediario intende svolgere risponde ad esigenze di tutela dei clienti da rischi specifici inerenti ai singoli tipi di servizi, con l’introduzione di un ragionevole sistema di controlli pubblici preventivi e di un coerente apparato sanzionatorio, che si sottrae alle censure di illegittimità costituzionale prospettate dall’originaria ricorrente ed odierna appellante;

- gli elementi materiali della fattispecie dell’abusiva gestione individuale di portafogli di investimento, di cui al combinato disposto degli artt. 1, comma 5, lett. d), e 166 d.lgs. n. 58 del 1998, devono ritenersi comprovati alla luce di una valutazione complessiva e globale delle risultanze dell’attività ispettiva svolta dalla CONSOB per il Ministero del tesoro, in quanto la ricorrenza statistica di operazioni omogenee (per tipo, segno, strumento finanziaria, data e ora), accertata in sede ispettiva, offre un quadro indiziario univoco con riguardo alla riferibilità meramente formale ed apparente degli ordini al compimento delle relative operazioni ai rispettivi clienti, invece effettivamente riferibili all’intermediario, il quale nella specie non poteva considerarsi alla stregua di mero destinatario passivo delle disposizioni dei clienti, le cui manifestazioni di volontà vanno, correttamente, qualificate alla stregua di ‘assenso preventivo’ al compimento di operazioni individuate di propria iniziativa dalla Danubio SIM, le quali sono venute ad integrare una vera e propria attività di gestione di portafoglio svolta in assenza di un correlativo specifico titolo autorizzativo.

5.4. Né può trovare accoglimento il quarto motivo d’appello – con cui è stata dedotta l’erronea reiezione delle censure proposte avverso l’accertamento delle irregolarità esulanti dal giudizio penale –, in quanto le violazioni accertate dalla CONSOB riguardano criticità permanenti e strutturali dell’assetto organizzativo e procedurale della SIM, e non già puntuali ed isolate violazioni di norme.

È, al riguardo, sufficiente richiamare gli accertamenti, suffragati da adeguato impianto istruttorio e motivazionale, puntualmente posti in rilievo nella proposta CONSOB e non intaccati in modo dirimente dalle deduzioni difensive dell’odierna appellante, in punto di:

- carenze di risorse e procedure;

- carenze del sistema di registrazione degli ordini e delle operazioni;

- carenze riguardanti la contrattualistica;

- carenze nell’informativa resa alla clientela e nelle procedure all’uopo utilizzate;

- modalità di conduzione aziendale non conformi ai principi di una gestione indipendente, sana e prudente;

- inosservanza del principio di separatezza patrimoniale;

- operazioni non adeguate (per frequenza e dimensioni) effettuate per conto delle clientela;

- conflitto di interessi;

- operazioni preordinate a far conseguire utili ad alcuni clienti in danni di altri.

5.5. Conclusivamente, per le esposte ragioni l’appello è da respingere, con conseguente conferma dell’appellata sentenza.

6. Tenuto conto di ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.

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