Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-23, n. 201908721

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-12-23, n. 201908721
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201908721
Data del deposito : 23 dicembre 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/12/2019

N. 08721/2019REG.PROV.COLL.

N. 08581/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 8581 del 2013, proposto dalla Comunità Montana Matese di Bojano, in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato V C, con domicilio eletto presso lo studio Clementino Palmiero in Roma, via Albalonga, 7;

contro

C B, S C, M F, R G, A R, C A, A M, S G (deceduto), V C, B P, D P, M M, M P, Giuseppina D'Amico, R D R, D G, C G, R G, rappresentati e difesi dall'avvocato S D P, con domicilio eletto presso lo studio Italia Srl Regus Business Centres in Roma, piazza del Popolo, 18;

nei confronti

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro-tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato dello Stato Gabriella D'Avanzo, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Molise n. 459/2013, resa tra le parti, concernente il diritto alla corresponsione del computo dell’indennità integrativa speciale nella indennità di fine rapporto;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di C B, S C, M F, R G, A R, C A, A M, S G (deceduto), V C, B P, D P, M M, M P, Giuseppina D'Amico, del Ministero dell'Economia e delle Finanze e quindi di R D R, D G, C G e di R G quali eredi di Salatore Gianfagna;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati Melucci su delega di Colalillo, Mangazzo in dichiarata delega di Di Pardo, e per il Ministero Gabriella D'Avanzo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Bernardo Carmela, Cusano Silvana, Felice Matteo, Gentile Renato, Racchi Angela, Albanese Cristina, Mastrogiacomo Anna, Di Rienzo Rosanna, Gianfagna Davide, Gianfagna Cristian, Gianfagna Roberto e Cialella Vincenza erano stati assunti presso la Comunità montana Matese in forza dei provvedimenti per l’occupazione giovanile di cui alla l. 1 giugno 1977, n. 285 e, una volta cessato il 31 maggio 1984 il loro rapporto di lavoro presso tale ente, il 1° giugno 1984 venivano inquadrati nel ruolo organico della Regione Molise.

Il 30 ottobre 1995 essi domandavano la liquidazione dell’indennità di fine rapporto e relativi accessori;
La Comunità montana non rispondeva, figurando – così emerge - che la liquidazione competesse all’INADEL. Questo ente però dichiarava non esservi tenuto e di essere disponibile a restituire le somme a suo tempo corrisposte a titolo di contributi dalla Amministrazione.

Con delibera commissariale del 20 settembre 1996 veniva riconosciuta agli interessati la liquidazione dell’indennità, ma con la decorrenza di interessi e rivalutazione dal 31 ottobre 1995, data di proposizione della domanda, e non da quella della cessazione dal servizio. Su tale base la Comunità montana Matese procedeva alla liquidazione.

La circolare del Ministero del Ttsoro 17 dicembre 1996, n. 205584 precisava che nel computo non andava inclusa l’ indennità integrativa speciale , introdotta solo successivamente (l. 29 gennaio 1994, n. 87 per l’omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici), e quanto a interessi e la rivalutazione occorreva distinguere tra i periodi di maturazione: per quello antecedente al 16 dicembre 1990 spettavano entrambi, con calcolo degli interessi legali nella misura del 5%;
per il periodo successivo fino al 31 dicembre 1994 spettavano i soli interessi legali nella misura del 10% annuo;
per il periodo successivo spettavano gli interessi legali al 10%, in caso di inflazione inferiore a detta percentuale, mentre solo la rivalutazione monetaria, nell’ipotesi di inflazione superiore.

Così il Commissario straordinario assumeva la delibera 17 febbraio 1997, n. 41 che determinava la corresponsione di interessi e rivalutazione dal 1° giugno 1984 sino al 15 febbraio 1997, calcolati in modo differente a seconda del periodo, conformemente alla circolare.

Con ricorso al Tribunale amministrativo del Molise venivano impugnate detta delibera e la circolare ministeriale, insieme alla domanda di declaratoria del diritto dei ricorrenti alla corresponsione dell’indennità di fine rapporto comprensiva dell’ indennità integrativa speciale e di interessi e rivalutazione dalla data di maturazione del credito sino al soddisfo.

Questoi in ragione della dedotta la violazione degli artt. 429, comma 3, e 442 Cod. proc. civ., dell’art. 150 disp. att. Cod. proc. civ., degli artt. 3 e 36 Cost., del d.lgs. n. 29 del 1993 e del d.P.R. 25 giugno 1983, n. 347.

Si costituivano in giudizio il Ministero del Tesoro e la Comunità montana Matese.

Il Ministero assumeva che il solo atto di sua provenienza impugnato era privo di valore provvedimentale, ed era un “mero avviso interpretativo”. Invece la Comunità montana eccepiva l’inammissibilità del ricorso e la sua infondatezza nel merito.

Nelle more si costituivano gli eredi del ricorrente D’Amico Nicola, nel frattempo deceduto.

Il Tribunale amministrativo, con sentenza 2 luglio 2013, n. 459 disattendeva le eccezioni sulla giurisdizione della Corte dei Conti (per la giurisprudenza l’indennità di buonuscita spetta alla giurisdizione esclusiva amministrativa, trattandosi di un trattamento dalla natura prevalentemente retributiva);
sulla mancata impugnazione della delibera commissariale n. 69/189 del 1996, non pertinente con le doglianze dei ricorrenti;
sulla carenza di interesse, l’erogazione non prevedendo il computo nell’indennità di fine rapporto dell’ indennità integrativa speciale e il cumulo di interessi e rivalutazione dal 31 dicembre 1994, posto che il tema della decorrenza degli accessori dalla data di cessazione del rapporto di lavoro era comunque superato a favore dei ricorrenti.

Quanto al primo tema, la sentenza affermava che per i dipendenti degli enti locali, l’inclusione dell’ indennità integrativa speciale nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita era stabilita dalla normativa precedente la l. n. 87 del 1994, in particolare, dall’art. 3 l. n. 299 del 1980;
per gli accessori la sentenza riteneva che la liquidazione fosse conformemente alle disposizioni vigenti nel corso dell’intero ambito temporale fino alla corresponsione secondo le disposizioni vigenti nei singoli tempi – art. 16, comma 6, l. n. 412 del 1991, art. 22, comma 36, della l. n. 724 del 1994 –. Ne derivava che nulla era dovuto ai ricorrenti come cumulo di interessi e rivalutazione, e che quindi andava corrisposta l’ indennità integrativa speciale nei termini indicati insieme agli accessori determinati come già quantificato per la restante parte della somma in conto capitale versata.

Con appello in Consiglio di Stato notificato il 20 novembre 2013, la Comunità Montana Matese impugnava la sentenza ribadendo il difetto di giurisdizione e l’inammissibilità del ricorso in assenza dell’impugnazione della delibera commissariale n. 69/1989 del 1996: i trattamenti economici in contestazione derivavano da questa;
e la carenza di interesse, perché la liquidazione degli accessori era avvenuta e la domanda dell’indennità era ormai inammissibile.

Nel merito da un lato la questione era regolata dall’art. 3 l. n. 87 del 1994, per cui il diritto poteva essere riconosciuto solo in costanza di domanda anteriore al 30 settembre 1994, in ogni caso ne doveva rispondere l’Inadel che aveva riscosso i contributi alla stregua dei dipendenti pubblici non di ruolo.

La Comunità concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese.

Gli intimati si sono costituiti in giudizio contestando le ragioni dell’appello e si è costituito solo formalmente il Ministero dell’economia e delle finanze.

All’udienza del 12 dicembre 2019 la causa è passata in decisione.

Va disattesa la censura sul difetto di giurisdizione amministrativa a favore della giurisdizione della Corte dei conti.

Infatti, ferma in via generale la giurisdizione della Corte dei conti nella materia pensionistica, è della giurisdizione esclusiva amministrativa la controversia su situazioni di diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, azionate da un dipendente pubblico collocato a riposo;
sempre che, come qui, il rapporto di pubblico impiego sia in collegamento causale con la pretesa dedotta in giudizio.

La cognizione del giudice amministrativo sull’accertamento dei presupposti dell’indennità di buonuscita non subisce limiti di giurisdizione, posto che la controversia sulla base e la misura della indennità di buonuscita rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice del rapporto di pubblico impiego (cfr. Cons. Stato, VI, 22 ottobre 2008 n. 5168;
22 gennaio 1994 n. 56;
Cass., SS.UU., 17 maggio 1991 n. 5530).

Va aggiunto che questa controversia è stata instaurata nel 1997, quando non era ancora vigente il passaggio alla giurisdizione ordinaria della conoscenza del rapporto di pubblico impego contrattualizzato.

Altresì infondata è la censura di mancata impugnazione della delibera commissariale n. 69/1989 del 1996 dalla quale sarebbero derivati i mancati pagamenti rivendicati dai ricorrenti in primo grado.

Si versa infatti in materia di diritti soggettivi ed a prescindere dalla mancata pertinenza di tale delibera con il richiesto computo dell’indennità integrativa speciale affermata dalla sentenza appellata, è da rilevare che quanto a diritti soggettivi non vi è onere del titolare di questi l’impugnazione di tali atti, che sono paritetici per giurisprudenza assai risalente.

Nel merito il Collegio rammenta la giurisprudenza già richiamata di questa V Sezione in simile fattispecie (Cons. Stato, V, 11 gennaio 2016 n. 56), relativamente alla situazione del personale previsto dalla l. n. 285 del 1977, e i particolare ai principi affermati da Cons. Stato, Ad. plen., 7 febbraio 1991, n. 1, con cui si sono ricostruite le fasi del rapporto di lavoro di tale personale, individuando tre distinti rapporti giuridici, ciascuno con una sua specifica fonte normativa ed un'autonoma disciplina:

a) quello di impiego pubblico a termine, disciplinato dalla l. n. 285 del 1977 e da un contratto di formazione lavoro, ex lege prorogato e mai modificato, fino all'espletamento dell'esame di idoneità (con la instaurazione di un rapporto preliminare e precario, non assimilabile al trattamento giuridico, assistenziale e previdenziale dei dipendenti non di ruolo);

b) quello di pubblico impiego non di ruolo a tempo indeterminato fino all'immissione nei ruoli, costituito ai sensi della l. n. 33 del 1980 con l'iscrizione nelle apposite graduatorie a seguito del superamento dell'esame di idoneità (con la formazione di un rapporto, a differenza del precedente stadio e a causa dell'accertamento di idoneità, assimilabile a quello dei dipendenti non di ruolo);

c) quello di pubblico impiego di ruolo nelle diverse Amministrazioni, disciplinato dalle relative disposizioni vigenti.

Il riferimento a tre distinti rapporti giuridici bene ha indotto la giurisprudenza a ritenere che il rapporto del personale di cui alla prima categoria, dall'assegnazione e fino all'immissione in ruolo (configurandosi come rapporto a termine, preliminare e precario, al quale non può applicarsi il trattamento giuridico assistenziale e previdenziale dei dipendenti non di ruolo dello Stato, trattandosi di un rapporto costituito specificamente ai sensi della l. n. 285 del 1977 e dal contratto correlativamente stipulato), non consente l'applicazione dell'art. 26 l. n. 285 del 1977, per il quale la retribuzione delle prestazioni deve essere in ogni caso determinata in misura corrispondente al trattamento economico base minimo per i dipendenti di ruolo dello Stato addetti alle stesse od analoghe mansioni, per cui è stipulato il contratto, ridotta in proporzione dell'orario di servizio prestato.

Infatti, la diretta applicabilità di tale disposizione in tema di trattamento economico non può che essere negata proprio con riferimento alla particolarità del rapporto in oggetto, secondo la l. n. 285 del 1977 (cfr. Cons. Stato,. VI, 23 maggio 2008, n. 2491).

Tenuto conto della richiamata giurisprudenza (che il collegio condivide e fa propria), il rapporto degli originari ricorrenti si configura come un rapporto di "impiego pubblico a termine, preliminare e precario" dall'assegnazione e fino all'immissione in ruolo, al quale rapporto non poteva applicarsi il trattamento giuridico assistenziale e previdenziale dei dipendenti non di ruolo dello Stato.

Peraltro, si deve rilevare che le censure proposte risultano comunque generiche, con riferimento alle specifiche posizioni individuali, poiché non è stato esposto alcunché circa eventuali previsioni contrattuali in senso contrario (che comunque si sarebbero dovute interpretare in conformità alle disposizioni di legge).

Dalla indicata qualificazione del rapporto antecedente all'immissione in ruolo, deriva che il trattamento economico dei ricorrenti, in tale periodo, risulta essere stato correttamente quantificato dall'Amministrazione, senza neppure la possibilità di conseguire altri trattamenti (assistenziali, previdenziali) propri dei pubblici dipendenti di ruolo o di vantare pretese (come la retribuzione individuale di anzianità) connesse ad una qualificazione del rapporto, nel caso insussistente.

La radicale differenza dei modelli di rapporto di lavoro impedisce in via manifesta che si possa sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, lett. b) , l. n. 87 del 1994 per violazione degli artt. 3, 36 e 97 Cost., questione in ordine alla quale nell'atto d'appello non sono state formulate specifiche deduzioni in relazione ai distinti parametri invocati.

Per le ragioni che precedono, l'appello va accolto.

Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate.

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