Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-13, n. 201703461

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-07-13, n. 201703461
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201703461
Data del deposito : 13 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/07/2017

N. 03461/2017REG.PROV.COLL.

N. 07694/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7694 del 2016, proposto da:
M P, rappresentata e difesa dall'avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio Home Legality in Roma, via delle Milizie, 56;

contro

Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale dell'Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

F R non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA, SEZ. I n. 00798/2016, resa tra le parti, concernente diniego di accesso ai documenti amministrativi


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale dell'Emilia Romagna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 marzo 2017 il Cons. O F e uditi per le parti l’avvocato Cinti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’appello in esame, la signora Patrizia Mattutini impugna la sentenza 31 agosto 2016 n. 798, con la quale il TAR per l’Emilia Romagna, sez. I, ha rigettato il suo ricorso in materia di accesso ai documenti amministrativi.

L’appellante – che dichiara la pendenza di una causa civile con l’ex coniuge per la determinazione dell’assegno di divorzio – intende ottenere una sentenza dichiarativa dell’illegittimità del diniego parziale di accesso opposto dall’Agenzia delle entrate – Direzione regionale dell’Emilia Romagna, sulla sua istanza di accesso del 11 gennaio 2016, nonché per ottenere sentenza dichiarativa del suo diritto a prendere visione ed estrarre copia degli atti con la medesima istanza richiesti, ed in particolare dei dati riguardanti l’ex coniuge presenti nell’Archivio dei rapporti finanziari e delle comunicazioni ex art. 7, co. 6, DPR n. 605/1973.

L’Agenzia delle Entrate ha fondato il diniego sul difetto di previa autorizzazione alla ricerca telematica da parte del Presidente del Tribunale, ex art. 492-bis c.p.c..

La sentenza impugnata afferma, in particolare:

- poiché i dati cui la ricorrente intende accedere ineriscono ad una causa civile relativa all’assegno divorzile, la controversia “rientra a pieno titolo nelle cause in materia di diritto di famiglia, in riferimento alle quali – per quanto concerne la possibilità di ricerca telematica dei relativi dati nel suddetto archivio dei rapporti finanziari - l’art. 155- sexies disp. att. c.p.c., introdotto dal d.l. n. 132 del 2014, conv. in l. n. 162 del 2014, ha esteso in favore della parte creditrice in quelle controversie . . . alcune parti della disciplina del processo esecutivo civile, con particolare riferimento alla possibilità di ricerca con modalità telematiche dei beni ex art. 492- bis c.p.c., su determinate banche dati, tra le quali vi è l’Archivio dei rapporti finanziari tenuto dall’Agenzia delle Entrate”;

- pertanto, sussiste “la piena applicabilità alla causa in esame della normativa processuale civile indicata dalla Agenzia delle entrate nel gravato diniego parziale di accesso”, e, segnatamente, di quella che prevede espressamente che la ricerca telematica possa essere consentita solo previo rilascio di autorizzazione del Presidente del Tribunale”;

- né tale disposizione è stata successivamente modificata, nel senso di rendere non più necessaria tale autorizzazione.

Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

errata e falsa rappresentazione dei presupposti in diritto;
errata applicazione degli artt. 22, 24 e 25, u.c., l. n. 241/1990;
eccesso di potere per motivazione contraddittoria;
ciò in quanto:

- “ il giudice adito in prime cure ha sovrapposto due discipline tra loro incompatibili, una, che attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa (art. 22, co. 2,) , perfeziona l’esercizio del diritto soggettivo di cui alla l. n. 241/1990, con una disciplina di natura processuale che . . . è riferibile alla situazione in essere nel giudizio civile in corso, è rimessa alla valutazione del giudice della causa, che può ordinare ai sensi dell’art. 210 c.p.c. l’esibizione di una determinata documentazione”;

- “nel mentre l’esercizio del diritto soggettivo non incontra limiti se non . . . nella delibazione dei presupposti che consentono l’ingresso dell’azione ostensiva e nella verifica di inesistenza delle preclusioni di cui all’art. 24 della l. n. 241/1990;
l’ammissibilità dell’altro procedimento, ex artt. 492- bis e 155- quinquies , è soggetto alla valutazione del G.U., il quale nell’adozione dei provvedimenti istruttori emanati sulla base del proprio convincimento può (e nemmeno deve) consentire l’accesso a quelle banche dati, in ragione della scarsa attendibilità dei documenti probatori offerti in corso di causa”.

Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, in relazione al difetto di specificità del motivo di impugnazione della sentenza, poiché detto motivo “si limita ad asserire in via del tutto apodittica che il diritto soggettivo di cui alla legge n. 241/1990 non incontra limiti e, in modo generico ed astratto, che le due discipline – quella processualcivilistica e quella contenuta nella l. n. 241/1990 – non sono sovrapponibili”.

Ha comunque concluso per il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.

All’udienza di trattazione in camera di consiglio, la causa è stata riservata in decisione.

DIRITTO

2. L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, per le ragioni e con le integrazioni di motivazione di seguito esposte.

Peraltro, ancorchè ne sia superfluo l’esame alla luce del rigetto del ricorso, è infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dall’Agenzia delle Entrate, posto che, per il tramite del motivo proposto, l’appellante intende affermare, in sostanza, la “autonomia” del procedimento volto a far valere, nei confronti della pubblica amministrazione, il proprio diritto di accesso ai documenti amministrativi. Essa sostiene di agire, dunque, in forza di una posizione sostanziale autonoma – qualificata in termini di “diritto soggettivo” – conferitale dalla l. n. 241/1990, che solo in questa legge incontra i “presupposti che consentono l’ingresso dell’azione ostensiva” e le eventuali preclusioni dettate dall’art. 24.

In definitiva, l’appellante censura la sentenza per non avere essa esaminato il caso sottoposto con esclusivo riferimento alla citata l. n. 241/1990, ma sovrapponendo “due discipline tra loro incompatibili”. Nei termini ora riportati, appare evidente come non possa sostenersi il difetto di specificità del motivo di appello.

3.1. L’art. 22 della l. 7 agosto 1990 n. 241, nel testo introdotto dalla l. n. 15/2005, afferma che per diritto di accesso si intende “il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi” (co. 1, lett. a), intendendosi per “interessati”, “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso” (co. 1, lett. b).

Il successivo co. 2 (nel testo introdotto dalla l. n. 69/2009), afferma che “l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza”.

Quanto all’oggetto dell’accesso, e cioè al documento amministrativo, l’ordinamento presenta almeno due definizioni:

- la prima, contenuta nell’art. 22, co. 1, lett. d) della l. n. 241/1990, secondo la quale si intende per tale “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”;

- la seconda, contenuta nell’art. 1, co. 1, lett. a) del DPR 28 dicembre 2000 n. 445, secondo il quale costituisce documento amministrativo “ogni rappresentazione, comunque formata, del contenuto di atti, anche interni, delle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”.

Come è noto, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato (dec. 18 aprile 2006 n. 6), ha qualificato il “diritto di accesso” come una situazione soggettiva che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risulta caratterizzata per il fatto di offrire al titolare dell'interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interessi).

Sempre secondo l’Adunanza Plenaria, “il carattere essenzialmente strumentale” di tale posizione “si riflette inevitabilmente sulla relativa azione, con la quale la tutela della posizione soggettiva è assicurata. In altre parole, la natura strumentale della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata dall'ordinamento caratterizza marcatamente la strumentalità dell'azione correlata e concentra l'attenzione del legislatore, e quindi dell'interprete, sul regime giuridico concretamente riferibile all'azione, al fine di assicurare, al tempo stesso, la tutela dell'interesse ma anche la certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati”.

L’Adunanza Plenaria, pur assumendo che il “procedere all’esatta qualificazione della natura della posizione soggettiva coinvolta” non riveste utilità “nella specie”, procede, in sostanza, ad una vera e propria “declassificazione” del diritto di accesso, non più ritenuto posizione sostanziale autonoma (non fornendo essa “utilità finali”), ma solamente un potere di natura procedimentale, avente finalità strumentali di tutela di posizioni sostanziali propriamente dette, sia di diritto soggettivo sia di interesse legittimo.

In tal modo, l’arresto dell’Adunanza Plenaria ha inteso superare sia configurazioni della posizione “diritto di accesso” che, facendo leva sul carattere impugnatorio del giudizio, lo hanno in precedenza configurato come interesse legittimo (Cass., Sez. Un., 27 maggio 1994 n. 5216;
Cons. St., Ad. Plen. 24 giugno 1999 n. 16), sia posizioni che, facendo leva sul carattere vincolato del potere esercitato dall’amministrazione in sede di accesso, lo hanno, invece, definito come autonomo diritto soggettivo (Cons. Stato, sez. VI, 12 aprile 2005 n. 1679 e 27 maggio 2003 n. 2938;
sez. V, 10 agosto 2007 n. 4411).

In adesione a quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, questa Sezione ha già avuto modo di rilevare (Cons. Stato, sez. IV, 28 febbraio 2012 n. 1162), con considerazioni che si intendono riconfermare nella presente sede, che, se è vero che la legge si esprime in termini di “diritto di accesso”, è altrettanto vero come di tale espressione deve essere sottolineato l’uso affatto atecnico. E ciò in quanto è ben evidente la “strumentalità” dell’accesso collegato alla “tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”, come si evinceva dal precedente testo dell’art. 22 l. n. 241/1990, ed ora dalla definizione dei soggetti “interessati”, contenuta nel medesimo articolo.

Né sembra assumere valore rilevante (al fine di condurre ad una diversa interpretazione) la circostanza che, nell’art. 29, co.

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