Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-06-21, n. 201904268
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Pubblicato il 21/06/2019
N. 04268/2019REG.PROV.COLL.
N. 09021/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9021 del 2009, proposto da
Comune di Viterbo, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato M B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Bertoloni n. 26/B;
contro
Il Portico di Signorelli Rosalba &C. s.n.c., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda- ter , n. 10780/2009, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 20 giugno 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e udito per le parti l’avvocato Santi Dario Tomaselli, su delega dell’avv. Brugnoletti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza semplificata n. 10780 del 2009 segnata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione seconda- ter ) accoglieva il ricorso proposto da Il Portico di Signorelli Rosalba s.n.c. avverso l’ordinanza n. 185 del 2008, con cui il Sindaco del Comune di Viterbo aveva disciplinato gli orari di apertura e chiusura di esercizi commerciali e, in generale, delle attività produttive insistenti sul territorio comunale, nonché avverso il provvedimento della Polizia locale del 25 giugno 2009, che aveva applicato la detta ordinanza all’esercizio commerciale della ricorrente. Annullava pertanto entrambi gli atti. Condannava il Comune soccombente alle spese di giudizio.
2. Il primo giudice, in estrema sintesi:
- respingeva l’eccezione spiegata dal Comune di Viterbo di inammissibilità del ricorso per omessa notifica ai controinteressati, non rinvenendo soggetti in possesso di tale qualità;
- rilevava che l’ordinanza sindacale mirava a regolamentare gli orari di chiusura degli esercizi commerciali nel territorio comunale, in assenza dei presupposti di contingibilità e urgenza di cui agli artt. 50 comma 5 e 54, comma 4 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali);
- riteneva la genericità della relativa motivazione (necessità di prevenire situazioni di rischio e di contemperare le esigenze dei cittadini al riposo e alla quiete con quelle espresse dal settore produttivo e di degrado al decoro delle vie pubbliche) e la sua insufficienza sotto il profilo della espressione delle circostanze giustificative al ricorso alla deroga degli strumenti ordinari di amministrazione;
- riteneva carente la motivazione dell’atto anche nell’ipotesi della sua ascrivibilità ai poteri spettanti al sindaco in materia di orari degli esercizi commerciali, ai sensi dell’art. 8 della l. 25 agosto 1991, n. 287, in quanto tale disposizione subordina la differenziazione degli orari in parola alla valutazione e alla espressione delle diverse esigenze e caratteristiche delle zone considerate, nella specie insussistente.
3. Il Comune di Viterbo ha proposto appello avverso la predetta sentenza domandandone la riforma e deducendo: I) Errores in procedendo , violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ.;II) Errores in procedendo , nullità della sentenza per violazione dell’art. 324 Cod. proc. civ. e del principio del ne bis in idem ;III) Errores in procedendo , inammissibilità dei motivi aggiunti e difetto di giurisdizione;IV) Errores in judicando , travisamento dei presupposti, violazione dell’art. 50, comma 7 del d.lgs. n. 267 del 2000, violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 114 del 1998;V) Errores in judicando , violazione dell’art. 8 del d.lgs. n. 287 del 1991.
4. L’originaria ricorrente non si è costituita in appello.
5. Con ordinanza n. 6102 del 2009 questa Sezione del Consiglio di Stato ha accolto la domanda cautelare formulata dall’appellante così sospendendo gli effetti della sentenza appellata.
6. Il Comune appellante ha depositato memorie difensive.
7. La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 20 giugno 2019.
8. Il quarto motivo di appello, con cui il Comune di Viterbo lamenta che il giudice di prime cure ha fondato il proprio giudizio su un errato presupposto, di valenza assorbente ogni altra censura pure formulata dalla parte appellante, è fondato.
Sul punto, infatti, il Collegio non rinviene ragioni per discostarsi dalla sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 1567 del 2019, che ha affrontato le stesse questioni dibattute nell’odierna controversia sempre in riferimento all’ordinanza del Sindaco del Comune di Viterbo n. 185 del 2008, impugnata anche da altro operatore economico e annullata nel relativo giudizio con sentenza n. 4583 del 2009 della sezione seconda- ter del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, fondata sulle medesime ragioni della sentenza qui appellata e riformata con la predetta sentenza della Sezione n. 1567/2019.
9. Va allora anche qui rilevato, in uno al menzionato precedente della Sezione, che il primo giudice ha dato per acquisita la qualificazione dell’atto impugnato quale ordinanza emessa ai sensi dell’articolo 50, comma 5 e dell’art. 54, comma 4 del Testo unico degli enti locali, ovvero quale atto volto a fronteggiare con rimedi contingibili emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, e non ha poi rinvenuto i presupposti e le condizioni per l’adozione di tale tipologia di ordinanza.
Deve, invece, affermarsi, con la sentenza della Sezione n. 1567/2019, che l’ordinanza sindacale in esame va qualificata come atto volto a coordinare e riorganizzare, ai sensi del comma 7 del medesimo articolo 50 del Tuel, gli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi.
9.1. Un primo elemento in tal senso è desumibile dal preambolo dell’ordinanza, che riporta che “ nell’ambito delle competenze che la legge attribuisce al Sindaco vi è quella del coordinamento degli orari della Città e, tra l’altro, degli esercizi commerciali in genere ”.
Il richiamo in parola è evidentemente riferito alla previsione di cui all’art. 50, comma 7 del Tuel, il quale, appunto, demanda al sindaco i compiti di coordinamento e riorganizzazione degli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi. Si tratta di compiti che sono tipicamente esercitati attraverso ordinanze di contenuto ‘ordinario’, adottate dal sindaco nella sua qualità di capo dell’amministrazione comunale (e non in quella, concomitante, di ufficiale di governo).
Di contro, l’appena richiamata premessa non è in alcun modo compatibile con la previsione di cui al comma 5 dell’articolo 50 del Tuel, che non riferisce il potere di ordinanza contingibile al coordinamento degli orari cittadini.
9.2. Un secondo elemento che depone nel senso indicato è rappresentato dal richiamo (anch’esso contenuto nel preambolo dell’ordinanza) all’art. 11 del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 114 ( Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 ).
Il comma 1 di tale art. 11 dispone che “ gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, in esecuzione di quanto disposto dall’articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142 ”.
Ebbene, l’art. 36, comma 3 della l. 142 del 1990 (disposizione del previgente Tuel richiamata nell’ambito della norma a sua volta richiamata dal Comune di Viterbo nel preambolo dell’ordinanza n. 185 del 2008) corrisponde nella sostanza all’art. 50, comma 7 del Tuel del 2000.
Indi, nelle premesse dell’ordinanza impugnata in primo grado il Comune di Viterbo ha richiamato una disposizione nazionale in materia di disciplina degli orari di apertura e chiusura degli esercizi che si riferiva a sua volta all’esercizio da parte del sindaco di un ordinario potere di coordinamento (e non all’adozione di ordinanze contingibili e urgenti).
9.3. Un terzo elemento che depone nel senso indicato è rappresentato dal richiamo (ancora una volta contenuto nel preambolo dell’ordinanza) all’art. 31 della l.r. Lazio 18 novembre 1999, n. 33 ( Disciplina relativa al settore commercio ).
La disposizione in questione, nel dettare i princìpi per l’adozione in ambito comunale dei criteri in materia di orari di vendita, richiama il ridetto art. 36, comma 3 della l. 142 del 1990 (disposizione previgente che, come detto, coincide nella sostanza con l’attuale art. 50, comma 7 del d.lgs. n. 267 del 2000, evocando - al pari di quest’ultima - un ordinario potere di ordinanza sindacale).
Anche in questo caso, quindi, resta escluso per tabulas che, in sede di adozione dell’ordinanza impugnata in primo grado, si fosse inteso attivare il potere di ordinanza contingibile e urgente di cui all’art. 50, comma 5 del TUEL.
10. Alla luce di tutto quanto sopra la sentenza appellata è partita da una premessa giuridico-fattuale non corretta.
In particolare, come visto, l’ordinanza sindacale n. 185 del 2008 non poteva essere inquadrata, come ha fatto il primo giudice, nel novero delle ordinanze contingibili e urgenti di cui all’art. 50, comma 5 del Tuel.
Resta, di conseguenza, estranea all’ordinanza stessa la necessità di una puntuale esposizione della sussistenza dei presupposti e delle condizioni per l’adozione di tale tipologia di atto, di cui invece la sentenza appellata ha rilevato la carenza.
Quanto, poi, all’ulteriore rilievo del primo giudice secondo cui l’ordinanza in esame sarebbe carente di motivazione anche nell’ipotesi della sua ascrivibilità ai generali poteri spettanti al sindaco in materia di orari degli esercizi commerciali, basti rilevare, sempre in conformità alla sentenza della Sezione n. 1567/2019, che l’ordinanza di cui trattasi è atto a contenuto generale, non assoggettato in quanto tale all’obbligo di motivazione ai sensi dell’art. 3, comma 2 della l. 241 del 1990.
11. Per le esposte ragioni l’appello in epigrafe deve essere accolto, disponendosi per l’effetto la riforma della sentenza appellata e la reiezione del ricorso di primo grado.
12. Il Collegio, in considerazione della peculiarità della res controversa , ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.