Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-02-15, n. 202101402
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Pubblicato il 15/02/2021
N. 01402/2021REG.PROV.COLL.
N. 06893/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6893 del 2012, proposto dal
Comune di Verona, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avv.ti M C, G R C e F S e con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Liegi, n. 32
contro
sigg.ri -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avv.ti I R e M L Tzza e con domicilio eletto presso lo studio della prima, in Roma, via Livio Andronico, n. 24
sigg.ri -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’avv. M L Tzza e con domicilio digitale come da
P.E.C.
da Registri di Giustizia
nei confronti
Istituto Assistenza Anziani di Verona, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avv.ti Massimo Pier Giuseppe Guerra e Lucio Laurita Longo e con domicilio eletto presso lo studio del secondo, in Roma, via Rodi, n. 32
U.L.S.S. n. 20 di Verona, non costituita in giudizio
sig. -OMISSIS-, non costituito in giudizio
sig. -OMISSIS-, non costituito in giudizio
sig. -OMISSIS-, non costituita in giudizio
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione Terza, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso originario R.G. n. -OMISSIS-, proposto dai sigg.ri -OMISSIS-contro la nota del Comune di Verona n. -OMISSIS-e gli atti presupposti e connessi, mentre sono stati accolti i motivi aggiunti proposti dai ricorrenti avverso la nota del Comune di Verona prot. n. -OMISSIS-, nonché avverso il regolamento comunale per l’erogazione di interventi economici integrativi per il ricovero di anziani presso strutture protette, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale di Verona n. -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto il controricorso e appello incidentale dei sigg.ri -OMISSIS-, -OMISSIS-;
Vista la memoria di costituzione e difensiva -OMISSIS-;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei sigg.ri -OMISSIS-
Visti gli scritti difensivi e i documenti delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con l. 18 dicembre 2020, n. 176;
Visto l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Dato atto della presenza ai sensi di legge degli avvocati delle parti;
Relatore nell’udienza del giorno 26 gennaio 2021 il Cons. P D B, in collegamento da remoto in videoconferenza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con l’appello in epigrafe il Comune di Verona ha impugnato la sentenza del T.A.R. Veneto, Sez. III, n. -OMISSIS-, chiedendone l’annullamento e/o la riforma.
La sentenza impugnata, dopo aver dichiarato inammissibile il ricorso originario proposto dalla sig.ra -OMISSIS-, ha accolto i motivi aggiunti proposti dai ricorrenti.
In fatto, la sig.ra -OMISSIS- -OMISSIS-, ha vissuto nella propria residenza in Verona fino al 2008, quando, riconosciuta invalida al 100% e bisognosa di assistenza continuativa, è stata inserita dai suoi familiari nella Casa di riposo “-OMISSIS-(il maggiore -OMISSIS-)
Data l’insufficienza dei redditi dell’assistita a coprire per intero il pagamento delle rette, i figli della stessa (-OMISSIS-) hanno inizialmente provveduto a pagare la differenza. Nel 2010, però, il sig. -OMISSIS-ha inviato una missiva al Comune di Verona, comunicando la sospensione del pagamento dell’integrazione delle rette e diffidando la P.A. ad assumersi i relativi obblighi nei confronti dell’anziana genitrice.
Con nota prot. n. -OMISSIS-il Comune di Verona ha risposto alla missiva del sig. -OMISSIS-, richiamando la disciplina del regolamento approvato con delibera del Consiglio Comunale di Verona n. -OMISSIS-, secondo cui al pagamento delle rette è tenuta la persona inserita nella struttura di assistenza con tutto il proprio patrimonio, nonché, in caso di insufficienza di questo, i parenti tenuti all’obbligazione alimentare ex art. 433 c.c. e solo in caso di impossibilità a provvedere da parte del nucleo familiare è ammesso l’intervento suppletivo del Comune.
La suddetta nota, unitamente alla disciplina regolamentare da essa richiamata, è stata impugnata dai ricorrenti con il ricorso introduttivo innanzi al T.A.R. del Veneto.
In corso di causa, la sig.ra -OMISSIS- ha formulato al Comune un’istanza volta ad ottenere la concessione di un intervento economico ad integrazione delle somme versate per il pagamento delle rette del ricovero nella struttura, facendo valere la propria condizione di persona non autosufficiente con più di sessantacinque anni e con mezzi economici insufficienti.
Il Comune di Verona ha risposto con nota prot. n. -OMISSIS-, invitando la richiedente a presentare tutta la documentazione prevista, incluse le certificazioni I.S.E.E. dei sigg.ri -OMISSIS--OMISSIS-, nonchè del marito e dei figli di quest’ultima.
Avverso detta nota i ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti, tornando nel contempo a impugnare la surriferita disciplina regolamentare del Comune di Verona.
L’adito T.A.R., come già visto, ha dichiarato inammissibile il ricorso originario, sul presupposto del carattere interlocutorio della nota del 9-15 febbraio 2010 con esso impugnata;ha invece accolto i motivi aggiunti, ritenendo che il vigente ordinamento (v. art. 3, comma 2- ter , del d.lgs. n. 109/1998) abbia imposto, al fine di determinare la contribuzione dei soggetti con più di sessantacinque anni, la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle Aziende Unità Sanitarie Locali e che necessitino di assistenza continuativa, di tener conto soltanto della loro situazione economica, e non anche di quella del nucleo familiare di appartenenza.
Per l’effetto, il T.A.R. ha annullato in parte qua il regolamento comunale approvato con la delibera consiliare n. -OMISSIS-, nonché, quale atto applicativo dello stesso, la nota del Comune di Verona prot. n. -OMISSIS-, con cui è stata respinta la richiesta di ausilio economico presentata dalla sig.ra -OMISSIS-, avendo il Comune ritenuto che a tal fine non potesse valutarsi la situazione economica della sola richiedente.
La sentenza appellata ha dichiarato altresì inammissibili le seguenti domande proposte dai familiari dell’anziana: a) la domanda di restituzione delle somme versate, formulata nei confronti -OMISSIS-;b) la domanda di risarcimento del danno da fatto illecito, presentata nei confronti del Comune.
Il T.A.R. ha, infine, escluso la configurabilità di un danno risarcibile in capo alla sig.ra -OMISSIS- (la quale aveva anch’essa proposto domanda di risarcimento).
Con l’appello in epigrafe il Comune di Verona ha censurato la sentenza di prime cure, deducendo a supporto del gravame i seguenti motivi:
1) erroneità della sentenza nella parte in cui non ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti, perché il T.A.R. avrebbe errato nel qualificare la nota comunale del 14 giugno-6 luglio 2010 come un vero e proprio arresto procedimentale, comportante un sostanziale diniego di concessione del contributo economico richiesto dall’assistita;
2) erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato fondati il primo e il quarto dei motivi dedotti con il ricorso per motivi aggiunti, poiché il primo giudice avrebbe interpretato ed applicato in modo non corretto l’art. 3, comma 2- ter , del d.lgs. n. 109/1998 e perché il Comune di Verona non sarebbe stato previamente informato del ricovero stabile dell’anziana non autosufficiente presso la Casa di riposo, come prescritto dalla normativa statale e regionale.
Si sono costituiti in giudizio la sig.ra -OMISSIS-, nonché i -OMISSIS-, depositando controricorso e appello incidentale. Con quest’ultimo hanno a propria volta censurato la sentenza appellata: a) nel capo in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso originario; b) nel capo in cui ha dichiarato inammissibili le domande restitutorie e risarcitorie proposte dai ricorrenti (inclusa la domanda di risarcimento presentata in proprio dall’anziana assistita).
Si è costituito in giudizio, inoltre, -OMISSIS-, depositando memoria di costituzione e successiva memoria e chiedendo la conferma delle statuizioni emesse dalla sentenza appellata nei propri confronti.
A seguito del decesso della sig.ra -OMISSIS-, intervenuto nelle more del giudizio di appello, si sono costituiti nel predetto giudizio i sigg.ri -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS- (gli ultimi due già costituiti in proprio), nella loro qualità di eredi della defunta, nonché i sigg.ri. -OMISSIS-, in quanto eredi della sig.ra -OMISSIS- Mirella, a sua volta erede della defunta.
In vista dell’udienza di discussione della causa, le parti costituite (tranne l’I.A.A.) hanno depositato memorie, repliche e note d’udienza.
I resistenti e appellanti incidentali hanno depositato, inoltre, documentazione comprovante l’avvenuta stipula di una transazione con -OMISSIS-, per effetto della quale hanno rinunciato alle domande restitutorie proposte nei confronti del predetto Ente. Nella memoria finale hanno peraltro precisato che, in difetto da parte dell’I.A.A. della formalizzazione dell’accettazione di detta rinuncia a spese compensate, le citate domande restitutorie restavano ferme.
All’udienza del 26 gennaio 2021, tenutasi in collegamento da remoto in videoconferenza ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con l. 18 dicembre 2020, n. 176, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Viene in decisione l’appello proposto dal Comune di Verona avverso la sentenza del T.A.R. Veneto, Sez. III, n. -OMISSIS-, che ha annullato gli atti attraverso cui il Comune stesso ha subordinato l’erogazione, da parte sua, di un contributo economico integrativo del pagamento delle rette per il ricovero della sig.ra -OMISSIS- in una Casa di riposo, alla previa valutazione della situazione economica non solo della predetta anziana non autosufficiente, ma anche di quella dei figli, sigg.ri -OMISSIS--OMISSIS-, nonchè della situazione economica del marito e dei figli di quest’ultima.
Con la sentenza impugnata il T.A.R. ha dichiarato innanzitutto inammissibile l’intervento dispiegato nel giudizio di primo grado dal marito e dai figli della sig.ra -OMISSIS- -OMISSIS-, perché proposto da soggetti chiamati anch’essi dal Comune a concorrere al pagamento delle rette e che, perciò, sarebbero stati a loro volta legittimati a proporre ricorso entro il termine di decadenza.
Ha poi dichiarato inammissibile il ricorso originario, poiché la nota del Comune di Verona con esso impugnata (prot. n. 43717 del 9-15 febbraio 2010) è un mero atto interlocutorio, privo di carattere provvedimentale e non emanato all’esito di un procedimento sull’istanza dei privati volta a ottenere l’integrazione delle rette.
Il T.A.R. ha invece accolto i motivi aggiunti, respingendo l’eccezione di inammissibilità degli stessi sollevata dal Comune, poiché la nota con essi gravata (prot. n. -OMISSIS-) determina un arresto procedimentale, che si risolve in sostanza nel diniego del contributo economico richiesto dall’assistita per l’integrazione del pagamento delle rette mensili.
Il primo giudice ha dunque annullato detta nota, nonché – in parte qua – il regolamento comunale su cui la stessa si è basata (approvato con delibera consiliare n. 8/2005), reputando fondate le censure dedotte con il primo e il quarto dei motivi aggiunti presentati dai ricorrenti.
Ha ritenuto infatti il T.A.R. che la normativa di settore imponga di tenere conto, ai fini delle modalità di contribuzione al pagamento delle rette, per le persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti, della situazione economica del solo assistito, senza possibilità di fare riferimento – come disposto dal regolamento del Comune di Verona – alla situazione del nucleo familiare “collegato”, intendendosi, con questo, i familiari tenuti all’obbligo alimentare ex art. 433 c.c..
Il dato normativo a supporto di tale conclusione viene rinvenuto dalla sentenza nel d.lgs. n. 109/1998, il quale all’art. 3, comma 2- ter (introdotto dal d.lgs. n. 130/2000), per quanto riguarda le prestazioni sociali agevolate rese nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio-sanitaria, erogate a domicilio o in ambito residenziale e rivolte a persone con handicap permanente grave o a persone ultrasessantacinquenni non autosufficienti (proprio come la sig.ra -OMISSIS-), demanda ad un apposito d.P.C.M., da emanarsi “ al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione (...)”.
Per effetto di siffatta norma – ad avviso dei giudici di prime cure immediatamente applicabile anche in difetto dell’emanazione del d.P.C.M. volto alla sua attuazione – per determinare la contribuzione a carico dell’assistito si deve fare riferimento soltanto alla sua situazione economica, e non a quella del suo nucleo familiare. E si tratta – aggiunge la sentenza – di un principio che costituisce un livello essenziale delle prestazioni da garantire in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale (“ Livelli essenziali di assistenza sociale ”, cd. LIVEAS), perseguendo esso la finalità di facilitare l’accesso ai servizi sociali per le persone più bisognose di assistenza.
La sentenza appellata richiama al riguardo, altresì, i principi dettati dalla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia con l. 3 marzo 2009, n. 18.
Da ultimo, il T.A.R. ha dichiarato inammissibili, perché sottratte alla cognizione del G.A., le pretese restitutorie avanzate dai -OMISSIS- nei confronti -OMISSIS-, poiché i pagamenti eseguiti dalla prima hanno base negoziale, quelli del secondo hanno natura spontanea e, quindi, la loro cognizione è devoluta al G.O.;analoga declaratoria è stata fatta per la domanda di risarcimento del danno presentata dai parenti dell’assistita nei confronti del Comune di Verona. Il T.A.R. ha ritenuto, infine, che nessun pregiudizio risarcibile si fosse prodotto a carico della sig.ra -OMISSIS- avendo costei redditi largamente insufficienti rispetto all’importo delle rette, la cui integrazione era dovuta dal Comune.
Nell’appello principale il Comune di Verona ha contestato l’ iter argomentativo e le conclusioni della sentenza di primo grado, lamentando:
a) che la nota comunale impugnata innanzi al T.A.R. con i motivi aggiunti non avrebbe avuto natura di provvedimento, ma sarebbe stata una mera comunicazione indirizzata alla sig.ra -OMISSIS- con la richiesta di presentare l’istanza del contributo economico sul modulo all’uopo predisposto dalla P.A. e di produrre la relativa documentazione: è solo dopo la presentazione dell’istanza e lo svolgimento dell’istruttoria che il Comune avrebbe potuto adottare il provvedimento finale;
b) che l’art. 3, comma 2- ter , del d.lgs. n. 109/1998 avrebbe portata programmatica e di indirizzo, non costituendo esso una norma immediatamente applicabile;
c) che in ogni caso la scelta del Legislatore italiano di considerare la posizione economica del solo assistito avrebbe senso, nella disciplina di cui all’art. 3, comma 2- ter , cit., per le prestazioni sociali agevolate volte a favorire la permanenza a domicilio dell’anziano non autosufficiente o disabile grave a fronte dell’impegno del nucleo familiare che presta l’assistenza in via diretta. Si richiederebbe, quindi, accanto a quelli soggettivo e oggettivo, il requisito teleologico e cioè il favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza, che manca in caso di inserimento permanente in struttura residenziale, com’è avvenuto per la sig.ra -OMISSIS-. In questo senso deporrebbe anche il fatto che l’art. 3, comma 2- ter , cit. deroga alla regola generale posta dall’art. 2, comma 1, dello stesso d.lgs. n. 109/1998, la quale impone di tenere conto, per la valutazione della situazione economica del richiedente, delle informazioni relative al “ nucleo familiare di appartenenza ”, nozione, quest’ultima, che – aggiunge il Comune – non coincide con la “ famiglia anagrafica ”;
d) che, dunque, anche a considerare l’art. 3, comma 2- ter cit. come norma di immediata applicazione, la regola generale resterebbe quella per cui, al fine di valutare la situazione economica del richiedente la prestazione sociale agevolata, occorre verificare lo stato reddituale e patrimoniale di tutto il nucleo familiare e non del solo richiedente, mentre l’eccezione di cui al succitato comma 2- ter (valutazione della situazione del solo assistito) sarebbe limitata all’ipotesi dell’assistenza domiciliare e, pertanto, non potrebbe trovare applicazione nel caso di specie;
e) che la correlazione tra l’accesso alla prestazione sociale agevolata e l’obbligo alimentare di natura civilistica sarebbe presente nell’art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 109/1998, cosicché verrebbe confermato per questa via il carattere suppletivo dell’intervento economico del Comune rispetto all’obbligazione principale gravante sui familiari tenuti ai sensi dell’art. 433 c.c.;né sarebbe corretto il richiamo alla Convenzione di New York del 2006, considerata anche la diversità esistente tra il soggetto disabile e l’anziano non autosufficiente;
f) che l’interpretazione proposta dal Comune appellante sarebbe l’unica costituzionalmente corretta, poiché in caso contrario sarebbe palese la disparità di trattamento tra coloro che assistono i loro cari presso la propria abitazione e quanti, invece, preferiscono lasciare i familiari presso una struttura sanitaria: un’interpretazione diversa da quella del Comune, dunque, contrasterebbe con gli art. 3, 32 e 76 Cost.;
g) che la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 109/1998 avrebbe natura sperimentale e sarebbe destinata a trovare applicazione per un periodo di tre anni a far data dall’entrata in vigore del d.P.C.M. 7 maggio 1999, n. 221, con il corollario che la stessa sarebbe già venuta meno al tempo del ricovero della sig.ra -OMISSIS- (avvenuto, come sopra visto, nel 2008);
h) che nel caso di specie sarebbe anche mancata la previa informazione nei confronti del Comune del ricovero dell’assistita presso la Casa di riposo, nonostante si tratti di adempimento prescritto dall’art. 6, comma 4, della l. n. 328/2000 e dall’art. 13- bis della l.r. n. 5/1996, strumentale affinché il Comune, previa idonea istruttoria, possa assumersi gli obblighi connessi all’integrazione della retta. Nel caso di specie, i familiari dell’anziana ne avrebbero deciso in autonomia il ricovero nella struttura, senza darne avviso al Comune di Verona e scegliendo una delle strutture più costose;
i) che l’interpretazione dell’appellante principale sarebbe avvalorata dall’art. 5 del d.l. n. 201/2011, conv. con l. n. 214/2011, che ha rivisto modalità di determinazione e campi di applicazione dell’ ISEE , il quale avrebbe ribadito, come criterio fondamentale, quello della valutazione del nucleo familiare e non del solo assistito.
Nella memoria finale e ancora nella replica il Comune di Verona ha richiamato a proprio supporto l’evoluzione giurisprudenziale successiva alla proposizione dell’appello, originata, in specie, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 296 del 19 dicembre 2012.
Da ultimo, nelle note d’udienza il Comune ha lamentato l’inconferenza del richiamo all’art. 33 della l.r. n. 1/2004, che, per le prestazioni assistenziali erogate a beneficio di persone non autosufficienti dalla Regione Veneto, prevede la valutazione della situazione economica del nucleo familiare in cui vive la persona da assistere: tale richiamo viene effettuato dagli appellati sul presupposto che la sig.ra -OMISSIS- sarebbe vissuta da sola al tempo del suo ricovero.
Replica, al riguardo, il Comune appellante che la norma invocata, contenuta nella legge finanziaria regionale per il 2004, sarebbe stata superata, nella materia in esame, dalla l.r. n. 1/2008, la quale ha previsto l’istituzione di un fondo per la non autosufficienza, e dalla l.r. n. 30/2009, che ha disciplinato il funzionamento dello stesso. L’art. 6 di quest’ultima legge, in particolare, ha demandato ad un atto di indirizzo della Giunta Regionale di stabilire, per le prestazioni a carattere residenziale, i criteri di compartecipazione alla spesa per la parte non coperta dai LEA. La giurisprudenza espressasi sul punto ha affermato, in difetto dell’atto di indirizzo della Giunta, la legittimità dell’intervento del Comune, il quale individui, con proprio regolamento, forme differenziate di compartecipazione alla spesa per le prestazioni di tipo residenziale: il che sarebbe proprio ciò che avrebbe fatto il Comune di Verona con il regolamento annullato dal T.A.R. in parte qua .
I resistenti, -OMISSIS- (ai quali si sono aggiunti gli altri congiunti ed eredi della sig.ra -OMISSIS-, dopo il decesso di quest’ultima) contestano le doglianze del Comune di Verona, evidenziando come la loro congiunta abbia vissuto da sola nella propria casa dal novembre del 2006 (quando il figlio -OMISSIS- si è trasferito in altra parte della città di Verona) all’agosto del 2008, quando è stata ricoverata nella Casa di riposo.
Ne discenderebbe che, anche nell’ipotesi (da essi respinta) in cui si volesse prendere a riferimento la situazione economica del nucleo familiare, e non quella del solo assistito, la sig.ra -OMISSIS- avrebbe costituito nucleo familiare a sé, nell’unico senso rilevante, cioè quello anagrafico. Sarebbe illegittima, dunque, la pretesa del Comune di Verona di estendere la compartecipazione al pagamento delle rette ai congiunti dell’assistita, attraverso la nozione di “nucleo familiare collegato”. Detta pretesa è stata espressa dalla P.A. attraverso il regolamento comunale del 2005, nonché tramite la nota del Comune impugnata con i motivi aggiunti: tale nota sarebbe lesiva e quindi impugnabile, recando essa il rigetto della domanda di integrazione della retta presentata dall’anziana non autosufficiente. Giustamente, pertanto, il primo giudice avrebbe annullato gli atti in discorso.
Né coglierebbero nel segno le doglianze del Comune appellante relative: al carattere sperimentale del regime di cui al d.lgs. n. 109/1998 (le norme correttive, infatti, sono state introdotte con il d.lgs. n. 130/2000 e l’ ISEE è entrato in vigore dal 16 luglio 2000);alla mancata informazione al Comune di Verona (che non costituisce motivo del rigetto dell’istanza di aiuto economico presentata dalla sig.ra -OMISSIS-);alla disciplina di cui alla l. n. 214/2011 (trattandosi di normativa non applicabile, ratione temporis , alla fattispecie in esame).
Con l’appello incidentale, poi, viene dedotto:
- che il T.A.R. avrebbe errato nel giudicare il ricorso originario inammissibile, in quanto la nota del Comune di Verona con esso gravata sarebbe stata lesiva per il sig. -OMISSIS-(il quale aveva comunicato di non voler più contribuire all’integrazione delle rette) e ciò tanto più che la controversia rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di pubblici servizi di cui all’art. 133 c.p.a.;
- che la sentenza appellata sarebbe erronea lì dove ha ritenuto illegittime le domande di restituzione e/o risarcimento proposte dai ricorrenti in prime cure nei confronti dell’I.A.A.;in particolare, sarebbe fondata la domanda della sig.ra -OMISSIS- la quale ha corrisposto per il pagamento delle rette l’intero importo della sua pensione di reversibilità (per un totale di € -OMISSIS-nel 2009), laddove invece la stessa, avendo un ISEE , per tale anno, pari ad € 5.450,67, sarebbe stata tenuta a versare questa minor somma, cosicché essa avrebbe pagato in eccesso l’importo di € -OMISSIS-, che avrebbe dovuto essere versato, al suo posto, dal Comune di Verona.
Negli scritti successivi i resistenti e appellanti incidentali, oltre a quanto già riferito circa l’intervenuta transazione con l’I.A.A., hanno insistito nelle pretese nei riguardi del Comune, ribadendo che la sig.ra -OMISSIS- vivendo da sola, avrebbe costituito famiglia anagrafica e nucleo familiare a sé. La pretesa dell’Amministrazione comunale di dettare con un proprio regolamento la disciplina della fattispecie sarebbe illegittima, giacché la sentenza della Corte costituzionale n. 296/2012 avrebbe riconosciuto alle sole Regioni la potestà di introdurre una disciplina in deroga a quella statale: la Regione Veneto avrebbe, quindi, normato la materia con la l.r. n. 11/2004, la quale avrebbe stabilito, per l’accesso alle prestazioni sociali, il criterio – ai fini della compartecipazione alle relative spese – della situazione economica del nucleo familiare in cui vive la persona interessata: e qui, come detto, il nucleo sarebbe quello della famiglia anagrafica, costituita dalla sola sig.ra -OMISSIS-. La giurisprudenza richiamata in proposito dall’appellante principale non sarebbe, dunque, pertinente, perché riguarderebbe casi di famiglie anagrafiche composte da più persone.
Così riportate le posizioni delle parti, il Collegio ritiene che l’appello principale proposto dal Comune di Verona sia fondato e da accogliere e che, invece, l’appello incidentale debba essere respinto, in quanto infondato nel merito.
Il Collegio reputa, per ragioni di economia processuale, di iniziare dall’esame dell’appello principale, poiché i motivi sottesi al suo accoglimento rendono, come si vedrà di seguito, irrilevanti ed infondate le doglianze dell’appello incidentale.
È, anzitutto, infondato il primo motivo dell’appello principale, poiché la nota del Comune di Verona prot. n. -OMISSIS-, gravata con i motivi aggiunti e annullata dai giudici di prime cure, contiene, in sostanza, il rigetto dell’istanza di contributo economico inoltrata dalla sig.ra -OMISSIS-.
La richiesta di integrazione documentale in essa contenuta, infatti, dissimula un vero e proprio arresto procedimentale. Invero, detta richiesta ha ad oggetto la presentazione delle certificazioni ISEE , con le relative dichiarazioni sostitutive uniche, da parte dei sigg.ri -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonché del marito e dei figli di quest’ultima: con essa, pertanto, la P.A. rifiuta la tesi sottesa all’istanza della predetta anziana non autosufficiente, per cui ai fini dell’integrazione economica da parte del Comune si deve guardare alla situazione economica del solo soggetto assistito.
La sentenza appellata merita, dunque, di essere confermata nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’impugnazione di detta nota.
È invece fondato il secondo motivo dell’appello, non potendosi condividere né l’interpretazione che dell’art. 3, comma 2- ter , del d.lgs. n. 109/1998 ha dato il primo giudice, né i corollari che ne ha fatto discendere per decidere la controversia sottoposta al suo giudizio.
Dopo una vivace dibattito sulla questione oggetto del contenzioso in esame, infatti, la giurisprudenza amministrativa è approdata alla conclusione che:
1) la norma di cui all’art. 3, comma 2- ter , del d.lgs. n. 109/1998 abbia carattere di mero indirizzo e non sia immediatamente precettiva;
2) per stabilire la ripartizione delle spese delle rette da pagare per le prestazioni sociali sia necessario aver riguardo alla situazione economica non del solo assistito, ma a quella complessiva del suo nucleo familiare, riferibile, quindi, al coniuge e ai figli.
In proposito è utile richiamare una pronuncia di questo Consiglio di Stato intervenuta in una vicenda analoga al caso ora in esame (Sez. III, 3 luglio 2013, n. 3574).
Tale decisione ha, infatti, accolto l’appello avverso una sentenza – anch’essa del T.A.R. Veneto (n. 1490/2012) – di annullamento del regolamento del Comune di Valdobbiadene (TV) di tenore analogo a quello gravato in questa sede, perché contenente il richiamo all’obbligo alimentare ex art. 433 c.c., al fine di farne discendere la compartecipazione al pagamento delle rette da parte dei congiunti della persona assistita obbligati agli alimenti.
Si riportano, di seguito, alcuni passaggi della suddetta pronuncia:
“ 6. - Nel merito, l’appello è fondato e va accolto.
È improntato al principio della necessaria compartecipazione alla spesa il sistema di finanziamento delle prestazioni socioassistenziali, in particolare di quelle a rilevanza sanitaria “... che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute...”, che l’art. 3 septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 demanda alla competenza dei Comuni.
Ora, l’art. 3, c. 2 del