Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-05-02, n. 201302395

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2013-05-02, n. 201302395
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201302395
Data del deposito : 2 maggio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03562/2001 REG.RIC.

N. 02395/2013REG.PROV.COLL.

N. 03562/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 3562 del 2001, proposto da:
MATTINI GERMANO e GIGANTE LICIA IN MATTINI, rappresentati e difesi dall'avv. F S, con domicilio eletto presso Andrea Antonelli in Roma, via dei Gracchi, n. 187;

contro

COMUNE DI SGONICO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. S S, con domicilio eletto presso Federico Bianca in Roma, via Tevere, n. 46;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA GIULIA, n. 1245 del 27 novembre 2000, resa tra le parti, concernente diniego concessione in sanatoria;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sgonico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2013 il Cons. Carlo Saltelli, nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso giurisdizionale notificato il 22 marzo 1994 il sig. G M, comproprietario con la moglie, sig. L G, delle pp.cc. 1121/96 e 1121/109 del Comune di Gabrovizza, chiedevano al Tribunale amministrativo regionale per il Friuli – Venezia Giulia l’annullamento del provvedimento del sindaco di Sgonico, prot, n. 1776 del 12 gennaio 1994, recante il diniego della concessione in sanatoria per le opere abusive eseguite sui predetti fondi (edificio in muratura di mq. 42,90;
recinzione cancellata in pietra e malta;
muretti di contenimento per la realizzazione di aree a terrazzo adibite a coltivazione e parcheggi;
box in lamiera ondulata su zoccolo di cemento), nonché del parere prot. P.T. 4744/1.410/C del 6 dicembre 1993, emesso dalla Regione Friuli – Venezia Giulia della Pianificazione Territoriale.

A fondamento dell’impugnativa il ricorrente deduceva violazione di legge, eccesso di potere e manifesta ingiustizia, sostenendo che: a) era stata presentata regolare domanda di condono in data 29 aprile 1986;
b) le opere oggetto dell’istanza di condono era state eseguite entro il 1° ottobre 1983, come accertato dalla sentenza in data 10 marzo 1989 del Pretore di Trieste, che aveva dichiarato estinto il reato di cui agli articoli 38 e 39 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per l’avvenuta tempestiva presentazione della domanda di condono (in data 29 aprile 1986) e per il conseguente pagamento delle somme previste per la sanatoria;
c) si era comunque formato il silenzio assenso sulla richiesta di condono, ai sensi dell’art. 12, comma 35, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, sia che si prendesse in considerazione la data di presentazione della domanda (29 aprile 1986), sia che si tenesse conto di quella della sentenza (10 marzo 1989);
d) le opere realizzate non presentavano alcun elemento di contrasto per tipologia, volumetria, caratteri architettonici e materiali impiegati con la zona in cui ricadevano, nella quale peraltro la stessa amministrazione comunale aveva rilasciato concessioni edilizie per la realizzazione di altri fabbricati.

Il ricorso, cui resisteva l’intimato Comune di Sgonico, veniva iscritto al NRG. 321 dell’anno 1984.

2. Con altro ricorso giurisdizionale, notificato il 3 giugno 1994, i sigg. L G e G M chiedevano l’annullamento del provvedimento prot. 1613/94 del 15 marzo 1994, con cui il commissario ad acta del Comune di Sgonico (nominato dalla Giunta regionale del Friuli - Venezia Giulia per il completamento delle procedure sanzionatorie relative agli abusi urbanistico – edilizi non ancora repressi) aveva loro intimato di provvedere entro novanta giorni alla demolizione delle opere abusive realizzate ed al ripristino dello stato dei luoghi, con l’avviso che in mancanza il bene, l’area di sedime e quella necessaria sarebbero stati acquisiti gratuitamente al patrimonio comunale.

I ricorrenti lamentavano violazione di legge, eccesso di potere, manifesta ingiustizia e travisamento di fatti, riproponendo sostanzialmente le doglianze già spiegate col ricorso NRG. 321 del 1994 ed aggiungendo che: a) nessun atto precedente era stato notificato alla sig. L G;
b) era stato acquisito fin dal 1987 parere favorevole al rilascio della concessione edilizia in sanatoria da parte dell’Ispettorato Dipartimentale delle Foreste della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia;
c) il Parco regionale del Carso era stato istituito con legge regionale n. 42 del 1986, successivamente cioè alla realizzazione delle opere in questione;
d) la realizzazione di una scalinata d’accesso all’edificio e al box, indicata nel provvedimento impugnato non solo non era esistente, per quanto non era stata giammai contestata in precedenza;
e) il provvedimento del commissario ad acta applicava la variante n. 5 del P.U.R.G., approvata con D.P.R.G. n. 116 del 1987 (che aveva qualificato la zona come agricola E3, insuscettibili di interventi edificatori salvo quelli per rendere funzionale l’utilizzo zootecnico del territorio), anch’essa successiva alla realizzazione delle opere in questione.

Resisteva il Comune di Sgonico, chiedendo il rigetto del ricorso, iscritto al NRG. 582 dell’anno 1984.

3. Con un ulteriore ricorso, iscritto al NRG. 106 dell’anno 1996, i signori L G e G M impugnavano anche il successivo atto del predetto commissario ad acta prot. n. 5837 del 10 novembre 1995, recante l’accertamento dell’inottemperanza al precedente ordine di demolizione delle opere abusive, con conseguente loro acquisizione, gratuita e di diritto, al patrimonio comunale e successivo ripristino dello stato dei luoghi, d’ufficio, a loro spese.

Il predetto provvedimento veniva censurato per eccesso di potere, illegittimità, inesatta rappresentazione della situazione di fatto e di diritto.

Il Comune di Sgonico resisteva anche a tale ulteriore ricorso, chiedendone il rigetto.

4. L’adito tribunale con la sentenza n. 1245 del 27 novembre 2000, riuniti i ricorsi, ha dichiarato inammissibili i ricorsi NRG. 321 e 582 del 1994 nella parte in cui erano diretti all’annullamento rispettivamente del parere regionale del 6 febbraio 1993 e della delibera della Giunta regionale n. 3256/1992 (di nomina del commissario ad acta), in quanto non notificati all’ente regionale;
per il resto li ha respinti, ritenendo legittimi sia il diniego (parziale) di sanatoria (negando in particolare che si fosse formato il silenzio – assenso sulla relativa istanza, decisivo essendo al riguardo il parere negativo regionale), sia l’ordine di demolizione delle opere abusive;
ha poi rigettato interamente il ricorso NRG. 106 del 1996.

5. I sigg. G M e L G in M hanno lamentato l’erroneità e l’ingiustizia della predetta sentenza, chiedendone la riforma alla stregua di tre articolati motivi di gravame, rubricati rispettivamente “A) quanto al ricorso 321/94: illegittimità e erroneità della decisione impugnata – mancato accoglimento dei motivi esposti in ricorso introduttivo – eccesso di potere, illogicità grave e manifesta;
contraddittorietà dell’azione amministrativa;
violazione di legge;
violazione art. 35 l. 47/85;
violazione art. 11 cpc – mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato”;
“B) quanto al ricorso 582/94: illegittimità della decisione impugnata – eccesso di potere, illogicità grave e manifesta;
contraddittorietà dell’azione amministrativa”;
“C) quanto al ricorso 106/96: illegittimità della decisione impugnata – eccesso di potere, illogicità grave e manifesta;
contraddittorietà dell’azione amministrativa”.

Sono state sostanzialmente riproposte la maggior parte delle censure sollevate in primo grado, malamente apprezzate in fatto, superficialmente esaminate e respinte con motivazione approssimativa e lacunosa, frutto del mancata approfondimento del materiale probatorio in atti.

Il Comune di Sgonico si è costituito in giudizio, deducendo l’irricevibilità, l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello, di cui ha chiesto il rigetto.

6. Alla pubblica udienza del 12 marzo 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. L’appello è infondato.

7.1. Con riferimento al ricorso NRG. 321/94, la Sezione è dell’avviso che, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, il diniego di concessione edilizia, di cui all’impugnato provvedimento sindacale prot. n. 1176 del 12 gennaio 1994, è esente dai vizi appuntati.

7.1.1. Con riferimento al preteso perfezionamento del silenzio – assenso sull’istanza di condono edilizio, è sufficiente ricordare che, nell’ipotesi di opere abusive realizzate su aree sottoposte a vincolo, il silenzio – assenso dell’amministrazione comunale può formarsi col decorso del termine di ventiquattro mesi dall’emanazione del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo stesso e soltanto se tale parere è favorevole all’istante (C.d.S., sez. VI, 26 gennaio 2001, n. 249;
24 febbraio 2011, n. 1156;
5 aprile 2012, n. 2038;
sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2024;
18 settembre 2012, n. 4945).

Nel caso in esame è pacifico che la Regione Friuli – Venezia Giulia (Direzione regionale della pianificazione territoriale) con atto in data 6 dicembre 1993 ha espresso parere negativo, ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, “…in quanto le opere risultano essere in contrasto con il vincolo paesaggistica della zona interessata”, il che esclude in radice la stessa possibilità che possa essersi formato l’invocato silenzio – assenso.

7.1.2. Né può condividersi la tesi della illegittimità del diniego e del ricordato parere negativo per il fatto che il vincolo sarebbe sorto successivamente alla realizzazione delle opere abusive e della presentazione della domanda di condono.

Al riguardo la Sezione infatti non rinviene ragione per discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale a tenore del quale, in relazione al rapporto tra istanza di sanatoria e data di apposizione del vincolo paesaggistico, a prescindere dal momento dell’introduzione del vincolo, ai fini del parere di cui all’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, rileva la data di valutazione della domanda di sanatoria e non quella di costruzione dell’immobile (C.d.S., sez. V, 5 aprile 2012), essendo irrilevante che il vincolo paesaggistico sia sopravvenuto rispetto alla commissione dell’abuso e alla data di presentazione della domanda di condono (C.d.S., sez. IV, 29 novembre 2012, n. 6082;
sez. VI, 14 agosto 2012, n. 4573;
23 febbraio 2011, n. 1914;
A.P. 2 luglio 1999, n. 20).

7.1.3. Quanto alla pretesa contraddittorietà ed illogicità dell’impugnato diniego di condono, sollevata dagli appellanti in relazione alla circostanza che la stessa amministrazione comunale non aveva tenuto conto del reale contesto urbanistico in cui le opere abusive si inserivano, ed alla erroneità della sentenza impugnata che non avrebbe accolto sul punto la richiesta istruttoria di ordinare l’esibizione di alcune licenze edilizie rilasciate per opere realizzate nella stessa zona, la Sezione osserva che, anche a voler prescindere dalla circostanza che il potere istruttorio del giudice amministrativo non può essere invocato ed utilizzato dagli interessati per sottrarsi all’onere probatorio di cui all’articolo 2697 C.C., in ogni caso la legittimità dell’operato della pubblica amministrazione non può essere inficiata da eventuali illegittimità compiute in altre situazioni o su altre richieste, ancorché analoghe o addirittura identiche ( ex multis , con riferimento proprio ad una sanatoria edilizia, C.d.S., sez. VI, 27 marzo 2012, n. 1813).

7.1.4. La sentenza impugnata non merita censura alcuna neppure nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado nella parte in cui esso non era stato notificato alla Regione Friuli – Venezia Giulia, benché fosse stato impugnato il parere negativo espresso in data 6 dicembre 1993 sull’istanza di condono.

Infatti, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, detto parere negativo non può essere considerato un mero atto endoprocedimentale rispetto al diniego comunale: la giurisprudenza ha infatti più volte rilevato che il parere (negativo) dell’autorità preposta alla tutela del vincolo è vincolante ed assume valore dirimente, impedendo il rilascio del provvedimento di condono edilizio (C.d.S., sez. V, 7 settembre 2009, n. 5232;
31 ottobre 2012, n. 5553) e rendendo impossibile la sanatoria dell’opera (C.d.S., sez. V, 29 maggio 2006, n. 3216;
sez. VI, 24 febbraio 2011, n. 1156), essendo esclusa ogni autonoma valutazione da parte del Comune (C.d.S., sez. V, 16 agosto 2010, n. 5719).

E’ appena il caso di sottolineare che in ogni caso le censure appuntate nei confronti della motivazione del parere negativo costituiscono delle mere petizioni di principio e si atteggiano a mero inammissibile dissenso rispetto alle sintetiche, pertinenti e non illogiche o arbitrarie valutazioni o dell’amministrazione regionale circa il contrasto (per tipologia, volumetrie costruttive, caratteri architettonici e materiali impiegati) delle opere abusive con la zona tutelata posta all’interno del Parco del Carso (secondo cui, in particolare “…le recinzioni e il cancello contrastano in modo sostanziale con le caratteristiche tradizionali dei muretti carsici costruiti a “secco”, mentre si conferma il pessimo impatto ambientale dell’edificio ad uso abitativo e del box in lamiera che sono in contrasto con le peculiari caratteristiche del sito”).

7.2. Anche con riferimento ai ricorso NRG. 582/94 e NRG. 106/96, concernenti rispettivamente il primo l’ordine di demolizione delle opere abusive ed il ripristino dello stato dei luoghi ed il secondo l’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale degli abusi la decisione dei primi giudici risulta essere corretta e convincente.

7.2.1. Sotto un primo profilo occorre rilevare che il potere esercitato dal commissario ad acta con gli atti impugnati trova il suo fondamento nella delibera della Giunta regionale n. 3256 del 25 giugno 1992, recante proprio la sua nomina per il completamento delle procedure sanzionatorie relative agli abusi urbanistico – edilizi non ancora repressi, atto che non può essere considerato endoprocedimentale rispetto all’ordine di demolizione delle opere abusive e all’acquisizione di queste ultime al patrimonio comunale: correttamente pertanto i primi giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso NRG. 582/94 per la parte, pur impugnando tale delibera, non era stato notificato alla Regione.

Il fatto poi che tale delibera regionale non sia stata comunicata agli appellanti, come da questi ultimi dedotto, non costituisce motivo di illegittimità, legittimando piuttosto la rituale e tempestiva impugnazione unitamente al provvedimento di demolizione, fermo restando la necessità della sua notifica all’ente che l’aveva adottata (il che non è pacificamente avvenuto nel caso di specie).

7.2.2. Quanto al merito, anche a voler prescindere dalla considerazione che nessuna puntuale censura è stata svolta nei confronti della decisione dei primi giudici, essendosi gli appellanti limitati a rilevare che l’erroneo riscontro della legittimità del diniego avrebbe determinato automaticamente il consequenziale giudizio di legittimità dell’ordine di demolizione e del provvedimento di acquisizione, la Sezione in relazione all’unica censura di primo grado effettivamente ripoposta, sia pur in modo generico ed approssimativo, non può che rilevare i primi giudici hanno puntualmente evidenziato che tra le opere abusive, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, doveva essere ricompreso anche la “scalinata per l’accesso all’edificio e al box”, la cui esistenza emergeva sia dal processo verbale in data 17 novembre 1987, redatto dall’Ispettorato ripartimentale delle foreste di Trieste, sia dalla stessa sentenza del Pretore di Trieste del 10 marzo 1989, ove era precisato che l’avvenuta oblazione aveva riguardato anche quest’opera.

A fronte di tale precisa motivazione, rispetto alla quale nessun elemento probatorio, diretto o indetto, incompatibile è stato adotto dagli appellanti, né in primo grado e neppure nel presente giudizio di appello, non può trovare accoglimento la asserita, ma indimostrata, non coincidenza tra opere abusive effettivamente realizzate (tra cui non vi sarebbe stata anche la predetta scalinata) e quelle di cui sarebbe stata ordinata la demolizione (comprensive della scalinata).

In ordine al provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, che secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale costituisce un atto dovuto, privo di discrezionalità, subordinato al solo accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e al decorso dei termini di legge (C.d.S., sez. V, 27 aprile 2012, n. 2450;
28 aprile 2011, 2530;
24 marzo 2011, n. 1793;
sez. IV, 24 gennaio 2012, n. 297), del tutto correttamente i primi giudici hanno osservato che la mancata indicazione dell’autorità e del termine per ricorrere non costituisce motivo di illegittimità, sia perché in concreto alcun vulnus si è determinato nel diritto di difesa degli interessati che hanno ritualmente e tempestivamente adito la competente autorità giudiziaria, sia perché tale omissione avrebbe potuto giustificare l’eventuale errore commesso dagli interessati nell’identificazione dell’autorità giudiziaria competente e nell’individuazione dei termini per ricorrere.

8. In conclusione l’appello deve essere respinto.

La risalenza del giudizio e la particolarità delle questione trattate giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

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