Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600846

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-02-29, n. 201600846
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201600846
Data del deposito : 29 febbraio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

4"> N. 05829/2011 REG.RIC.

N. 00846/2016REG.PROV.COLL.

N. 05829/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5829 del 2011, proposto da:
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. S O D L, A B, con domicilio eletto presso . Delegazione Regione Puglia in Roma, Via Barberini N.36;

contro

Mastrototaro Grazia, Comune di Trani;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. della PUGLIA – Sede di BARI - SEZIONE II n. 04272/2010, resa tra le parti, concernente piano urbanistico generale


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2015 il Consigliere F T e udito per parte appellante l’Avvocato Bucci (anche su delega di Di Lecce);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Puglia - Sede di Bari - ha accolto il ricorso proposto dalla odierna parte appellata, corredato da motivi aggiunti, volto ad avversare, ottenendone l’annullamento, gli atti ed i provvedimenti relativi al procedimento di adozione ed approvazione definitiva del Piano Urbanistico Generale (PUG), culminato nella delibera Consiliare di approvazione definitiva n. 8 del 31.3.2009 nella parte in cui disciplinava i suoli di proprietà della parte originaria ricorrente, unitamente a tutti gli atti presupposti e connessi.

Con il predetto ricorso, sostanzialmente, si era lamentato che la nuova classificazione impressa all’area di propria pertinenza, notevolmente penalizzante, violasse i principi generali in materia di comparto.

Il T ha anzitutto disatteso l’eccezione di inammissibilità del mezzo di primo grado conseguente alla mancata notifica dello stesso alla Provincia di Bari.

Il T ha quindi (capo due della sentenza) esaminato i motivi del mezzo di primo grado, ed ha in primis disatteso il primo motivo ed il quarto motivo, con il quale era stata contestata la illegittimità della delibera di Giunta Regionale n. 1480 del 1° agosto 2008 ( e la conseguente illegittimità derivata degli atti successivi che tale delibera avrebbero acriticamente recepito) avendo asseritamente la stessa compiuto un controllo esulante dai limiti delineati dall’art. 11 della L.R. 20/01.

Ad avviso del T, infatti, puntando il dito sulla densità edilizia ed individuando la stessa come causa di compromissione del bene paesaggistico "costa", la Regione non aveva affatto travalicato i limiti del sindacato che poteva compiere sul P.U.G.

Il primo giudice esaminando congiuntamente il secondo ed il terzo dei motivi di ricorso principale,ha proceduto ad un articolato excursus delle disposizioni legislative che regolavano la detta materia ed agli orientamenti della giurisprudenza sul punto, ed ha accolto il ricorso di primo grado, nei limiti dell’ interesse della parte originaria ricorrente, alla stregua di alcune, articolate, considerazioni.

Nel merito, ad avviso del T, non era condivisibile il disegno degli estensori del P.U.G. di applicare a tutti i costi, e quindi in maniera indiscriminata i principi perequativi.

Appariva evidente, quindi, come nel caso di specie il P.U.G. avesse abusato della perequazione deviando dallo zoning tradizionale fuori dai casi in cui una simile deviazione poteva ammettersi.

Secondo il T, poi, per altro verso, la tipizzazione impressa ai detti suoli di proprietà di parte ricorrente era illegittima in quanto contemplava la delimitazione di un “comparto perequato” a mezzo di uno strumento urbanistico di natura generale (dovendosi escludere, in particolare, che la Legge regionale n. 6/1979 consentisse di delimitare i comparti edificatori in sede di approvazione dello strumento generale).

La Legge regionale n. 6/1979 all’art. 15 “disegnava” il comparto in termini simili al comparto edificatorio ex art. 23 della legge n. 1150/1942 ed al dPR n. 327/2001, art. 7: cioè come strumento di terzo livello (il T ha sul punto richiamato la propria precedente sentenza n. 1962/2010)

Secondo l’argomentare del primo giudice nella Regione Puglia la situazione non aveva subìto mutamenti neppure per effetto della entrata in vigore della Legge regionale n. 20/2001, (che aveva disciplinato il Piano Urbanistico Generale, recependo espressamente i principi della perequazione urbanistica, peraltro sospendendo l’obbligo di approvazione del Programma Pluriennale di Attuazione e facoltizzando i comuni che nel frattempo se ne erano dotati a revocarlo o mantenerlo fino alla scadenza, ma non incidendo in alcun modo sull’istituto del comparto edificatorio, di cui non si occupava). L’art. 14 della citata legge regionale, infatti, stabiliva che “Al fine di distribuire equamente, tra i proprietari interessati dagli interventi, i diritti edificatori attribuiti dalla pianificazione urbanistica e gli oneri conseguenti alla realizzazione degli interventi di urbanizzazione del territorio, il PUG può riconoscere la stessa suscettività edificatoria alle aree comprese in un PUE.”);

l’art. 15 della Legge regionale n. 20/2001 stabiliva che “al PUG viene data attuazione mediante PUE di iniziativa pubblica, privata, o mista”;

lo strumento attuativo del PUG, quindi, era il PUE, e non il comparto.

Ed il PUE era strumento che presupponeva la già avvenuta approvazione del PUG (art. 18 della Legge regionale n. 20/2001, secondo cui il PUE non poteva variare le previsioni strutturali del PUG e comma 2 lett. a del detto art. 18 secondo cui ai fini della formazione del PUE “ non costituiva variazione del PUG la modificazione delle perimetrazioni contenute nel PUG conseguente alla trasposizione del PUE sul terreno”).

Da ciò ha fatto discendere la conseguenza per cui non spettava al P.U.G. la perimetrazione dei comparti edificatori (e neppure la stessa perimetrazione dei PUE).

Il nuovo P.U.G. di Trani risultava quindi, ad avviso del Tribunale amministrativo, illegittimo in quanto provvedeva a delimitare il perimetro di comparti definiti specificamente come “comparti edificatori” con rinvio espresso all’art. 15 della L.R. 6/79, (art.

5.04 NTA) comparti che, in quanto tali, avrebbero potuto essere individuati solo in sede attuativa.

In sintesi:

Il P.U.G. di Trani (art.

5.04 NTA)disegnava un comparto edificatorio identico a quello di cui all’art. 15 L.R. 6/79 : ma esso non tollerava di essere individuato in sede di pianificazione generale.

Ne risultava violato il precetto di cui all’ art. 14 della Legge regionale n. 20/2001(“"Al fine di distribuire equamente, tra i proprietari interessati dagli interventi, i diritti edificatori attribuiti dalla pianificazione urbanistica e gli oneri conseguenti alla realizzazione degli interventi di urbanizzazione del territorio, il PUG può riconoscere la stessa suscettività edificatoria alle aree comprese in un PUE. ",”).

In base a tale norma era possibile attribuire una suscettività edificatoria a fondi che non potrebbero averla in base alla destinazione loro propria.

Ma tale deroga poteva essere applicata solo nell'ambito di un Piano Urbanistico Esecutivo, e solo allo scopo di ottenere, tra tutti proprietari interessati ad un intervento, una eguale ripartizione dei diritti edificatori.

Ad avviso del T, quindi, tenuto anche conto del fatto che i PUE potevano essere delimitati solo in sede attuativa, la legislazione pugliese consentiva al fine di dare attuazione ai principi della perequazione:

a)che il PUG potesse soltanto, dopo aver comunque proceduto ad una tipizzazione di massima delle varie zone del territorio comunale nel rispetto dei principi dello zoning tradizionale, individuare zone soggette a pianificazione attuativa all'interno delle quali ogni fondo ricevesse, proprio in forza della norma speciale di cui all'art. 14 L.R. 20/01, un uniforme indice di fabbricabilità convenzionale, (che il PUG poteva predeterminare, magari tra un minimo ed un massimo onde che l’indice di fabbricabilità definitivo fosse determinato nella maniera più confacente al caso di specie);

b) il PUG poteva altresì inoltre indicare i criteri di massima da osservare nella futura delimitazione dei PUE, anche individuando eventuali meccanismi premiali;

c) spettava invece alla pianificazione attuativa perimetrare, all'interno di tali zone, i singoli PUE, ed all'occorrenza i singoli comparti.

Il PUG di Trani non avrebbe potuto, al fine di ripartire l’onere derivante dalla cessione di suoli per urbanizzazioni secondarie, perimetrare un piano attuativo in sede di approvazione dello strumento di pianificazione generale, né attribuire diritti edificatori all’area interessata da tale cessione in misura differente rispetto alle altre aree comprese nel comparto.

Completato questo iter motivo sotto un profilo più generale (sostanzialmente riconoscendo fondata la censura di eccesso di potere per straripamento) il T ne ha fatto conseguire la considerazione (alla fine del capo 3.1. della sentenza) secondo la quale la tipizzazione impressa al Cp/29 dal PUG di Trani scontava la violazione dei detti principi, prevedendo in un medesimo comparto soggetto a pianificazione attuativa unitaria, cioè estesa all'intero comparto, la coesistenza di differenti tipizzazioni, residenziale ed alberghiera, con diversi indici di fabbricabilità fondiaria, nonché l'asservimento della maglia ES/10 a servizi al solo scopo di concentrare tutta l'edificazione sulla vicina maglia ES/11, scopo questo che in teoria avrebbe anche potuto essere perseguito tipizzando l'intera area quale zona edificabile e sottoponendo la stessa non a vincolo di comparto ma a pianificazione attuativa, con un uniforme indice di fabbricabilità: la concentrazione dei volumi nella zona più lontana dal litorale sarebbe stata poi ottenuta mediante approvazione di un adeguato piano attuativo.

Parimenti è stato accolto il quinto motivo di censura:

ivi ci si doleva della circostanza che, essendo stata inserita nell’Atlante dei Beni Architettonici della Cappella San Giovanni, era stata disposta la inedificabilità di un’area confinante con tale edificio, considerato come area “annessa”.

Il T ha in proposito osservato che sulla possibilità che in sede di pianificazione generale potessero essere individuati beni architettonici da assoggettare a tutela, e che la tipizzazione dei suoli potesse essere condizionata dal vincolo imposto sui beni in questione, era stata in passato resa la sentenza n. 2241/2010.

Ivi era stato precisato che “i vincoli di natura culturale su beni di proprietà di persone fisiche private possono essere imposti solo all’esito della dichiarazione di interesse contemplata all’art. 13 D. L.vo 42/04, mentre quelli di natura paesaggistica derivano dalla legge, da una analoga dichiarazione di interesse ovvero da una pianificazione paesaggistica. Nell’individuare unilateralmente alcuni fabbricati da tutelare, non segnalati neppure a livello di PUTT/P, il P.U.G. si é quindi assunto compiti che non gli spettano, che non gli vengono assegnati neppure dalla L.R. 20/01, e così esercitando tra l’altro competenze che la legislazione nazionale attribuisce ad altre Autorità. La tipizzazione di un’area non può, conclusivamente, dipendere dall’intento di tutelare gli edifici che sopra vi insistono quando la tutela spetti ad altri enti. Si consideri, tra l’altro, che all’esito del procedimento finalizzato alla imposizione del vincolo culturale o paesaggistico potrebbero essere ritenuti compatibili con la tutela anche interventi di ristrutturazione e/o ampliamento: pertanto una tipizzazione delle aree che, a scopo “preventivo”, precluda qualsiasi intervento che vada al di là della manutenzione o del restauro e risanamento conservativo, potrebbe risultare, a posteriori, del tutto ingiustificata e finirebbe per lasciare al gusto, e magari anche alle stravaganze, dei singoli pianificatori la possibilità di imporre limitazioni anche pesantissime alla proprietà privata.”.

Nel caso di specie appariva ad avviso del T traslabile alla vicenda il detto principio di cui alla pregressa sentenza n. 2241/2010: l’edificio Cappella San Giovanni non risultava essere stato sottoposto a tutela architettonica né risultava segnalato nel PUTT/p. Il PUG di Trani non potevano assoggettare a vincolo di inedificabilità l’area ad esso circostante, non potendo il potere di pianificazione del territorio essere esercitato per perseguire scopi differenti da quelli per i quali esso era attribuito all’Autorità comunale.

Conseguentemente, in accoglimento dei motivi 2, 3 e 5 del mezzo di primo grado il Tribunale amministrativo ha annullato la delibera del Consiglio Comunale di approvazione definitiva del nuovo Piano Urbanistico Generale, e gli atti ad esso presupposti, limitatamente alle previsioni relative ai fondi di proprietà della parte originaria ricorrente.

L’amministrazione regionale rimasta soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe sotto tutti i versanti motivazionali suindicati ripercorrendo la cronologia degli accadimenti e chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha in particolare rimarcato che parte originaria ricorrente di primo grado non aveva sollevato doglianze in ordine all’utilizzo di tecniche perequative per la disciplina del suolo di pertinenza: aveva prestato acquiescenza alle modalità con cui avveniva l’edificazione del suolo.

La sentenza di prime cure era affetta dal vizio di ultrapetizione ed extrapetizione ex art. 112 cpc, ed era gravemente errata in quanto impingente sul merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione e resa tenendo in non cale la disciplina regionale di cui alla legge n. 20/2001.

Parimenti il contraddittorio era stato violato perché ex officio, ed obliando l’art. 73 comma 3 del cpa il T aveva posto a sostegno della decisione demolitoria vizii mai lamentati e comunque sui quali non era stato sollecitato il contraddittorio.

Sotto altro profilo, ha sostenuto che il mezzo di primo grado non era stato notificato ad alcuno degli altri proprietari di arre ricadenti nel comparto e non impugnanti: ove si fosse ritenuto che la sentenza spiegava incidenza anche su dette posizioni il mezzo doveva essere dichiarato inammissibile.

Parimenti parte appellante ha riproposto (pag 31 e 32 dell’appello, punto 15) la censura relativa alla omessa invocazione in primo grado della Provincia Regionale.

La sentenza, pertanto: era viziata ex art. 112 cpc;
affetta da nullità in quanto le tematiche ivi esaminate non erano state oggetto di delibazione svolta in contraddittorio;
il ricorso di primo grado, era inammissibile per omessa intimazione alla Provincia.

Nel merito, la sentenza fondava la propria valutazione di illegittimità della pianificazione perequativa prevista dal Pug su argomenti, gravemente errati.

Si era infatti ivi sostenuto che il Comune aveva utilizzato la tecnica perequativa in contrasto con il criterio della zonizzazione e che i comparti perequativi potessero essere perimetrati soltanto in sede di pianificazione attuativa, e non già direttamente nel PUG.

la sentenza, non teneva conto del principio giurisprudenziale affermatosi, secondo cui v’era piena compatibilità tra la zonizzazione prevista dalla legge n. 1150/1942 e la pianificazione perequativa (posto che quest’ultima operava all’interno di comparti perequativi e non introduceva nuove destinazioni di zona).

Quanto alla tesi secondo cui i comparti perequativi (in quanto strumento di “terzo livello” potevano essere perimetrati soltanto in sede di pianificazione attuativa ( e non già direttamente dal PUG), essa non teneva conto della circostanza che la legge regionale n. 20/2001 aveva modificato sostanzialmente la legge regionale n. 56/1980 e quella n. 6/1979.

Gli art. 2 lett. d e 14 della legge regionale n. 20/2001 prevedevano invece espressamente che la perimetrazione dei Pue e quella dei distretti perequativi (ove prevista dal pianificatore locale) venisse effettuata direttamente dallo strumento urbanistico generale.

Il primo giudice aveva confuso i “comparti edificatori” previsti ex art. 870 cc e dall’art. 23 della legge n. 1150/1942 (oltre che dalla ante vigente legislazione regionale) con i comparti perequativi.

La Regione ha inoltre sostenuto (punti 10-14 dell’appello) che parimenti errato era il capo 4 della gravata sentenza che aveva accolto il motivo n. 5 del mezzo di primo grado: non v’era stata alcuna illegittimità nell’ avvenuta inserzione del compendio di pertinenza di parte appellata nell’ Atlante dei Beni Architettonici della Cappella San Giovanni.

Ciò, in quanto i Comuni ben potevano pervenire alla imposizione di vincoli coerenti con la natura dei beni ricadenti nel loro territorio.

La tutela paesaggistica, quindi, poteva anche essere effettuata dal Comune mercè lo strumento urbanistico.

Ad avviso della Regione, poi, ciò discendeva anche da un sereno esame delle prescrizioni legislative regionali.

Inoltre,il T aveva errato anche nella parte in cui aveva ritenuto che la disciplina vincolistica imposta, in concreto, avrebbe svuotato lo ius aedificandi.

Parte appellata non ha depositato memoria nel termine di cui all’art. 46 del cpa

Con memoria depositata in vista della odierna udienza pubblica e datata 15.10.2015 parte appellante ha puntualizzato e ribadito le proprie censure.

In vista della odierna pubblica udienza l’appellante Regione ha depositato una memoria tendente a puntualizzare le proprie difese.

Parte appellata non si è costituita nell’odierno grado di giudizio.

Alla pubblica udienza del 17 novembre 2015 la causa è stata rinviata alla odierna pubblica udienza del 15 dicembre 2015.

Alla odierna pubblica udienza del 15 dicembre 2015 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1.L’appello principale è soltanto parzialmente fondato, e va soltanto parzialmente accolto, nei limiti di cui alla motivazione che segue. Nella restante parte (punti 10-14) il mezzo va disatteso.

1.1.Al fine di perimetrare anticipatamente il materiale cognitivo in via teorica esaminabile dal Collegio, si rileva che parte originaria ricorrente non essendosi costituita nell’odierno grado di giudizio, non ha tempestivamente riproposto con memoria i motivi del mezzo di primo grado assorbiti dal primo giudice: essi non sarebbero pertanto teoricamente riesaminabili dal Collegio.

Invero (il mezzo di primo grado è stato proposto nel 2009 e la causa è stata assunta in decisione nell’ottobre 2010 mentre la sentenza è stata pubblicata nel dicembre 2010) ove la vicenda processuale fosse regolata ex artt. 101 e 46 del cpa i motivi assorbiti avrebbero dovuto essere riproposti incidentalmente con memoria depositata “entro il termine di costituzione in giudizio” (id est: sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notifica del gravame).

Alle stesse conclusioni si perviene comunque valutando la problematica alla luce della disciplina previgente, in adesione all’orientamento della Sezione secondo cui “e' solo in applicazione estensiva dell'art. 346 c.p.c. che, nel processo amministrativo, si afferma il principio della riproponibilità dei motivi assorbiti o non esaminati mediante memoria , così semplificando gli oneri dell'appellante incidentale (proprio), esentandolo dalla necessità di notificazione dell'atto. Peraltro, se pure si consente la riproposizione dei motivi per il tramite di memoria e non di appello incidentale (accordando prevalenza all'art. art. 346 c.p.c. sull'art. 37 R.D. n. 1054/1924), non si può escludere che detta memoria debba essere comunque depositata entro il termine previsto dal citato art. 37. E ciò a maggior ragione vista l'assenza di diversa previsione nell'art. 346 c.p.c. (Cons. Stato Sez. IV, 10-08-2011, n. 4766).

Posto che parte appellata non depositò tempestiva memoria di costituzione nell’odierno grado di giudizio contenente i motivi sottesi al ricorso di primo grado oggetto di decisione mercè la gravata sentenza rimasti assorbiti, sarebbe precluso al Collegio vagliarne la fondatezza.

Le tematiche che questo Collegio può legittimamente esaminare, quindi, riposano unicamente nelle censure avverso la statuizione accoglitiva del secondo, terzo, e quinto motivo del mezzo di primo grado, e nelle eccezioni preliminari di inammissibilità prospettate dall’appellante Regione (non avendo parte originaria ricorrente peraltro neppure proposto appello incidentale avverso la espressa reiezione dei motivi nn. 1 e 4 del mezzo introduttivo del giudizio di primo grado).

2.Ciò premesso in punto di materiale cognitivo esaminabile dal Collegio, in via preliminare rispetto alla disamina del merito della causa devono appunto essere prioritariamente scrutinate le censure di natura processuale sollevate da parte appellante.

Come già rilevato nella parte in fatto, è stata sollevata la doglianza di extrapetizione, a propria volta connessa con quella di violazione delle regole del contraddittorio, e quella di inammissibilità del ricorso di primo grado per omessa evocazione di una delle autorità emananti (la Provincia regionale di Bari): parte odierna appellata, infatti, non aveva provveduto a notificare il mezzo di primo grado alla Provincia regionale di Bari.

Inoltre, si sottolinea nell’appello, che il mezzo di primo grado non era stato notificato agli altri proprietarii del comparto, per cui (secondo la critica appellatoria) ove si ritenga che la decisione gravata possa spiegare effetti nei confronti dei detti soggetti il mezzo di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

2.1.Trattandosi di doglianze che, ove accolte, potrebbero condizionare la esaminabilità del merito della causa, esse vanno esaminate prioritariamente.

3. La prima di esse da sottoporre a scrutinio (pag. 32, punto 15 dell’atto di appello), in ordine logico, è quella afferente la originaria inammissibilità del mezzo di primo per omessa evocazione in giudizio di una delle autorità emananti (la Provincia regionale di Bari).

Essa si fonda sul disposto di cui all’art. 11 della legge regionale della Puglia n. 20 del 27 luglio 2001 (recante “Formazione del Pug” il quale (si veda in proposito, per una accurata disamina della citata disposizione la sentenza della Sezione n. 4821/2007) prevede al comma settimo che “il PUG così adottato viene inviato alla Giunta regionale e alla Giunta provinciale ai fini del controllo di compatibilità rispettivamente con il DRAG e con il PTCP, ove approvati. Qualora il DRAG e/o il PTCP non siano stati ancora approvati, la Regione effettua il controllo di compatibilità rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente, ivi inclusi i piani già approvati ai sensi degli articoli da 4 a 8 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, ovvero agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale di cui all'articolo 5 del d. lgs. 267/2000”.

Il comma 8 prevede che la Giunta regionale e la Giunta provinciale si pronunciano entro il termine perentorio di centocinquanta giorni dalla ricezione del PUG, decorso inutilmente il quale il PUG si intende controllato con esito positivo.

Il comma 9 prevede che qualora la Giunta regionale o la Giunta provinciale deliberino la non compatibilità del PUG rispettivamente o con il PTCP, il Comune promuove, a pena di decadenza delle misure di salvaguardia di cui all'articolo 13, entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data di invio del PUG, una Conferenza di servizi …… In sede di Conferenza di servizi le Amministrazioni partecipanti, nel rispetto del principio di copianificazione, devono indicare specificamente le modifiche necessarie ai fini del controllo positivo.

Il comma 10 prevede che la Conferenza di servizi assume la determinazione di adeguamento del PUG alle modifiche di cui al comma 9 entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data della sua prima convocazione, l'inutile decorso del quale comporta la definitività delle delibere regionale e/o provinciale di cui al comma 9, con contestuale decadenza delle misure di salvaguardia.

Il comma 11 prevede che la determinazione di adeguamento della Conferenza di servizi deve essere recepita dalla Giunta regionale e/o dalla Giunta provinciale entro trenta giorni dalla data di comunicazione della determinazione medesima. L'inutile decorso del termine comporta il controllo positivo da parte della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale.

Il comma 12 prevede che il Consiglio comunale approva il PUG in via definitiva in conformità delle deliberazioni della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale di compatibilità o di adeguamento di cui al comma 11, ovvero all'esito dell'inutile decorso del termine di cui ai commi 8 e 11.

3.1. Ad avviso di parte appellante stante l’univoco tenore della citata disposizione (in particolare dei commi 7 ed 8 che equiparano in toto la posizione della Provincia a quella della Regione) anche la Provincia Regionale rientrava tra le “autorità emananti” del Pug in quanto alla stessa sono ex lege affidate funzioni di copianificazione.

Dalla omessa notifica del mezzo di primo grado a tale Ente derivava la insanabile inammissibilità dello stesso (in quanto, non essendo la Provincia Regionale di Bari equiparabile ad un controinteressato non poteva configurarsi “unicamente” la omissione dell’ordine di integrazione del contraddittorio,)

3.2. Ritiene il Collegio che la doglianza non sia fondata.

Va premesso che per costante giurisprudenza amministrativa ( Consiglio Stato sez. IV 14 ottobre 2005 n. 5711) “è inammissibile il ricorso (nel caso di specie trattavasi di revocazione ndr) che non sia stato notificato all' Autorità emanante, non essendo possibile in tale ipotesi disporre l'integrazione del contraddittorio.”

In particolare, con riferimento alla questione della impugnazione dei piani regolatori generali, la giurisprudenza ha costantemente affermato che ( Consiglio Stato sez. IV 12 maggio 2009 n. 2901) “è inammissibile il ricorso proposto per l'annullamento in parte qua del piano regolatore generale, che sia stato notificato solo al Comune e non anche alla Regione che lo ha approvato, né tale omissione può essere sanata dal giudice adito con l'ordine rivolto al ricorrente di procedere all'integrazione del contraddittorio, atteso che questa può essere disposta nei confronti dei controinteressati e a condizione che almeno uno di essi sia stato ritualmente evocato in giudizio, e non anche dell' Autorità emanante, che è parte principale ed essenziale del giudizio.” ( ma si veda anche Consiglio Stato sez. IV 16 luglio 2008 n. 3560: “stante la natura di atto complesso della variante a un piano regolatore generale, caratterizzato dal concorso di volontà di comune e regione , l' impugnazione di tale atto va necessariamente notificata a entrambi gli enti, quali amministrazioni emananti.).

Muovendo da questa premessa può certamente concordarsi con la deduzione di parte appellante secondo cui ove si affermasse che la Provincia Regionale di Bari rivestiva la posizione di “autorità co-emanante” essa non sarebbe stata equiparabile ad un controinteressato e non avrebbe potuto ravvisarsi “unicamente” la omissione dell’ordine di integrazione del contraddittorio a cagione della omessa invocazione in giudizio di questa.

La cornice processuale sottesa alla critica appellatoria è, quindi, senz’altro esatta.

3.2.1.Si rivela pertanto essenziale soffermarsi sulla fondatezza della premessa maggiore della doglianza, riposante nella effettiva attribuibilità – o meno- della qualifica di “autorità co-emanante alla Provincia Regionale di Bari.

3.3. A tal uopo il Collegio è edotto della circostanza che con una recente pronuncia (24 agosto 2006 n. 4277) il T della Puglia- Sede di Lecce- ha espressamente affermato il detto principio, stabilendo che “ai fini dell'adozione del piano urbanistico generale, il procedimento di cui all'art. 11 l. reg. Puglia 27 luglio 2001 n. 20, prevede una copianificazione, all'interno della quale si collocano, oltre al comune procedente, anche Provincia e Regione, la cui funzione non può che essere quella della cura degli interessi affidati al proprio livello di governo. Il principio di sussidiarietà verticale non vale, pertanto, a relegare a mero suggerimento non vincolante per l'autorità comunale una espressa manifestazione di dissenso formulata dalla Regione in riferimento a interessi conservati al proprio livello di governo da leggi regionali. La stessa espressione “controllo di compatibilità”, contenuta nel citato art. 11, indica il ruolo della Regione nella copianificazione, che non è di mero ausilio o apporto istruttorio, ma di gestione esclusiva degli interessi sovracomunali di dimensione, appunto, regionale, coinvolti dalla pianificazione territoriale del comune.”

Ritiene sul punto il Collegio che mentre sotto il profilo teorico l’espresso tenore della suindicata disposizione di legge regionale conforta la tesi di parte appellante (e gli approdi cui è giunto il T di Lecce nella menzionata decisione prima indicata) non altrettanto può affermarsi con riferimento alla disamina della situazione concreta che, al contrario, induce a conclusioni opposte rispetto a quelle sostenute dall’ amministrazione odierna appellante.

Il punto è già stato esplorato dalla Sezione nelle sentenze n. 03537/2013 e 6040/2012(relative alla impugnazione del PUG del comune di Palo del Colle e sul cui contenuto pure ci si soffermerà nuovamente in seno al presente elaborato ) e non si ritiene di mutare divisamento rispetto all’approdo ivi raggiunto.

3.4. Invero la seconda parte del comma 7 della citata disposizione di cui all’art. 11 della legge regionale n. 20/2001 stabilisce espressamente che: “Qualora il DRAG e/o il PTCP non siano stati ancora approvati, la Regione effettua il controllo di compatibilità rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente, ivi inclusi i piani già approvati ai sensi degli articoli da 4 a 8 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, ovvero agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale di cui all'articolo 5 del d. lgs. 267/2000”.”.

Appare al Collegio evidente che la impostazione teorica che consente di ricomprendere la Provincia tra le Autorità co-emananti non possa trovare applicazione allorché la Provincia in concreto al momento dell’adozione del Pug non avesse ancora approvato il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, che costituisce il termine di riferimento per il giudizio di compatibilità di competenza provinciale: se essa non ha ancora approvato il proprio PTCP il controllo viene effettuato unicamente dalla Regione.

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