Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-03-26, n. 201501595
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Testo completo
N. 01595/2015REG.PROV.COLL.
N. 09736/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9736 del 2014, proposto da:
AR Bp s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , Matteo AR, entrambi rappresentati e difesi dagli avv. Marco Annoni, Natale Irti, Giuseppe Morbidelli, Francesco Arnaud, con domicilio eletto presso Marco Annoni in Roma, Via Udine N. 6;
contro
Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv. Salvatore Providenti, Maria Letizia Ermetes, Paolo Palmisano, con domicilio eletto presso Sede Legale SO in Roma, Via G.B. Martini N. 3;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 11887/2014, resa tra le parti, concernente disposizioni organizzative e procedurali relative all'applicazione di sanzioni amministrative e istituzione dell'ufficio sanzioni amministrative;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio e l’appello incidentale condizionato della SO;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 febbraio 2015 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Annoni, Arnaud, Irti, Morbidelli, Providenti, Ermetes, Palmisano;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto innanzi al T.a.r. Lazio, la società AR BP s.p.a. e il dottor Matteo AR hanno contestato, sotto diversi profili, la legittimità del regolamento SO n. 15086 del 21 giugno 2005, applicabile ratione temporis al procedimento sanzionatorio avviato nei loro confronti.
2. I ricorrenti hanno, in particolare, sostenuto l’illegittimità del regolamento in esame per violazione dell’art. 6, par. 1, CEDU come interpretato dalla sentenza n. 18640 del 4 marzo 2014 (GR TE e altri c. Italia), chiedendo l’annullamento dello stesso e l’accertamento del conseguente obbligo della SO di provvedere all’emanazione di un nuovo regolamento per l’applicazione delle sanzioni amministrative di natura penale in modo conforme alla previsioni dell’art. 6 CEDU.
3. Il T.a.r. Lazio, con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, superate le pregiudiziali eccezioni sollevate dalla SO di difetto di giurisdizione e di inammissibilità per difetto di interesse, ha respinto il ricorso.
Il T.a.r. ha ritenuto che dalla motivazione della sentenza della Corte EDU n. 18640 del 2014 non discenda un obbligo per lo Stato Italiano e per la SO di adeguare la disciplina del predetto procedimento sanzionatorio ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 6, par. 1, della CEDU.
Ciò in quanto, secondo il T.a.r., la citata sentenza della Corte EDU dovrebbe essere letta nel senso che le violazioni dell’art. 6, par. 1, CEDU riscontrate nel procedimento amministrativo possono trovare contemperamento nelle successive fasi che si svolgono in sede giurisdizionale nel rispetto del principio del giusto processo.
Più nel dettaglio, il Tar ha concluso che, in base alla sentenza della Corte EDU n. 18640 del 2014: A) il procedimento amministrativo teso all’applicazione delle sanzioni per market abuse altro non sarebbe che una prima fase, affidata alla CONSOB, di un procedimento unitario, seguita da due successive fasi di natura giurisdizionale, rappresentate dal giudizio di opposizione dinnanzi alla Corte d’appello e dal giudizio innanzi alla Corte di Cassazione, nell’ambito delle quali la decisione amministrativa della CONSOB viene sottoposta al controllo di organi giurisdizionali, sicché per valutare se vi sia stata o meno una lesione del diritto al giusto processo si dovrebbe considerare il procedimento nel suo complesso e non le sue singole fasi; B) la Corte EDU, sulla base di tale ragionamento, da un lato, ha riconosciuto che lo Stato italiano ben può attribuire ad un’Autorità amministrativa come la CONSOB, priva delle caratteristiche di imparzialità e di indipendenza tipiche degli organi giurisdizionali, il potere di applicare sanzioni “penali” come quelle relative agli illeciti di cui all’art. 187- ter del TUF e che l’applicazione di tali sanzioni può legittimamente avvenire in base a disposizioni procedurali diverse da quelle previste dal codice di procedura penale (§ 139 della sentenza); dall’altro, ha accertato che tale possibilità presuppone comunque che la decisione della CONSOB sia successivamente sottoposta al controllo di un «organo giudiziario dotato di piena giurisdizione» – ossia di un organismo titolare del «potere di riformare qualsiasi punto, in fatto come in diritto, della decisione impugnata, resa dall’organo inferiore» e della «competenza per esaminare tutte le pertinenti questioni di fatto e di diritto che si pongono nella controversia di cui si trova investito» (§ 139 della sentenza) – e che la Corte di Appello, innanzi alla quale è possibile proporre ricorso in opposizione avverso il provvedimento di applicazione delle sanzioni di cui trattasi, ai sensi dell’art. 187- septies del TUF, è un «organo giudiziario dotato di piena giurisdizione» (§ 151 della sentenza).
4. Per ottenere la riforma di tale sentenza gli originari ricorrenti hanno proposto appello principale.
Gli appellanti sostengono, in sintesi, che la sentenza sarebbe viziata da un’erronea e parziale lettura dei principi affermati dalla Corte EDU, la quale avrebbe, invece, espressamente affermato che il regolamento SO non è conforme all’art. 6, par. 1, della CEDU.
Gli appellanti evidenziano che l’oggetto del presente giudizio non è costituito dalla questione generale e astratta concernente la possibilità di far discendere dalla motivazione della sentenza della Corte EDU n. 18640 del 2014 un vero e proprio obbligo per lo Stato italiano di adeguare la disciplina del procedimento sanzionatorio ai principi del giusto processo sanciti dall’art. 6, par. 1, della CEDU. Al contrario, l’oggetto del presente giudizio riguarderebbe semplicemente la legittimità o meno del Regolamento SO, rispetto all’art. 187- septies T.U.F. da interpretarsi alla luce dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6, par. 1 della CEDU.
Il thema decidendum non sarebbe, quindi, la legittimità del complessivo procedimento sanzionatorio nella sua articolazione in successive fasi di giudizio, ma la legittimità del procedimento amministrativo svolto dalla SO per l’applicazione di sanzioni di natura penale. È tale legittimità dovrebbe essere autonomamente valutata dal giudice amministrativo, in riferimento alla normativa interna, avendo riguardo alle argomentazioni contenute nella sentenza della Corte EDU e ai precetti costituzionali.
Secondo gli appellanti, pertanto, una volta appurato che il procedimento amministrativo disciplinato dal regolamento SO viola le garanzie dell’art. 6, par. 1, della CEDU, non avrebbe alcuna rilevanza, ai fini della statuizione sulla legittimità del regolamento impugnato, la “compensazione” offerta dalle garanzie della fase processuale, atteso che, altrimenti, si delineerebbe una sorta di sanatoria postuma dell’illegittimità non consentita dall’ordinamento italiano, nel senso che i diritti fondamentali del cittadino potrebbero essere impunemente violati e che la tutela sarebbe differita nel tempo. Verrebbe così legittimata l’attribuzione alla SO del potere di agire illegittimamente nell’esercizio dell’attività sanzionatoria.
Deducono gli appellanti che se questo fosse il senso della sentenza della Corte EDU si porrebbe la questione della legittimità costituzionale dell’art. 187- septies T.U.F. e dello stesso art. 6 della CEDU, se intesi, appunto, nel senso di permettere un processo penale illegittimo e di differire nel tempo la tutela dei diritti fondamentali.
5. Per resistere all’appello si è costituita in giudizio la SO, la quale ha anche proposto un appello incidentale condizionato all’accoglimento dell’appello principale.
Nell’appello incidentale condizionato la SO ha impugnato la sentenza del T.a.r. Lazio nella parte in cui ha:
a) ritenuto infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (secondo la SO la controversia de qua, afferendo, alla materia “procedimentale sanzionatoria”, investe una controversia demandata al giudice ordinario, - nella specie alla Corte d’appello, competente a conoscete delle opposizioni esperite avverso provvedimenti sanzionatori in tema di abusi di mercato ai sensi dell’art. 187- septies T.U.F.);
b) rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso avverso la nota dell’Ufficio Sanzioni Amministrative della SO dell’11 agosto 2014 per carenza di interesse non trattandosi atto avente natura provvedimentale; c) rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso avverso i regolamenti SO di cui alle delibere 21 giugno 2005, n. 15086 e 19 dicembre 2013, n. 18750 per carenza di interesse attuale.
6. Rinviata al merito l’istanza cautelare, in vista dell’odierna udienza di discussione le parti hanno depositato ulteriori memorie a sostegno della reciproche posizioni.
7. All’odierna udienza di discussione la causa è stata trattenuta in decisione.
8. Si pone, anzitutto, il problema del corretto ordine di esame delle questioni rispettivamente sollevate nell’appello principale e nell’appello incidentale condizionato.
A rigore, infatti, le questioni sollevate dalla SO nel suo appello incidentale condizionato avrebbero priorità logica, trattandosi di questioni pregiudiziali di rito che investono presupposti processuali o condizioni dell’azione (nel caso di specie, la sussistenza della giurisdizione amministrativa e dell’interesse al ricorso).
La SO, tuttavia, proponendo appello incidentale in forma condizionata, ha subordinato l’esame di tali questioni pregiudiziali di rito, rispetto alle quali è rimasta soccombente (pur