Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-25, n. 202206571

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-25, n. 202206571
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202206571
Data del deposito : 25 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 25/07/2022

N. 06571/2022REG.PROV.COLL.

N. 00824/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 824 del 2022, proposto da
Ministero della Cultura, Soprintendenza Archivistica e Bibliografica dell’Emilia-Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

L C V, rappresentata e difesa dall'avvocato F M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
A C V e M M C V, rappresentati e difesi dagli avvocati M G P e G M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M G P in Roma, Circonvallazione Gianicolense 168;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna sezione staccata di Parma (Sezione Prima) n. 00217/2021, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di L C V, di A C V e di M M C V;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2022 il Cons. T M e uditi per le parti l’Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman e gli avvocati Fazio Mezzadri e G M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con provvedimento del 6 agosto 2018, prot. n. 13563, la Direzione generale del Ministero dei beni e delle attività culturali (oggi Ministero della Cultura ) decretava, ai sensi dell’articolo 34, comma 1 del decreto legislativo n. 42 del 2004 di provvedere all’esecuzione di interventi di restauro, ordinamento e inventariazione dell’Epistolario di Giuseppe Verdi e dell’Album Clarina Maffei e di computarne gli oneri relativi a carico dei signori Carrara Verdi, in qualità di unici eredi legittimi, giusta devoluzione ex lege , dell’eredità di Alberto Carrara Verdi e quindi dei soggetti comproprietari, e di provvedere al recupero dei costi per l’esecuzione degli interventi in questione (674.500 Euro) nelle forme previste dalla normativa in materia di riscossione coattiva delle entrate patrimoniali dello Stato. All’epoca detti documenti archivistici, sottoposti a vincolo in seguito alla dichiarazione di interesse culturale ai sensi dell’art. 10 del Codice dei Beni Culturali (da ultimo con provvedimento del 28.1.2008) erano conservati presso la Villa Verdi a Sant’Agata di Villanova sull’Ardo (Provincia di Parma), proprietà della Famiglia Carrara Verdi, eredi del Maestro Giuseppe Verdi.

1.1 Precedentemente, il Direttore della Direzione Generale Archivi del MIBACT il 7.5.2018, in seguito ad un sopralluogo della Soprintendenza Archivistica dell’Emilia Romagna (che aveva luogo solo poche ore prima dell’adozione dell’atto) aveva disposto con proprio atto la custodia coattiva presso l'Archivio di Stato di Parma, motivato con gravissime criticità dello stato di conservazione dei documenti pregiati.

1.2 Questo provvedimento veniva gravato da M M C V dinanzi al TAR Emilia Romagna, sede staccata di Parma, con ricorso allibrato al r.g.n. 164/2018, che con sentenza n. 204 del 2021 lo dichiarava però improcedibile per sopravvenuto difetto d’interesse, in quanto il Ministero aveva medio tempore espropriato detti beni con atto del 11.3.2021.

1.3 Tale decreto d’esproprio non risulta impugnato dagli aventi diritto, che invece hanno adito la Corte d’Appello di Bologna per contestare solamente l’indennità di esproprio. Gli appellati espongono che tale ricorso pende davanti al Giudice felsino sub r.g.n. 1168 del 2021.

2. Il provvedimento sub 1 è stato impugnato dagli eredi Verdi con due autonomi ricorsi avanti al TAR per l’Emilia Romagna, sede di Parma, nell’ambito dei giudizi n. R.G. 296/2018 (E C V e L C V) e 266/2018 (M M C V e A C V).

3. Con la sentenza del cui appello si tratta, n. 2174/2021, il TAR, riuniti i due ricorsi,

li ha accolti e per l’effetto ha annullato il provvedimento coattivo del 6.8.2018, ritenuto viziato da incompetenza, mancato rispetto delle garanzie procedimentali, oltre che da difetto di istruttoria e di motivazione e ha condannato il Ministero al pagamento delle spese del giudizio.

4. Con il ricorso in appello in epigrafe indicato il Ministero della Cultura ha impugnato l’indicata sentenza, deducendo: i) l’erroneità della sentenza in quanto sarebbe invece competente ad adottare tale atto anche il Ministero e non solamente la Soprintendenza regionale; ii) l’error in iudicando per quanto riguarda la violazione delle garanzie procedimentali ai sensi della legge 241/1990 e del Codice dei beni culturali, sostenendo che il contradditorio sarebbe stato rispettato ;
iii) error in iudicando
, violazione della sfera discrezionale tecnica e travisamento dei fatti di causa, sottolineando invece la necessità di procedere all’inventariazione, a garantire l’accesso all’archivio Verdi da parte di studiosi ed infine l’errore del primo giudice a non ritenere provata la carente custodia e l’incongruo stato di conservazione dei carteggi; iv) la violazione dell’art. 34 del Codice in riguardo alla compartecipazione pubblica alle spese per la conservazione del bene, che, a dire del Ministero, sarebbe invece solo una facoltà e non un obbligo.

5. Si sono costituiti in giudizio, per resistere all’appello, M M C V e A C V, ed anche L C V, per sé ed in qualità di erede della sorella defunta E C V.

6. Le parti appellate hanno depositato una ulteriore memoria il 6 maggio 2022, insistendo sul rigetto dell’appello.

7. La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 7 luglio 2022, in occasione della quale è stata trattenuta in decisione.

8. Il Collegio rileva che l’appello è infondato, sotto l’assorbente motivo dell’incompetenza dell’organo centrale del Ministero.

9. Con il primo motivo di gravame il Ministero ha contestato il capo della sentenza impugnata con cui è stato accolto il motivo del ricorso di primo grado con il quale i signori Carrara Verdi avevano spiegato l’incompetenza del Direttore Generale della Direzione Generale Archivi del MIBACT ad adottare il decreto coattivo.

9.1. Il TAR aveva accolto la censura rilevando che gli art. 32-33 del Codice dei beni culturali delineano un procedimento da svolgersi a cura del Soprintendente mentre, nel caso di specie, procedeva il Direttore Generale Archivi del Ministero, non risultando osservato l’ iter procedimentale, senza specificare particolari ragioni d’urgenza che potevano giustificare l’omissione.

9.2 Il Ministero deduce che l’azione sarebbe da ritenere invece corretta, avendo accertato previamente l’inderogabilità ed il carattere necessario dell’intervento ai fini della corretta conservazione, che richiedevano l’intervento con immediata urgenza e data la straordinaria rilevanza culturale dell’insieme (deducendo altresì il disordine generale del materiale e frequenti manomissioni). La competenza dell’organo centrale sarebbe invece legittimata in base alle seguenti considerazioni: i) la competenza sarebbe attribuita genericamente al Ministero, sia alla Sovrintendenza che al Ministero;
quest’ultimo, organo sovraordinato, sarebbe il titolare del potere di coordinamento e di eventuale sostituzione, avocazione, ratifica e di intervento diretto per l’attuazione dei fini propri del Ministero, come specificato dall’art. 19 del DPCM n. 169/2019; ii) sarebbe principio generale che le ragioni di urgenza per la tutela dell’interesse pubblico siano idonee a radicare la competenza degli organi sovraordinati, richiamando come esempio l’avocazione per ragioni di urgente necessità nell’ambito della pandemia sanitaria recente; iii) ci sarebbe stata la piena consonanza tra Direzione centrale e Sovrintendenza, considerata la delicatezza della materia e del valore straordinario del compendio.

9.3 L’assunto è manifestamente infondato ed il Collegio non ritiene tali considerazioni sufficienti a superare gli argomenti del primo giudice. Di fronte al chiaro tenore letterale e della ratio immanente alla normativa specifica (art. 32 e 33 del Codice dei beni culturali), correttamente ricostruito dal TAR, che inequivocabilmente attribuiscono la competenza ad emanare tale atto al Soprintendente territorialmente competente, l’amministrazione appellante offre solo un’inadeguata e non convincente interpretazione del proprio agere . Per superare il predetto inciso normativo la difesa erariale deduce l’estrema urgenza di provvedere. Al di là del fatto che tale motivazione non è neanche contemplata minimamente dalla normativa, non è neanche contenuta nel provvedimento oggetto di questo giudizio, profilandosi quindi come una motivazione postuma, non ammessa dall’ordinamento giuridico (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, n. 5959/2022). L’urgenza risulta poi smentita dal fatto che l’amministrazione era già in possesso dei documenti da tempo (in parte da oltre tre mesi, ed in parte da oltre un anno), dovendosi quindi rilevare che tale inerzia non si concilia con una urgenza estrema ed immediata. Né si può seguire l’appellante quando richiama a supporto della propria tesi il D.P.C.M. n. 169/2019. Il Ministero deduce che tale atto disciplinerebbe un potere di avocazione delle competenze dei Soprintendenti Regionali da parte della Direzione Generale Archivi. Anche questa motivazione non trova alcun fondamento nell’atto gravato (e neppure del decreto che aveva precedentemente trasferito i beni presso l’Archivio di Stato), ed in più costituisce un argomento o un profilo che non fu prospettato nel giudizio di primo grado. Ad ogni modo, trattandosi di un atto regolamentare, meramente organizzativo, è comunque inidoneo a derogare alla fonte primaria che è costituita dal Codice dei beni culturali. Per tacere del fatto che l’atto gravato è del 2018, laddove il regolamento invocato è invece del 2019, quindi successivo ad esso ed entrato in vigore dopo l’adozione del provvedimento. Per ultimo, non convince per niente il confronto della prassi di avocazione adottata nell’ambito della pandemia causata dalla diffusione del SARS-Covid-19. Il Ministero, per giustificare tale assunto, ha richiamato la pronuncia della Va Sezione di questo Consiglio di Stato (sentenza n. 201/2022). Tale decisione risulta però inconferente al Collegio, riguardando la vertenza un appalto pubblico per la sanificazione di complessi sanitari, dove ragioni di preminente tutela della salute hanno reso inidoneo lo schema precedentemente standardizzato dell’aggregazione e legittimavano l’esercizio del potere di avocazione, con ben altre ragioni di urgenza ed interesse pubblico concreto ed attuale, che invece nel caso di specie non sono né presenti né spiegabili in forma simile. Anche il mero fatto che l’azione del Ministero sarebbe stata pienamente avvallata dalla Soprintendenza, e che sarebbe frutto quindi di un consenso tra sede centrale e territoriale, non aiuta a superare il chiaro precetto della norma ad incardinare specifici compiti all’una e all’altra autorità. Ma vi è di più: questo annullerebbe a sua volta il motivo dell’urgenza, perché non si spiega perché l’ente più vicino ed informato dovrebbe essere meno veloce di quello più distante e che meno può concentrarsi su un singolo archivio, che invece a livello regionale risulta essere uno dei suoi più importanti complessi archivistici, come spiega la stessa difesa erariale.

10. Le considerazioni che precedono sono sufficienti a confermare l’illegittimità degli atti impugnati in quanto adottati dal Direttore Generale, che non poteva sostituirsi alla competenza del Soprintendente Regionale.

Rileva infine il Collegio che nel frattempo i beni oggetto del giudizio sono passati nel possesso e nella proprietà della Pubblica Amministrazione (non essendo stato impugnato, il decreto d’espropriazione è quindi definitivo ovvero inoppugnabile), il che esclude in radice la prospettiva di un riesercizio del potere da parte dell’autorità competente.

11. L’impugnata sentenza va, pertanto, confermata sotto il profilo dirimente della ritenuta incompetenza, con assorbimento delle ulteriori censure.

12. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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