Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-05-08, n. 201802739
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Pubblicato il 08/05/2018
N. 02739/2018REG.PROV.COLL.
N. 03507/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3507 del 2015, proposto da:
A S, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo D'Avino, Arcangelo D'Avino, con domicilio eletto presso lo studio Alberto D'Auria in Roma, via Calcutta, 45;
contro
Comune di Ercolano, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato S S, con domicilio eletto presso lo studio Studio Legale Pieretti in Roma, via di Priscilla, 106;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE III n. 00475/2015, resa tra le parti, concernente demolizione opere edilizie abusive
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ercolano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 marzo 2018 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati D'Avino Arcangelo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza del TAR Campania, Napoli, sez. III, n. 475/2015 di reiezione dei ricorsi riuniti proposti dal sig. A S proprietario dell’immobile sito alla via San Vito, avverso le ordinanze di demolizione del comune di Ercolano (n. 35 del 14/5/2007 n. 36 del 14/5/2007) aventi ad oggetto gli interventi edilizi sul manufatto composto da Piano Terra e 1° piano di un fabbricato per civile abitazione sito a Via S. Vito n. 126.
Rilevato che le due istanze di condono edilizio riguardanti le opere eseguite senza titolo edilizio, presentate dal ricorrente (prot. n. 7051 e prot. n. 7049 in data 13/2/1995), erano state denegate con provvedimenti del 26/10/2005, in considerazione della violazione della disciplina paesaggistica gravante sull’area ove ricade l’immobile oggetto d’intervento, i giudici di prime respingevano i ricorsi.
Appella la sentenza il sig. A S. Resiste il comune di Ercolano
Alla pubblica udienza del 15.03.2018 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione
Con il primo motivo, l’appellante lamenta che il TAR avrebbe omesso di verificare l’avvenuto deposito entro i termini di legge della documentazione necessaria per istruire e definire favorevolmente le domanda di condono.
Secondo le censure i giudici di prime cure avrebbero avallato le ragioni formali poste a fondamento dei dinieghi impugnati relativi all’omessa integrazione della documentazione necessaria per istruire i relativi procedimenti.
Il motivo è infondato.
L’incompletezza documentale è attestata dalla comunicazione inviata al ricorrente appellante (d.1.04.2004), con la quale il Comune richiedeva, ai sensi dell’art. 39, quarto comma, l.724/94, l’integrazione mancante, segnatamente: la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di assenza di carichi pendenti per i reati indicati, la prova dell’avvenuto accatastamento e certificato di idoneità statico;per la domanda di condono prot. n. 7051, il servizio fotografico relativo ai quattro prospetti, nonché la prova dell’avvenuto accatastamento con la copia della denuncia dei redditi anno 1993.
La contestazione posta a fondamento del motivo d’appello si traduce nell’assenza di veridicità di un atto pubblico accertativo relativo a una ituazione di fatto che, ai sensi dell’art. 2700 c.c., fa piena prova fino a querela di falso: nel caso in esame mai formulata né presentata.
Con il secondo motivo d’appello si lamenta che il Tar non avrebbe considerato, traendone le dovute conseguenze giuridiche, che la notifica della richiesta di integrazione è avvenuta mediante messo comunale, il quale ne ha curato la consegna al figlio del ricorrente, in stato d’incapacità.
Il motivo è infondato.
L’art. 139 c.p.c., qui invocato, sancisce l’inefficacia della notifica nel caso che la persona ricevente sia “palesemente” incapace, sulla base di una condizione ictu culi evidente al notificatore, e non rilevabile ex post sulla base di una certificazione medica relativa alla necessità di cure per disturbi comportamentali.
Aggiungasi che l’appellante non dà alcuna prova dell’efficienza causale dello stato di salute sulla (postulata) omessa consegna della copia del provvedimento ad egli stesso, genitore convivente.
Con i residui motivi d’appello, lamenta l’omessa valutazione dei vizi – di motivazione – che inficerebbero la legittimità delle le ordinanze di demolizione.
I moti sono infondati.
L’appellante, in area vincolata, ha realizzato abusivamente interventi sul manufatto composto da deposito Piano terra e abitazione al 1°e 2° piano di un fabbricato per civile abitazione sito a Via S. Vito.
Segnatamente: nel 1993 ha realizzato ampliamenti del secondo piano (mq. 89,60 di superficie utile abitabile, mq. 11,90 per balconi e mq. 27,71 per ristrutturazione del deposito), nonché del piano terra (mq. 59,53 di superficie utile abitabile, mq. 10,86 per balconi e mq. 31,67 per ristrutturazione del deposito).
A riguardo va richiamata l’orientamento giurisprudenziale qui condiviso a mente del quale
8.1 Quanto ai dati tecnici rilevati dai verbalizzanti, va osservato che il verbale d’accertamento costituisce prova privilegiata dei fatti in esso attestati, non suscettibile di essere la qualificazione giuridica delle difformità, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, ai sensi dell’art. 32, comma 4, d.P.R. 380/2001, gli interventi su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti in parchi o aree naturali protette nazionali e regionali, sono considerati, anche quando incidono solo sui volumi tecnici, variazioni essenziali.
Nel caso di specie, tali disposizioni trovano applicazione, in quanto è pacifico che l’area interessata dagli interventi abusivi è ricompresa nel Paro nazione del Vesuvio
8.4 Ne consegue che, come correttamente ha rilevato il T.a.r., l’intervento de quo, atteso il regime vincolistico cui il bene è sottoposto, andrebbe comunque considerato come variazione essenziale.
La qualificazione in termini di variazione essenziale – desumibile dalle istanze di condono respinte – degli interventi edilizio contestati determina l’inapplicabilità dell’istituto previsto dall’art. 34 d.P.R. n. 380/2001 (la sanzione pecuniaria in sostituzione della demolizione).
Il d.P.R. n. 380 del 2001 distingue, infatti, ai fini sanzionatori, gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, dagli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la cui disciplina sanzionatoria è recata dall'art. 34. Per i primi, è senz'altro prevista la demolizione delle opere abusive;mentre solo per i secondi la legge prevede la demolizione, a meno che, non potendo avvenite la demolizione senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria.
La qualificazione in termini di variazione essenziale implica, dunque, l’impossibilità di applicare la sanzione pecuniaria, a prescindere dalla prova dell’esistenza di un pregiudizio per la parte eseguita in conformità.
9. L’appello deve, pertanto, essere respinto.
10. Le spese di lite del grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.