Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-04-26, n. 201902671

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-04-26, n. 201902671
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201902671
Data del deposito : 26 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/04/2019

N. 02671/2019REG.PROV.COLL.

N. 09813/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9813 del 2018, proposto da
Schiavetta E S A, rappresentata e difesa dall'avvocato G R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pompeo Magno, n. 23/A;

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è elettivamente domiciliato;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, sez. I, n. 00501/2018, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 marzo 2019 il Cons. V P ed uditi per le parti l’avvocato Silvestri, in dichiarata delega di Rossi, e l’avvocato dello Stato Fico;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.La dott.ssa Schiavetta E S A, magistrato ordinario con funzioni di Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova, riconosciuta portatrice di handicap in condizione di gravità, ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. n. 104 del 1992 e come tale fruente dei permessi previsti dall’art. 33, comma 6, della medesima legge, ricorreva al Tribunale amministrativo della Liguria lamentando l’illegittima decurtazione dell’indennità giudiziaria di cui all’art. 3 della legge n. 27 del 1981 operata nei suoi confronti in corrispondenza dei periodi di utilizzo dei suddetti permessi.

A fondamento della propria tesi l’interessata richiamava il combinato disposto dell’art. 33, comma 4 della citata l. n. 104 del 1992 e dell’art. 8 della l. 9 dicembre 1977, n. 903 (ora art. 43 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151), secondo cui per i permessi in questione è dovuta “ un'indennità pari all'intero ammontare della retribuzione ”. La testuale previsione del diritto all’intera retribuzione doveva intendersi riferita non solo al trattamento economico di base, ma pure ai compensi incentivanti e a tutti gli emolumenti connessi alle specifiche caratteristiche della prestazione lavorativa;
del resto, i periodi di fruizione dei permessi in questione – a differenza di quanto previsto per altre tipologie di assenza dal servizio – sarebbero computati ai fini della maturazione delle ferie e della tredicesima mensilità, nonché dell’anzianità di servizio.

La ricorrente ricordava inoltre la ratio dei permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992, finalizzati a garantire i diritti di libertà ed autonomia della persona, la tutela della salute ed il rispetto dei doveri di solidarietà sociale, in attuazione degli articoli 2, 3, 32 e 38 della Costituzione e, conseguentemente, la necessità di evitare decurtazioni o riduzioni del correlato trattamento economico che possano recare pregiudizio, creare disparità di trattamento o disincentivarne l’utilizzo;
aderendo d’altra parte ad un’interpretazione letterale dell’art. 3 della legge 27 del 1981, evidenziava come detti permessi non rientrino tra le ipotesi testuali (ritenute tassative) per le quali tale norma esclude la spettanza dell’indennità giudiziaria ed aggiungeva che in ogni caso le assenze dal servizio per la fruizione dei permessi, in ragione della loro breve durata, non determinerebbero interruzioni nell’attività del –magistrato, tali da far venir meno gli oneri ad essa connessi.

2. Nella resistenza del Ministero della giustizia, il quale chiedeva la reiezione del ricorso rilevando il carattere speciale dell’indennità giudiziaria in quanto strettamente connessa all’effettiva prestazione del servizio e conseguentemente dovuta nella sola ipotesi di effettivo esercizio dell’attività giudiziaria, l’adito tribunale con la sentenza in epigrafe ha respinto il ricorso, aderendo al principio generale affermato dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa, secondo cui – in ragione della ratio della sua previsione – l’indennità giudiziaria non è dovuta nei periodi in cui la prestazione lavorativa è sospesa, non potendosi disconoscere tale presupposto se non nelle ipotesi in cui un’eccezione sia prevista dallo stesso legislatore.

3. Avverso tale decisione l’interessata ha interposto appello affidato ad un unico articolato motivo di appello, rubricato “1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 4, della legge n. 104/1992 e dell’art. 3, comma 1, della legge n. 27/1981, anche con riferimento agli articoli 2, 3 e 38 Cost., alla direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 e alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18” .

4. Costituitosi in giudizio, il Ministero della giustizia ha dedotto l’infondatezza del gravame, chiedendone il rigetto.

5. All’udienza del 28 marzo 2019, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

6. L’appello è infondato.

6.1. Va infatti confermato il consolidato principio – dal quale non vi è evidente ragione di discostarsi, nel caso di specie – secondo cui “ l'indennità giudiziaria (istituita con l’art. 3, L. 19 febbraio 1981, n. 27 in favore dei magistrati ordinari, poi attribuita, con l’art. 1, L. 22 giugno 1988 n. 221, a decorrere dall’1 gennaio 1988 e nella misura vigente a quella data, al personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie ed estesa infine, con l’art. 1, 1. 15 febbraio 1989 n. 51 al personale di segreteria del giudice amministrativo e contabile nonché al personale dell’avvocatura erariale), spettante a tutti coloro che partecipano della funzione giudiziaria a qualsiasi livello, è per sua stessa definizione un’indennità speciale, dovuta se e nella misura in cui l’attività di specie viene concretamente esercitata, e non una voce ordinaria della retribuzione personale ” ( ex multis , Cons. Stato, IV, 18 dicembre 2008, n. 6366).

Ciò in quanto “ L'indennità concessa ai magistrati dall'art. 3 L. 19 febbraio 1981 n. 27, è collegata a particolari oneri che gli stessi magistrati incontrano nell'esercizio della loro attività, da prestarsi con un impegno senza prestabiliti limiti temporali, ed è quindi strettamente connessa all’effettiva prestazione del servizio. Pertanto legittimamente ne viene disposto il recupero delle somme a tale titolo erogate al magistrato durante i mesi di astensione obbligatoria per maternità ” (Cons. Stato, IV, 6 ottobre 2003, n. 5841).

Tale principio ha trovato anche l’avallo della Corte Costituzionale, chiamata in diverse occasioni a valutare la legittimità della norma nella parte in cui prevede la non erogazione dell’indennità di cui trattasi in circostanze pur qualificate (e sotto altro profilo tutelate dal diritto) di interruzione dell’attività lavorativa: “ Anche in seguito all’entrata in vigore del testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 4, 29, 30, 37, 97, 104 e 108 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 1. 19 febbraio 1981 n. 27, nella parte in cui vieta la corresponsione dell’indennità giudiziaria da esso prevista, al magistrato donna che si trovi in astensione obbligatoria per maternità ” (Corte Costituzionale, 14 luglio 2006, n. 290).

Successivamente alla modifica del testo originario della norma, con la quale è stata rimossa dalle ipotesi di esclusione di erogazione dell’indennità il solo periodo di astensione obbligatoria per maternità, l’Alta Corte ha comunque precisato che “ È manifestamente infondata la q.l.c. dell’art. 3, comma 1, l. 19 febbraio 1981 n. 27, nel testo anteriore alla modifica introdotta dall’art. 1, comma 325, 1. 30 dicembre 2004 n. 311, censurato, in riferimento all'art. 3, comma 1, cost., nella parte in cui, per il personale di magistratura, vieta la corresponsione dell'indennità da esso prevista nel periodo di astensione obbligatoria per maternità.

In considerazione della diversità delle posizioni e delle funzioni, non è possibile accomunare il regime dell'indennità di funzione riferito ai magistrati a quello previsto per il personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie, sicché non è configurabile una irrazionale disparità di trattamento per il solo fatto che da tale raffronto discende una quantificazione diversa delle rispettive prestazioni;
né è possibile dedurre dall’intervento dell'art. 1, comma 325, l. finanziaria per l’anno 2005 a favore dei magistrati assenti per maternità, l'intento del legislatore di rimuovere una situazione di illegittima disparità di trattamento, in quanto la novella citata costituisce la manifestazione della discrezionalità del potere legislativo nel collocare nel tempo le innovazioni normative (sent. n. 15 del 1995;
ord. n. 290 del 2006 e 137 del 2008)
” (così Corte Cost. 14 maggio 2008, n. 137).

6.2. Né può ritenersi – come pretende l’appellante – che dalla novella legislativa in questione (che, come già detto, ha espunto il riferimento all’astensione obbligatoria per maternità, in precedenza invece testualmente menzionata) debba a contrario desumersi la tassatività delle cause di esclusione elencate nella seconda parte dell’art. 3 della l. n. 27 del 1981, atteso che – come correttamente rilevato in sentenza - l’intervento normativo soppressivo – anziché positivo – si è reso necessario in quanto il predetto istituto era espressamente indicato dall’art. 3 della legge 27 del 1981.

A prescindere poi dalla circostanza che i permessi di cui si discute non avrebbero comunque potuto essere menzionati ad initio dalla norma in esame, in quanto introdotti con disposizione di legge ad essa successiva, deve aggiungersi che la stessa formulazione del richiamato art. 3 porta a propendere per la non tassatività delle ipotesi di esclusione, bensì per la natura esemplificativa dell’elencazione.

La norma, infatti, per prima cosa individua la ratio dell’indennità in questione (“ in relazione agli oneri che [i magistrati] incontrano nello svolgimento della loro attività ”), quindi indica le ipotesi di esclusione ricorrendo a categorie generali (“ periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa ”), anziché utilizzare una casistica di fattispecie specifiche, come sarebbe invece doveroso in presenza di un’elencazione tassativa.

La formula di legge, del resto, neppure cita alcuna ipotesi di permesso o riposo.

Analogamente “ Non è fondata, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 L. 19 febbraio 1981 n. 27, nella parte in cui esclude la corresponsione al magistrato dell'indennità giudiziaria da esso prevista durante il periodo di congedo straordinario per malattia (in particolare, si è chiarito che la Costituzione non impone di attribuire al dipendente assente per malattia lo stesso trattamento economico di cui gode in costanza di attività lavorativa, essendo sufficiente che al lavoratore siano assicurati mezzi adeguati anche durante il periodo di malattia) ” (Corte Cost., 14 luglio 2006, n. 287).

6.3. Deve quindi concludersi nel senso che rientra nella discrezionalità del legislatore individuare le ipotesi nelle quali l’indennità giudiziaria spetti anche per il caso di mancata prestazione dell’attività lavorativa, sul presupposto che quest’ultima, in quanto indennità speciale e non anche voce ordinaria della retribuzione personale, è in linea di principio dovuta solo in caso di effettiva prestazione della peculiare attività lavorativa cui si correla.

E’ pertanto condivisibile l’avviso del primo giudice in ordine alla circostanza che l’indennità giudiziaria è stata istituita a favore dei magistrati proprio ed esclusivamente “ in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività ”: tale voce retributiva è stata quindi riconosciuta solo in ragione delle caratteristiche peculiari dell’attività dagli stessi svolta, della sua gravosità oltre che del particolare impegno richiesto, anche sotto il profilo organizzativo.

Sul punto è chiara Corte Cost. 11 ottobre 2012, n. 223, secondo cui tale componente retributiva “ è necessariamente correlata al concreto esercizio delle funzioni, in quanto espressamente collegata ai particolari “oneri” che i magistrati “incontrano nello svolgimento della loro attività”, la quale comporta peraltro un impegno senza prestabiliti limiti temporali. La corresponsione della stessa è, dunque, strettamente connessa all’effettiva prestazione del servizio (sentenza n. 407 del 1996 e ordinanza n. 106 del 1997). […] tale indennità, sebbene sia stata nel tempo considerata anche come una componente normale della retribuzione, non ha perso la sua natura particolare, conseguente all’essere la stessa diretta a compensare un complesso di oneri inscindibilmente connessi alle modalità di esercizio delle funzioni svolte dai magistrati ”.

7. Sulla scorta delle considerazioni svolte l’appello va respinto.

La particolarità delle questioni esaminate giustifica peraltro l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi