Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-11-02, n. 201504992

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2015-11-02, n. 201504992
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201504992
Data del deposito : 2 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 04386/2015 REG.RIC.

N. 04992/2015REG.PROV.COLL.

N. 04386/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4386 del 2015, proposto da:
D Z, rappresentato e difeso dall'avv. V B, con domicilio eletto presso Paolo Patelmo in Roma, Via Goito, 29;

contro

Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 00250/2015, resa tra le parti, concernente destituzione dal servizio;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2015 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati V B e l'avv. dello Stato Paola Saulino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. Lombardia, il sig. Z, già Ispettore Capo della Polizia di Stato, ha impugnato il decreto con il quale gli era stata inflitta la sanzione della destituzione, deducendone l’illegittimità sulla scorta di diversi motivi.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione convenuta, chiedendo il rigetto del ricorso.

Il T.A.R. Lombardia ha respinto la domanda cautelare;
il Consiglio di Stato, in riforma del predetto provvedimento, l’ha invece accolta ai fini di una sollecita trattazione nel merito del primo grado di giudizio, “anche ai fini di una approfondita valutazione delle questioni riguardanti la tempestività dell’avvio dell’azione disciplinare e la decorrenza della destituzione dal servizio che è stata comminata con l’impugnato provvedimento sanzionatorio”.

Con sentenza n. 250/2015, depositata il 22 gennaio 2015 e notificata il 26 febbraio 2015, il primo giudice ha respinto il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 3.500,00 oltre accessori di legge.

Con ricorso notificato il 22-27 aprile 2015, e depositato il 21 maggio 2015, l’appellante ha impugnato la suddetta sentenza deducendo i seguenti motivi:

Inesistenza e/o nullità della notificazione dell’atto per difetto di copia conforme all’originale.

Violazione di legge per mancato rispetto del termine di avvio del procedimento disciplinare.

Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti- Violazione di legge, violazione dell’art. 24 Cost.

Violazione di legge: art. 1 del D.P.R. n. 737/81 (principi di proporzionalità, tipicità e tassatività delle sanzioni disciplinari) – Falsa applicazione dell’art. 7 del medesimo D.P.R. – Carente ed apparente motivazione.

Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 del D.P.R. n. 737/81.

Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 737/81

Ha quindi chiesto la riforma della sentenza con conseguente annullamento del decreto n. 333-C-1/Sez. 2^/ del 15/7/13, con il quale gli è stata inflitta la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio.

L’Amministrazione dell’Interno si è costituita in giudizio replicando sulle censure proposte ed ha concluso chiedendo il rigetto dell’appello.

Con memoria depositata il 14 settembre 2015, l’appellante ha ribadito che il procedimento disciplinare è stato avviato sulla base di un fatto mai avvenuto – e cioè la denuncia di due funzionari della Questura di Bologna – e che comunque l’eventuale suo comportamento scorretto avrebbe dovuto essere contestato e sanzionato nell’anno 2007, quando l’Amministrazione ne è venuta a conoscenza e non dopo 5 anni;
ha poi ribadito, che in ogni caso che la sanzione sarebbe sproporzionata ed emessa in difetto di presupposti.

All’udienza pubblica del 15 ottobre 2015 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Deve essere esaminato prioritariamente, per ragioni di ordine logico, il secondo motivo di appello, con il quale l’appellante ha dedotto la tardività dell’avvio del procedimento disciplinare.

E’ necessario quindi ripercorrere tutta la vicenda.

Con provvedimento del Questore di Milano dell’11 dicembre 2012 (doc. n. 7 fasc. Avvocatura erariale) è stata disposta l’inchiesta disciplinare nei confronti del Sig. Z sulla base dei seguenti presupposti:

- l’adozione del decreto di archiviazione del procedimento penale nr. 5806/07 RGNR della Procura della Repubblica di Bologna, emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bologna in data 13 marzo 2012;

- la presentazione di una querela da parte dell’appellante nei confronti di coloro che avrebbero reso false dichiarazioni in merito alla sua negligente attività in servizio, ed ambigui comportamenti da lui tenuti all’interno del CPT di Bologna in data 16 maggio 2006, che avevano comportato l’avvio di un procedimento disciplinare presso la Questura di Bologna, conclusosi con l’irrogazione della sospensione dal servizio per mesi uno;

- l’avvenuta presentazione della querela anche nei confronti di due funzionari di Polizia, rispettivamente Dirigente e Vice Dirigente dalla Squadra Mobile di Bologna, impegnati nell’attività di accertamento dei fatti accaduti presso il CPT di Bologna;

- l’opposizione da parte dello Z alla richiesta di archiviazione nei confronti, tra gli altri, dei suddetti dirigenti della Polizia di Stato, ritenuta dal G.I.P. del Tribunale di Bologna basata su “temi e mezzi di prova manifestamente superflui, non pertinenti o irrilevanti”;

- la reiterazione di condotte consistenti nella presentazione di segnalazioni di rilievo penale o amministrativo ai vari organi, tanto da indurre il Ministero dal diffidarlo a presentare istanze aventi identico contenuto con quelle già trattate.

Nel provvedimento di contestazione degli addebiti del 21 dicembre 2012 (doc. n. 2 fasc. Avvocatura), il funzionario istruttore ha rilevato che:

- l’appellante aveva presentato una prima denuncia in data 11 dicembre 2006 con riferimento ai fatti occorsi presso il CPT di Bologna, seguita da una seconda denuncia in data 3 aprile 2007 presso la Stazione dei Carabinieri di Bologna “Bertalia”, nella quale aveva formulato critiche nella conduzione delle indagini da parte della Squadra Mobile di Bologna, chiedendo all’Autorità Giudiziaria di non delegare le indagini ad uffici della Polizia di Stato, seguita a sua volta da una terza denuncia, sempre il 3 aprile 2007, nei confronti di diversi soggetti;

- aveva provveduto al deposito in data 10 settembre 2010 di ulteriori atti presso la Procura della Repubblica di Bologna per sostenere le proprie pretese;

- aveva proposto opposizione alla richiesta di archiviazione del procedimento penale n. 5806/2007, chiedendo anche - in data 13 ottobre 2008 -, la riapertura delle indagini;

- il Tribunale di Bergamo, in altro procedimento penale, con decisione in data 17 agosto 2011, aveva ritenuto l’insussistenza di elementi di reità nella condotta di un Ispettore Superiore SUPS della Polizia di Stato, ritenendo pretestuosa la motivazione del comportamento avuto dall’appellante;

- questi, inoltre, - al momento del trasferimento per incompatibilità ambientale – aveva inviato varie istanze per ottenere il riesame e la riapertura del procedimento.

Dai predetti fatti si evidenziava la reiterazione del comportamento scorretto con abuso strumentale del diritto di difesa con “ripetute azioni giudiziarie come nel procedimento de quo, verso appartenenti alla Polizia di Stato e superiori gerarchici” ed il venir meno del rapporto fiduciario con l’Amministrazione di appartenenza, tenuto conto “della sua espressa richiesta all’A.G. di non delegare le indagini ad uffici o servizi della Polizia di Stato”.

In seguito alla contestazione degli addebiti l’appellante ha presentato le proprie controdeduzioni ed in data 11 febbraio 2013 si è conclusa l’inchiesta disciplinare.

Nel verbale del Consiglio Provinciale di Disciplina del 29 aprile 2013 si dà atto che la denuncia proposta dall’appellante dinanzi ai Carabinieri non era diretta nei confronti dei due funzionari di Polizia, ma esclusivamente “contro la direzione della “Misericordia” per aver tenuto un comportamento non corretto nella gestione dei trattenuti, per aver calunniato l’Ispettore inventando di sana pianta situazioni inesistenti e per avergli provocato delle sanzioni disciplinari basate su fatti a cui lui era assolutamente estraneo”.

Da detta circostanza è emersa - secondo il Consiglio Provinciale di Disciplina – “una totale sfiducia nei confronti dell’operato della Squadra Mobile prima e dell’intera Polizia di Stato poi. L’ispettore ritiene che le indagini non siano state condotte bene, parla di palesi omissioni ed irregolarità nella conduzione delle attività di polizia giudiziaria (…). Le dichiarazioni …. evidenziano una profonda sfiducia nei confronti dell’Amministrazione e dell’operato dei suoi appartenenti”. (…) Con il suo atteggiamento ma soprattutto con il contenuto delle denunce presentate l’incolpato ha gettato un grave alone di incompetenza e mancanza di professionalità sul personale della Polizia di Stato che ha operato nelle indagini de quo. (…) Certo l’incolpato non ha commesso alcun reato, ma è da più di venti anni, ed in particolare negli ultimi cinque, che mantiene un atteggiamento di attacco continuo contro tutti e contro tutto, scrive relazioni per segnalare problemi ed errori che secondo cui sussisterebbero all’interno di tutti gli uffici e di tutte le Questure nelle quali ha prestato servizio, ha avuto dissapori con altre forze di polizia e contrasto anche con la stessa polizia locale, utilizzando impropriamente strumenti procedurali previsti per ben altre finalità”. Nel procedimento disciplinare è emerso che l’incolpato “è venuto meno ad imprescindibili doveri e correttezza e collaborazione, con totale assenza di ravvedimento, o quantomeno di elaborazione critica della propria condotta, nonostante i numerosi procedimenti disciplinari (…) si è determinato un evidente scollamento nel rapporto di fiducia tra il dipendente e l’Amministrazione di appartenenza”.

Sicchè, nella delibera del 13 maggio 2013 il Consiglio Provinciale di Disciplina ha ritenuto che l’incolpato “teneva reiteratamente condotte non confacenti al proprio status e non rispettose dei propri doveri deontologici, regolamentari e di subordinazione, contestando la legittimità di atti, adottati anche da propri superiori, peraltro giudicati corretti e doverosi dalla stessa A.G. che in un caso era stata chiamata a pronunciarsi a seguito di denunce proposte dallo stesso dipendente. Mostrava inoltre di non nutrire e di non poter godere della necessaria fiducia che deve sussistere nel rapporto di lavoro, specie in relazione alle peculiarità dell’amministrazione di appartenenza, non manifestava alcun segno di ravvedimento”.

Nel provvedimento di destituzione, il Capo della Polizia ha richiamato la suddetta delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina, rilevando che il dipendente ha posto in essere atti che rivelano mancanza del senso dell’onore ed in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, che ha assunto un comportamento assolutamente inconciliabile con le funzioni proprie della qualifica, che ha condotto una reiterata e persistente violazione di obblighi deontologici e regolamentari, facendo venir meno il rapporto di fiducia con l’amministrazione, che ha utilizzato in modo improprio gli strumenti di tutela dei propri diritti soggettivi, che ha assunto condotte censurabili contestando i modelli procedurali e gestionali interni, che ha mostrato scarsa lealtà e spirito di collaborazione con l’amministrazione nonostante i richiami ricevuti ed i provvedimenti disciplinari, e che, pertanto, non può essere ritenuto affidabile per l’amministrazione.

Nel ricorso di primo grado il ricorrente aveva dedotto che il procedimento aveva preso avvio dall’archiviazione del procedimento penale NRGR n. 5806/07 scaturito da una denuncia erroneamente ritenuta a carico di due funzionari della Polizia di Stato, e che le altre condotte prese in considerazione – già sanzionate in precedenza – sarebbero state citate al fine di sostenere un comportamento complessivo recidivo ed in aperta contrapposizione con l’Amministrazione. Aveva poi rilevato il ricorrente che i fatti oggetto del citato procedimento penale sarebbero avvenuti nel 2006, e che l’Amministrazione avrebbe fatto apparire che le denunce-querele sarebbero state proposte nei confronti dei due funzionari dell’Amministrazione, e non nei confronti di altri soggetti estranei alla Polizia.

Trattandosi di comportamenti avverso soggetti terzi non vi sarebbe stata ragione di attendere l’esito del procedimento penale. L’Amministrazione sarebbe stata a conoscenza dei fatti già alla data del 30 aprile 2007, e dunque il procedimento disciplinare sarebbe tardivo perché avviato a distanza di cinque anni dai fatti, non essendovi alcun legame con il procedimento penale non essendo a carico né del ricorrente né dei funzionari di Polizia.

Anche in caso di connessione con il procedimento penale l’avvio del procedimento disciplinare sarebbe stato tardivo, in quanto avviato ben 283 giorni dopo, e dunque oltre il termine perentorio di 120 giorni previsto dall’art. 9 c. 6 del D.P.R. 737/81, e comunque in violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 103 del T.U. 3/57, essendo iniziato dopo cinque anni dalla verificazione dei fatti, periodo nel quale egli avrebbe continuato a svolgere il servizio.

Con la sentenza impugnata il T.A.R. Lombardia ha respinto la censura rilevando:

- l’inapplicabilità dell’art. 9, comma 6 del d.P.R. n. 737/1981 alla fattispecie in esame, non essendo il sig. Z indagato nel procedimento penale definito con archiviazione, avendo assunto la qualifica di persona offesa;

- l’operatività - in virtù del richiamo operato dall’art. 31 del d.P.R. 737/1981 - del criterio di “tempestività” enunciato dall’art. 103, comma 2 del d.P.R. n. 3/1957, secondo cui la norma nel prescrivere che la contestazione degli addebiti debba avvenire "subito", non mira a vincolare l'Amministrazione dall'osservare un termine rigido, il cui decorso comporti la decadenza dello stesso potere disciplinare, ma indica, invece, una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti e alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedurale;

- la procedura è intervenuta tempestivamente rispetto al decreto di archiviazione del GIP di Bologna, ed ha avuto un decorso sufficientemente rapido;

- il termine per l’avvio del procedimento non può decorrere dalla denuncia del ricorrente

contro i soggetti in servizio presso il CPT di Bologna, poiché soltanto la definizione con archiviazione del relativo procedimento penale ha permesso al datore di lavoro di avere elementi processualmente certi circa l’infondatezza delle accuse mosse dal suo dipendente, e circa la strumentalità delle stesse rispetto alla contestazione dell’illecito disciplinare relativo a condotte improprie tenute dallo stesso Z all’interno del CPT in questione;

- il “fatto nuovo” su cui si fonda la contestazione di condotta recidivante è proprio l’abuso degli strumenti processuali compiuto nella vicenda che ha portato all’emissione del decreto di archiviazione da parte del Gip di Bologna, con riferimento alla scorrettezza istituzionale di un comportamento difensivo sproporzionato rispetto all’obiettivo da raggiungere;

- il ricorrente aveva pieno diritto a difendersi all’interno del procedimento disciplinare intentatogli per i fatti occorsi al CPT, ma non doveva ricorrere strumentalmente ad una denuncia penale per tentare di “paralizzare” le dichiarazioni dei suoi quattro accusatori, né tanto meno chiedere addirittura, con una successiva integrazione di querela, l’affidamento delle indagini ad altra forza di polizia, quasi a insinuare il dubbio di un uso distorto, da parte dei suoi colleghi, del loro ruolo istituzionale.Con il secondo motivo di appello il Sig. Z ha dedotto l’erroneità della sentenza rilevando che il riferimento al termine di cui all’art. 9 c. 6 del D.P.R. 737/81 era stato dedotto in via meramente ipotetica, e che invece era stato violato il termine di ragionevolezza dell’art. 103 del D.P.R. n. 3/57, in quanto il procedimento penale non era a carico dei funzionari di Polizia, ma di soggetti estranei al corpo e non vi era ragione di attendere sei anni per avviare il procedimento disciplinare per una denuncia sporta nei confronti di terzi, tanto più che l’Amministrazione era a conoscenza della critica nei confronti dei funzionari della Polizia fin dall’aprile del 2007.

Ha quindi dedotto che non potrebbe considerarsi ragionevole un ritardo di sei anni per iniziare un procedimento disciplinare.

Ha poi aggiunto che il procedimento disciplinare è stato iniziato sulla base di un fatto mai avvenuto, e cioè la denuncia di due funzionari di Polizia, e che il procedimento disciplinare può essere avviato sulla base di un fatto nuovo potenzialmente costituente violazione del regolamento di disciplina e non valutando la condotta complessiva del dipendente, tanto più quando i precedenti episodi erano stati già sanzionati in sede disciplinare, in alcuni casi con misure annullate all’esito di impugnazione.

La censura relativa alla tardività dell’avvio del procedimento disciplinare è fondata.

Dalla ricostruzione dei fatti si evince in modo palese che l’addebito “nuovo” che ha dato origine al procedimento disciplinare è riconducibile alla presunta denuncia presentata nei confronti dei funzionari della Polizia di Bologna ad opera dell’appellante in data 3 aprile 2007 (cfr. provvedimento del Questore di Milano citato in precedenza).

In realtà detta dichiarazione resa alla Procura della Repubblica non costituiva una formale denuncia nei confronti dei predetti funzionari di Polizia, come correttamente rilevato dal Consiglio Provinciale di Disciplina, ma conteneva comunque affermazioni pesanti a carico del personale dell’Amministrazione di appartenenza, ponendosi in dubbio la competenza, la professionalità e l’imparzialità nello svolgimento delle indagini.

L’espressa richiesta contenuta nella dichiarazione del Sig. Z di non delegare lo svolgimento delle indagini alla Polizia di Stato, corpo di appartenenza, affidandole ai Carabinieri è comunque indicativa di una situazione di sfiducia nei confronti dell’Amministrazione dell’Interno, probabilmente dovuta all’amarezza della sottoposizione ad un procedimento disciplinare da lui ritenuto ingiusto in quanto basato, a suo dire, su fatti mai avvenuti.

Dette circostanze che potevano costituire – secondo il giudizio discrezionale dell’Amministrazione - fatti valutabili ai fini disciplinari, erano ben conosciute dall’Amministrazione dell’Interno che ne aveva avuto cognizione a distanza di pochi giorni (cfr. nota della Questura di Bologna del 30 aprile 2007, doc. n. 8 fasc. di primo grado).

L’attesa dell’esito del procedimento penale – riguardante soggetti terzi estranei al Corpo di Polizia – è dovuta ad una erronea interpretazione della dichiarazione resa alla Procura della Repubblica in data 4 aprile 2007, intesa dal Ministero come vera e propria denuncia del Z nei confronti dei suoi superiori, come emerge chiaramente dalla lettura della nota del Questore di Milano che ha dato l’avvio al procedimento disciplinare e della nota della Questura di Bologna del 30 aprile 2007 inviata al Ministero dell’Interno, (doc. citato in precedenza) nella quale si fa espresso riferimento alla presentazione in data 4 aprile di una denuncia-querela presso la locale Stazione dei Carabinieri “Bertalla” da parte del Z nei confronti del Dirigente e del Funzionario della Squadra Mobile di Bologna. Ciò costituisce la ragione per la quale il Ministero ha atteso l’esito del procedimento prima di procedere in sede disciplinare nei confronti del proprio dipendente.

In realtà il procedimento penale in questione non riguardava detti dipendenti della Polizia di Stato, e dunque non vi era alcuna ragione di attendere l’esito di un procedimento penale a carico di terzi, estranei all’Amministrazione, per poter esercitare l’azione disciplinare nei confronti di un dipendente che aveva espresso ampie riserve sull’operato dei suoi superiori.

I soggetti indagati nel procedimento penale RGNR n. 5608/07 erano infatti i soli dipendenti del CPT di Bologna indicati nella denunzia-querela presentata dallo Z il 3 aprile 2007.

Ciò – desumibile dalla disamina degli atti dello Z indirizzati alla Procura della Repubblica - trova conferma nella richiesta di archiviazione del suddetto procedimento penale e nel successivo decreto di archiviazione, in cui non si fa menzione alcuna dei funzionari di Polizia. Peraltro, l’archiviazione è intervenuta perché il reato di calunnia ipotizzato dallo Z non era ipotizzabile, non essendo stato aperto alcun procedimento penale a suo carico, né essendo configurabile alcun altro reato, tenuto conto, che secondo il giudice penale, l’attendibilità delle dichiarazioni degli indagati avrebbe dovuto essere valutata in sede disciplinare a cura dell’autorità amministrativa.

In sostanza, non vi erano motivi per attendere ben oltre cinque anni per l’esercizio dell’azione disciplinare, anche volendo valorizzare come “fatto nuovo” la presentazione della denunzia –querela nei confronti del personale del CPT, integrante ipotesi di abuso dei mezzi di difesa (come ritenuto dal primo giudice), in quanto l’Amministrazione avrebbe dovuto attivarsi anche in questo caso in tempi ragionevoli, come prescrive l’art. 103 del D.P.R. n. 3/57, a tutela del dipendente e della stessa amministrazione.

Non è dunque condivisibile l’assunto del primo giudice secondo cui l’Amministrazione non avrebbe potuto agire in sede disciplinare se non dopo aver avuto cognizione dell’esito del procedimento penale nei confronti dei soggetti estranei alla Polizia, essendo valutabile in sé la condotta del dipendente a prescindere dall’esito del procedimento penale.

Quanto alla violazione del termine di ragionevolezza ex art. 103 del T.U. n. 3/57 – non essendo applicabile al caso di specie la disposizione recata dall’art. 9 del D.P.R. 737/81, come rettamente rilevato dal primo giudice –, è opportuno richiamare il costante orientamento della giurisprudenza. “In linea generale - quanto alla tempestività dell'inizio di un procedimento disciplinare a carico di un dipendente pubblico - può osservarsi che l'art. 103 T.U. imp. civ. St. n. 3 del 1957, che prevede che la contestazione degli addebiti avvenga "subito", deve essere interpretato nel senso che il Legislatore non ha inteso vincolare l'amministrazione all'osservanza di un termine fisso, ma ha indicato una regola di ragionevole prontezza e tempestività nella contestazione, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti ed alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell'iter procedurale e preordinata ad un equo contemperamento delle esigenze sia dell'amministrazione pubblica di procedere agli accertamenti preliminari dei fatti disciplinari con ponderata valutazione della gravità e complessità dei fatti medesimi, sia della parte privata, onde non siano rese più gravose le modalità della difesa a causa della eccessiva distanza di tempo dal verificarsi dei fatti oggetto di contestazione;
non si può legittimamente procedere alla contestazione di addebiti dopo lungo tempo dall'accertamento dei fatti, ove il ritardo non si fondi specificamente sulla particolarità della situazione accertata o sulla complessità delle acquisizioni istruttorie” (cfr. T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, 22-02-2011, n. 1662).

La norma vuole salvaguardare, infatti, la certezza del rapporto tra l'impiegato e l'Amministrazione, la quale verrebbe inficiata (anche per i profili consequenziali inerenti allo sviluppo di carriera e alle relative valutazioni periodiche), nel caso in cui il dipendente restasse esposto, sine die, per ingiustificata inerzia dell'Amministrazione stessa, alla qualificazione come infrattivi di determinati comportamenti (cfr. tra le tante, Cons. Stato Sez. IV, 07-11-2012, n. 5672;
T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 11-07-2014, n. 1836).

Ebbene, tenuto conto dell’enorme divario di tempo intercorso tra la verificazione dei fatti contestati e l’avvio del procedimento disciplinare, ritiene la Sezione che non possano sussistere dubbi in merito alla violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 103 del D.P.R. 3/57.

L’appello deve essere pertanto accolto con riforma della sentenza impugnata e conseguente annullamento del provvedimento di destituzione impugnato in primo grado.

Quanto alle spese di lite, in considerazione della particolarità della fattispecie, sussistono tuttavia giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti per i due gradi di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi